Primo Piano

La parte dimenticata del mondo: una crisi umanitaria senza fine in Africa

10 Giugno 2022 -
Andria - Nonostante le potenzialità ci siano e crescano con l’aumentare esponenziale degli strumenti di connettività, l’interesse mostrato nell’interfacciarsi con realtà tanto diseguali dalle nostre è nettamente minore rispetto al necessario. A prova di questo squilibrio notevole e sempre più marcato è stato pubblicato il Report annuale del Consiglio norvegese per i rifugiati, che ogni annata individua un elenco delle dieci crisi di profughi maggiormente trascurate nel panorama internazionale. Questo risultato si basa su tre criteri di mancanza: finanziamenti, attenzione da parte dei media, iniziative politiche e diplomatiche internazionali. La notizia sconvolgente dell’ultima pubblicazione è che tutte le posizioni in classifica sono occupate da paesi africani. In vetta c’è la Repubblica Democratica del Congo, che non è nuova a queste analisi disastrate delle proprie condizioni a livello umanitario e la propria tendenza ad essere trascurata dagli interessi mondiali. Nel 2021 sono state stimate quasi 20 milioni di persone con assoluto bisogno di ricevere assistenza umanitaria, quasi un quarto dell’intera popolazione. Inoltre, in quanto a sostegno economico per aiutare la ripresa del paese, sono stati ricevuti circa 870 milioni, a fronte dei 2 miliardi necessari per una ripartenza che non c’è mai stata. Una nazione dilaniata da continui conflitti interni, che conta più di sei milioni di cittadini tra sfollati interni e rifugiati fuori dai confini. In circostanze che a noi sono quasi sconosciute, crisi vuol dire anche mancanza di cibo, e se un terzo della popolazione congolese soffre la fame l’indifferenza istituzionale e mediatica sta esacerbando un problema che ha già superato il punto di non ritorno. Le medesime situazioni si incontrano in altri stati come Burkina Faso, Camerun, Burundi, Nigeria, Etiopia e così via. Si tratta di luoghi in cui il malessere generale supera di gran lunga ogni comfort, che finisce per essere sconosciuto a latitudini dove il tutto è posseduto da alcuni signori, o gestito da potenze mondiali che nascondono giochi di Risiko con sostegni insufficienti, di pura facciata. Tra le cause di questo abbandono totale c’è, in larga parte, una totale assenza di interesse da parte di chi dovrebbe testimoniare scenari desolanti come quelli riportati in questa classifica. Se da un lato per certi temi si tende a parlare di infodemia, con un’eccessiva quantità di informazioni la cui rapidità di condivisione finisce per far decrescere la qualità, dall’altro si preferisce evitare ogni tipo di discussione su determinate questioni. E se non si parla di qualcosa, quella cosa per molti non esiste. Non ci sono sfollati se non si parla di loro, non c’è alcun problema di fame se non si parla del cibo che manca, non ci sono problemi in Africa se l’Africa non esiste sui giornali. Tutto ciò si discosta dal perbenismo: basti pensare che, dal momento dello scoppio della guerra in Ucraina, sono stati scritti a riguardo circa 85mila articoli ogni giorno, mentre in tutto il 2021 il numero di quelli pubblicati sulla tragica e lungodegente condizione in Africa è stato intorno ai 27mila. Le conseguenze del conflitto europeo stanno gravando su realtà già precarie, e ora che il quadro è completo, è lapalissiano intuire su chi si stia ripercuotendo in maniera più minacciosa. Un paese che dispone di mezzi per aiutare e offrire sostegno non deve farlo per ripulirsi la coscienza di fronte agli occhi di altri paesi, ma con un reale interesse di porre una mano concreta per una ripresa che, ad oggi, non conosce principio. Allo stesso modo, chi si occupa di informare e sensibilizzare ha una potentissima arma a disposizione, la parola, e se non viene usata svanisce il ricordo di un intero continente che soffre. C’è sempre posto per tutti, se le risorse non vengono più fagocitate dal potere. (don Geremia Acri - Direttore Migrantes Andria)

Presentato il rapporto annuale Sai 2022

10 Giugno 2022 -

Roma - Sono stati presentati ieri a Roma i dati del rapporto annuale Sai 2022 per il ventennale del sistema Sprar. Nel 2021 sono stati accolti oltre 42mila profughi e di questi in 9.877 casi si è trattato di minori non accompagnati (+39% rispetto al 2020). Sono stati 851 i progetti finanziati dal Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo della rete Sai: complessivamente 34.744 posti di accoglienza, divisi in quasi 1800 Comuni e 722 enti locali titolari di progetto. Nel 2021 è cresciuta anche la disponibilità di posti Sai dedicati all’accoglienza di minori stranieri soli arrivando a 239 progetti per un totale di 6.683 posti. «Quest’anno ricorre il ventennale del Sistema Sprar-Sai e, non a caso, abbiamo scelto di presentare le iniziative per ripercorrere questo percorso alla vigilia della Giornata mondiale del Rifugiato del 20 giugno» ha sottolineato il delegato dell’Anci all’immigrazione e sindaco di Prato, Matteo Biffoni. Oggi il sistema Sai, che si occupa dei progetti di accoglienza diffusa sul territorio grazie alla rete tra Comuni e Terzo settore, «è diventato a tutti gli effetti una politica di welfare nazionale. Coinvolge ormai quasi un quarto di tutti i Comuni italiani anche quelli più piccoli: più della metà hanno meno di cinque mila abitanti», ha sottolineato il segretario generale dell’Anci, Veronica Nicotra. Il sistema di accoglienza dei Comuni ha aperto le porte anche a chi è scappato dalla guerra in Ucraina. Sono stati 740 i profughi ucraini accolti dal Sistema di accoglienza e integrazione (Sai). Si tratta per il 71% di donne. In prima linea c’è l’Emilia Romagna, dove sono presenti il 22% degli ucraini accolti, seguita da Lazio e Campania.

Vangelo Migrante: Santissima Trinità | Vangelo (Gv 16,12-15)

