Tag: Immigrati e rifugiati

Viminale: 4.737 le persone migranti arrivati in Italia

25 Maggio 2020 - Roma - Sono finora 4.737 le persone migranti sbarcate sulle coste italiane da inizio anno. Il dato è stato diffuso dal ministero degli Interni, considerati gli sbarchi rilevati entro le 8 di questa mattina. Degli oltre 4.700 migranti sbarcati in Italia nel 2020, 830 sono di nazionalità bengalese (18%), sulla base di quanto dichiarato al momento dello sbarco; gli altri provengono da Costa d’Avorio (663, 14%), Tunisia (439, 9%), Sudan (390, 8%), Algeria (330, 7%), Marocco (309, 7%), Guinea (212, 4%), Somalia (211, 4%), Mali (165, 4%), Egitto (88, 2%) a cui si aggiungono 1.100 persone (23%) provenienti da altri Stati o per le quali è ancora in corso la procedura di identificazione. Fino ad oggi sono stati 767 i minori stranieri non accompagnati ad aver raggiunto il nostro Paese via mare.  

Card. Montenegro: i migranti sono persone non numeri

25 Maggio 2020 - Agrigento - “Non possiamo scegliere, siamo obbligati ad accogliere ed amare. In gioco è la credibilità della nostra fede. Se siamo credenti il Vangelo non ci lascia spazi, ma ci schiera”. Lo dice a Vatican News l’ arcivescovo di Agrigento, il card. Francesco Montenegro all'indomani dell'arrivo sulle coste siciliane di almeno 70 persone. “Davanti ad un uomo che soffre non posso dire che domani cercherò di aiutarlo, altrimenti anche come credenti usciamo sconfitti. Ci siamo lasciati abbindolare dal politico che dice di cercare il bene della propria nazione, ma non so come lo si possa cercare chiudendola”, sottolinea. Per il porporato, che è stato anche presidente di Caritas Italiana e della Fondazione Migrantes, si continua a “fingere” che tutto questo sia un'emergenza: “ci fa comodo. Il gioco è pericoloso perché l'emergenza è l'acqua che ti do se hai sete, l'accoglienza è aiutarti a vivere. Preferisco dissetarti, ma non mi interessa se continuerai a vivere o no”. In questo periodo, spiega il card. Montenegro, “il mare è calmo, queste persone continueranno ad arrivare”: è importante ripetere come “per i cristiani sia essenziale ricordare che queste persone sono esseri umani, non numeri”.

