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Un appello missionario

19 Aprile 2021 - Loreto - Sono stato recentemente alla parrocchia di Oujda, in Marocco a pochi chilometri dalla frontiera con l’Algeria. Per centinaia di migranti un vero porto di mare. O meglio un porto di salvezza, di umanità. In un continuo flusso, vi arrivano giovani subsahariani provenendo dalla traversata dell’Algeria e del deserto: un’esperienza dura, sofferta, impensabilmente dolorosa. I locali della parrocchia erano al completo di ospiti, una giovane coppia era accampata perfino in sagrestia. Altri giovani sopraggiungono anche nottetempo: crollano di stanchezza appena arrivati. Li trovate a dormire sul tappeto dell’altare. Sembra di udire in fondo all’anima parole di Vangelo “Non aver paura! Sono io… straniero, migrante, che tu hai accolto!” Sì, un’emergenza umanitaria, che continua ancora oggi… La situazione di emergenza di Oujda e l’accorato appello del Cardinale di Rabat Cristóbal López Romero nella lettera da scaricare: OUJDA-SOS-1Download. Per donare le coordinate bancarie per la donazione sono le seguenti: IBAN FR 76 3000 4025 0300 0100 8585 387 -  Eglise Catholique au Maroc BNP (P. Renato Zilio -Direttore Migrantes Marche)

Passione di Cristo a Casablanca 

30 Marzo 2021 -

Loreto - Don Cipriano ci attendeva a braccia aperte, alla parrocchia italiana «Cristo Re», boulevard Abdelmoumen, a Casablanca. Avrebbe ospitato la dozzina dei nostri giovani, tutti figli di italiani all’estero. Era la prima tappa del loro pellegrinaggio verso il deserto del Sahara. Tutto il percorso, poco più di una decina di giorni, come ogni anno a Quaresima, si proponeva di far vivere ai nostri giovani il cammino di Cristo verso Gerusalemme.

Eravamo ospiti di varie, piccole comunità cristiane lungo il percorso, fino a sostare per tre giorni e tre notti in pieno deserto, sotto rustiche tende berbere. Un viaggio avventuroso, interiore, trasformante. Come ricorda Proust, viaggiare «non è scoprire nuove terre, ma avere nuovi occhi». Così, da una città quasi europea, caotica e straordinariamente vivace come Casablanca si arriva alla pace e all’essenzialità assoluta, che solo un deserto sa offrire. Scoprire  là, la forza segreta dell’anima.

La parrocchia italiana di Casablanca, poi, è costituita soprattutto da siciliani, pescatori di Mazara del Vallo, da Trapani…  acquartierati laggiù da cinquanta o sessant’anni: tutto vi era pronto per accoglierci. E come sempre, l’accoglienza nel Maghreb è semplice e regale. «Dopodomani, animerete la messa solenne delle Palme !». Con i primi saluti, erano queste le parole di don Cipriano, dal sapore di invito ma, allo stesso tempo, di un ordine. I giovani ne rimasero entusiasti.

Sarebbero venuti, per l’occasione, tantissimi della comunità italiana in Casablanca e senz’altro il Console, come d’abitudine ogni anno. Il sabato, i nostri giovani leggevano i testi, facevano i preparativi per i vestiti, le parole, i gesti dei personaggi nella Passione. Erano la rivoluzione per il guardaroba delle suore. Queste animano la vicina casa di riposo per anziani italiani.

Già, al mattino presto della domenica delle Palme, ai giovani il grande compito dell’accoglienza. Dietro un lungo tavolo, offrono all’arrivo - con un sorriso, come si erano proposto - un ramo di ulivo intrecciato di un nastro rosso-sangue, augurando ad ognuno «buona settimana santa !». La gente, senza fretta, arrivava a frotte. E rimaneva stupita di vedersi davanti, all’arrivo, una banda di giovani italiani disponibili, disinvolti, pieni di simpatia, mai visti prima. Poi, in seguito, quasi tutto il gruppo saliva all’altare, per leggere la Passione. Lasciando a Rodrigo, un bel volto ispirato di profeta, grande animatore dei ragazzi di catechesi, l’impegno di presentare un unico personaggio : il Cristo.