9 Giugno 2022 - La Pentecoste porta a termine la rivelazione di Dio Padre, Figlio e Spirito santo. Oggi il mistero della Trinità ci dice che quella ‘sequenza’ non è separata ma unita. Una questione, si sa, non di primissima comprensione, forse perché è necessaria un’operazione di astrazione per far coincidere l’uno e il tre … È il Vangelo che, come sempre, ci apre la strada al mistero di Dio. Innanzitutto dice che esiste una verità tutta intera sulla nostra vita e va imparata a partire dalla meta: “lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future”. Quali sono queste cose future? Nella vita, tutti aneliamo alla relazione, allo stare con gli altri ed essere uniti: mi sento veramente uomo quando amo e sono amato, quando accolgo e sono accolto. È la stessa verità della Vita del Padre e del Figlio, consegnata allo Spirito perché la annunci. Il sogno di Dio per l’uomo fatto a sua immagine e somiglianza e la Vita stessa di Dio-Trinità, coincidono. Se guardiamo bene, Adamo non è stato fatto a immagine del Dio che crea, né a immagine del Verbo che era da principio presso Dio; e non fu fatto nemmeno ad immagine dello Spirito che si librava sulle acque. Molto di più, Adamo ed Eva sono stati fatti a immagine della comunione, del legame d’amore e di condivisione del Padre, del Figlio e dello Spirito. C’è un cromosoma divino in noi ed è la nostra identità più profonda: la relazione, un legame oltre ogni solitudine. Se viene meno, la vita pesa e fa paura perché è contro la nostra vera natura. Se Dio è Dio solo in questa comunione, allora anche l’uomo sarà uomo solo in una analoga relazione d’amore. E questa è la verità tutta intera. È intera non perché ci dice solo come stanno le cose ma perché nelle cose ci mette qualcuno. La verità, infatti, non è solo un insieme di cose misurabili o fattuali. Perché sia compresa è necessario entrare in relazione con il reaale a cui essa si riferisce. Un conto è conoscere i dati biometrici di una persona, un conto è entrare in relazione con essa (stringerla, abbracciarla). Per questo lo Spirito non insegna un contenuto ma un modo di essere. Camminare verso un concetto è diverso dal camminare verso qualcuno. Perché? Perché comporta essere qualcuno. Questo scambio di relazioni necessarie per esistere e per comprendere il reale, sono il riflesso della Trinità: non un circuito chiuso, ma un flusso aperto che riversa continuamente amore, verità, intelligenza. Mi disse una volta un monaco: al termine di una giornata puoi anche non aver mai pensato a Dio, mai pronunciato il suo nome. Ma se hai creato legami, se hai procurato gioia a qualcuno, se hai portato il tuo mattone di comunione, tu hai fatto la più bella professione di fede nella Trinità. Se Dio è Trinità, noi ne siamo la copia più autentica. Ci ha fatti così! (p. Gaetano Saracino)

Papa Francesco: verso la GMMR, “Mettere al centro i più vulnerabili”

9 Giugno 2022 - Roma - “Cosa significa mettere al centro i più vulnerabili?”. È la domanda diretta che Papa Francesco rivolge, nel nuovo video della sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale della Santa Sede, in vista della 108ª Giornata mondiale del migrante e del rifugiato, che si celebra domenica 25 settembre sul tema “Costruire il futuro con i migranti e i rifugiati”. Il Papa esorta a costruire un futuro inclusivo, un futuro per tutti e tutte in cui nessuno deve rimanere escluso, in modo particolare i più vulnerabili tra cui migranti, rifugiati, sfollati e vittime della tratta. Insieme a Papa Francesco, anche la testimonianza di una giovane migrante venezuelana, Ana, che si è ricostruita una nuova vita in Ecuador insieme alla sua famiglia.

Migrantes Piemonte: domenica il pellegrinaggio dei migranti

9 Giugno 2022 - Torino - Partiranno in 700 da tutte le diocesi del Piemonte per invocare il dono della pace al Santuario Regina Pacis di Fontanelle di Boves in provincia di Cuneo. Migranti che hanno vissuto sulla propria pelle il dramma della guerra e migranti che hanno lasciato il proprio paese per sfuggire a fame e persecuzioni, per garantire un futuro migliore ai propri figli e che quest’anno hanno scelto di vivere il loro tradizionale pellegrinaggio annuale organizzato dal Coordinamento regionale Migrantes Piemonte e Valle d’Aosta proprio pregando insieme per la fine di ogni conflitto in ogni parte del mondo. Il pellegrinaggio è rivolto a tutte le Comunità cattoliche Migrantes di tutte le Diocesi piemontesi e ai volontari impegnati nella promozione dell’accoglienza ed è ormai una tradizione ma che aveva subito una interruzione di due anni a causa della pandemia. «Quest’anno», spiega Sergio Durando, direttore della Migrantes  diocesana di Torino e coordinatore regionale, «abbiamo scelto di tornare a Fontanelle di Boves dove si invoca Maria Regina della Pace proprio per affidare alla preghiera il desiderio che si ponga fine ad ogni conflitto in ogni parte del mondo». Da Torino sono in 500 ad aver aderito alla proposta, appartenenti a tutte le cappellanie e fra loro anche una ottantina di Ucraini, tra chi da tempo vive nel territorio  e chi è stato accolto in questi mesi. Il pellegrinaggio intitolato «Insieme per la pace» prevede alle 10 un primo ritrovo nel santuario cuneese per un saluto e una introduzione di mons. Marco Prastaro, incaricato regionale Migrantes, di don Giuseppe Panero, rettore del Regina Pacis, e di Maurizio Paoletti, sindaco di Boves. Prima della preghiera del rosario sono previste tre testimonianze di profughi fuggiti dalle guerre, dall’Ucraina e dall’Afganistan. Alle 11 la preghiera del rosario per la pace con itinerari diversi. Tre le proposte, una prima che prevede la recita nel piazzale antistante il santuario, una che prevede un percorso di 4 km e una terza un percorso più breve, per accompagnare con il cammino la preghiera, altro aspetto che accomuna tanti migranti che hanno percorso centinaia di chilometri invocando la salvezza per se stessi e i familiari. Dopo il pranzo, il tempo della festa con canti e danze proposti dalle diverse cappellanie e a conclusione la Messa concelebrata da mons. Prastaro e da mons. Piero Delbosco, Vescovo di Cuneo e Fossano, le diocesi che animano questa edizione del pellegrinaggio. (VeT)

Calabria: ad Armo un Cimitero per migranti morti. Card. Zuppi, appello alla responsabilità di tutti

9 Giugno 2022 -
Reggio Calabria - Si svolgerà domani (10 giugno), a Reggio Calabria, un momento di preghiera ecumenica nell’area del Cimitero di Armo, ristrutturata e risistemata per dare degna sepoltura ai migranti morti nel Mediterraneo. Era il 2016 quando la città accolse, insieme a donne, uomini e bambini, anche quarantacinque salme di persone che non erano riuscite a sopravvivere alla traversata. Da quel momento, l’area cimiteriale di Armo, frazione collinare del capoluogo calabrese, è diventata il luogo simbolo del dolore per tante vite spezzate dall’indifferenza, ma anche della memoria perché tragedie di questo tipo non accadano più. Sono state realizzate più di 140 tombe, per consentire finalmente una degna sepoltura di migranti e poveri, molti dei quali rimasti sconosciuti.
“È considerata dalla tradizione della Chiesa come un’opera di misericordia, che riguarda il rispetto per il corpo e la vita di una persona. Questo gesto porta con sé anche un messaggio forte: non possiamo abituarci che il Mediterraneo da mare nostrum diventi mare monstrum, mare di nessuno dove si muore per omissione di soccorso. La morte di queste persone è una grande domanda che impone la ricerca condivisa di soluzioni efficaci e umane, compresa l’apertura di corridoi umanitari a tutela dei richiedenti asilo”, afferma il card. Matteo Zuppi, Presidente della CEI. “È un gesto di tanta umanità – aggiunge – frutto di solidarietà della quale ringrazio tanto, ma è anche un appello forte alla responsabilità politica, culturale e sociale di tutti verso il cammino dei migranti”.
Domani sono previsti gli interventi di Mons. Fortunato Morrone, Arcivescovo di Reggio Calabria-Bova, di don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana, di Maria Angela Ambrogio, direttrice della Caritas diocesana, dei volontari del Coordinamento diocesano sbarchi, di Carmelo Versace e Paolo Brunetti, sindaci facenti funzioni rispettivamente della Città metropolitana e del Comune di Reggio Calabria, e di Massimo Mariani, prefetto di Reggio Calabria.