Migrantes Capua: con la forza della fede e la vicinanza del Papa

25 Maggio 2020 - Capua - Quella di Capua non è una grande diocesi, ma ha un territorio, che dalla collina al mare, attraversa realtà diversissime per densità di abitanti, situazione socio economica, concentrazione di immigrati e criminalità. L’emergenza sanitaria da Covid 19 ha enfatizzato pregresse situazioni di precarietà economica, di sfiducia nelle istituzioni, di solitudine sociale, di immigrazione irregolare ed emarginata, soprattutto in certe aree del nostro territorio, come Castel Volturno, dove la presenza dei migranti è più marcata e problematica facendo la differenza sul modo di esserci e di servire. Non v’è dubbio, infatti, che la cultura della categorizzazione dell’“altro”, come capro espiatorio delle disuguaglianze, si è manifestata in tutta la sua drammaticità anche e soprattutto in tempo di pandemia. Per questo motivo, accanto agli aiuti di natura assistenziale, attuati in collaborazione con Caritas ed altre associazioni laiche, il nostro impegno si è particolarmente concentrato nell’opera di accompagnamento spirituale, orientamento e informazione. Lo si è fatto nella consapevolezza, che pur nelle circostanze più disperate, si può sempre far leva sul patrimonio spirituale delle persone, specialmente delle persone migranti, che se adeguatamente sostenuto e vivificato, è la risorsa principale per superare ogni sfida. In tutto questo la testimonianza del Papa è stata una fonte di ispirazione fondamentale. Un riferimento spirituale che presto si è trasformato anche in una inaspettata e prodigiosa vicinanza materiale. Non appena, infatti, il Comitato composto da varie espressioni del mondo ecclesiale e associativo, ha lanciato l’appello alla solidarietà con la raccolta di fondi per “Castel Volturno Solidale”, il suo grido è arrivato immediatamente al cuore del Cardinal Krajewski, che a nome di Papa Francesco, ha inviato un contributo di 20.000 euro. Forti di questo aiuto così significativo e fiduciosi in quel “rapporto privilegiato” che ci ha reso sempre credibili, abbiamo collaborato in modo determinante ad una serie di iniziative tese a far sentire la costante vicinanza della Chiesa perché nessuno si sentisse “solo nella tempesta” (richiedenti asilo, lavoratori della terra, senza fissa dimora, rom, domiciliati). Nella prima ora dell’emergenza l’obiettivo principale è stato quello di dare le giuste informazioni perchè i messaggi che arrivavano dalle istituzioni potessero essere ben compresi dalla popolazione immigrata, evitando il rischio di creare solo panico o confusione. Per far questo è stato immediatamente attivato un call-center, in inglese e francese, aperto tutti i giorni e pubblicizzato attraverso uno speakeraggio effettuato a giorni alterni nelle lingue parlate nel territorio. La presenza del furgoncino con gli altoparlanti per l’informazione sanitaria e l’indicazione dei servizi posti in essere, ha tranquillizzato molto le persone e predisposte all’aiuto; come una scialuppa di salvataggio in mezzo ad un mare di inquietudine, i volontari hanno attraversato avanti e indietro le infinite vie e viuzze dei quartieri abitati dagli immigrati e dalle famiglie più povere. Oltre a ciò abbiamo iniziato a trasmettere attraverso i nostri canali Facebook, la S.Messa in inglese celebrata dai padri comboniani nella chiesa Santa Maria dell’Aiuto all’interno del Centro Fernandes, struttura di accoglienza e servizi per immigrati gestita dalla Migrantes. In essa, i fedeli cattolici erano invitati a vivere in comunione con tutti i credenti delle altre confessioni religiose perché la Fede potesse essere uno strumento per superare la crisi attuale, ma soprattutto per costruire una cultura di convivenza e di pace universale. A tale scopo abbiamo promosso, insieme alle parrocchie ed ai missionari, un incontro di preghiera comune con i pastori delle numerose chiese pentecostali africane e l’Imam per unire le forze di ogni specifico patrimonio umano e spirituale. Questo molto prima della bella iniziative del Papa realizzatasi a livello mondiale il 14 maggio. Essere in sintonia con il Papa ha reso ogni nostro sforzo più leggero gratificante. La sfida non è ancora finita, ma possiamo dire con certezza e speranza che il Signore non ci abbandona e sulla Sua parola continueremo fiduciosi a gettare le nostre povere reti.

Migranti: nuovi sbarchi, in 400 nell’Agrigentino

25 Maggio 2020 - Lampedusa - Circa 400 migranti sono sbarcati sulla battigia di Palma di Montechiaro, nell’Agrigentino. Una nave madre li avrebbe lasciati a pochi metri dall’arenile, prima di riprendere il largo. Polizia e carabinieri stanno rastrellando l’area e un elicottero si è levato in volo. I migranti sbarcati a piccoli gruppi, sono in fuga lungo le strade e le campagne. Tanti si sono riversati sulla statale 115, in direzione Agrigento. Chiedono acqua agli automobilisti in transito e di salire a bordo delle auto. Almeno tre le motovedette della Guardia costiera impegnate nella ricerca della nave madre. Polizia, carabinieri e militari della Capitaneria di porto stanno setacciando – fra strade e campagne – tutta l’area prossima al luogo dello sbarco.