Così, all’inizio della lettura, sbucando dal fondo della chiesa affollata, vedevi apparire il Cristo, d’improvviso. Una lunga veste color porpora fino alle caviglie, un’enorme croce, a passo ritmato, sempre uguale, avanzava lungo tutta la grande navata. Concentratissimo. Lentamente procedeva, con una cadenza a singhiozzo… quasi fosse un pianto. Se l’era provato, riprovato quel passo - l’avevo ben osservato, infatti - chissà quante volte, il giorno prima... Un passo come sospeso, aritmico, alla soglia della morte. Impressionante. La gente, tutta intenta a leggere il testo, se lo vedeva, sorpresa, apparire di lato, quasi d’improvviso. Arrivato all’altare, Rodrigo vi posava, poggiandola in piedi, la grande croce. E al momento delle parole della crocifissione, assorto e fisso di fronte come una statua, davanti a tutta l’assemblea, lo vedi aprire le braccia il più largo possibile. Qualche istante così, un’eternità. E alla morte, cadere per terra d’un tonfo, rimanendo là, scomposto, senza muovere neppure un filo. Immobile, durante quasi tutta la celebrazione. Era come vedere a terra un qualsiasi morto ammazzato, in una stazione dei treni o sul marciapiede di una strada...

Ricordo che la gente si toccava il gomito, come per dirsi: «... ma è ancora vivo?!». E poi, durante il Padre nostro, eccolo rialzarsi di fronte all’assemblea ed estrarre, a sorpresa, dal petto, la famosa bandiera multicolore della PACE, stenderla e sollevarla il più alto possibile per tutto il tempo restante della preghiera. Al momento dello scambio di pace, legarsela attorno alle spalle, per passare a dare la mano ad ognuno dei presenti, di banco in banco… La gente era commossa – lo si vedeva – di abbracciare il Cristo, ricordando il suo passo di morte e la sua interminabile caduta per terra. Una scena stampata nella mente, che come in noi, lo sarà stato anche per gli altri.

I giovani, d’altronde, avevano vissuto questo loro impegno come un forte gesto di solidarietà con la nostra gente in terra straniera. Sì, una passione quotidiana, continua, che pare non finire mai, sui passi del Cristo. Lo straniero in mezzo agli uomini. Questi giovani saranno gli ultimi a dimenticarselo.

Come non dimenticheranno le poche parole di suor Monica : «Sapete, i nostri vicini di casa hanno una fede che trasporta le montagne !» E parlava di musulmani. Ma io non dimenticherò, ritornati, il loro grazie più originale. «Grazie padre, perchè ora comprendiamo meglio l’Europa !». Sì, il suo panorama ormai multiculturale e multireligioso, dove costruire più ponti e meno muri. Casablanca era rimasta nel cuore (p. Renato Zilio, Migrantes Marche)