Marcial e Dieng, destini incrociati

9 Giugno 2022 - Lanzarote, Canarie -  Non era in servizio quella sera, il guardaspiaggia municipale Marcial Armas Torres. Si trovava con alcuni amici vicino al mare a Órzola, la sua cittadina, sulla punta nord dell’isola, quando ha sentito delle grida provenire dall’acqua. «Chiedevano aiuto, ma era buio, qualcuno agitava cellulari con la torcia attivata» ci racconta dal posto di soccorso della spiaggia di Arrieta dove lavora, sulla costa orientale di Lanzarote. «Al largo, i migranti avevano seguito le luci delle case, ma non si erano accorti delle rocce vulcaniche sul fondo. L’imbarcazione ci aveva sbattuto contro e si era capovolta. La maggioranza non sapeva nuotare». Senza pensarci due volte, Marcial e i suoi amici si sono tuffati. «In mare non si vedeva nulla, seguivamo i rumori e le urla. Abbiamo cominciato a tirarli fuori a uno a uno dall’acqua, per poi tornare a cercare chi rimaneva ». Quella sera lui e i suoi compagni hanno portato in salvo 24 persone, tutti ragazzini. «Altri sette, però, sono morti. Erano partiti da Sidi Ifni in Marocco, oltre 200 chilometri da qui. È accaduto nel novembre del 2020, ma le barche anche oggi continuano ad arrivare». Da quell’anno e dal suo picco di 23mila arrivi registrati, la rotta migratoria atlantica delle Canarie è tornata tra le più attive per chi punta a giungere in Europa, facendo di queste isole spagnole sperdute nell’oceano una delle porte d’ingresso più movimentate verso un continente che sorge 1.300 chilometri più a nord. Dall’inizio del 2022 a fine maggio sono state accolte 8.250 persone. Le tracce delle loro rischiose traversate si incontrano anche sulle spiagge frequentate dai turisti, dalla Caleta del Mero al Caleton Blanco: sono i resti delle barche di legno, le pateras, sventrate o spaccate in due, abbandonate sulla riva o sulle rocce nere vulcaniche. Esattamente un anno dopo il salvataggio degli amici di Órzola, nel novembre del 2021, dalla cittadina marocchina di Tan-Tan sulla costa africana proprio di fronte a Lanzarote il giovane Dieng, studente senegalese di 27 anni, ha provato per due volte ad attraversare. «I tentativi sono falliti per un guasto e il cattivo tempo» ci racconta. Aveva lasciato casa sua a inizio 2021 in aereo fino a Casablanca, poi via terra a Tangeri sullo stretto di Gibilterra, dove la Spagna e dunque l’Europa illudono di essere a un passo, visibili a occhio nudo di là dal mare. E invece attraversare era stato impossibile, troppi i controlli e le deportazioni della polizia, dure le condizioni di vita in città. Così dopo 7 mesi, Dieng aveva deciso di cambiare rotta e tentare quella atlantica. «La sera del 14 dicembre scorso ci abbiamo riprovato più a sud, da El Aaiun. Attorno alle 22 ci siamo mossi con una quindicina di auto verso la costa. Alle 6 del mattino eravamo sulla spiaggia a pompare il gommone. Quando abbiamo preso il mare e lasciato il Marocco il sole non era ancora sorto». A bordo, il sopraggiungere dell’alba ha ammutolito tutti. «Con la luce, non si vedeva attorno niente se non l’immensità del blu. Solo acqua. In un momento come quello, inizi a immaginare cosa può accadere se ci cadi dentro. Lì la paura è totale. Si prova un panico senza limiti in mezzo al mare, quando la vita e la morte hanno le stesse chance di presentarsi ». Dieng racconta del pianto delle donne, e di avere visto anche le lacrime di alcuni uomini. Con gli altri passeggeri, 58 in tutto, tre i bambini, Dieng ha percorso 174 chilometri fino a Fuerteventura. «Alle 17.40 di quello stesso giorno il nostro gommone è stato localizzato. L’acqua era calma e siamo arrivati salvi, una gioia estrema. C’erano grida di esultanza a bordo, con i telefoni abbiamo scattato foto. E abbiamo ringraziato Dio». Sono seguiti i giorni sotto custodia della polizia, tre mesi in un centro per migranti sull’isola, poi il trasferimento a Lanzarote per altri due mesi. «Ovunque l’accoglienza è stata buona» assicura. Alla fine, il 13 maggio, Dieng è stato trasferito a Madrid. Prima di augurargli buona fortuna per la nuova vita, gli chiediamo qualche dettaglio sulla traversata: «Il prezzo varia da 1 a 2 milioni di Franchi Cfa, tra i 1.500 e i 3.000 euro. Io ho pagato 1.500 euro. Chi fornisce il passaggio compra il gommone, il motore e il carburante, ma non parte. A condurre l’imbarcazione in genere è uno dei passeggeri, che così non paga, qualcuno con esperienza di mare, pescatori di Senegal o Guinea che se ne vanno perché la vita là è troppo complicata». Sfidare le acque dell’oceano su un mezzo di appena 9 metri, come quello di Dieng, rappresenta un rischio altissimo. «Dopo gli ultimi arrivi, siamo molto preoccupati per le barche che i migranti hanno iniziato a utilizzare, gommoni e mezzi troppo precari per questo tipo di traversata » ci spiega José Antonio Rodríguez Verona, responsabile della prima emergenza per la popolazione immigrata alla Cruz Rojadelle Canarie. «Inoltre vediamo approdare più famiglie al completo, mentre in precedenza si muoveva solo un componente del nucleo familiare». La Croce Rossa spagnola interviene ad ogni sbarco con un triage sanitario, un rifornimento di vestiti e, quando necessario, il trasferimento in ospedale. «Se i migranti giungono sulle isole più vicine alla costa africana, Lanzarote e Fuerteventura, la traversata richiede meno tempo e se tutto va liscio si arriva in buona salute. Chi giunge a Gran Canaria, Tenerife, La Gomera o Hierro sperimenta tragitti più lunghi, molto difficili. Sono numerose le occasioni in cui, purtroppo, vediamo arrivare cadaveri o persone in condizioni così gravi da richiedere stabilizzazioni sanitarie serie sul molo o sulla spiaggia». All’interno di una patera squarciata e abbandonata sulla sabbia della Caleta del Mero, qualcuno ha costruito una piccola croce con le assi di legno che si sono staccate dallo scafo. Ci ha scritto sopra in spagnolo una frase che non può sfuggire a chi passa di lì, gente del posto o turisti in arrivo da mezza Europa: « Recuerda, todos sangramos el mismo color. Ricorda, sanguiniamo tutti dello stesso colore». (Francesca Ghirardelli - Avvenire)        