Aprirsi all’altro: una lezione continua…  

22 Maggio 2020 - Ancona - “A cosa serve il Vangelo, se perde il suo sapore?”. Ho imparato dalla vita, grande maestra in questo, che oltre l’emergenza c’è la quotidianità. Ed è lì che ci giochiamo la nostra credibilità. Se il COVID19 non ci ha fatto entrare nella stessa barca, se non abbiamo capito che solo insieme ci salveremo o periremo, allora forse non abbiamo ancora toccato il fondo… Nel tempo della lockdown ho potuto continuare ad insegnare italiano col metodo Penny Wirton a Katarina, giovane russa, laureata in lingue, emigrata da gennaio in provincia di Ancona. Le nostre lezioni quotidiane online ci hanno permesso di entrare nelle rispettive e differenti culture, di far crescere la nostra relazione. Quando potrà riaprire la scuola, anche lei verrà ad insegnare ai migranti. Promessa ammirevole di reciprocità. Da Domenica delle Palme, invece, ho potuto animare l’intima eucarestia domenicale: il parroco e altre tre persone, in tutto. Così, ho ritrovato Ubaldo, una persona senza fissa dimora, che conosco da almeno vent’ anni. Sempre su e giù per le strutture di accoglienza con lo zaino in spalla. L’ho trovato fisicamente migliorato, ma quando gli ho chiesto se stava pensando di fermarsi, di vivere in una casa, avere degli amici: “Io sono un uccello libero, - mi ha risposto deciso - quando tutto tornerà come prima, riprenderò il mio viaggio.” Riflettevo, così, tra me e me. Non ci è permesso sapere quale è il bene degli altri. Possiamo solo camminare insieme, per alcuni tratti di strada, senza voler capire o cambiare ad ogni costo le situazioni. Come sempre, il mistero ci accompagna… Una cosa, però, mi sembra certa: “Quello che è buono per me, lo è anche per ogni uomo della terra.” Su questo bisogna continuare a lavorare anche a livello culturale, per trasformare le mentalità. Mi colpiva recentemente l’affermazione dello psichiatra Andreoli : “Abbiamo delirato sull’Io. Dobbiamo ora delirare sul noi”.  Questo processo culturale si rivela urgente anche dentro la Chiesa. Penso a due famiglie di migranti che ho seguito per vari anni, partite di recente in Germania: una della Georgia, Asoev, l’altra del Camerun, Leumere Leumegni. Fin dall’inizio della pandemia ci chiamavano continuamente per informarsi della nostra salute e invitarci a restare in casa. Poi anche loro hanno dovuto fare i conti con questo, e ringrazio il cielo che oggi vivono in Germania. In queste relazioni, in questi collegamenti whatsapp si dimostra uno strumento formidabile. In tempo reale si hanno informazioni fresche da ogni parte del mondo e spesso i racconti degli amici sono diversi da quelli delle TV ufficiali. Questa interconnessione ci dimostra ogni giorno la bellezza e la ricchezza dei legami che abbiamo costruito. Sì, nel mondo dell’emigrazione. Di questo ho spesso ringraziato il Signore, in questo tempo di coronavirus.  

Annapia Saccomandi

Migrantes Ancona

Vescovi Calabria: regolarizzazione “segna un passo avanti”

22 Maggio 2020 - Catanzaro - La crisi dovuta alla pandemia, colpendo l’economia reale del Paese, ha fatto “riesplodere nodi cruciali e problematiche che si trascinano da anni”. Lo scrivono oggi, in una nota i vescovi calabresi evidenziando tra le problematiche quella della situazione dei braccianti agricoli, tra cui molti migranti, “sfruttati, calpestati nella loro dignità, vittime soprattutto del fenomeno del caporalato”. I vescovi calabresi intendono ancora una volta “alzare” la voce ed esprimere la “ferma condanna di tutte le situazioni di sfruttamento nella filiera agroalimentare e soprattutto del fenomeno del caporalato. Un male antico e sempre presente, magari sotto forme diverse nel tempo e – si legge nella nota -  spesso ignorato pur di non prendere la giusta posizione, la corretta scelta tra il bene e il male. Oltretutto il caporalato è nelle mani delle organizzazioni criminali, le quali utilizzano metodi mafiosi per il controllo del territorio. La nostra condanna del fenomeno è forte e netta”. In diverse circostanze i presuli hanno definito la mafia “l’antivangelo”, perché “nega la libertà e la verità che ci sono state consegnate dal mistero pasquale della risurrezione di Cristo Gesù. Un’autentica opera di conversione e di liberazione dei territori dalle mafie passa, quindi, pure dal superamento della piaga del caporalato, che rappresenta senza dubbio una delle vie di adorazione del male”, di cui ha parlato papa Francesco durante la sua visita a a Cassano all’Jonio nel 2014. Aver dato spazio ai migranti nel recente Decreto Rilancio, adottato dal Governo pochi giorni fa, per i vescovi della Calabria – “segna un passo avanti nella definizione della problematica, sotto il profilo della tutela della salute e della lotta all’illegalità. Limitazioni delle misure a determinate categorie, procedure non sempre semplificate e la breve durata dei permessi rendono evidenti la necessità di una svolta ancor più radicale, come testimonia del resto anche lo sciopero degli invisibili, indetto proprio per la giornata di oggi nei campi della Piana di Gioia Tauro”. “Resta – conclude la nota -  la fiduciosa speranza che il cammino intrapreso possa essere irreversibile, sostenuto in chiave locale dai segnali di attenzione lanciati anche dalla Regione, attraverso l’attivazione di progetti dedicati alla definizione dell’emergenza sanitaria e di quella abitativa”. Nella “consapevolezza inscalfibile che molto vi sia da fare per giungere ad una piena tutela dei diritti dei lavoratori, di tutti i lavoratori”, la Chiesa di Calabria ribadisce “la necessità dell’affermazione dei principi della dignità della persona umana e della sacralità del lavoro per liberare tanti uomini e donne dalla loro condizione di sostanziale schiavitù, condannando ogni forma di sfruttamento come attentato alla dignità dell’uomo, che, in quanto peccato sociale, grida vendetta al Cielo”.

