Tag: Mobilità umana e migrazioni

Ue: al via le Giornate europee dello sviluppo

18 Giugno 2019 - Bruxelles - Al via oggi a Bruxelles le Giornate europee dello sviluppo (Edd), forum globale sulla cooperazione allo sviluppo che vede coinvolti, riferisce il Sir, oltre 8.000 partecipanti da 140 Paesi: rappresentano 1.200 organizzazioni del mondo dello sviluppo, ma ci saranno anche capi di Stato o di governo, esperti, influencer e giovani leader. “Affrontare le disuguaglianze: costruire un mondo che non dimentica nessuno” è il titolo generale della tredicesima edizione dell’Edd che intende mettere in relazione l’impegno dell’Unione europea nell’affrontare le disuguaglianze con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. “In questi tempi turbolenti, l’Ue è una forza positiva in questo mondo e un partner affidabile per tutti”, ha dichiarato il presidente della Commissione Jean-Claude Junker, sottolineando che l’Ue è “il maggior donatore allo sviluppo: non si tratta di beneficenza, ma di investimenti”, per la “crescita, l’occupazione e la costruzione di un futuro migliore per i giovani di tutto il mondo”. Sarà proprio Juncker ad aprire ufficialmente le Giornate, mentre diversi commissari saranno coinvolti negli eventi in programma oggi e domani. Tre sono le direttrici principali attorno a cui ruoteranno i confronti: il rapporto tra disuguaglianze e sviluppo sostenibile; le cause strutturali delle disuguaglianze; migliorare la collaborazione con politiche più efficaci nell’affrontare le disuguaglianze (https://eudevdays.eu).

Pistoia: presentata “Terra Aperta”

18 Giugno 2019 - Pistoia - Negli ultimi mesi del 2018 sono entrati in vigore la legge 132/2018 e il nuovo schema di capitolato dell’accoglienza richiedenti protezione internazionale che cambiano profondamente la normativa in ambito asilo anche in riferimento al sistema di accoglienza. In relazione a questo nuovo scenario alcune realtà del territorio della provincia di Pistoia si sono interrogate sulle conseguenze effettive a breve e lungo termine dei cambiamenti innescati e nei primi mesi del 2019 si sono organizzate sul territorio varie iniziative di approfondimento e sensibilizzazione che hanno dato opportunità di confronto e scambio. Da questo scambio è nata “Terra Aperta”, la rete territoriale solidale e per l’accoglienza pistoiese, presentata ieri alla stampa e alla città di Pistoia. L’obiettivo della rete è “contrastare le conseguenze negative dei cambiamenti normativi in termini di emarginazione e malessere sociale”. “Le realtà promotrici della rete – ha dichiarato Claudio Curreli, responsabile d’area di Agesci Pistoia – hanno voluto definire una dichiarazione di intenti che porta avanti istanze legate al tema dell’accoglienza come opportunità per la società e per il benessere dei cittadini. In questa direzione la rete si propone di attivarsi per l’informazione, la sensibilizzazione e per la risposta effettiva ai bisogni legati ai migranti e a tutte le persone al di là di qualsiasi provenienza e differenza, che si trovano e si potranno trovare sul territorio in situazione di estrema marginalità, privi di beni di prima necessità e di supporto a tutela dei loro diritti mettendo a disposizione persone, strumenti, mezzi e capacità in un’ottica di solidarietà concreta ed effettiva che sarà coordinata su tutto il territorio provinciale”. “La rete – ha continuato Curreli – vuole essere l’inizio di un processo, di un modus operandi che vuole coinvolgere altre realtà e soprattutto che intende promuovere azioni che vanno oltre il tema migrazioni per innescare buone pratiche diffuse e condivise a contrasto delle marginalità sociale, dell’esclusione e finalizzate alla promozione del benessere sociale, dei diritti e della cittadinanza”. L’accordo siglato prevede che ogni singola realtà metta a disposizione le proprie capacità e le proprie risorse per supportare il processo di accoglienza, integrazione e inclusione di ogni persona.

Parroco Lampedusa: “aprire i porti e gli aeroporti alle persone”

17 Giugno 2019 - Lampedusa - “Benvenuti nel porto salvo di Lampedusa”: così, con un post sui social, don Carmelo La Magra, parroco di San Gerlando, l’unica parrocchia di Lampedusa, ha voluto dare un saluto alle dieci persone autorizzate a sbarcare dalla Sea-Watch3, da martedì scorso al largo delle acque territoriali italiane con 43 persone a bordo. In atto un divieto firmato dal ministro dell’Interno Matteo Salvini. Ma a Lampedusa “gli sbarchi non si sono mai bloccati. Ora è solamente ripresa l’attenzione mediatica”, precisa in una intervista al Sir don La Magra. Continuano infatti, sotto silenzio, gli “sbarchi fantasma” di piccole imbarcazioni, di solito gommoni o barche di legno, che riescono ad arrivare da sole a ridosso delle acque italiane e poi vengono scortati fino a terra dalla guardia costiera o dalla guardia di finanza. Si parla di centinaia di persone. “Sembra di essere tornati a prima del 2013, prima dell’operazione Mare Nostrum e della presenza delle navi delle Ong – racconta il parroco -. È terribilmente pericoloso. Chi arriva viene identificato al centro e poi entro due o tre giorni trasferito in Sicilia”. I volontari incontrano i migranti “allo sbarco, per strada, in parrocchia, uno dei primi luoghi che visitano per trovare un punto di ristoro o contattare le famiglie. Ci chiedono un posto dove ripararsi dal freddo o dal caldo, la possibilità di andare al bagno, a volte abiti”. In questo periodo sono in maggioranza africani sub-sahariani, libici, egiziani e tunisini. “Allo sbarco li accogliamo con un gesto di accoglienza umana e di benvenuto: le coperte termiche, un thé caldo, l’acqua”. “Lampedusa è un posto in cui i diritti o sono per tutti o non sono per nessuno”, sottolinea don La Magra: “Vivendo qui ho compreso profondamente che non ha senso dire ‘prima gli italiani’ o ‘prima i migranti’. Ognuno deve cercare di far rispettare i propri diritti”. Sulla chiusura dei porti il parroco di Lampedusa ha le idee chiare: “Aprire i porti alle persone, che li portino le Ong o le navi militari. Ma soprattutto aprire gli aeroporti, consentendo cioè alle persone di venire in modo legale per non metterle in condizione di pericolo in mare. Se vogliamo davvero combattere i trafficanti e salvare la vita delle persone allora apriamo gli aeroporti”.