Papa Francesco invita a pregare per la pace in Europa

9 Giugno 2022 - Roma - «Oggi ricordate la regina santa Edvige, apostola della Lituania e fondatrice dell’Università Jagellonica. Durante la sua canonizzazione, san Giovanni Paolo II ricordò che per opera sua la Polonia fu unita alla Lituania e alla Rus’. Affidatevi alla sua intercessione, pregando come lei ai piedi della Croce per la pace in Europa». Con queste parole, pronunciate al termine dell’udienza generale del mercoledì salutando i pellegrini polacchi, papa Francesco ha di nuovo invocato preghiere di pace per l’Europa insanguinata dalla guerra in Ucraina. E lo ha fatto alla vigilia dell’udienza che ha accordato per domani mattina alla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. Come ricorda Vatican News riportando le parole del Pontefice, la vita di Sant’Edvige si intreccia significativamente con la storia della Polonia e dell’Europa. Nata nel 1174, di famiglia bavarese, divenuta Regina di Polonia, destina gran parte delle proprie rendite ai poveri. Trascorre ore di intensa preghiera davanti al 'crocifisso nero' della cattedrale di Wawel. Suo figlio, Enrico il Pio, oppone nel 1241 con le proprie truppe una strenua resistenza all’invasione dei tartari. Edvige infonde coraggio e raccomanda la battaglia di Legnica a Cristo crocifisso. Enrico muore durante la battaglia ma i tartari sono costretti a ritirarsi e nelle terre della Slesia e della Polonia torna la pace. Fondatrice dell’Università Iagellonica a Cracovia, offre a questo ateneo il suo scettro d’oro per prediligere quello di legno. Al termine dell’udienza generale di ieri il Papa ha poi salutato 34 bambini ucraini, con dieci educatori, che dal 2 aprile sono ospiti in Garfagnana dei 120 volontari delle Misericordie d’Italia che, per nove settimane, si sono alternati a Rzeszów, sul confine tra Ucraina e Polonia. In accordo con il sindaco di Leopoli, Andrij Sedovy, e con l’arcivescovo di Leopoli dei latini Mieczyslaw Mokrzycki, le Misericordie hanno avviato una collaborazione con Ridni, una fondazione locale che assiste molti bambini, in particolare gli orfani. «Non erano più al sicuro – hanno raccontato i responsabili all’Osservatore Romano – e così li abbiamo accolti in un istituto religioso a Fosciandora, in Garfagnana, dove, in attesa di tornare dai loro genitori o comunque nella loro terra, potranno continuare il percorso di crescita scolastica e sociale in un ambiente protetto». (Gianni Cardinale)    

Mediterraneo centrale: 690 vittime nel 2022

8 Giugno 2022 - Ginevra - Il Mediterraneo si conferma quel «cimitero senza lapidi» che Papa Francesco mai dimentica nei propri interventi.
LOrganizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha diffuso i dati delle vittime dei naufragi nel 2022: sono stati almeno 690 i morti nel Mediterraneo centrale da inizio anno. In un tweet del portavoce dellUfficio di coordinamento per il Mediterraneo, Flavio Di Giacomo, che riprende le informazioni di Oim Libya, si spiega che «il numero degli arrivi via mare resta molto limitato, non cè nessuna emergenza numerica, ce nè una umanitaria». Nel riepilogo della situazione, lOrganizzazione internazionale per le migrazioni spiega in particolare come la maggior parte dei migranti che arrivano in Italia via mare parta dalla Libia, circa 11.000. Più di 4.000 giungono dalla Turchia, metà dei quali sono afghani. Oltre 3.700 dalla Tunisia. LOim definisce inoltre «preoc-
cupante» il fatto che 7.742 migranti siano stati «intercettati in mare e rimandati in Libia, dove molti sono spesso vittime di violenze e abusi».
Gli ultimi sbarchi sulle coste italiane sono stati registrati ieri a Lampedusa, per un totale di 86 migranti. Alcuni sono stati soccorsi a terra dalla Guardia di Finanza, altri a 19 miglia dalla costa, a
bordo di unimbarcazione di 9 metri, sulla quale cera una settantina di migranti, fra cui sei minori. Prima degli ultimi due approdi, erano arrivate sullisola altre 208 persone.

Problema di comunicazione o di valore?

8 Giugno 2022 - Roma - “È un problema di comunicazione!”. Quante volte, a torto o a ragione, si celano le proprie responsabilità sulla questione comunicativa. L’espressione è divenuta ormai un mantra per arginare qualsiasi tipo di negligenza, alimentando l’odio sociale. A livello locale, nazionale e internazionale. Dialoghi e dibattiti scivolano così verso una deriva pericolosa. Bisogna porre un argine. Anche perché in gioco c’è il futuro della società tutta. “Il futuro – ricorda papa Francesco nel messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2022 – comincia oggi e comincia da ciascuno di noi”. Ecco, allora, il vero problema: ridare alla comunicazione il giusto valore, che è mettere in comune punti di vista - anche diversi - per promuovere giustizia, pace e fratellanza. (Vincenzo Corrado)

Ucraina: 129.623 i profughi arrivati in Italia

8 Giugno 2022 -
Roma - Sono 129.623 le persone in fuga dal conflitto in Ucraina giunte fino a oggi in Italia, 122.684 delle quali alla frontiera e 6.939 controllate dal compartimento Polizia ferroviaria del Friuli Venezia Giulia. Sul totale - riferisce il Ministero dell'Interno -  68.031 sono donne, 19.635 uomini e 41.957 minori. Le città di destinazione dichiarate all'ingresso in Italia sono ancora Milano, Roma, Napoli e Bologna.

Nigeria: arcivescovo di Abuja, “Attacco diabolico e disumano”

8 Giugno 2022 - Roma - “L’attacco nel giorno di Pentecoste è diabolico e disumano”. Lo ha detto l’Arcivescovo di Abuja, mons. Ignatius Ayau Kaigama, in un’intervista al Tg2000, il telegiornale di Tv2000, commentando l’attacco alla chiesa cattolica di San Francesco Saverio ad Owo, in Nigeria, avvenuto domenica scorsa durante la celebrazione della Pentecoste. “La religione – ha aggiunto l’Arcivescovo della Capitale nigeriana ai microfoni di Tv2000 - gioca un ruolo molto importante in Nigeria. Siamo cristiani o musulmani o animisti, siamo figli di Dio: in Nigeria dobbiamo sapere questo. Usare la religione come uno strumento di distruzione è terribile. Noi dobbiamo usare la religione per edificare, per guidare, per impegnare. Non è per ammazzare”.  

