7 Novembre 2025 - Con “un passo storico verso l’unità dei Cristiani”, il Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee) e la Conferenza delle Chiese europee (Cec) hanno presentato il 5 novembre a Roma - nella Chiesa del martirio di San Paolo presso l’Abbazia delle Tre Fontane - la versione aggiornata della Charta Œcumenica.
Frutto di “un lungo e meticoloso processo di revisione iniziato nel 2022”, “questo documento congiunto – scrivono i due organismi europei in un comunicato – segna una tappa fondamentale nel cammino ecumenico delle Chiese europee, rinnovando il loro impegno a camminare insieme nel dialogo, nella comprensione reciproca e nella testimonianza condivisa in risposta alle sfide del nostro tempo”.
Il documento presenta anche un paragrafo specifico dedicato a migranti, rifugiati e sfollati, il numero 13. Le Chiese europee si sentono "in viaggio" con tutte le persone in movimento, e denunciano "ogni forma di migrazione forzata, schiavitù moderna e, in particolare, tratta di esseri umani: consideriamo tutti questi fenomeni crimini contro l'umanità". Inoltre si impegnano a "continuare a lavorare per accogliere le vittime di tale migrazione forzata con rispetto e compassione umana, offrendo loro la possibilità di costruirsi una nuova vita".
Infine, "pur riconoscendo la complessità della situazione", sottolineano sostengono "il motivo biblico dell'essere stranieri (Dt 10,18), comprese le esperienze di sfollamento di Gesù stesso (Mt 2,13-23, 25,35).E si attengono "all'imperativo cristiano di estendere l'ospitalità agli stranieri e quindi invitiamo tutte le persone ad accogliere, proteggere, promuovere e integrare i migranti".
18 Luglio 2025 - A margine della tavola rotonda “I Nord e i Sud del mondo: quali relazioni oggi?”, promossa da Progetto Continenti il 14 giugno presso il Convento di Sant’Andrea a Collevecchio (RI), "Migranti Press" ha intervistato S.E. mons. Francesco Savino, vescovo di Cassano all’Jonio e vicepresidente della Conferenza episcopale italiana per l’Italia meridionale.Eccellenza, c’è stato un tempo in cui l’Europa discuteva animatamente circa la propria identità e le proprie radici cristiane. Oggi quel le radici sembrano affiorare solo nei discorsi, ma non nelle scelte. Di fronte a un’Europa che si chiude, che si mostra fragile e disorientata sul tema delle migrazioni, lei ha parlato di “smarrimento”. È forse questo lo smarrimento di chi ha perso memoria delle proprie radici?
Sì, ho parlato volutamente di smarrimento. Non si tratta solo di una crisi politica o sociale: è, prima ancora, una crisi di senso. L’Europa sembra aver perso il filo della propria narrazione fondativa, quello che univa diritto e misericordia, giustizia e accoglienza. Il dibattito sulle “radici cristiane” si è spesso ridotto a una sterile contesa ideologica, dimenticando che il Vangelo è innanzitutto prossimità, non uno slogan identitario.
Oggi quelle radici affiorano nei discorsi, ma raramente ispirano scelte coraggiose. Occorrerebbe tornare a ciò che san Paolo VI chiamava “umanesimo integrale”: un’Europa fondata su un’idea alta dell’umano, capace di custodire i più fragili come pietre angolari del progetto comune (cfr Ef 2,20). Lo smarrimento attuale è il segno di una memoria tradita. Non si può custodire la memoria senza la fatica del discernimento storico e spirituale. La gestione delle migrazioni è la cartina al tornasole di una civiltà.
Quando l’altro è visto solo come un capro espiatorio e non come una rivelazione di senso, significa che abbiamo reciso le radici evangeliche che parlano di “forestiero accolto” (cfr Mt 25,35). L’Europa che si chiude è un’Europa impaurita, e la paura – come insegna Roberto Esposito – è sempre cattiva consigliera nella costruzione dell’ordine politico. Ma se tornassimo a vedere in ogni volto migrante il riflesso di Cristo, allora sì, quelle radici diventerebbero carne, decisione, civiltà.
“Sogno un’Europa solidale e generosa. Un luogo accogliente ed ospitale, in cui la carità – che è somma virtù cristiana – vinca ogni forma di indifferenza e di egoismo”, scriveva papa Francesco nel 2020. Oggi, però, sembra prevalere un’Europa chiusa e impaurita, che fatica a riconoscere il volto umano del migrante. Quanto ci siamo allontanati da quel sogno?
Ci siamo allontanati da quel sogno tanto quanto ci siamo allontanati dal Vangelo. Perché quel sogno non è un’utopia astratta: è il riflesso più concreto dell’annuncio cristiano, che ci chiede di riconoscere nel volto dell’altro – soprattutto nel volto sofferente, straniero, vulnerabile – la carne stessa di Cristo.