Un tavolata per accogliere e condividere

17 Giugno 2019 - Roma - È stata imbastita sabato scorso la seconda “Tavolata italiana senza muri”, promossa da Focsiv – Volontari nel mondo, che ha chiamato a raccolta oltre 5 mila persone in 25 città italiane. L’evento pilota si era tenuto lo scorso 20 ottobre a Roma in via della Conciliazione, dove è stato replicato anche oggi. Ma a fianco dell’iniziativa romana, hanno voluto partecipare altri 25 comuni sparsi sul territorio nazionale, grazie allo sforzo di municipi, associazioni, ong, enti e volontari. L’iniziativa “nasce dal bisogno di ritornare a ritrovarsi insieme intorno a un tavolo per parlarci e per conoscerci l’uno l’altro”, afferma Gianfranco Cattai, presidente di Focsiv, secondo il quale l’evento rappresenta un’occasione per ribadire che “in ogni angolo del pianeta abitano i figli dei migranti partiti dalle nostre regioni più povere con la speranza di poter avere l’opportunità di potersi costruire un futuro dignitoso”. Con le medesime modalità organizzative sono state apparecchiate le tavolate a Matera, Melfi, Catania, Pescara, Modena, Alessandria e in molte altre città e località italiane. L’obiettivo comune è “quello di sensibilizzare l’opinione pubblica” per ribadire “che non tutti i cittadini sono dalla parte dell’esclusione, ma anzi molti sono a favore del dialogo e della solidarietà con chi ha di meno e con chi cerca lontano dalla sua patria una possibilità di vita migliore”. Motivo per cui la partecipazione è stata aperta a tutti, sia singoli che associazioni, italiani e non.

Instrumentum laboris Sinodo: Amazzonia diventata “corridoio migratorio”

17 Giugno 2019 - “Farsi carico senza paura dell’attuazione dell’opzione preferenziale per i poveri nella lotta dei popoli indigeni, delle comunità tradizionali, dei migranti e dei giovani per configurare la fisionomia della Chiesa in Amazzonia”. E’ uno dei suggerimenti contenuti nell’ “Instrumentum laboris” dell’Assemblea Speciale per la regione Panamazzonica del Sinodo dei vescovi che si svolgerà in Vaticano dal 6 al 27 ottobre prossimo e presentato oggi. Il movimento migratorio, “trascurato tanto politicamente quanto pastoralmente – si legge nel testo - ha contribuito alla destabilizzazione sociale delle comunità amazzoniche. Le città della regione, che ricevono in modo permanente un gran numero di persone che migrano verso di loro, non sono in grado di fornire i servizi essenziali di cui i migranti hanno bisogno. Questo ha portato molte persone a vagare e a dormire nei centri urbani senza lavoro, senza cibo, senza riparo. Tra questi molti appartengono a popoli indigeni costretti ad abbandonare le loro terre”. Questo fenomeno – spiega il documento preparatorio al Sinodo – “destabilizza, tra l’altro, le famiglie quando uno dei genitori parte in cerca di lavoro in luoghi lontani, lasciando i figli e i giovani a crescere senza la figura paterna e/o materna. Anche i giovani si spostano in cerca di occupazione o sottoccupazione per aiutare a mantenere ciò che resta della famiglia, abbandonando gli studi primari, sottoponendosi a ogni tipo di abuso e sfruttamento”. Giovani che, in molte regioni, sono “vittime del traffico di droga, della tratta di esseri umani o della prostituzione (maschile e femminile). L’omissione da parte dei governi dell’attuazione di politiche pubbliche di qualità per le zone interne, soprattutto nel campo dell’istruzione e della salute, permette a questo processo di mobilità di aumentare ogni giorno di più. Anche se la Chiesa ha accompagnato questo flusso migratorio – si legge ancora - ha lasciato all’interno dell’Amazzonia delle lacune pastorali che devono essere colmate”. Cosa si aspettano i migranti dalla Chiesa? Come aiutarli nel modo più efficace? Come possiamo promuovere l’integrazione tra i migranti e la comunità locale?, si chiede il documento sottolineando che occorre “comprendere meglio i meccanismi che hanno portato ad una crescita sproporzionata dei centri urbani e allo svuotamento delle zone interne, perché entrambe le dinamiche fanno parte dello stesso sistema (tutto è connesso). Tutto questo richiederà la preparazione della testa e del cuore degli agenti pastorali per affrontare questa situazione critica”. È necessario lavorare in équipe, coltivando “una mistica missionaria, coordinati da persone con competenze diverse e complementari in vista di un’azione efficace. Il problema della migrazione deve essere affrontato in modo coordinato, soprattutto dalle chiese di frontiera”. Inoltre occorre “articolare in ogni comunità urbana un servizio di accoglienza che sia attento a chi arriva inaspettatamente con necessità urgenti e sia in grado di offrire protezione di fronte al pericolo delle organizzazioni criminali”. E ancora come comunità ecclesiale, “fare pressione sulle autorità pubbliche perché rispondano ai bisogni e ai diritti dei migranti. Promuovere l’integrazione tra migranti e comunità locali nel rispetto della propria identità culturale, come indica Papa Francesco”. (R.Iaria)

“Rete Welcoming Asti”: per una società che tutela i diritti umani, solidale ed accogliente