Rom e sinti: l’ambulatorio mobile del Bambino Gesù nei campi

8 Giugno 2022 - Roma - “Dal 2016, con costanza e fedeltà, andiamo tutte le settimane in quattro campi rom: Salone, Castel Romano, Candoni e Salviati. Non siamo partiti in contemporanea con tutti, anche perché per ciascuno è stato un inserimento difficile. E proprio la costanza ci ha premiati perché dall’inizio dell’attività ad oggi abbiamo riscontrato un miglioramento del concetto di salute, prendendo in considerazione l’adesione al programma diagnostico e di cura (programmazione di visite specialistiche, indagini strumentali e day hospital) che per le famiglie del campo di Castel Romano è passata dal 25% al 62%. Questo ha significato la riduzione delle visite mancate e il completamento dell’iter diagnostico e terapeutico in un numero maggiore di casi. È un dato molto importante che ci dice due cose: che gli abitanti dei campi hanno imparato a fidarsi di noi e a utilizzare il servizio nel modo corretto, il che ha come conseguenza una forte riduzione delle visite mancate”. A illustrare i risultati di questi 6 anni di attività dell’ambulatorio mobile dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, attivo dal 2016 in quattro campi rom della capitale, la responsabile del servizio Rosaria Giampaolo. “Un risultato non scontato, l’aumento della percentuale di visite effettuate - tiene a chiarire - se pensiamo anche che molte di queste persone non hanno possibilità di muoversi in automobile e, ad esempio, nel caso di Castel Romano per poter raggiungere il campo devono fare lunghi giri in autobus e poi percorrere tratti a piedi anche superiori al chilometro. È evidente che in queste condizioni non sia facile aderire a un programma di visite mediche”. Gli operatori dell’ambulatorio mobile, infatti, non si limitano solo a trattare i casi nell’immediato, nel giorno della settimana in cui vanno. “Come attività prettamente ambulatoriale - spiega la pediatra - curiamo le bronchiti, le dissenterie o le influenze, insomma trattiamo le urgenze. Ma poi assistiamo queste persone anche nelle prenotazioni delle visite, qualora emerga la necessità di un percorso diagnostico”. Riguardo alle patologie più diffuse tra i bambini che vivono nei campi rom, “non ne abbiamo mai riscontrate di specifiche, ma di sicuro alcune legate alle condizioni igieniche dei campi che sono delle realtà difficili. Prevalgono le infezioni cutanee, le impetigini o i parassiti. Molto presente, invece, è la malnutrizione, perché tanti di loro hanno davvero difficoltà a mettere insieme il pranzo con la cena”. Gli operatori sanitari del Bambini Gesù non si fermano all’attività clinica e al supporto per le pratiche burocratiche legate alla sanità, sono impegnati anche in un importante lavoro di supporto psicologico, di sostegno all’integrazione sociale degli abitanti dei campi e alla scolarizzazione di bambini e ragazzi, principalmente attraverso il rilascio dei certificati per la riammissione dopo la malattia: “Cerchiamo di far andare i bambini a scuola, anche grazie all’importante lavoro della comunità di Sant’Egidio.  Sproniamo i più piccoli, ma ci occupiamo anche di educare i genitori rispetto all’importanza dell’andare a scuola, perché per le molte difficoltà e anche per una questione culturale sono più permissivi sul non mandare i bambini. Ci occupiamo anche tanto di stimolare l’autostima che questi bambini non hanno per niente, si sentono diversi dai loro compagni, si sentono discriminati. Abbiamo fatto fare anche delle valutazioni di tipo cognitivo. Il nostro impegno è non fermarci solo all’aspetto acuto”. Non manca, infine, il lavoro di prevenzione, “ad esempio rispetto all’igiene delle mani e all’uso della soluzione alcolica che non può bastare se le mani sono troppo sporche. Cerchiamo di sensibilizzare sia i piccoli che i grandi anche sull’uso del cellulare e sui suoi rischi. Aiutiamo le famiglie anche a districarsi nel mondo della burocrazia, per chiedere una tessera sanitaria scaduta o per ottenere un’esenzione. Fa parte della promozione umana di queste persone che- conclude Rosaria Giampaolo- devono essere come gli altri, devono sapere come esercitare i propri diritti ed essere messi in condizioni di farlo”. (Dire)  