Parlare a cuore aperto

19 Febbraio 2021 - Loreto - «Ma tu non ti confessi mai?» faccio un giorno al mio unico confratello, a bruciapelo. Mi risponde con un’occhiata un po’ incattivita. Come se mi fossi avventurato incautamente nell’intimior intimo meo. «Ma no! – gli ribatto – Non la confessione sacramentale, cosa tua sacrosanta, ma dire quello che ti sta a cuore. Quello che in fondo ti fa male. O che ti fa star male». Ogni tanto parler vrai direbbero i francesi. Parlare a cuore aperto. Dialogare. Non chiudersi in un mutismo che non sappia condividere, preso dai propri pensieri. Senza dimenticare che «quando lanci le frecce della verità – come esorta un proverbio arabo – intingi sempre la punta nel miele». Il 2020 è stato l'anno del Dialogo per la nostra congregazione scalabriniana. Senz’altro questo comincia a germogliare in noi stessi, tra di noi, coltivato nel proprio hortus conclusus. «Devi essere tu il cambiamento che vorresti vedere nel mondo» raccomanda un indimenticato leader indiano. Un giovane ex-confratello ci sorprendeva, invece, per l’entusiasmo disinvolto nel confessare le persone, facendolo alla domenica fino a qualche istante prima della sua Messa. Ciò ci interrogava: «Ha uno strano piacere di confessare gli altri, però lui non si confessa mai, non si apre mai, non parla mai di sé…». Ricordo che una congregazione francese aveva prodotto una suggestiva immagine o un segnalibro, che ti trovavi sempre tra le mani. Vi stava scritto «Questi sono i nostri valori» e giù un elenco di qualità spirituali o non. Altrettanti segnali stradali sul cammino delle differenti comunità. Nel nostro segnalibro si potrebbe scorrere: Dialogo – al primo posto – Empatia, Spirito di humour e chissà quante altre sfaccettature di un carisma in cui la perfezione è un cammino, e non un fine. E dove la novità e la sorpresa dell’altro sono di casa. Per dialogare bisogna trovarsi in tre. Non solamente a due, in comunità. Lo vedo qui e altrove. Il dialogo a due arriva spesso a un binario morto. Ognuno rischia di restare seduto, anzi paralizzato sulle proprie posizioni. La presenza di un terzo missionario, anche solamente per fare comunità, sarebbe particolarmente salutare. Sorge per incanto, tra l’altro, il senso di bene comune, e non quello dell’ognuno per sé. L’anno del Dialogo dovrebbe anche stimolare incontri e formazioni per l’area europea, arenata in secche preoccupanti, da qualche tempo. Le nostre diocesi o servizi pastorali vari, invece, si sono lanciati nel dialogo a distanza via ZOOM, che si rivela una realtà sorprendente. Lanciati alla grande. E poi, il tempo per dialogare. La cultura zulu ha messo in campo una tecnica chiamata indaba, il parlare su un argomento spinoso, e questo per ore e ore. Riprendendolo in volte successive. Perché lo scopo è arrivare a un punto di incontro, mai a una rottura. Ricordo come il sinodo dei vescovi anglicani, che si riunisce ogni dieci anni, tempo fa avesse adottato proprio la tecnica zulu dell’indaba per le sue discussioni più ardue. Da noi invece quando si profila il tempo dell'incontro, dello scambio e del dialogo: «Ma il sorriso dov'é mai ti é scappato?» mi é sfuggito l’ultima volta, vedendo volti tesi, già in anticipo, per questo tempo di scambio. Per dialogare bisogna sapersi svuotare. Lo faccio fare ai ragazzi a scuola, per introdurli in una dinamica interculturale. Quando chiedo di farmi tutti un vero bel respiro e subito, con la faccia rossa, si riempiono i polmoni per poi sbuffare. No, è proprio il contrario. In Estremo Oriente – dove si é affinata una plurimillenaria sapienza del respiro – si comincia per svuotarsi il più possibile. Il primo movimento è la kenosi. E preciso loro che una persona piena di sé non avrà nulla da accogliere, nulla da ascoltare dagli altri. Nessun dialogo. Svuotarsi di sé: grande lezione a livello fisico, psichico e spirituale. «Deve solo sciogliersi un po’» mi confidava qualcuno che lo conosceva bene, parlando del nuovo parroco. Serio, preciso, pedagogo. Ma troppo ingessato, inquadrato. Coltivare allora lo spirito di humour, soprattutto su sé stessi. L’arte del relativizzarsi, di non prendersi troppo sul serio. E la trovo una dote squisitamente scalabriniana, aiuta il dialogo. E, per questo, da parte mia, a volte, con la fisarmonica mi faccio artista di strada. Paradossale, ma attraverso la musica faccio vivere la Fratelli tutti! e un bel senso di comunione... in fondo tutte ottime vitamine per il dialogo. (p. Renato Zilio - Direttore Migrantes Marche)  

Operatori pastorali Migrantes: anche noi “consumiamo le suole delle scarpe”