17 Giugno 2019 - Asti - Di fronte all’avanzare di un’idea di società chiusa, fondata sulla paura, sulla discriminazione e sui razzismi, è nata, il 13 giugno 2019, ad Asti la rete di associazioni e cittadini “Welcoming Asti”. Tra i promotori l’Ufficio Migrantes della diocesi di Asti, che ha collaborato a coinvolgere diverse realtà locali sensibili al mondo delle migrazioni, unite dal desiderio di affermare un diverso e alternativo modello di società, più equo ed umano, fondato sulla pace e sulla giustizia sociale, sull’accoglienza e sulla solidarietà, sull’universalità dei diritti e sulla dignità di ogni persona, sul rispetto dell’ambiente e sulla crescita della coesione sociale. La società proposta da Welcoming Asti è una società inclusiva, senza discriminazioni, senza muri e in cui le differenze, legate al genere, all’etnia, alle condizioni personali o sociali, alla religione, all’orientamento sessuale, alla nazione di provenienza e persino alla salute, non diventino mai un’occasione per creare nuove persone da allontanare, segregare, o emarginare. Una società più giusta e aperta, capace di non restare inerte e di non distogliere lo sguardo di fronte alle morti e alle sofferenze di coloro che tentano di raggiungere l’Europa perché salvare vite non è un atto negoziabile. Così, a partire dalla raccolta firme per la campagna “Welcoming Europe” diverse persone, enti e associazioni dell’astigiano hanno condiviso un percorso umanamente intenso e arricchente che si è poi concretizzato nell’impegno di lavorare per uno scopo comune, proponendo una narrazione diversa del fenomeno migratorio e ponendo al centro le persone. Sono questi i valori che hanno portato diverse associazioni del territorio (Acli, Asti, ANPI – Comitato provinciale Asti, Ass. Altritasti, Ass. Ananse, Ass. Cittadinanzattiva Piemonte EPS – sez. Asti, Ass. Noix de Kola, Ass. Tempi di Fraternità OdV, Caritas diocesana Asti, Centro Missionario Diocesano Asti, Coordinamento Asti Est, Libera Asti, Uff. Diocesano Migrantes) e singoli cittadini alla creazione di questa rete costruita dal basso, fatta di persone, idee, azioni e organizzazioni. La “Rete Welcoming Asti” è apartitica e intende promuovere l’organizzazione periodica di occasioni di dialogo e confronto democratico, per condividere, coordinare e, eventualmente, sviluppare insieme azioni e iniziative sociali e culturali capaci di coinvolgere il territorio nonché di favorire l’informazione, la collaborazione e la partecipazione alle iniziative sviluppate in maniera autonoma dai diversi soggetti aderenti. Alla presentazione della Rete sono intervenuti anche il Vescovo di Asti Mons. Marco Prastaro e l’Imam Abdessamad Latfaoui che hanno sottolineato l’importanza di camminare insieme e di lavorare affinché tutti riconoscano nel prossimo un fratello. Per informazioni scrivere a welcomingasti@gmail.com o visitare la pagina Facebook https://www.facebook.com/Welcoming-Asti-470216946854585/

Brasile: la Chiesa celebra la Settimana dei migranti

17 Giugno 2019 - Roma - La Chiesa brasiliana vive a partire da ieri, domenica 16 giugno, e fino a domenica prossima la trentaquattresima Settimana dei migranti. Il tema, collegato alla Campagna di fraternità, è: “Migrazione e politiche pubbliche”, con il motto “Accogliere, proteggere, promuovere, integrare e celebrare. La lotta è ogni giorno”. “In questo momento propizio invitiamo tutti gli operatori della Pastorale dei migranti, insieme a pastori, uomini e donne di buona volontà, sensibili al dolore dell’altro, a riflettere e a cercare possibilità di azione, a partire dall’invito di Papa Francesco ad accogliere, proteggere, promuovere e integrare il migrante”, afferma sul sito della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb) dom José Luiz Ferreira Sales, vescovo di Pesqueira (Pernambuco), referente del settore della Mobilità umana della Cnbb e presidente del Servizio pastorale per i migranti (Spm). In questo contesto, il vescovo informa che il Servizio pastorale per i migranti ha lavorato in quest’ultimo periodo per ottenere maggiori possibilità di ingresso sicuro e legale nei Paesi di destinazione, azioni in difesa dei diritti e della dignità di migranti e rifugiati, e maggiori opportunità per i migranti di realizzarsi come persone in tutte le dimensioni umane.

Focsiv: domani la Tavolaitalianasenzamuri

14 Giugno 2019 -

Roma - Oltre 5000 persone in 25 città italiane, da Alessandria a Catania passando per Roma, su iniziativa della Focsiv, si siedono nella stessa giornata a tavola nelle piazze e nelle vie simbolo cittadino per ribadire che nel nostro Paese nessuno è escluso.

A Roma la Tavolata sarà imbandita in Via della Conciliazione, tra Via Traspontina e Via Rusticucci come lo scorso 20 ottobre, un lungo tavolo di 270 metri per ospitare 1300 persone, abitanti e non nella città eterna. Tutti insieme per consumare un pasto frugale, offerto dalle organizzazioni, condividendo un pensiero comune: che la città come il resto di Italia condivide, integra, include, mescola culture, tradizioni, lingue, storie e cibi nessuno escluso.

Trecento i volontari di tante associazioni nazionali e locali che garantiranno la buona riuscita dell'evento e tanti gruppi di artisti di strada italiani e stranieri per sottolineare la multiculturalità della Tavolata. Per info http://www.tavolataitalianasenzamuri.it/

Vescovi Usa: “servono politiche più umane”

14 Giugno 2019 - New York - È l’arcivescovo di Los Angeles Josè H. Gomez, Vicepresidente della Conferenza Episcopale Americana, ad aggiornare l’assemblea dei vescovi riuniti a Baltimora sulla politica migratoria del Paese e sulle scelte fatte dalla Chiesa. Mons. Gomez, riferisce il Sir, comincia con i numeri: a maggio di quest’anno sono 84.542 le famiglie arrivate negli Usa dal confine meridionale, ben 30mila in più rispetto a marzo; mentre i singoli migranti arrivati in maggio sono 144mila; in gennaio erano appena 58mila. “Abbiamo bisogno del vostro sostegno, abbiamo bisogno della vostra voce contro azioni ostili verso i migranti e serve impegno a favore di politiche più umane”, è l’appello che l’arcivescovo lancia ai confratelli. Le comunità di El Paso, Rio Grande, Laredo, Yuma, Tucson si trovano a fronteggiare situazioni drammatiche senza ricevere alcun supporto dal governo e “abbiamo bisogno di più volontari” insiste Mons. Gomez. Occorrono servizi legali, assistenza umanitaria e soprattutto “serve una tregua” da viaggi sfibranti, minacce per la vita, miseria. Ai porti di ingresso, gli unici autorizzati a ricevere le richieste d’asilo, le file sono lunghe e i tempi di attesa insostenibili. Ciò che preoccupa la Chiesa americana non sono solo le frontiere, poiché anche i migranti, già stabili nel Paese, si sentono minacciati costantemente da una legislazione che non tutela le famiglie e sta erodendo la protezione dei minori. Anche chi è regolare è penalizzato nell’accesso alla casa e ai benefici sociali, mentre i richiedenti asilo vedono allungarsi all’infinito i tempi processuali che li costringono ad una vita in bilico e all’incertezza costante.  