Oggi l’Europa sembra vivere una forma di afasia morale: non trova più le parole, né le categorie, per riconoscere l’altro come fratello. È il segno di una deriva culturale e spirituale, in cui il sogno della fraternità è stato soppiantato dalla retorica della paura. In molti Paesi europei assistiamo al riemergere di forme di nazionalismo difensivo, che costruiscono l’identità sul rifiuto dell’altro.
Come ha lucidamente osservato Tony Judt, il problema non è solo l’oblio, ma la manipolazione del passato a fini identitari: la costruzione della nazione si accompagna troppo spesso a un racconto mitico, epurato dalle responsabilità storiche, che giustifica chiusure e autoassoluzioni. Anche Paul Ricoeur, nella sua opera La memoria, la storia, l’oblio, ci ammonisce sull’ambivalenza della memoria: essa può essere forza di riconciliazione, ma anche strumento di esclusione, se ridotta a narrazione unilaterale.
Ecco perché una memoria davvero cristiana deve essere memoria ospitale, aperta all’altro e capace di trasformare la storia in responsabilità. Oggi, al contrario, si innalzano muri, si esternalizzano le frontiere, si criminalizza il soccorso. Eppure, la carità, che papa Francesco chiamava “somma virtù cristiana”, non è un’appendice dell’agire politico: è il suo cuore dimenticato. Senza carità, anche la giustizia si svuota. E senza accoglienza, l’Europa tradisce sé stessa.
Siamo dunque lontani da quel sogno, sì. Ma il sogno resta. Ed è nostro compito – come Chiesa e come cittadini – renderlo ancora abitabile. La speranza non è ingenuità, ma forza trasformativa. Abbiamo bisogno di un’Europa più unita nella compassione che nei trattati, capace di riconoscere che la difesa della dignità umana viene prima di ogni confine.
Dal 2013 si stima che oltre 30.000 persone abbiano perso la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa attraversando il Mediterraneo. Dopo la tragedia di Cutro, nel febbraio 2023, lei ha parlato di un “fallimento collettivo” che pesa come una colpa storica, denunciando una “miopia politica”, ma anche una “cecità spirituale”. Le migrazioni ci interpellano come cristiani, ancor prima che come cittadini. Non dovremmo allora chiederci se, oltre all’inadeguatezza della politica, vi sia anche una difficoltà propria del Popolo di Dio nel riconoscere nelle migrazioni un autentico “segno dei tempi” da leggere e interpretare alla luce del Vangelo?
Sì, è una domanda profonda e imprescindibile. Le migrazioni non sono soltanto un fenomeno sociale o politico, ma un segno dei tempi, nel senso più vero che il Concilio Vaticano II ha dato a questa espressione. Sono il grido della storia che reclama di essere ascoltato alla luce del Vangelo. Se non impariamo a leggere questi drammi come vere e proprie realtà teologiche, rischiamo di separare la fede dalla realtà, il culto dalla giustizia, la liturgia dalla carità.
La tragedia di Cutro, come le migliaia di vite spezzate nel Mediterraneo, sono “epifanie” della nostra indifferenza strutturale: riflettono una civiltà che ha smarrito la grammatica della compassione. Per questo parlai – e oggi ribadisco – di un fallimento collettivo, che riguarda non solo le istituzioni, ma anche la coscienza ecclesiale e della comunità.
Se un’intera generazione resta muta davanti alla morte dei poveri in mare, significa che qualcosa si è rotto non solo nel sistema, ma anche nell’anima. La Chiesa, Popolo di Dio in cammino, è chiamata a una conversione profonda: non può restare neutrale davanti al grido dei migranti, né limitarsi a offrire solo assistenza caritativa, per quanto indispensabile.
È tempo di una pastorale profetica, capace di alzare la voce contro le ingiustizie strutturali e di accompagnare i migranti come sacramenti di una presenza divina che ci visita nel povero, nel perseguitato, nel naufrago. In questo senso, il Vangelo ci precede: non ci chiede il permesso per essere annunciato nelle periferie del mondo. “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi [...] sono anche le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo” (GS 1).
Il fenomeno migratorio è oggi uno dei nodi centrali della storia della salvezza, perché ci obbliga a domandarci non solo “cosa dobbiamo fare”, ma soprattutto “chi vogliamo essere”. Non possiamo accettare che il Mediterraneo sia ormai un grande cimitero liquido, né restare prigionieri di una spiritualità disincarnata, che consola ma non converte. Accogliere non è solo un gesto etico, ma una scelta escatologica: una risposta concreta alla presenza viva di Dio nei poveri.