12 Febbraio 2021 - Roma - Mettersi in marcia, raccontare vedendo e consumando le suole delle scarpe. Il 23 gennaio scorso, vigilia della Festa di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, Papa Francesco ha reso noto il Messaggio per la prossima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali che si celebrerà il 16 maggio. Proprio a gennaio sono iniziati in Germania i festeggiamenti per i primi 70 anni del mensile delle Missioni Cattoliche Italiane in Germania e Scandinava “Corriere d’Italia” nato per gli italiani emigrati in Germania e nel nord Europa “accompagnandoli e sostenendoli nel loro spesso difficile cammino”, come si legge nell’editoriale del primo numero di questo 2021 a firma di Licia Linardi. Il giornale è nato nel 1951 sotto la guida di don Aldo Casadei da una idea di don Vincenzo Mecheroni, con il nome “La Squilla” diventato poi, 13 anni dopo “Corriere d’Italia”. Ciò che scrive Papa Francesco nel Messaggio per la prossima Giornata mondiale delle comunicazioni sociali: “venire e vedere”, è quanto ogni sacerdote che accompagna gli italiani in emigrazione svolge nella sua attività, “nell’andare verso le pecorelle a lui affidate”, spiega don Pierluigi Vignola, parroco della Missione Cattolica Italiana d Amburgo. “Proprio perché – prosegue – aprirsi all’incontro verso l’altro, il nostro prossimo, è quanto richiesto dal Signore Gesù ad ognuno di noi, ad ogni buon cristiano, ma soprattutto a chi si è posto in modo particolare al suo servizio”. Maggiormente in questo “tempo particolare per tutti noi”, il “condividere” del Papa “mi ha riportato alla mente la richiesta di compartecipazione rivoltami dai tanti che si trovano a dover affrontare bisogni e necessità che non sempre lo Stato riesce a soddisfare. Esserci, ascoltare, aver incrociato i loro volti ha significato già molto per queste persone”. Il “consumare le suole delle scarpe”, è “quel saper andare incontro ed alla ricerca di fratelli e sorelle più bisognosi e che mi incoraggiano ad andare avanti senza sosta, sapendo che con noi ci sta sempre il Signore che veglia e ci accompagna in questo cammino”. Il Messaggio del pontefice coinvolge non solo i giornalisti della carta stampata, ma anche coloro che sono impegnati nei nuovi mezzi di comunicazione, evidenzia il direttore del giornale di Buenos Aires “Voce d’Italia”, padre Sante Cervellin: “si tratta di coniugare contenuto e forma di espressione; se si esagera in uno di questi poli c’è il pericolo di limitare il messaggio o di renderlo banale”. Il “comunicatore oggi dovrebbe fare testo perché, come suggerisce papa Francesco è andato alla ricerca della verità”. Il “venire e vedere” può “diventare il metodo di ogni autentica comunicazione umana, perché si basa sulla vita concreta delle persone e sulla verità delle cose”, spiega don Saverio Viola, parroco della Missione Cattolica Italiana di Solothurn, in Svizzera: “ogni informazione per essere espressione comunicativa chiara e sincera, non può essere confezionata lontano dalla realtà, stando seduti sul posto di lavoro, in redazione e davanti al computer. È necessario uscire per strada, consumare le suole delle scarpe, incontrare le persone e raccontare i loro vissuti”. Il sacerdote spiega che in questo tempo, per colmare il senso di vuoto relazionale e farsi sentire prossimi, “anche noi abbiamo sperimentato l’efficacia comunicativa dei media: ponti virtuali per restare in contatto con le nostre comunità. E senza dubbio la rete si è rivelata uno strumento formidabile, che avvicina le persone e le rende presenti, ma è pur sempre un incontro virtuale”. Talvolta “il rischio di un appiattimento in ‘giornali fotocopia’”, come scrive il Papa è “concreto, la narrazione dei fatti diventa asfittica e autoreferenziale, riuscendo sempre meno ‘a intercettare la verità delle cose e la vita concreta delle persone’”, dice Domenico Pellegrino, volontario dell’Ufficio Migrantes di Messina-Lipari-Santa Lucia del Mela: “perché, qualunque sia la prospettiva che si vuole assumere, prima che informazione di fatti è sempre informazione di storie, di vite, di volti”. “Vieni e vedi”: il messaggio di Papa Francesco è “esattamente la maniera con cui la fede cristiana si esprime”, dice don Geremia Acri, direttore dell’Ufficio Migrantes e dell’Ufficio Comunicazioni Sociali della diocesi di Andria. L’invito a “consumare le suole delle scarpe” è “una risposta reale al contrasto dell’appiattimento in cui giornali fotocopia o notiziari tv e siti web stanno cadendo a causa della troppa sovraesposizione ad input che anestetizzano il lettore e non fanno altro che contribuire alla diseducazione delle coscienze. Bisogna invece incontrare le persone, cercare storie che meritano di essere raccontate per formare lettori critici per stimolare dibattiti sani”. Le storie “passano anche attraverso i progetti sociali (la sartoria, l’orto, il ristorante sociale) sostenuti dalla nostra comunità “MigrantesLiberi”; sono storie tangibili i cui racconti vogliono ‘contagiare’ tutti coloro che possono contribuire a fare del bene, ad essere parte attiva di una comunità che sa aiutare”: “non c’è vaccino per formare giornalisti coscienziosi e affamati di verità, ma c’è una cura: essere dalla parte dell’altro”. Papa Francesco ha ricordato queste “sapienti parole” di S. Agostino: “Nelle nostre mani ci sono i libri sacri, ma nei nostri occhi i fatti”. “E ciò – dice p. Renato Zilio, direttore dell’Ufficio Migrantes delle Marche – mi fa ricordare padre Mario, missionario in Francia, e gli incontri biblici che organizzava alla sera con i nostri emigrati italiani. Era leggere, commentare e lasciar emergere ciò che essi stessi stavano scrivendo con la loro vita”.      