Oratori, la forza di una proposta

14 Giugno 2019 - Roma - La chiusura della scuola – scrive Avvenire – rende l’oratorio ancor più un bene prezioso messo a disposizione dell’intera società. Un luogo inclusivo, che rinsalda relazioni e costruisce comunità. Un servizio che affianca e accompagna la famiglia con una proposta a tutto tondo, attenta a parlare i linguaggi dei ragazzi e della loro cultura digitale. Un “laboratorio dei talenti” – lo definiva un documento della CEI di qualche anno fa – che educa soprattutto con la forza delle relazioni personali: in un contesto “segnato dalla consumazione immediata del presente, dal continuo cambiamento, dalla frammentazione delle esperienze”, l’incontro con educatori attenti aiuta “a superare il rischio, oggi tutt'altro che ipotetico, della frammentazione e della dispersione”. (Ivan Maffeis)

Da Oriente e Occidente e in ogni lingua del mondo

13 Giugno 2019 - Milano – “Verranno dall’Oriente e dall’Occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli!” (Mt 8,11). Per alcuni secoli, le comunità cristiane del Mediterraneo furono composte da ex-pagani, favoriti nel loro approdo alla salvezza (come dice san Paolo) da una provvisoria e parziale infedeltà dell’Antico Israele. Ma una volta insediata nel mondo greco-romano, la Chiesa non ha visto nella profezia di Gesù una pericolosa eventualità da scongiurare con muri e porti chiusi. Ha invece inviato messaggeri fino ai popoli più lontani per favorire la loro entrata nel Regno. Al Nord un monaco inglese di nome Winfrid (poi Bonifacio) irraggia la vita cristiana in tutta la Germania. A Est vanno Cirillo e Metodio, come maestri di fede e di una lingua scritta, base per la memoria dei popoli. Anche Federico Barbarossa venerava nei Magi evangelici le avanguardie di quei pagani dei quali si riconosceva erede e nel 1160 – certo poco rispettoso dello spirito di Betlemme – portava a Colonia come bottino le loro 'reliquie'. Francesco Saverio in Giappone e Matteo Ricci in Cina, come lo sforzo missionario di Ottocento e Novecento, pur tra ombre ed errori, testimoniano che mai l’orizzonte cristiano si è fermato ai confini di uno Stato, di un popolo, di una lingua. Oggi, mi domando, quanti cristiani conoscono il brano di Matteo da cui siamo partiti? Quanti avvertono la minaccia con cui quel brano si chiude “i figli del regno” – fattisi padroni abusivi della salvezza – “saranno gettati fuori”? Probabilmente molto pochi. Di questa diffusa ignoranza siamo tutti colpevoli. Ma a questo si aggiunge altro veleno. Giorni fa, in un dibattito televisivo, un tale ha affermato – non contraddetto – che “i sovranisti sono comunitari” e “i progressisti sono elitari”. A parte gli equivoci contenuti nei termini 'sovranista' e 'progressista', il messaggio è chiaro: chi predica la chiusura dei confini (etnici, culturali, religiosi) ama la sua comunità; chi chiede apertura e accoglienza (e per questo lavora), non è amico del popolo, il quale vuole tenersi stretto quello che possiede e non essere disturbato da discorsi troppo elevati. Con ogni evidenza, due falsità di bassa lega. Viene fatta una obiezione più seria: le affermazioni del Vangelo non sono soluzioni già pronte per i problemi del momento. Vero. Ci permettono però di giudicare idee e proposte. E ci indicano sempre una 'via d’uscita', che non distrugge la giusta sovranità e indirizza il progresso. Insegnare l’italiano ai profughi è un inizio di annuncio, se è vero – come è evangelicamente vero – che, ce lo ricorda papa Francesco, “si deve partire sempre dagli ultimi”. Pretendere che sia riconosciuta una civile e controllabile residenza ai richiedenti asilo è difesa evangelica della dignità umana. Trattare con amore ogni povero è obbedire a Lui. Ricordare ai nostri piccoli greggi, a Pentecoste e non solo, che il Cristo ha “altre pecore che non sono di questo ovile” e che il suo desiderio è quello di “un solo ovile e un solo pastore” è dovere di chi serve la Parola. Che risuona senza confini, in tutte le lingue del mondo. Realizzare i progetti di Cristo è impresa difficile e lunga. Ma contraddire i suoi desideri sarebbe semplicemente rinnegare il nostro essere cristiani. (Sandro Lagomarsini – Avvenire)  

Torino: “Balon Mundial” con 40 squadre in campo

12 Giugno 2019 - Torino - Quaranta squadre di calcio si sfidano a Torino in Balon Mundial, considerata la Coppa del Mondo delle comunità dei migranti. Dal 15 giugno al 21 luglio giocheranno sui campi della Colletta 32 selezioni maschili e 8 femminili, in rappresentanza di 32 comunità di migranti presenti nel capoluogo piemontese. Parteciperanno all'iniziativa mille atleti. La manifestazione, giunta alla 13/a edizione – scrive AnsaMed - avviene per la seconda volta con la partnership del Museo Egizio, la cui sede ha ospitato ieri il sorteggio dei gironi. Per l'occasione, ha annunciato la presidente del Museo, Evelina Christillin, l'Egizio aprirà le sue porte a tutti i giocatori, che potranno visitare le sue sale insieme a un accompagnatore al prezzo simbolico di 1 euro. E il 15 giugno, giorno di partenza dell'iniziativa, ci sarà un'apertura speciale con ingresso gratuito per tutti fino alle 23,30. “Lo sport, come la cultura - ha rimarcato Christillin - uniscono: noi siamo per i ponti, non per i muri. Anche queste manifestazioni, all'insegna dell'esserci come comunità, sono un modo per fare politica”.  