Vorrei concludere spostando il nostro sguardo dalle migrazioni forzate a quella presenza silenziosa – o, meglio, silenziata – costituita da oltre 5 milioni di stranieri regolarmente e stabilmente residenti nel nostro Paese. Il cardinale Zuppi, in più occasioni, ha denunciato i rischi di una lettura politicizzata e strumentale del fenomeno migratorio, sottolineando, invece, la necessità di affrontarlo con coraggio politico e senso di responsabilità sociale. Alla luce dell’esito del recente referendum sulla cittadinanza, le chiedo: possiamo dire che, allo stato attuale, in Italia manchino proprio quel coraggio politico e quel senso di responsabilità auspicati dal presidente della Cei?
Sì, possiamo dire che in Italia manca ancora quel coraggio politico e quel senso di responsabilità sociale auspicati dal cardinale Zuppi. Il referendum sulla cittadinanza ha mostrato quanto il tema resti fragile, spesso banalizzato o strumentalizzato politicamente, nonostante si tratti di una questione fondamentale per la qualità della nostra democrazia. Parliamo di oltre 5 milioni di persone straniere stabilmente residenti, molte delle quali pienamente integrate nella vita del Paese, ma escluse dal riconoscimento giuridico. È una zona grigia che contraddice il principio di giustizia.
Detto questo, è importante riconoscere anche i segnali positivi. Penso al recente Protocollo d’intesa firmato tra la Cei e il ministero dell’Interno, che rafforza la collaborazione tra istituzioni civili e realtà ecclesiali per un’accoglienza diffusa, dignitosa e sostenibile. È un passo concreto che dimostra come sia possibile coniugare legalità e solidarietà, coesione sociale e rispetto delle regole. Da queste sinergie può nascere una politica migratoria più giusta, umana e lungimirante. Come cristiani, non possiamo accontentarci di uno sguardo neutrale o rinunciatario.
La Parola di Dio ci interpella con forza: ci chiama a essere un popolo dell’accoglienza, non spettatori passivi di un mondo ferito, ma testimoni attivi di una storia di riconciliazione. Non basta osservare le ingiustizie da lontano: siamo chiamati a incarnare il Vangelo nei luoghi dove si decide il destino dell’umano. La cittadinanza, in questa prospettiva, non è solo un atto legislativo, ma una forma di responsabilità reciproca: è il gesto con cui riconosciamo l’altro non come ospite temporaneo, ma come parte viva della comunità.
Come ha scritto papa Francesco nella Fratelli tutti, “nessuno può affrontare la vita isolatamente” (n. 30). È un principio che vale anche per le nazioni. Riconoscere i nuovi italiani, accompagnare i percorsi di integrazione, superare la logica dell’eccezione e della paura: sono tutte tappe essenziali per costruire una società più giusta, matura e fedele al Vangelo. (Elia Tornesi in Migranti Press 6 2025)
[caption id="attachment_61802" align="aligncenter" width="1024"] (foto: Calvarese/SIR)[/caption]
17 Luglio 2025 - Si intitola “Politiche migratorie e di asilo nell’Ue: un focus sull’integrazione” il documento redatto da Youth Net, organo consultivo all’interno del Segretariato della Comece (Commissione degli episcopati dell’Unione europea). Il testo, pubblicato oggi a Bruxelles, sede della Comece, è stato definito durante l’incontro primaverile di Youth Net a Budapest, che ha riunito giovani delegati delle Conferenze episcopali dell’Ue.
Il documento esplora le dimensioni chiave dell’integrazione, tra cui la realizzazione professionale e il rispetto della dignità umana, la crisi demografica e il ruolo degli approcci basati sulla comunità, nonché il rapporto tra migrazione e sicurezza. La stesura del documento – precisa il segretariato Comece – incorpora i risultati di un sondaggio diffuso durante l’anno trascorso tra i membri di Youth Net.
Sulla base delle risposte, i giovani hanno formulato raccomandazioni alle istituzioni dell’Ue e agli Stati membri per “migliorare l’integrazione dei migranti in tutto il continente”.
Tra i suggerimenti politici inclusi nel contributo, che giungono dopo una diffusa analisi del fenomeno migratorio, figurano: rafforzare il dibattito pubblico attraverso l’educazione e la trasparenza dei dati sulla migrazione; rafforzare la cooperazione e la coerenza delle politiche a livello Ue, in particolare nell’attuazione del Patto sull’asilo e la migrazione; promuovere società inclusive sostenendo le comunità locali; promuovere programmi di integrazione coerenti. (fonte: Sir/Comece)
10 Luglio 2025 - Si parlerà di diritti a più livelli martedì 15 luglio 2025 a Bruxelles, a pochi passi dal Parlamento europeo (Sala EIAS – 10° piano | Rue de la Loi, 26) nell'evento promosso da Inca, il Patronato del sindacato Cgil, dal titolo "Tutele senza frontiere. 80 anni di diritti in movimento".