R.Iaria

Tempo di coronavirus, tempo di miracoli…

21 Maggio 2020 - Porto Recanati – Porto Recanati. Anche in tempi di coronavirus, il tristo palazzone si stagliava alto e severo, quasi impassibile, imbottito di paraboliche e di stracci stesi. Accanto, il dolce profilo del mare Adriatico sembrava rassegnato di tale prossimità. Di tanta audacia. È il famoso Hotel House, definito dalla stampa locale “una vergogna nazionale”. Costruito fine anni ’60, sui bordi del mare come hotel estivo per turisti, i suoi sedici piani, con circa 500 appartamenti si sono riempiti ben presto di circa duemila immigrati di 40 nazionalità differenti.  Un ghetto verticale. Otto ascensori che non funzionano, l’acqua potabile portata già a suo tempo da un’autobotte, mucchi di immondezza in ogni dove. Un popolo acquartierato nel degrado. Unica nota di umanità, all’ottavo piano la presenza dell’ambulatorio del Dott. Francesco Paolo, che qui lavora come alla frontiera, e la vive come una vera missione. L’abbiamo visitato quasi per sostenere la sua presenza di resistente e la sua opera coraggiosa con il Direttore generale Migrantes, don Gianni de Robertis, giusto un anno fa. Malattie qui? le più varie, ma la peggiore la depressione delle donne. L’ambiente logora lo spirito. Fin tempo fa, anche un’associazione locale, la Tenda, era impegnata nell’animazione pomeridiana di un gruppo di bambini, in un paio di locali al pianoterra. Negli appartamenti, gli spazi già limitati, stanno ancora più stretti, in questi mesi di clausura generale. Impossibile per Fatima, ventenne, universitaria a Macerata, preparare gli esami, visto che l’unica stanza possibile è come “sequestrata” dal fratello maggiore. In questo difficile contesto, i giornali locali, settimane fa, uscivano a caratteri cubitali “Grandi pulizie all’Hotel House, mobilitate tutte le etnie”. Spiegando, in tempi di crisi sanitaria, che si era instaurato un “nuovo modo di vivere condiviso tra le etnie”. Qualcuno del posto la definisce perfino “una volta storica”, in una grande sinergia tra tutte le etnie presenti, con mascherine e, a volte, tute mimetiche. Vedere, così, senegalesi e pakistani lavorare insieme per prendersi cura del loro habitat è sembrato un vero miracolo. Veniva in mente quanto affermava anni fa una religiosa francese, suor Geneviève, di un enorme condominio degradato della banlieue parigina. Solo quando era riuscita – dopo mille tentativi e una montagna di pazienza – a convincere i giovani di quel condominio imbrattato e deprimente a dare essi stessi il colore e riqualificare le scale e i locali comuni, era successo qualcosa di strano. Come una rivoluzione indolore. Un nuovo clima di pulito, faceva respirare gli animi dei residenti un’aria di primavera. Sì, di umanità ritrovata. ( p. Renato Zilio - Delegato Migrantes Marche)

Natili Micheli (Cif): “pandemia ha spento i riflettori sul fenomeno migratorio che resta l’emergenza costante del nostro Paese”

21 Maggio 2020 -
Roma - “La pandemia ha spento i riflettori sul fenomeno migratorio che comunque non si ferma e resta l’emergenza costante del nostro Paese”. Così Renata Natili Micheli, presidente nazionale del Centro italiano femminile (Cif), secondo cui “occorre riaccendere l’attenzione su quello che accade ogni giorno sulle nostre coste”. “Il giovane, che ieri, gettandosi dalla nave Moby Zazà indossando un giubbotto di salvataggio, ha trovato la morte nel silenzio generale, non solo interpella la nostra coscienza civica, ma – sottolinea Natili Micheli – chiede ragione se la scelta politica operata di predisporre ‘navi quarantena’ rispetti le norme nazionali e internazionali sulle procedure finalizzate all’identificazione e alla eventuale richiesta di protezione”.