Svezia: dal Consiglio delle Chiese no alla legge che limita permesso di residenza e ricongiungimenti familiari ai richiedenti asilo

12 Giugno 2019 - Roma - L’ufficio di presidenza del Consiglio delle Chiese svedese ha scritto oggi una lettera ai membri del parlamento a pochi giorni del voto del 18 giugno su una possibile estensione della validità della legge del 2016 che limitava le possibilità di ottenere la residenza in Svezia e i ricongiungimenti familiari per richiedenti asilo. Nella lettera - riferisce il Sir - che invita i membri del Riksdag a votare contro l’estensione della legge, si legge che “quando nel 2016 è stata introdotta la legge sulla restrizione, l’intenzione dichiarata dal governo era di ridurre il numero degli arrivi di richiedenti asilo in Svezia. È indiscutibile che questo numero sia diminuito, ma il nesso causale tra l’introduzione della legge e il numero nettamente in calo dei richiedenti asilo è tutt’altro che chiaro”. Sarebbe infatti legato ad altri fattori, come la chiusura della rotta dei Balcani occidentali e l’accordo Ue-Turchia. Secondo i leader delle Chiese la legge in questione avrebbe avuto “molte altre conseguenze negative” sulle possibilità di “una buona integrazione”, proprio per aver di fatto sostituito i permessi di soggiorno permanenti con permessi a “scadenza”, aver posto severi limiti ai ricongiungimenti famigliari e aver ridotto i diritti dei richiedenti asilo ad aiuti economici e sociali. Le Chiese sostengono quindi il no a un’estensione della legge, il ritorno alla legge ordinaria legge per lavorare negli anni a venire a una nuova legislazione.

…E non riuscimmo a riveder le stelle

11 Giugno 2019 - Roma - “Non è ignota ai migranti l’esperienza del dover cercare la vita altrove, dove si pensa che ci possa essere ancora un futuro, una speranza, sapendo i rischi a cui si va incontro. Rischia invece di rimanere vaga e lontana, per chi non ne fa diretta esperienza, l’asprezza di perdere tutti i propri riferimenti, insieme alle persone care e magari a tanti innocenti”. Lo scrive il Card. Gualtiero Bassetti, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, nella prefazione al volume “…E non riuscimmo a riveder le stelle” di Salvatore Martino edito da Tau e inserito nella collana Testimonianze e Esperienze delle Migrazioni della Fondazione Migrantes. Per il cardinale le notizie dei drammi, che “non cessano, producono a volte nella nostra cultura un senso di assuefazione e quasi di inflazione, con relativa perdita di valore. Analogamente, interrogandosi a posteriori sulle possibili concause del numero impensabile di vittime dell’Olocausto, George Steiner lo collegava all’inerzia prodotta dal fatto che le cifre elevate avessero perso, nei bollettini dell’epoca, ogni significato”. Il volumetto raccoglie 18 poesie che raccontano il dramma che oggi vivono migliaia di uomini e donne alla ricerca di un futuro diverso per loro e le loro famiglie e che vuole “sensibilizzare al tema della mobilità” che richiede “sicuramente il parlare ai cuori e nulla può, come le poesie, riuscire a porsi alla stessa altezza del sentimento umano”, scrive il direttore generale della Fondazione Migrantes, Don Giovanni de Robertis: il tema dell’arrivo di tanti uomini e donne via mare che sfuggono alla guerra si dipana attraverso fotogrammi, pennellate donate da parole semplici, dirette, oserei definirle nude”. E alle parole si accompagnano immagini che il fotografo Romano Siciliani ha messo al “servizio delle poesie, testi e immagini che per un lettore di fede possono trasformarsi in preghiere”. La lettura politica delle migrazioni, nonostante il tema sia di estrema attualità e segno dei tempi, “sembra essere guidata – scrive De Robertis – con sempre più miopia: si respingono le persone in fuga da crisi e da conflitti che arrivano via mare permettendo di fatto, attraverso le leggi approvate, un ingresso solo irregolare in Italia”. (R.Iaria)  

Consiglio d’Europa: migranti e minoranze sono usati come “capri espiatori”

11 Giugno 2019 - Strasburgo - “Il populismo xenofobo continua a segnare l’attuale clima politico in Europa. Alimenta una retorica ostile ai migranti, che spesso nutre discorsi di odio razzista, spezza tabù e provoca altre espressioni di odio. Questa banalizzazione contrasta nettamente con le norme che erano state finora rigorose nel discorso pubblico ed è un fenomeno molto inquietante”. È il rapporto annuale della Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (Ecri – organismo del Consiglio d’Europa) pubblicato, riferisce il Sir, oggi che fotografa questa situazione. Motivo di particolare preoccupazione sono “le intenzioni di figure politiche populiste, che cercano di dividere le società in base a criteri nazionali, etnici o religiosi”. “L’ideologia loro/noi”, si legge ancora nel rapporto, “mette in pericolo le società inclusive e rischia di compromettere i principi basati sulla tolleranza, fondamento delle società democratiche europee”. Questo pensiero oggi si respira anche “nei partiti politici tradizionali e nei governi nazionali”, non più solo in quelli estremisti. L’Europa, segnala ancora il rapporto, “incontra una crescente opposizione all’idea un tempo data per acquisita, per cui il multiculturalismo è un elemento positivo e desiderabile per le nostre società”. Migranti e minoranze sono usati come “capri espiatori” per rispondere alle “crescenti preoccupazioni dell’opinione pubblica per il cambiamento economico, geopolitico e tecnologico”. A mancare secondo l’Ecri è una “reazione rapida con un chiaro messaggio di segno contrario”.  