Migrantes, Caritas e Missio Marche: appello per i profughi in Bosnia-Erzegovina

4 Febbraio 2021 - Ancona -  La Commissione regionale Migrantes, le Caritas diocesane e la Commissione regionale Missio delle Marche  esprimono "preoccupazione e attenzione per le condizioni dei migranti, che cercano di arrivare in Europa senza possibilità di accedere a vie legali di ingresso". Nelle Marche - si legge in una nota diffusa dai tre organismi pastorali - si venera a Loreto, con una speciale devozione, la Santa Casa di Nazareth. La casa di Maria - scrivono - è «l’icona dell’aspirazione più profonda dell’essere umano di trovare casa. Di sentirsi a casa. Di essere accolto in una casa. Essa suggerisce quell’imperativo etico di dare ospitalità, di dare una casa a una umanità lacerata da conflitti e da difficoltà impensabili, costretta a fuggire, e respinta proprio alle nostre porte». I tre uffici pastorali fanno proprio l'appello della Caritas Italiana in collaborazione con altre realtà non profit presenti sul posto in Bosnia Erzegovina e lungo la Rotta balcanica e chiedono «di sostenere le raccolte fondidestinate all’acquisto direttamente presso le comunità di cibo e di abbigliamento invernale (scarpe, giacche a vento, sciarpe, cappelli) e soprattutto di legna da ardere» e di di «informarsi ed informare. È molto importante - sottolinea la nota dei tre uffici delle Marche -  «conoscere quello che sta succedendo lungo la Rotta Balcanica, quali sono le difficili condizioni di accoglienza in Bosnia e Erzegovina, ed è fondamentale divulgarlo coinvolgendo amici, parenti e conoscent». E la raccomandazione a «non avviare raccolte di beni materiali dall’Italia. Tutti i prodotti necessari sono acquistabili direttamente in loco. In questo modo si evitano i tempi del trasporto e la difficoltà per gli operatori di dover gestire i prodotti all’interno di una situazione già critica». Per questo ricordano a tutti che attualmente è attiva una raccolta fondi, attraverso cui tutti i beni necessari, verranno acquistati direttamente sul territorio, in modo da rispondere tempestivamente alle necessità reali e andando a sostenere anche il sistema economico locale, già fortemente provato». (R.Iaria)

Migrantes Marche: il viaggio in Marocco alla luce del “Vieni e Vedi”

29 Gennaio 2021 - Loreto - «Vieni e vedi» ci sembrava dicessero i quasi 11.000 marocchini presenti delle Marche. Sì, la loro terra, ricordando quel proverbio arabo «Se vuoi conoscere un amico, entra a casa sua». Così, proprio poco prima della pandemia, siamo partiti come Migrantes Marche per il Marocco. Papa Francesco sottolinea nel Messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali: «Nulla sostituisce il vedere di persona». Come il vedere l’atelier di tappeti delle suore francescane a Midelt dove lavorava una cooperativa di un centinaio di donne musulmane. Ma il vero lavoro di tessitura sono loro stessi a farlo, le persone, nei loro incontri e nell’apertura reciproca. Uomini e donne di cultura, di sensibilità e di religione differenti ed è un miracolo quotidiano. «La bellezza di un tappeto» ricorda qui un proverbio, «viene dalla varietà dei suoi colori!». Come il vedere la Chiesa nel Maghreb nei volti di tante religiose, di sacerdoti e di collaboratori: il loro senso della lotta e della speranza lo trovavamo semplicemente grandioso. Lo vivono in mezzo a questo popolo musulmano. Ma anche il senso della loro preghiera, radicato nella vita che fanno. Ed è come una forza identitaria che li sostiene. Straordinaria. Si riconoscono discepoli del Signore nella terra del Profeta. D’altronde amano, si vogliono bene, perché pregano bene; lo vediamo con i nostri occhi ogni giorno, in ogni comunità. La preghiera, infatti, è intensa, interiore, concreta: porta gli avvenimenti della vita di qui con gli incontri paradossali, profondi, trasformanti che i cristiani vivono. Così, li vedi spessissimo in silenzio, immobili sulla stuoia. Sembra dicano all’unisono con questo popolo: Solo Dio è grande! Superba lezione di umiltà. Solo Dio è grande e chi lo sa incontrare! L’altro giorno, mentre una piazza di Rabat verso sera era affollata da tantissima gente in turbante e lunga djellaba marrone, si scatenava l’appello alla preghiera da tutte le moschee della città. Pareva una strana e grandiosa sinfonia. Contesto originale, la città musulmana è un grande monastero. Il tempo è scandito dai cinque appelli alla preghiera e ogni gesto, ogni istante, ogni saluto è impastato di fede. «Hanno sempre il nome di Dio sulle labbra!», ci ricordava qualcuno. Guardavamo un monaco di Tibhirine, mentre prendeva il tè con gli operai musulmani del monastero. «È la mia seconda eucaristia», ci soffiava in un orecchio, con devozione. Vedendo, per mezzo di un semplice pezzo di pane e del tè, quale senso di comunione respira con queste persone e con tutto un popolo, con il quale condivide le sorti non stentiamo a credergli... E rimaniamo ammirati di una così grande spiritualità dell’incontro. E risuonano le parole del vescovo di qui «Parlare meno dei musulmani, parlare di più con i musulmani. Parlare meno di Dio, parlare di più con Dio!» Nulla vale quanto l’incontro. (p. Renato Zilio  Migrantes Marche)