Viminale: 4444 i migranti arrivati in Italia nel 2020

21 Maggio 2020 -
Roma - Sono oltre 4000 le persone migranti sbarcate in Italia dall'inizio del 2020: esattamente, secondo il Ministero dell'Interno, 4444. Di questi  la maggioranza sono bengalesi (830, 19%). Seguono Costa d’Avorio (573, 13%), Sudan (390, 9%), Algeria (323, 7%), Marocco (309, 7%), Tunisia (270, 6%), Somalia (211, 5%), Guinea (206, 4%), Mali (162, 4%), Egitto (88, 2%) a cui si aggiungono 1.082 persone (24%) provenienti da altri Stati o per le quali è ancora in corso la procedura di identificazione. Fino ad oggi sono stati 752 i minori stranieri non accompagnati ad aver raggiunto il nostro Paese via mare.

Insegnare la lingua ai migranti attraverso la musica: dalla Sicilia arriva l’innovazione di Pomelo

21 Maggio 2020 - Roma - Migliorare l’integrazione dei giovani migranti con le comunità locali, promuovendo un percorso di valorizzazione multiculturale attraverso una metodologia innovativa basata sulla musica. Questo l’obiettivo principale del progetto europeo POMELO, lanciato online per la prima volta il 20 maggio per essere testato sul campo da educatori e giovani migranti in Italia, Repubblica Ceca, Grecia, Cipro e Polonia. Essendo notoriamente la musica un collettore di lingue e culture, POMELO nasce per migliorare metodologie e strumenti destinati a giovani e operatori sociali, organizzazioni giovanili, volontari e istruttori che lavorano con giovani locali e migranti, attraverso una forma diversa rispetto a quella dei tipici manuali teorici. Finalizzato ad eliminare barriere e pregiudizi e creare un ambiente che permetta a tutti di esprimersi connettendo lingua e cultura, il progetto offre materiali online gratuiti in grado di esplorare gli effetti della musica sulla coesione sociale. Quattro in particolare gli strumenti innovativi, semplici e divertenti, disponibili gratuitamente sul sito del progetto, in italiano, inglese, ceco, greco e polacco: una guida pratica di formazione per i lavoratori sociali su come servirsi della musica per stimolare i giovani ad esprimersi in dinamiche di gruppo; dei giochi musicali interattivi per i ragazzi, ambientati in diverse culture e tradizioni; un kit di formazione per giovani locali e migranti; una guida multimediale contenente un riepilogo del progetto e delle metodologie utilizzate. Un ruolo di prim’ordine nella realizzazione di POMELO, acronimo di “potere della voce, della melodia e della diversità”, è giocato da realtà siciliane. L’implementazione digitale degli strumenti online è stata infatti sviluppata dalla web agency Moka Adv, ramo aziendale della catanese P.M.F., protagonista della partnership internazionale insieme alla palermitana PRISM, a SAN - Università delle Scienze Sociali (Polonia), a MUS-E (Cipro), all’Autorità Regionale per l’Istruzione RDE-EMTh (Grecia) ed all’associazione PELICAN (Repubblica Ceca).

I “piccoli” aiuti cinesi all’Italia: una lettera ad “Avvenire” di don Cui, già coordinatore comunità cattolica cinese in Italia

21 Maggio 2020 -

Milano - Caro direttore, alla vigilia del capodanno cinese improvvisamente mi è giunta la notizia che un nuovo coronavirus stava provocando l’insorgere di un’epidemia. Senza aver ancora ricevuto disposizioni da parte di alcuno, ho immediatamente deciso di avvisare tutti i membri della mia famiglia e la mia cerchia di amici sui diversi social di interrompere i contatti interpersonali. Pochi giorni dopo le notizie hanno cominciato a susseguirsi in modo travolgente, una dopo l’altra, e ci hanno fatto comprendere la spaventosa gravità della diffusione del virus a Wuhan. Ma, come dice un nostro proverbio, «se in un luogo ci sono difficoltà, l’aiuto arriva da 8 direzioni», così sia gruppi e associazioni in Cina sia i cinesi in diaspora da tutto il mondo, alcuni Stati amici e persino il Vaticano, centro del cattolicesimo, hanno acquistato e inviato mascherine e indumenti protettivi per fornire assistenza di emergenza all’area più colpita di Wuhan.