Costituzione e Migrazioni: un dibattito domani a Roma

11 Giugno 2019 - Roma - “Poiché anche voi foste stranieri nel paese d'Egitto’ Costituzione, città, migrazioni”. Questo il tema di un incontro che si svolgerà domani sera presso la Chiesa di San Francesco del Caravita all’interno degli eventi della mostra Exodus esposta nella Chiesa. A partire dal libro "La Costituzione: un manuale di convivenza", edito da Paoline dialogheranno Mons. Guerino Di Tora vescovo ausiliare di Roma e presidente della CEMi e della Fondazione Migrantes; Giovanni Maria Flick, presidente emerito della Corte costituzionale e autore del volume, Alberto Quadrio Curzio, presidente emerito dell'Accademia Nazionale dei Lincei e Rocco Buttiglione, già parlamentare e docente universitario. Modererà l’incontro Angelo Zema, Direttore del settimanale “RomaSette”

Axel ce l’ha fatta: ora è in Usa, studia e cammina di nuovo

10 Giugno 2019 - Milano - Posa con l’abito del diploma della Hogg Middle School appena ottenuto, a fianco alla bandiera del suo Nicaragua. Axel Palacio Molina sorride fiero. Non solo per il successo scolastico conseguito. Finalmente, dopo oltre dieci mesi di calvario, il 15enne ha abbandonato stampelle e sedia a rotelle. Nello scatto appare ben ritto sulle sue gambe. “Guarda come me le hanno aggiustate bene!”, dice il ragazzino. A rimetterlo in piedi sono stati i medici dell’ospedale pediatrico di Houston che hanno effettuato un delicato intervento, finanziato dalla chiesa protestante Ecclesia, per estrarre il proiettile conficcato nell’anca destra. “Lo sapevo che se fossi arrivato negli Usa, avrei potuto correre di nuovo”, afferma raggiante. E’ stata questa convinzione granitica a dare la forza a lui e al resto della famiglia di camminare – nel senso letterale del termine – per oltre 4mila chilometri. In buona parte insieme alla Carovana che, lo scorso autunno, ha raccolto migliaia di disperati del Centroamerica. Uomini, donne, bimbi e adolescenti in fuga dalla violenza delle bande criminali che tengono in ostaggio interi pezzi della regione, dalla corruzione che divora l’economia, dal cambiamento climatico che secca i raccolti. Axel e la sua famiglia scappavano dalla feroce repressione di Daniel Ortega. Erano stati i suoi sgherri a soffocare nel sangue la protesta civica a Diriamba, città a una quarantina di chilometri da Managua, l’8 luglio scorso. Una rivolta pacifica, portata avanti in gran parte da giovani e giovanissimi, come Axel e il suo amico Josué. “Noi lo chiamavamo ‘Fetito’, perché era piccolo e magro. Era il mio migliore amico. La polizia di Ortega è arrivata all’alba, armata fino a denti. Hanno sparato ad altezza d’uomo. ‘Fetito’ era stato colpito ed era caduto a terra. Si sono avvicinati e l’hanno finito con un proiettile di Kalashnikov al torace. Ho cercato di fargli scudo con il mio corpo e sono stato ferito”, racconta Axel che si è salvato per un soffio. Altri manifestanti l’hanno portato via in braccio e l’hanno tenuto nascosto. “Non ci hanno messo molto a venire a casa ha cercarlo. Hanno fatto tre irruzioni. Ogni volta dicevano: ‘Tuo figlio è un terrorista. Dove sono le armi?’. Ovviamente non c’era nessun arma. Ero una maestra, al limite potevano trovare qualche quaderno.. Mio figlio non aveva ancora compiuto 15 anni, come poteva essere un terrorista? – aggiunge la madre, Idania Molina -. La terza volta, si sono scagliati su mia figlia di 17 anni. ‘Ora la facciamo parlare’, dicevano. Sapevo che cosa significava, non potevo permetterlo. Allora li ho supplicati: ‘Fate quello che volete a me, ma lei lasciatela stare…’ Allora si sono accaniti su di me”. A quel punto, la vita dei Palacio Molina era segnata. Restare significava la morte. Per questo, attivisti per i diritti umani e sacerdoti hanno aiutato Idania a raggiungere Managua con l’altra figlia, Chely, di 12 anni, per denunciare. “Là siamo rimaste nascoste in attesa di ricongiungerci con Axel e il marito di Idania, Lester, e lasciare il Paese, ovviamente di nascosto. La cosa peggiore è stata dover lasciare la mia figlia maggiore. Era troppo sorvegliata ed è dovuta rimanere con mia madre. Non sa quanto mi manca..”. Per seminare la polizia orteguista, la famiglia ha cambiato cinque “case sicure”, come vengono chiamati i luoghi in cui si nascondono i dissidenti. Poi, alla fine di agosto, una volta riunita la famiglia, l’esilio. Prima l’Honduras, poi il Guatemala quindi il Messico, dove ha incontrato la Carovana. “I fratelli centroamericani sono stati molto solidali. Sono rimasti commossi dalla nostra storia. Dato che non riuscivo a camminare mi hanno portato a spalle per lunghi tratti. Poi, insieme alle autorità del Chiapas, hanno fatto una colletta per comprare una sedia a rotelle. Mi dicevano: “Almeno tu devi farcela”. E’ anche grazie a loro se sono qui. Grazie a loro e ai giornali che hanno scritto di me”, afferma Axel. Già perché la storia del piccolo nicaraguense che marciava verso gli Usa in sedia a rotelle ha conquistato i media internazionali, tra cui Avvenire, tra i primi a raccontarla e a cercare di aiutare a distanza i Palacio Molina. “Quando, finalmente, abbiamo raggiunto il confine tra Matamoros e Brownsville, gli agenti avevano sentito parlare di noi. Così ci hanno fatto restare ‘solo’ un giorno accampati sul ponte in attesa di poter presentare domanda di asilo”, sottolinea Idania. Da quando, dalla primavera 2018, Donald Trump ha imposto una stretta sulle istanze di rifugio, le richieste vengono accettate con il contagocce. Le persone attendono mesi alla frontiera prima di poterla sottoscrivere e, in genere, vengono rispediti ad aspettare la risposta in Messico. Per i Palacio Molina, però, alcune guardia coraggiose hanno fatto un’eccezione. Quel 7 gennaio, in bilico tra Messico e Usa, Idania lo ricorda perfettamente. Il terrore di essere divisi o respinti. Il freddo pungente della notte. I passi marziali dell’uomo di guardia. E, alla fine, quelle parole di salvezza pronunciate in un misto di inglese e spagnolo: “E’ il ragazzino della sedia a rotelle. Loro devono passare”. Certo, si tratta solo di un primo passo. Non poco, però, nell’epoca di muri a oltranza, fisici e legali, per fermare il flusso dei rifugiati. I Palacio Molina hanno presentato istanza e sono stati ascoltati in una prima udienza. Ne occorrono, però, almeno altre due per sapere se potranno restare sul suolo statunitense. Nel frattempo, però, grazie a Ecclesia, hanno trovato una prima sistemazione a Houston. Idania fa le pulizie ad ore, Lester qualche lavoretto di tanto in tanto, Chely frequenta la scuola. Come Axel che, allo studio, abbina continui esercizi di riabilitazione. “Sono stati mesi duri, durissimi. Ma ne è valsa la pena. Ormai cammino senza troppo sforzo, sto imparando l’inglese e ho terminato la terza media. A scuola, professori e compagni hanno cercato di darmi una mano per inserirmi, così sono riuscito a prendere dei buoni voti. Quando mi chiedono che cosa vorrei fare da grande, rispondo il Marine. Per ripagare questo Paese che mi ha accolto. E con i risparmi, vorrei fare dei regali a quanti mi hanno aiutato quando non avevo niente. Ci vorrà tempo lo so. Ma la Carovana mi ha insegnato la pazienza. Si avanza così: un passo alla volta”. (Lucia Capuzzi – Avvenire)