 

Migrantes Marche: il Natale si fa invito alla frontiera

23 Dicembre 2020 -
Loreto - Natale. È tempo che sa di intimità e del suo calore. Parla di prossimità. Festa dall’aspetto ovattato, magico, si snoda in un clima di musica, di canto e di poesia. Ma all’origine non era così. Anzi, il contrario. Aveva il gusto amaro della frontiera e delle sue sfide. Un Natale alla frontiera dell’accoglienza che si faceva rifiuto. Della lontananza dalla propria terra che diventava esilio. Alla frontiera degli uomini e del loro mondo, per farsi sosta tra pecore e animali. E ancora da un ambiente di casa trovare rifugio unicamente in una grotta. Contesto originale, per presentarsi agli uomini, da parte di Dio! Atteso dai secoli, da interminabili generazioni, da infiniti sospiri di profeti ecco il volto di un Salvatore. Nel cuore della notte, a Betlemme, è nato ancora un agnello. L’Agnello di Dio. Per questo il Natale si fa invito alla frontiera. Ad andare al di là dei nostri ritmi e abitudini. Ad incontrare Dio attraverso le due categorie che preferisce: il novum, cioè la novità. E l’alterità, l’altro, lo straniero. E sono i tratti di chi viene da altrove e da lontano. Con la memoria ciò mi fa andare al Natale di anni fa, tra italiani emigranti, a Bedford, in terra inglese. Alla messa di mezzanotte, il miracolo si compiva subito. All’arrivo di Antony, un fagottino di appena quattro settimane, che viene posto subito tra la paglia, sotto l’altare. Il gruppo di bambini della parrocchia canta imperturbabile  “Astro del ciel” , mentre lui strilla a contrappunto con tutte le sue energie. Una corale inedita. Per prendere, infine, sonno, dolcemente. Un’assemblea fittissima di vecchi emigrati italiani, specialmente dal Sud, guarda, ammira e pensa forse a quanto ha pianto essa stessa per poter rinascere qui in terra straniera. Ricostruire la propria vita tra mille e una difficoltà. Anche se qui, nel mondo inglese, a differenza che da noi, freedom, la libertà di fare, di intraprendere, di lanciarsi è senz’altro impareggiabile, anzi unica. Senso di un popolo di mare, dall’intraprendenza e dagli orizzonti aperti. “Sono venuti moltissimi da un ambiente mafioso e povero” mi soffiava Padre Mario, il parroco, un giovanile ottantenne, parlando dei nostri “ma qui hanno dovuto rimboccarsi le maniche, credere in stessi, camminare da soli. Sono stati ammirevoli!” Accanto al presepio, l’albero di Natale si illumina grandioso, come in tutte le chiese inglesi. Ma avverti, altrettanto grandioso, un forte senso di comunità, di radici comuni e di italianità. Un popolo che camminava nelle tenebre e che veniva da lontano, si era messo un duro giorno in viaggio… Come Maria e Giuseppe. È il loro, forse, il Natale più vero, autentico. Al posto di chi non si è mai mosso dalla sua terra. Non potrà mai capire questo bambino nato lontano da casa. Da una famiglia in cammino, sprovvista di tutto e sperduta. Una nascita che sconvolge le frontiere, dall’Oriente dei re magi alla fuga forzata in Egitto. Come sempre, Dio lo si incontra, solo quando ci si mette in cammino. E lo sento, in fondo, come un invito potente per tutti – specie per chi è rimasto ancorato alla propria terra – a costruire comunità. Ad accogliere novità e alterità. Ad uscire dal nostro piccolo mondo antico. A formare un popolo unico con coloro che camminano. A inseguire insieme la luminosità di una stella, cioè valori grandi e comuni come dignità, fratellanza, compassione, empatia. In una calligrafia da bambino, qui sotto l’albero di Natale di una chiesa inglese, una frase di Susanna Tamaro: “Dobbiamo camminare per costruire un mondo non più fondato sul giudizio e il pregiudizio, ma l’umiltà e la comprensione”. Buon Natale! (p.Renato Zilio - Direttore Migrantes Marche)