Introdurrà i lavori, che avranno inizio alle ore 10, il presidente di Inca Cgil, Michele Pagliaro.
Segue un dibattito, moderato da Angela Mauro, corrispondente da Bruxelles di Huffpost Italia, con:
Alessandro Mazzola, ricercatore Università di Liegi.
Francesco Sinopoli, presidente Fondazione Di Vittorio.
Pasquale Tridico, europarlamentare The Left.
Infine, è previsto un intervento di Esther Lynch, segretario generale Etuc.
Le conclusioni saranno affidate a Maurizio Landini, segretario generale Cgil.
22 Aprile 2025 - "La Road Map per il Diritto d'Asilo e la Libertà di Movimento e il Tavolo Asilo e Immigrazione (TAI) hanno avviato un percorso di monitoraggio dell'implementazione del Patto europeo per la migrazione e l’asilo in Italia, consapevoli della necessità di garantirne un'applicazione trasparente e rispettosa dei diritti fondamentali".
L'iniziativa annunciata oggi dal TAI e accompagnata da un documento sottoscritto da oltre 40 associazioni e organizzazioni che si occupano quotidianamente di mobilità umana, tra le quali la Fondazione Migrantes, prende le mosse in particolare dal mancato coinvolgimento della società civile nella elaborazione del Piano di attuazione nazionale, contrariamente alle indicazioni della stessa Commissione europea. "Nonostante le ripetute richieste di coinvolgimento e di confronto sul contenuto del Piano - si legge nel documento -, le associazioni della società civile non sono mai state consultate in maniera effettiva, né prima della scadenza prevista per l’invio del Piano alla Commissione, né in momenti successivi, nemmeno dopo le richieste di accesso civico formulate da alcune associazioni nel febbraio 2025, che hanno ricevuto risposta negativa da parte del Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione".
Dal documento viene confermata anche una posizione fortemente critica rispetto allo spirito e alla lettera del Patto: "Le logiche che stanno alla base delle modifiche legislative, promosse da un numero sempre maggiore di Stati membri e avallate dalla Commissione Europea, rafforzano un approccio securitario e di esternalizzazione delle frontiere, privilegiando pratiche di detenzione e respingimento piuttosto che un accesso effettivo a percorsi di protezione". In questo modo, si legge, "il Patto nega i principi base dell’UE, della sua Carta dei Diritti e delle principali Convenzioni internazionali. La centralità della dimensione repressiva, unita alla mancanza di canali regolari e sicuri per la migrazione, mina i principi fondamentali del diritto d'asilo e compromette concretamente la possibilità per molte persone di ottenere protezione e ingressi sicuri in Europa".
Le associazioni firmatarie del documento richiamano infine "la necessità di un coinvolgimento attivo della società civile" e annunciano che "continueranno ad operare con determinazione al fine di garantire un sistema di accoglienza che rispetti i principi di umanità e giustizia, con l’obiettivo di tutelare la libertà di movimento e il diritto d’asilo in Italia e in Europa".
5 Aprile 2025 - "I diritti sono per tutti o, di nuovo, solo per qualcuno? Potremmo forse avere la sensazione che la questione non ci riguardi. In realtà, se i diritti non sono più garantiti a tutti e tornano a essere un privilegio solo per alcuni, ciò ci pone nuovamente in uno scenario in cui guerre e caos possono diventare – anzi, tornare a essere come un tempo – prevalenti. Quasi senza rendercene conto, ci stiamo allontanando da quel sogno di Europa nato dopo gli orrori di due guerre mondiali. Lo stesso sogno espresso da papa Francesco nel 2023, in occasione della XXXVII Giornata mondiale della gioventù a Lisbona: Io sogno un’Europa, cuore d’Occidente, che metta a frutto il suo ingegno per spegnere focolai di guerra e accendere luci di speranza; un’Europa che sappia ritrovare il suo animo giovane, sognando la grandezza dell’insieme e andando oltre i bisogni dell’immediato; un’Europa che includa popoli e persone con la loro propria cultura, senza rincorrere teorie e colonizzazioni ideologiche. E questo ci aiuterà a pensare ai sogni dei padri fondatori dell’Unione europea".
Questo un passaggio dell'intervento proposto da mons. Pierpaolo Felicolo, direttore generale della Fondazione Migrantes, per il forum "Diritti umani: mantenere una comprensione comune è ancora possibile?" promosso dal Cespi.
Il Forum ha preso le mosse da un contributo di Filippo De Robilant, del comitato scientifico del Cespi, che affronta il tema "Diritti umani: mantenere una comprensione comune è ancora possibile?" partendo dalla ricorrenza del 75° anniversario della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950.