Da parte mia, ho inviato un messaggio urgente a tutta la mia cerchia di amici e ai miei contatti tramite internet e solo con questo piccolo gruppo di persone ho raccolto in un giorno 12.633 yuan, che attraverso la diocesi di Baoding ho trasmesso alla Jinde Charities Foundation dello Hebei e donato all’area colpita di Wuhan: questo era tutto quello che potevamo fare con le nostre minime forze. L’Italia è per me come una seconda patria. Ho immediatamente preso contatto diretto con le tante comunità religiose che conosco in Italia e anche con persone singole, cercando di promuovere attivamente tra di loro le stesse efficaci misure adottate dal governo cinese. Purtroppo però era già tardi. Anche alcuni preti italiani che conosco erano già stati infettati e qualcuno è addirittura morto. Poi è arrivata la brutta notizia: anche in una comunità religiosa con cui ero molto familiare in Italia era stato riscontrato che alcuni membri avevano contratto il virus.

Non potendo occuparmi di così tante situazioni di emergenza, ho pensato di concentrarmi inizialmente ad aiutare questa comunità religiosa del Nord Italia, per procurare le mascherine protettive che erano loro urgentemente necessarie. Non si faceva in tempo a spedirle dalla Cina, così ho pensato di cercare l’aiuto di qualche amico imprenditore in Italia. Non appena ho scritto alla mia cerchia di contatti italiani, immediatamente ho cominciato a ricevere tante risposte e una donna cattolica cinese che vive a Roma mi disse che aveva lì più di 100 mascherine della migliore qualità. Ho poi chiesto ad alcune piccole imprese e a singole persone di spedire le mascherine suddivise in piccolo pacchi. Contemporaneamente avevo saputo che la Jinde Charities dello Hebei, attraverso la Croce Rossa italiana, stava preparando una grande quantità di forniture di soccorso per l’Italia e il Vaticano, e che le avrebbe spedite con voli charter, praticamente gli unici rimasti. Così ho cominciato a promuovere attivamente e incoraggiare i fedeli cattolici a fare donazioni alla Jinde Charities e in tanti hanno donato direttamente attraverso internet, spinti da spirito di solidarietà e carità cristiana.

Successivamente, una grande quantità di materiale spedito dal governo cinese, dalla Croce Rossa e dalla Jinde Charities è arrivato in Italia e molto di questo è stato portato in Vaticano e distribuito a diverse comunità religiose.Dopo aver ricevuto assistenza dalla Cina, anche il Vaticano ha ringraziato il governo e i diversi gruppi ecclesiali cinesi per il loro sostegno. Molte comunità religiose hanno inviato lettere di ringraziamento. Questa tipo di cooperazione internazionale di emergenza, sebbene sia avvenuta ora per la prima volta, ha accresciuto nell’avversità e nella sofferenza la nostra amicizia con l’Italia. Io sono solo uno tra i tanti che ha preso parte a quest’opera e ho fatto tutto il poco che mi era possibile fare, con le mie deboli forze.

don Pietro Cui Xingang

Centro Astalli: “aumenta esclusione sociale”