Migrantes: presentato a Siena il rapporto Italiani nel Mondo

7 Giugno 2022 - Roma - Si è svolto ieri presso l’Aula Magna dell’Università per Stranieri di Siena la presentazione del Rapporto Italiani nel Mondo 2021. Sono intervenuti il professor Tomaso Montanari, Rettore dell’Università, Massimo Vedovelli, coordinatore Nazionale del PRIN – Programma di Ricerca Scientifica di Rilevante Interesse Nazionale, Delfina Licata, curatrice del rapporto Migrantes, Monica Barni dell’Università per Stranieri di Siena, Barbara Turchetta dell’Università di Bergamo, Gabriele Tomei dell’Università di Pisa, collegata da Boston. A dare il benvenuto e fare gli onori di casa è stato il prof. Montanari: “come Rettore – ha detto - sono molto grato alla Fondazione Migrantes della CEI, al Professor Vedovelli che siede nel comitato scientifico, perché per la nostra università è una straordinaria occasione di collaborare, come avviene da tempo, alla costruzione dello strumento più importante per conoscere i movimenti, i flussi, i contesti e per leggere i numeri in un modo critico della presenza degli italiani nel mondo. Ma anche per conoscere i movimenti interni in un Paese che continua a conoscere importantissimi flussi di spostamento legato soprattutto al lavoro ma non solo”. Per il prof. Montanari il RIM è uno strumento di conoscenza del mondo che rientra perfettamente nella missione che ha l’università di cui è a capo. “Si nota nel RIM come il numero degli italiani all’estero si equivalga grossomodo a quello degli stranieri in Italia. E questa doppia realtà – ha continuato - questo nostro vederci per certi versi con gli occhi degli stranieri e vedere noi stessi come stranieri nel mondo, appartiene al lavoro profondo della nostra università, sulle lingue e sulle culture”. Ha poi sottolineato che nel RIM “si parla della straordinaria occasione, innanzitutto cognitiva e morale della mobilità, dello spostamento, della capacità di assumere lo sguardo dell’altro su noi stessi e di guardare gli altri con altri occhi”. Ha poi sottolineato che nel RIM emerge, tangibile, il rischio di fare scelte sbagliate, il rischio politico, morale ed economico. Un Paese che sembra condannarsi a non accogliere quella possibilità di crescita non soltanto in senso economico ma anche culturale ed umano, e poi anche economico che l’immigrazione offre a prezzo di una crescita zero e di un importantissimo flusso di emigrazione temporaneo o stabile all’estero. Avviandosi alla conclusione del suo intervento ha ribadito: “Il RIM è un rapporto che aiuta a conoscere, aiuta chi studia, ma anche un rapporto che aiuta chi decide, chi governa, e per questo è particolarmente importante perché è quella che si chiama in gergo accademico 'Terza missione', che troppo spesso viene declinata o in termini di brevetti, per altri tipi di facoltà, o in termine di pura divulgazione, che invece è la vera 'terza missione', cioè la capacità dell’università di offrire conoscenza a chi poi deve governare la società”. Per il professor Vedovelli, che ha coordinato gli interventi, questo è un rapporto che consente, sull’analisi di propri dati, a guardare oltre. “Pensate – ha detto - come la questione dell’immigrazione, il mai interrotto flusso come fuga dei cervelli fossero solo giovani ricercatori, ma invece tutti vanno all’estero. (…) “Il flusso non si è mai interrotto, neanche durante la pandemia, è un fenomeno strutturale con il quale dobbiamo fare i conti. Presentiamo qui, oggi, questo rapporto perché all’interno delle questioni migratorie c’è una dimensione comunque centrale, le attraversa tutte trasversalmente. Da quella simbolica, identitaria, linguistica”. Per il professor Vedovelli il RIM è uno strumento importante per conoscere, perché si basa su modelli, “non crede ingenuamente all’auto evidenza del dato, ma va a cercare i dati, li legge e li interpreta, proponendo modelli di interpretazione che possono diventare un’arma potentissima se c’è la volontà politica di intervenire sulla materia”. A seguire l’intervento di Delfina Licata, capo rdattrice del Rapporto, colei, come ha detto Vedovelli, "che è l’anima del RIM". “Ringrazio il Rettore ma soprattutto grazie all’Università, ai tanti anni di cammino insieme, perché già dal lontano 2007 – ha detto Licata - è iniziata la nostra collaborazione; 15 anni di collaborazione e 16 anni di RIM, alla quale oggi va ad aggiungersi la presenza del prof. Vedovelli all’interno del nostro Comitato Scientifico”. Ma non solo, Licata ha anche ricordato che la collaborazione con l’ateneo senese c’è anche attraverso la messa a disposizione di studiosi che in questi anni hanno approfondito, molti temi, uno su tutti il tema linguistico legato al fenomeno migratorio italiano”. Pertanto, ha ricordato Licata,  cosa è stato prodotto in questi anni, dal 2006 al 2021, quanto il lavoro e l’impegno che ruota attorno ad ogni edizione del RIM sia importante ai fini di una giusta lettura dei dati. Snocciolando numeri ha sottolineato che “16 edizioni significa sedici anni di collaborazioni che hanno portato ad una storia culturale diversa con le oltre 8000 pagine, 646 saggi, 821 autori. “Questi numeri non li do a caso – ha detto - ma danno il senso di quello che prima, sia il Rettore che il prof Vedovelli, ci comunicavano. La necessità di tenere ferma la nostra attenzione sul tema e soprattutto anche la necessità di anno per anno di analizzarli in un modo diverso, proprio perché all’interno del fenomeno della mobilità umana, quella della mobilità italiana ha una serie di peculiarità che si trasformano con molta velocità e che caratterizzano sempre in modo differente quella che è la nostra storia”. Ha anche ricordato che lungo il corso del tempo, oltre a realizzare un percorso, da cinque anni, si è anche giunti alla necessità di tematizzare le edizioni, cioè di scegliere un tema intorno al quale gli studiosi sono chiamati ad esprimersi. Inoltre, siccome i primi anni il RIM era considerato un volume di statistica, questa definizione nel tempo è andata a svanire, perché,  ha sottolineato,  “accanto alla metodologia quantitativa, quindi al dato statistico, alla necessità di verificare le fonti, abbiamo avvertito da subito non solo la necessità di interpretare il dato ma di arricchirlo con l’incontro di quelle persone che sono dietro i dati. Quindi interviste, raccolte di storie di vita”. Ha poi evidenziato che “in 16 anni il RIM si è trasformato da progetto editoriale a progetto culturale, un racconto annuale di storia e di storie di un Paese e del suo popolo”. A seguire l’intervento della professoressa Simona Barni. “Da anni collaboriamo con la Fondazione Migrantes – ha detto - e ogni anno ci offre l’occasione per riflettere sui dati e ci offre l’occasione superando la narrazione stereotipata che viene fatta sia sulle emigrazioni che delle immigrazioni”. Uno scambio di esperienze di arrivi di partenze e ripartenze. Tema del suo intervento “Spazio linguistico italiano e migrazione: nuove dinamiche nuove emergenze”. Tanti gli argomenti affrontati, tra questi la complessità della questione linguistica e la complessità di una politica per la promozione dell’italiano, al di fuori del nostro Paese. Per la professoressa Barbara Turchetta dell’Università di Bergamo, il RIM è un dossier che ogni anno ci arricchisce di tantissime informazioni, di tantissimi spunti, idee e soprattutto ci aggiorna su tutte le tematiche che sono centrali per comprendere i fenomeni della migrazione italiana all’estero sotto molte prospettive. In video conferenza è intervenuto anche il professore Gabriele Tomei, dal MIT di Boston. Il tema trattato è stato: ‘Le nuove emigrazioni qualificate e il funzionamento delle diaspore’. Un fenomeno globale che non riguarda solo l’Italia, ha ricordato, ma molte altre Nazioni, riguarda un tratto importante dell’intero fenomeno migratorio. Tuttavia, ha specificato, è un fenomeno complesso nel definirlo perché i parametri sono molti, come per esempio in base ai titoli di studio o sulla base della collocazione delle persone. Nel caso italiano, per esempio, ci sono delle complicazioni anche dovute alle banche dati disponibili che sono incomplete, come l’anagrafe degli italiani all’estero - AIRE. Nel caso italiano è un tema su cui si è spostata l’attenzione negli ultimi anni, ed è stata definita nuova proprio perché ha dei tratti inediti rispetto al fenomeno migratorio del passato. A chiusura della presentazione le testimonianze di Raymond Siebetcheu, Caterina Ferrini, Orlando Paris e Paola Savona, che hanno partecipato alla stesura del RIM sul tema di lingue e linguaggi dell’emigrazione.  (NDB)