Mons. Nosiglia: “far superare barriere di estraneità e di indifferenza”

7 Giugno 2019 - Torino -  “Una comunità che non vive nella ricerca continua dell’unità, nella cura e nell’attenzione verso tutti e in particolare verso i suoi membri più sofferenti e bisognosi, non può illudersi di celebrare degnamente l’Eucaristia e riconoscere il corpo del Signore”. Lo ha detto l’arcivescovo di Torino, Mons. Cesare Nosiglia, nell’omelia della messa del Corpus Domini, che ha celebrato ieri in cattedrale, ricordando il miracolo eucaristico che si verificò in città, il 6 giugno 1453. L’ostia trafugata rimase sospesa in aria per lungo tempo e venne portata dal vescovo nel duomo. “L’Eucaristia è, come ci ricorda Papa Francesco, la fonte prima e la spinta costante che conduce la Chiesa fuori di se stessa, sulle vie della missione”, ha affermato il presule. Nelle sue parole il timore che ne sia stato fatto “un rito talmente chiuso in se stesso da stemperarne la carica di amore e di cambiamento che offre”. Soffermandosi sulle capacità dell’Eucaristia, Mons. Nosiglia ha spiegato che “inquieta le coscienze e allarga il cuore facendo superare barriere di estraneità e di indifferenza o di rifiuto che sono tutt’ora presenti nella società e anche nelle nostre comunità, verso fratelli e sorelle in condizioni di difficoltà morale o materiale”. Quindi, la convinzione dell’arcivescovo è che “se la nostra Chiesa privilegerà gli ultimi e se con coraggio profetico non si sottrarrà alle nuove sfide di tante miserie morali e materiali proprie del nostro tempo, la fede non verrà meno, l’Eucaristia che celebriamo si tradurrà in pane spezzato nell’amore, il Vangelo sarà sempre più credibile via di cambiamento anche sociale”. Infine, il presule ha indicato l’Eucaristia come “l’atto missionario più fecondo che la Chiesa immette nella storia dell’umanità”. “Le nostre comunità superino l’autoreferenzialità e si immergano con coraggio nel fiume della missione”. (Sir)  

Vescovi Lazio : “nelle nostre comunità non abbia alcun diritto la cultura dello scarto e del rifiuto”

7 Giugno 2019 - Roma - “Vorremmo invitarvi ad una rinnovata presa di coscienza: ogni povero – da qualunque paese, cultura, etnia provenga – è un figlio di Dio. I bambini, i giovani, le famiglie, gli anziani da soccorrere non possono essere distinti in virtù di un "prima" o di un "dopo" sulla base dell'appartenenza nazionale. E’ quanto scrivono i vescovi del Lazio in una lettera che sarà letta domenica in occasione della solennità di Pentecoste per offrire alcune riflessioni sul tema migratorio. “Purtroppo – scrivono i presuli - nei mesi trascorsi le tensioni sociali all'interno dei nostri territori, legate alla crescita preoccupante della povertà e delle diseguaglianze, hanno raggiunto livelli preoccupanti. Desideriamo essere accanto a tutti coloro che vivono in condizioni di povertà: giovani, anziani, famiglie, diversamente abili, disagiati psichici, disoccupati e lavoratori precari, vittime delle tante dipendenze dei nostri tempi.  Sappiamo bene che in tutte queste dimensioni di sofferenza non c'è alcuna differenza: italiani o stranieri, tutti soffrono allo stesso modo. È proprio a costoro che va l'attenzione del cuore dei credenti e – vogliate crederlo – dell'opzione di fondo delle nostre preoccupazioni pastorali”. Da “certe affermazioni che appaiono essere ‘di moda’ – proseguono - potrebbero nascere germi di intolleranza e di razzismo che, in quanto discepoli del Risorto, dobbiamo poter respingere con forza. Chi è straniero è come noi, è un altro ‘noi’: l'altro è un dono. È questa la bellezza del Vangelo consegnatoci da Gesù: non permettiamo che nessuno possa scalfire questa granitica certezza”. Da qui l’invito  a proseguire “il nostro cammino di comunità credenti, sia con la preghiera che con atteggiamenti di servizio nella testimonianza di una virtù che ha sempre caratterizzato il nostro Paese: l'accoglienza verso l'altro, soprattutto quando si trovi nel bisogno. Proviamo a vivere così la sfida dell'integrazione che l'ineluttabile fenomeno migratorio pone dinanzi al nostro cuore: non lasciamo che ci sovrasti una ‘paura che fa impazzire’ come ha detto Papa Francesco, una paura che non coglie la realtà; riconosciamo che il male che attenta alla nostra sicurezza proviene di fatto da ogni parte e va combattuto attraverso la collaborazione di tutte le forze buone della società, sia italiane che straniere”. Le diocesi laziali quotidianamente danno “il proprio contributo per alleviare le situazioni dei poveri che bussano alla nostra porta, accogliendo il loro disagio. Tanto è stato fatto e tanto ancora desideriamo fare, affinché l'accoglienza sia davvero la risposta ad una situazione complessa e non una soluzione di comodo (o peggio interessata). Desideriamo che tutte le nostre comunità – con spirito di discernimento – possano promuovere una cultura dell'accoglienza e dell'integrazione, respingendo accenti e toni che negano i diritti fondamentali dell'uomo, riconosciuti dagli accordi internazionali e – soprattutto – originati dalla Parola evangelica.  Non intendiamo certo nascondere la presenza di molte problematiche legate al tema dell'accoglienza dei migranti, così come sappiamo di alcune istituzioni che pensavamo si occupassero di accoglienza, e che invece non hanno dato la testimonianza che ci si poteva aspettare. Desideriamo, tuttavia, ricordare che quando le norme diventano più rigide e restrittive e il riconoscimento dei diritti della persona è reso più complesso, aumentano esponenzialmente le situazioni difficili, la presenza dei clandestini, le persone allo sbando e si configura il rischio dell'aumento di situazioni illegali e di insicurezza sociale”. I vescovi laziali concludono  con un appello affinché “nelle nostre comunità non abbia alcun diritto la cultura dello scarto e del rifiuto, ma si affermi una cultura ‘nuova’ fatta di incontro, di ricerca solidale del bene comune, di custodia dei beni della terra, di lotta condivisa alla povertà”. (Raffaele Iaria)  