A Natale, la tua missione

7 Dicembre 2020 - Loreto - Davanti a un presepio, lo sguardo di un bambino ti pone di fronte a te stesso.  E ti ricorda che ogni vita umana è una missione. Una missione di Dio. Da quando sei nato, si introduce in te come una voce misteriosa, interiore. Una voce che ti incanta e ripetendo il tuo nome “Vivi e fa’ vivere!” ti implora. Sì, perché è il Dio della vita che ti chiama e ti invia. È il Dio della creatività, della bellezza, della misericordia, della gioia, della grandezza d’animo, della parola vera e sincera che parla a te.  Altre voci, per quanto seducenti, non sono la sua. Ti chiama a essere te stesso, interamente te stesso: il meglio di te. Come sementi di un mondo nuovo ha seminato in te il coraggio, il desiderio di amare, lo humour, la compassione, la forza d’animo… Ogni dono che possiedi dovrà servire a costruire. Non a distruggere. Costruire, così, una famiglia, una persona che ami o la comunità dove vivi. Non ad abbatterle… Perché è il Dio della comunione che ti invia, il Dio della condivisione. Ti chiama a essere grande, a saperti fare in quattro, in cento, per far vivere l’altro. O far vivere un progetto, un ideale che condividi con altri. È il Dio della felicità che ti chiama a vivere. Sì, ti chiede di essere felice di quello che sei, di quello che hai. Ma, soprattutto, di rendere felici le persone con cui vivi. Ti chiama a fiorire proprio là, dove sei piantato, in una vita di famiglia, di comunità o di coppia. A prendere cura di ogni essere a te affidato. A prenderti cura di te. Ti chiama a fiorire, ma anche a lottare: l’uno non va mai senza l’altro. Lottare, così, contro le ingiustizie quotidiane, le esclusioni, l’indifferenza, le dimenticanze dell’altro e della sua dignità. Lottare contro il pensare ognuno per il proprio interesse o le proprie ambizioni. Sono questi, infatti, gli ostacoli sul tuo cammino: essi impediscono che il luogo dove tu vivi sia umano. Sano. Fraterno. E tutto questo in nome del tuo Dio, nato bambino. Colui dalle cui mani sei uscito, un giorno, inviato nel mondo, e alle quali, un altro bel giorno, ritornerai. Chiamato, così, teneramente con il tuo nome, che tanti hanno pronunciato con indifferenza. Qualcuno con amore. Come oggi, in un presepio, un essere appena nato. Ed è Natale. (p. Renato Zilio – Direttore Migrantes Marche )  

Migrantes Marche: una preghiera per l’Avvento

30 Novembre 2020 - Insegnaci Signore a condividere il nostro pane, il pane bianco dei nostri sogni, il pane nero dei nostri limiti, il pane bello dei nostri doni, il pane duro delle sconfitte, e il pane forte della speranza. Con ogni essere umano sulla terra, insegnaci, o Padre, a condividere da fratelli. Signore Gesù, Tu che hai superato ogni frontiera, della vita o della morte, dell’odio o dell’amore, donaci la forza di superare le nostre barriere, le frontiere dei nostri egoismi o delle nostre terre chiuse, delle nostre solitudini o delle nostre infinite paure. Insegnaci ad ascoltare l’altro e la sua fragilità, ad accogliere il suo mistero e i suoi valori differenti, la sua storia e i suoi veri sentimenti, a camminare con lui, ormai, per sentieri nuovi. Insegnaci a vivere del tuo Spirito, o Signore, spirito di servizio e di ospitalità, spirito di apertura e di unità, spirito di riconciliazione e di pace. Liberaci, o Signore, da noi stessi. E insegnaci a vivere insieme di nuovi cieli e di terre nuove. (p. Renato Zilio)    