Migrantes Porto-Santa Rufina: messa multilingue nella Pentecoste

7 Giugno 2022 - Roma - Il parroco di San Giovanni Battista di Cesano di Roma, Padre José Manuel Torres Origel, ha invitato tutti i migranti cattolici che vivono sul territorio parrocchiale a partecipare alla Messa della Pentecoste 2022 nella Chiesa di San Sebastiano. Il 6 gennaio di quest’anno si era già celebrata una Messa in 4 lingue (italiana, inglese, romena e spagnola) con motivo dell’Epifania o manifestazione di Dio a tutti i popoli. Mentre a Pentecoste la Messa è stata celebrata in 5 lingue (si è aggiunta quella francese), nelle letture e nei gioiosi e suggestivi canti multilingue che hanno animato la Celebrazione, sembrava di essere veramente nella Pentecoste apostolica. Si è invocato lo Spirito Santo per avere la luce della fede e la forza dell’amore di Cristo e per crescere nell’unità, nella diversità e nello spirito missionario, che faceva di tutti noi un corpo solo e una Comunità veramente Cattolica. Si è pregato per l’Italia, Paese che ha accolto con amore tanti dei nostri migranti, per i diversi Paesi di origine e in particolare per la fine delle guerre in Ucraina e nelle altre parti del mondo. Sono stati presenti alla concelebrazione: il cappellano dei nigeriani e coordinatore delle comunità africane in lingua inglese, Don Mattew Eze, un suo collaboratore, Don Nedu Edwin Lyca, il cappellano dei romeni, Don Isidor Mirt, il coordinatore delle comunità latinoamericane in Italia, il colombiano Don Luis Fernando López Gallego, della Diocesi di Albano, il diacono Enzo Crialesi, direttore dell’Ufficio Migrantes   della Diocesi di Porto Santa Rufina. Per preparare la Concelebrazione si è fornato un gruppo pastorale in cui è uscita anche l’idea e l’iniziativa di organizzare un coro unico per la prossima Messa multilingue, prevista per settembre, che preparerà i canti e la celebrazione stessa. Nella Parrocchia di Cesano ogni domenica, a parte le Messe in italiano, vengono celebrate: una Messa per la comunità cattolica nigeriana in inglese, una per quella romena e una per la comunità romena di rito greco-cattolico. La seconda domenica del mese, su al Borgo, si celebra anche una Messa in lingua spagnola. Il processo di integrazione nella parrocchia, un po’ come dappertutto, è molto complesso e richiede molto amore, pazienza, tenacia, creatività e atteggiamento missionario; ma soprattutto tanta vita eucaristica e tanta preghiera. Ogni comunità coltiva le proprie radici e le proprie identità culturali che messe insieme nelle celebrazioni diventano motivo di crescita nella comunione e nella integrazione. Dopo la pandemia vogliamo promuovere una nuova pastorale che ascolta le diversità, che accoglie i fratelli con amore e amicizia. IN CRISTO SIAMO UN CORPO SOLO, come Lui è uno con il Padre; non è facile creare una comunità armonica, che supera i pregiudizi e le barriere culturali, ma con l’aiuto dello Spirito Santo, fra qualche anno ci riusciremo. Ci attende un lungo cammino Pastorale fatto di incontri, di dialoghi, di confronti, di condivisioni…di evangelizzazione, di catechesi amministrando i sacramenti con percorsi unitari in comunione con tutte le comunità etniche compresa quella italiana, per tirar fuori il meglio di ogni popolo, in vista di una migliore società e una Chiesa Cattolica, fatta di tante persone, con culture diverse, ma che mettono a disposizione i loro carismi, doni, ministeri e ricchezze culturali, per diventare un corpo solo in Cristo a lode di Dio Padre. (José Manuel Torres Origel, S. di G. e diacono Enzo Crialesi)

Cei: torniamo al gusto del pane

7 Giugno 2022 -
Milano - Così quotidiano da non considerarne quasi più il valore. Talmente consueto da essere consumato «automaticamente, senza badarci». Il discorso cambia quando, come per la crisi del grano, un bene in apparenza banale, diventa prezioso perché difficile da trovare. È giocato sul “mettersi in ascolto” del pane, che significa considerarne l’importanza e il significato anche simbolico, il messaggio della Cei (firmato dalla Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace e dalla Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo) per la 17ª Giornata nazionale per la custodia del creato che sarà celebrata il prossimo 1° settembre, data d’avvio anche del cosiddetto “Tempo del creato” che si concluderà il 4 ottobre. Il titolo riprende Gesù nel Vangelo di Luca e le parole che accompagnano la consacrazione durante l’Eucaristia: “Prese il pane e rese grazie (Lc 22,19). Il tutto nel frammento”. Sullo sfondo il titolo del prossimo Congresso eucaristico di Matera (22-25 settembre): “Torniamo al gusto del pane. Per una Chiesa eucaristica e sinodale”. E punta proprio al recupero delle memoria e dell’attualità di un bene preziosissimo, il richiamo dei vescovi italiani. «Il pane arriva da lontano – scrivono –: è un dono della terra», una sua offerta all’uomo, da accogliere con riconoscenza». Essere grati, del resto, «è l’attitudine fondamentale di ogni cristiano, la matrice che ne plasma la vita; più radicalmente, è la cifra sintetica di ogni essere umano: siamo tutti «un grazie che cammina». Una condizione testimoniata una volta di più dal Cammino sinodale in cui si fa «esperienza che l’altro e la sua vita condivisa sono un dono per ciascuno di noi». Ma c’è di più, e qui il discorso si concentra sull’Eucaristia. «Prendere il pane – recita il messaggio Cei –, spezzarlo e condividerlo con gratitudine ci aiuta a riconoscere la dignità di tutte le cose che si concentrano in un frammento così nobile: la creazione di Dio, il dinamismo della natura, il lavoro di tanta gente: chi semina, coltiva e raccoglie, chi predispone i sistemi di irrigazione, chi estrae il sale, chi impasta e inforna, chi distribuisce. In quel frammento c’è la terra e l’intera società». In particolare, «spezzare il pane la domenica, Pasqua della settimana, è per i cristiani rinnovamento ed esercizio di gratitudine, per apprendere a celebrare la festa e tornare alla vita quotidiana capaci di uno sguardo grato». Una gratitudine che, cristianamente non può che tradursi in condivisione. La tavola del pranzo e della cena in questo senso è una scuola: «mangiare insieme significa allenarsi a diventare dono». Un piccolo segno di fronte all’immensità dell’Eucaristia in cui è Gesù stesso che si fa offerta. «Nutrirci di Lui e dimorare in Lui mediante la Comunione eucaristica – ha detto il Papa – se lo facciamo con fede, trasforma la nostra vita, la trasforma in un dono a Dio e ai fratelli». In questo modo – scrivono ancora i vescovi italiani – «la condivisione può diventare stile di cittadinanza, della politica nazionale e internazionale, dell’economia: da quel pane donato può prendere forma la civiltà dell’amore». (Riccardo Maccioni - Avvenire)

Papa Francesco accanto ai profughi col rifugio che porta il suo nome in Romania

7 Giugno 2022 -

Milano - Si chiama la “Casa della misericordia – Papa Francesco” ed è un punto d’accoglienza per i rifugiati che si lasciano alle spalle il dramma della guerra in Ucraina. Si trova a Blaj, cittadina di 20mila abitanti in Romania che ha spalancato le braccia a quanti fuggono dal Paese attaccato dalla Russia. Ad inaugurarla è stato il card.  Leonardo Sandri, prefetto del Dicastero per le Chiese orientali, che fino a domenica scorsa è rimasto nella regione per portare il sostegno del Pontefice. «Francesco arriva così ad essere presente con la sua paternità e la sua premura», ha detto il porporato aprendo la struttura realizzata con l’aiuto dell’associazione francese L’OEuvre d’Oriente e delle Chiese di Monaco e Friburgo, Augusta, Rottenburg-Stoccarda e Münster.