Palermo: incontro sull’accoglienza tra Mons. Bedford – Strohm e Mons. Lorefice

5 Giugno 2019 - Palermo - “Per me la visita di Mons. Heinrich Bedford - Strohm è motivo di grande comunione oltre che di opportunità di incontro e di reciprocità. E soprattutto perché la presenza a Palermo del Presidente della Chiesa Evangelica di Germania è dettata da qualcosa che ci sta veramente a cuore”. Ad affermarlo l’arcivescovo di Palermo, Mons. Corrado Lorefice, che ha ricevuto in episcopio il Presidente della Chiesa Evangelica Tedesca, in Sicilia per una serie di incontri con realtà ecclesiali, laiche e del volontariato legati ai temi dell’accoglienza, dei diritti dei migranti e delle politiche europee in materia di migrazione. “Siamo a Palermo al cuore del Mediterraneo – ha proseguito Mons. Lorefice – ed è da qui che deve ripartire per tutta l'Europa l'opportunità per riconfermare i principi più veri della nostra Europa: la persona al centro”. Nel corso dell’incontro i due presuli si sono confrontati sull’impegno di tutte le Chiese a favore dei migranti e dei rifugiati. “Oggi viviamo questo dramma di chi fugge dalla guerra e dalla fame – ha detto ancora l’arcivescovo di Palermo – attraversa il Mediterraneo che non può che rimanere un luogo di incontro. Il mare Mediterraneo deve continuare a permettere alle persone di realizzare la loro piena dignità. Per questo condivido con il vescovo Enrico, i motivi che ci fanno pensare ad una Europa che ci fanno esprimere il segno più vero dell’accoglienza. Mi piace sottolineare come concretamente abbiamo insieme sostenuto anche questa drammatica situazione che si viene a verificare nel nostro mare. A causa forse dell'indurimento del cuore e direi anche della mente, si rischia di fare morire uomini, donne e bambini nel nostro mare e sono ben contento che invece c’è qualcuno che riesce oggi a mettersi in gioco, a fare si che quanti attraversano questo nostro mare possano avere un luogo di approdo. Da questo punto di vista mi piacerebbe ripensare anche la posizione di Palermo al cuore del Mediterraneo perché possa essere per tutta l’Europa anche il porto a cui tutti possano fare riferimento. Questo valore simbolico di questa città che ha conosciuto la contaminazione feconda di culture, questa città possa essere anche oggi per l’Europa un punto di partenza perché possiamo continuare a scegliere la persona e metterla al centro. A maggior ragione se nel volto di questi nostri fratelli che vengono dall'Africa e dal Medio oriente noi troviamo i segni di una oppressione che è causata dalla durezza del cuore di altri uomini. E quindi saluto con grande commozione questa presenza perché nel nome della comunione di Chiese possiamo ritrovare situazioni e realtà umane che ci possano permettere di testimoniare un Vangelo che segna ancora la coscienza di questa nostra Europa perché se per ogni uomo, e deve essere chiaro che l'altro uomo è soggetto di diritto che deve essere riconosciuto nella sua dignità, a maggior ragione lo è per quanti hanno conosciuto il Cristo perché ciò che avete fatto a questi nostri fratelli l’avete fatto a me”. In una nota congiunta con il sindaco della città Leoluca Orlando il vescovo Heinrich afferma: “I flussi migratori sono un fenomeno storico che ha origine nel diritto umano inalienabile alla mobilità, in cerca di migliori condizioni di vita, in fuga da guerre, povertà e devastazioni climatiche. In vista del prevedibile aumento dei flussi durante l’estate, è necessario per l’Unione Europea riaffermare i propri valori fondamentali e per i singoli Stati individuare soluzioni che evitino nuove morti nel Mediterraneo, favoriscano la creazione di canali umanitari e supportino la ricerca dei naufraghi e il salvataggio di vite umane. Manca un meccanismo di redistribuzione europea per l’accoglienza dei migranti salvati”. Heinrich Bedford-Strohm ha partecipato anche all’avvio della preghiera interreligiosa alla Missione di Speranza e Carità, per Paul Yaw Aning, l’idraulico ghanese della missione, raggiunto da un decreto di espulsione perché il suo permesso di soggiorno era scaduto.