20 Maggio 2020 -   Roma - “In tutti i nostri servizi si sono fatti sentire gli effetti dell’entrata in vigore dei decreti sicurezza, non tanto sul numero delle persone che abbiamo assistito ma sulla loro vita che è divenuta sempre più precaria. In queste settimane di chiusura caratterizzate dallo slogan ‘Io resto a casa’ è diventato ancora più evidente che nel nostro Paese molte persone questa casa non ce l’hanno e tra questi molti migranti che abbiamo reso irregolari nel tempo, con le nostre politiche di esclusione che, invece di creare sicurezza, creano instabilità sociale”. Lo ha detto oggi padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, durante la presentazione via web del Rapporto annuale 2020 “Un anno di attività in favore di richiedenti asilo e rifugiati”. A seguito della crescente precarietà la struttura dei gesuiti ha registrato nel 2019 l’aumento del 29% di accessi al centro di ascolto. Secondo il Rapporto gli utenti che si sono rivolti al servizio sprovvisti di documenti validi sono notevolmente aumentati (+79%). Agli effetti dei decreti sicurezza si sono aggiunte le complicazioni dovute alle disposizioni della Questura, che non riconosce più come residenza valida l’indirizzo fittizio né per i richiedenti asilo né per i titolari di protezione umanitaria, che si ritrovano così sprovvisti di un requisito fondamentale per convertire il permesso di soggiorno in motivi di lavoro. Circa i due terzi delle persone che si sono rivolte all’ambulatorio nel 2019 non risulta iscritta al Servizio sanitario nazionale. La riduzione dei servizi sociali nei centri accoglienza straordinaria (Cas) ha reso più difficoltosa anche la cura delle vulnerabilità. Nei centri in convenzione con il Siproimi, rispetto all’anno precedente, il numero degli ospiti vulnerabili è salito in proporzione dal 30 al 40%. Nel 2019 si sono rivolti al Centro Astalli 20.000 persone migranti, di cui 11.000 a Roma (sono 7 le associazioni della rete). I volontari sono 617, gli operatori un centinaio. Sono stati distribuiti 56.475 pasti e accolte 835 persone, di cui a Roma 375. I beneficiari dei progetti realizzati sono stati 1.495. Gli studenti incontrati nell’ambito dei progetti “Finestre e Incontri” sono stati 25.679. Padre Ripamonti ha parlato anche del Decreto Rilancio che “aiuta la regolarizzazione per badanti, colf e braccianti: un primo passo in una direzione che restituisce dignità alle persone ma che non ci può bastare”. Il presidente del Centro Astalli ha ringraziato il Governo e ha incoraggiato “i ministri a continuare in questa direzione”. La legge sull’immigrazione, ha ricordato il sacerdote gesuita, “non è al passo con i tempi e quando si chiedono regolarizzazione e diritti emergono vecchie posizioni ideologiche che non rispecchiano quanto viviamo”. A questo proposito ha ricordato che il Centro Astalli è tra i promotori della legge di iniziativa popolare per il riordino della materia immigrazione, presentata nel 2017. “In più occasioni negli anni scorsi abbiamo ribadito la necessità di passare dall’emergenza alla programmazione – ha detto -, di considerare il fenomeno migratorio in termini strutturali e non emergenziali, di essere lungimiranti. L’emergenza sanitaria ha smascherato la direzione verso cui ci siamo incamminati. Il 2020 può diventare uno spartiacque se e solo se ripartiremo in una prospettiva di solidarietà”. P. Ripamonti ha sottolineato le criticità dei decreti sicurezza e lanciato l’allarme per la mancata integrazione: “La vera emergenza non sono gli arrivi ma i troppi che abbandoniamo”. In Italia nel 2019 sono sbarcate infatti poco più di 11mila persone. “Nonostante la pandemia ci abbia dimostrato che i confini non esistono – ha affermato – anche nel 2019 con arroganza abbiamo chiuso i porti costringendo donne, uomini e bambini in centri di detenzione in Libia, alla deriva in barche inadeguate e fuori dai porti, in attesa che si giocasse la partita del più forte, in un’Europa poco solidale, come si è mostrata a tratti anche in queste settimane di pandemia”. Anche i morti nel Mediterraneo (oltre 40 mila dal 2000) “sono paragonabili a quelli che hanno riempito di lacrime i nostri occhi nelle ultime settimane. Quanto dolore vederli andarsene soli. Soli come tanti migranti a cui noi Europa abbiamo reso difficile l’approdo”.

Card. Zenari:  “Italia ed Europa dimostrino reale e generosa solidarietà” verso i migranti

20 Maggio 2020 - Roma - Un augurio a tutti i migranti e i siriani “approdati in Italia e in Europa di sperimentare una reale e generosa solidarietà” è venuto oggi dal card. Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, in un collegamento video da Damasco durante la presentazione via web del Rapporto 2020 del Centro Astalli. “Vi parlo dall’amata e martoriata Siria, da 9 anni in guerra – ha detto -. Un conflitto che è stato definito come un moderno calvario, un inferno, un mare di dolore”. Mons. Zenari ha ricordato la “lunga via dolorosa” percorsa dai siriani in fuga – 12 milioni tra sfollati interni e rifugiati fuori dal Paese -, “attraverso i villaggi e le città della Siria e i mari”, “abbandonando tutto con solo i vestiti addosso, camminando sotto le intemperie, con tante donne e bambini che non ce l’hanno fatta”. “Al loro fianco – ha aggiunto – ci sono tante organizzazioni umanitarie e tanti buoni samaritani tra cui il Jesuit refugee service”. Il card. Zenari ha citato le parole di Papa Francesco riferite alla pandemia di Coronavirus: “Siamo tutti sulla stessa barca”, incoraggiando a “trovare nuove forme di ospitalità, fraternità e solidarietà”.  