Dopo il card. inale Konrad Krajewski, elemosiniere apostolico, e il card.  Michael Czerny, prefetto del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, un altro porporato viene inviato dal Papa nelle terre dove il conflitto fa sentire i suoi effetti per portare alla gente la vicinanza del successore di Pietro. Una prossimità che Sandri ha voluto mostrare anche ai profughi, incontrati in più occasioni nei cinque giorni del viaggio. «Ho detto loro che il Papa è vicino e soffre per quanto sta accadendo ». E che se ancora non è potuto essere «fisicamente in Ucraina », la fraternità della Chiesa lo «rende evidente», ha spiegato a Vatican News. Se la meta della visita è stata la Romania, il cardinale argentino è entrato anche in Ucraina varcando il confine assieme al nunzio apostolico in Romania, Miguel Maury Buendìa, e ai vescovi greco-catto- lici romeni Vasile Bizau e Cristian Crisan. A Solotvino ha incontrato l’amministratore apostolico dell’eparchia ucraina di Mukachevo, Nil Yuriy Lushchak. «Siamo tante volte disarmati, impotenti vedendo questa triste, insensata e impensata situazione – ha evidenziato Sandri –. Ma sappiate che non siete soli. Malgrado tutte le difficoltà, le distruzioni, l’angoscia, non possiamo perdere la speranza. Questa speranza deve darci forza per continuare a fare il bene ed essere sostegno per aspettare un giorno, il più presto possibile, la pace». Inoltre il prefetto del Dicastero per le Chiese orientali ha inviato un saluto all’arcivescovo maggiore della Chiesa grecocattolica ucraina, Svjatoslav Ševcuk, assicurando la solidarietà e la preghiera di Francesco e dell’intera Chiesa cattolica: «La nostra preghiera è ogni giorno per voi, per la pace, per la riconciliazione». È bastato riattraversare il fiume Tibisco per tornare in Romania e giungere nella città di Sighet diventata un avamposto solidale per gli sfollati. Qui sono stati distribuiti i generi di prima necessità portato con il camion di aiuti “vaticani” arrivati con il cardinale. Metà del carico è andata al centro di accoglienza lungo la frontiera; e l’altra metà alle suore del monastero greco-cattolico della Madre di Dio che hanno trasformato la loro casa di spiritualità in una residenza per mamme e bambini rifugiati. «Il cuore del Papa – ha detto Sandri dialogando con le ospiti – non è soltanto un cuore aperto per aiutare, ma è anche un cuore che condivide le lacrime di tutti quelli che hanno dovuto lasciare la loro nazione a causa della guerra». (G.G.)

Verso la GMMR: nuovo video di papa Francesco

7 Giugno 2022 - Città del Vaticano  - Nell’ambito della campagna comunicativa promossa dalla Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale della Santa Sede, in vista della 108a Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (GMMR) che si celebrerà domenica 25 settembre 2022, viene pubblicato un nuovo video di papa Francesco. Tema della Giornata "Costruire il futuro con i migranti e i rifugiati". Nel video, papa Francesco esorta a costruire un futuro inclusivo, un futuro per tutti e tutte in cui nessuno deve rimanere escluso, in modo particolare i più vulnerabili tra cui migranti, rifugiati, sfollati e vittime della tratta. Inoltre, il papa rivolge a tutti una domanda diretta: Cosa significa mettere al centro i più vulnerabili? Insieme a Papa Francesco, anche la testimonianza di una giovane migrante venezuelana, Ana, che grazie all’aiuto della Chiesa si è ricostruita una nuova vita in Ecuador insieme alla sua famiglia. Tutto il materiale della campagna comunicativa è presente sulla pagina del sito internet dedicata e può essere liberamente scaricato, pubblicato, utilizzato e condiviso. https://www.youtube.com/watch?v=Lv2nH9a9t7Y

card. Zuppi su strage in Nigeria: “ci stringiamo al vostro dolore”

7 Giugno 2022 -

Roma - Il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, ha inviato una lettera a mons. Jude Ayodeji Arogundade, vescovo di Ondo (Nigeria).

Ecco il testo.

«Esprimiamo profondo cordoglio per il brutale attacco che a Owo, nello Stato di Ondo, ha provocato decine di vittime tra i fedeli che ieri (domenica per chi legge, ndr) celebravano la Solennità di Pentecoste. Ci stringiamo al vostro dolore, invocando per quanti sono stati uccisi la misericordia del Padre e la consolazione del Paraclito per le loro famiglie. Proprio ieri, nell’omelia della Messa, Papa Francesco ha ricordato che “lo Spirito Santo invita a non perdere mai la fiducia e a ricominciare sempre: alzati! alzati! Sempre ti dà animo: alzati! E ti prende per mano: alzati!”. Nel manifestare solidarietà e vicinanza all’intera Chiesa di Nigeria, assicuriamo la nostra preghiera affinché lo Spirito non faccia mancare la sua forza e il suo conforto a quanti soffrono. Come il Cireneo, condividiamo il dramma di quanto avvenuto, portando insieme a voi il peso della Croce, nella consapevolezza che il nostro cammino sarà sempre rischiarato dalla luce della Risurrezione. Il male non avrà mai l’ultima parola! Anche se l’oscurità e la morte sembrano avvolgere il mondo, siamo certi che la forza della preghiera e il dono della fede diraderanno le nubi. A lei, ai fratelli Vescovi e a tutte le donne e gli uomini di buona volontà della Nigeria, l’affetto delle Chiese che sono in Italia».

Mci Germania-Scandinavia: don Gregorio Milone nuovo delegato

6 Giugno 2022 - Francoforte – La Conferenza Episcopale Tedesca ha nominato il nuovo delegato delle Missioni Cattoliche Italiane in Germania e Scandinavia. Si tratta di don Gregorio Milone. Don Milone sostituisce p. Tobia Bassanelli che ha guidato le Mci per dieci anni. “Dopo 10 anni di lavoro come Delegato per i cattolici di lingua italiana in Germania, le esprimo il mio sincero e cordiale grazie per il suo generoso impegno. La ringrazio per la sua testimonianza di sacerdote a pieno servizio nella pastorale migratoria”, ha scritto il presidente della Conferenza Episcopale Tedesca mons. Georg Bätzing al delegato uscente aggiungendo che “una sua preoccupazione centrale è stata sempre di render chiaro che le Comunità di lingua italiana sono un’ arte integrale delle varie diocesi. Nell’ambito delle sue possibilità ha sempre cercato di affrontare i temi ed i progetti della Conferenza Episcopale Tedesca e di coinvolgere i cattolici italiani in una costruttiva partecipazione”. Al neo delegato gli auguri della Fondazione Migrantes che ringrazia p. Bassanelli per il servizio prestato a fianco dei nostrri connazionali. (R.Iaria)