Migrantes Marche : domenica scorsa il giubileo dei migranti a Loreto

16 Ottobre 2020 - Loreto - Domenica 11 ottobre, a Loreto. Il virus spaventa, la pioggia disturba, la gente in una giornata grigia arriva timidamente, poco alla volta... É il «giubileo dei migranti». Tutto sembra scoraggiare... Il pullman dalla Romagna carico di badanti rumene, all’ultimo istante, non verrà! Quando, come d'improvviso, l’enorme gruppo di nigeriani da Jesi accende l'entusiasmo. Donne, uomini, bambini dalla pelle nera e dagli abiti coloratissimi, gente che si sente ormai marchigiana di adozione. Così, con le loro musiche e ritmi fanno vibrare di emozione le austere pareti della basilica della Santa Casa di Loreto. Trascinano come in un vortice altri - migranti e italiani presenti - in un crescendo di energie e sonorità. É il miracolo dell’Africa. Kika, dalla voce potente e calda, gli uomini dai tamburi e strumenti a percussione più disparati, i bambini africani con un festoso agitare di bandiere di ogni nazione. Quasi fosse il loro futuro in questa terra. Multicolore. Sì, il nostro domani… Un giovane cappuccino del Benin, Janvier, animatore della giornata, ringrazia commosso. « Mi avete fatto ritrovare i ritmi della mia terra !» esclama, tra sorpresa e emozione. È lui che spiega la Bibbia come un continuo narrare di migrazioni infinite: da Abramo ai patriarchi, dai profeti fino all’Egitto di Giuseppe, di Maria e Gesù. Costretti a fuggire. Come milioni di uomini d’oggi. Tragedie che nella storia non terminano mai e si tingono insieme di speranza e di disperazione… Segue, poi, « la danza del pane ». Un grande, enorme pane con una bella croce sopra, fragrante e dorato, vola con eleganza sopra le teste trasportato da Hillary, giovane nigeriana, danzando e ondulando nell’aria, dolcemente, come un bambino appena nato. Il pane, si sa, va sempre spezzato. Come la vita di un emigrante, che dovrà spezzare affetti, relazioni, abitudini, lingua e tradizioni sue. Per nutrire altri e la terra dove vivrà. Dura, grande lezione, questa: imparare a spezzare la vita come il pane. « Quel pane siamo noi ! » sembrano dire centinaia di occhi sospesi a questa magica danza, accompagnata da una commossa corale africana. Stefano, della « Fondazione Papa Giovanni XXIII » di don Oreste Benzi, presenta, poi, il progetto di liberazione di una donna, presa nella tratta. Sono tutte immigrate e sfruttate per il mercato avvilente del sesso. Ogni emigrante mette oggi un solo euro nei contenitori di raccolta, come « l'obolo della vedova ». Il raccolto è eccezionale, più di 500 euro. Sì, giubileo è liberare gli oppressi. È dare libertà a chi ha una vita misera e maledetta. La Messa giubilare è celebrata dall’arcivescovo di Loreto Mons. Fabio Dal Cin. Nell'omelia ricorda che nella Chiesa si è tutti fratelli, non appartenenti a nessuna etnia o nazione e che i migranti non sono numeri, cifre o statistiche. Sono persone. Non insidiano le nostre sicurezze. Ma fuggono da guerra, miseria, assenza di futuro. Cercano una vita migliore, meno indegna da vivere. Con tutte le forze dell’anima cercano fratellanza. All'uscita, dei pellegrini italiani presenti alla celebrazione giubilare si lasciano sfuggire : «La messa africana ? Fantastica !» Bernard, rappresentante dei Nigeriani, visibilmente felice, vi dirà «Ma, oggi, più felice di tutti è Dio ! » Aggiungendo, con i suoi neri occhi ridenti: « E Maria, che siamo venuti a trovare proprio a casa sua!" Don Alberto BALDUCCI Direttore Migrantes -  Jesi