Rifugiati: oggi la presentazione del Rapporto 2020 del Centro Astalli

20 Maggio 2020 -

Roma - Mentre esce il rapporto annuale del Centro Astalli, presentato questa mattina - il mondo è attraversato da una gravissima crisi sanitaria che mette in discussione stili di vita, relazioni e visione del futuro. Il rapporto descrive un anno, il 2019, al fianco di oltre 20mila rifugiati e richiedenti asilo, con dati sui servizi offerti e su nazionalità e status. E mostra come le politiche migratorie, “restrittive, di chiusura - se non addirittura discriminatorie” - che hanno caratterizzato l’ultimo anno, acuiscono precarietà di vita, esclusione e irregolarità. Il quadro che ne emerge dice quanto oggi sia alto il prezzo da pagare in termini di sicurezza sociale per non aver investito in protezione, accoglienza e integrazione dei migranti, denuncia il Centro Astalli.

Il Rapporto si presenta come uno strumento per capire quali sono le principali nazionalità dei rifugiati che giungono in Italia per chiedere asilo; quali le difficoltà che incontrano nel percorso per il riconoscimento della protezione e per l’accesso all’accoglienza o a percorsi di integrazione e descrive il Centro Astalli come una realtà che, grazie agli oltre 500 volontari che operano nelle sue 7 sedi territoriali (Roma, Catania, Palermo, Vicenza, Trento, Padova, Napoli), si adegua e si adatta ai mutamenti sociali e legislativi di un Paese che fa fatica a dare “la dovuta assistenza a chi, in fuga da guerre e persecuzioni, cerca di giungere in Italia”.

Ad arricchire la pubblicazione di quest’anno un inserto “Rifugiati: ai confini dell’umanità” con le foto di Francesco Malavolta. Un racconto fatto di immagini di migranti lungo le rotte del Mediterraneo: salvataggi in mare, fatica, viaggi in cerca di salvezza di uomini e donne che ci portano in dono il coraggio e la speranza in un futuro insieme. Le foto sono commentate da Alessandro Bergonzoni, Melania Mazzucco, Luciano Manicardi.

Sos Mediterranée: “300 persone salvate ancora in attesa di un porto sicuro”

19 Maggio 2020 - Roma - Circa 300 persone salvate in mare nelle ultime settimane sono attualmente in attesa di sbarcare in un porto sicuro, a bordo di tre navi private, due barche turistiche noleggiate dal governo maltese, mentre le autorità italiane hanno organizzato un traghetto per la quarantena delle persone soccorse. Alcuni dei sopravvissuti sono rimasti bloccati in mare per più di due settimane. Nel frattempo, due navi di soccorso delle Ong, Aita Mari e Alan Kurdi, rimangono sotto fermo amministrativo da parte delle autorità italiane. Attualmente non sono operative navi di Ong di ricerca e di soccorso nel Mediterraneo centrale. È questa l’attuale situazione nel Mediterraneo centrale, riassunta da Sos Mediterranée sulla base di diverse fonti. Alarm Phone, una hot line civile per le persone in difficoltà in mare, ha pubblicato un allarme di soccorso il 17 maggio, riguardo una barca in pericolo nella zona Sar maltese, con circa 50 persone. Secondo alcuni media, la barca sarebbe stato soccorsa nella zona Sar maltese da un peschereccio, anche se non vi è ancora alcuna conferma ufficiale che sia la stessa imbarcazione. Secondo “Malta Today”, il peschereccio maltese “Tremar” ha condotto un salvataggio di circa 70 persone domenica 17. Il 17 maggio è anche arrivata a Lampedusa una nave italiana prevista per la quarantena delle persone salvate in mare, la “Moby Zazà”, ma il numero delle persone a bordo non è stato ancora confermato ufficialmente. Secondo “Il Giornale di Sicilia” sarebbero 68 persone mentre Radio Radicale ha riferito che altri 53 sopravvissuti – arrivati autonomamente a Lampedusa con 2 diverse imbarcazioni – sono stati trasferiti a bordo. Secondo “Mediterraneo Cronaca”, 53 persone arrivate in barca in modo autonomo a Lampedusa il 12 maggio hanno trascorso la prima notte sul molo Favarolo all’addiaccio prima di essere temporaneamente trasferite in un alloggio della parrocchia. Nel frattempo, 162 persone salvate in acque maltesi rimangono bloccate su due navi da crociera turistiche noleggiate dal governo maltese, alcune da più di due settimane. I rappresentanti di tre Ong maltesi hanno scritto una lettera congiunta al commissario europeo per gli Affari interni Ylva Johannson, esortando l’Ue ad intervenire presso le autorità maltesi e a trovare una soluzione rapida per le persone bloccate. Secondo Iom Missing Migrants sono 258 le persone morte nel tentativo di raggiungere l’Europa attraverso il Mediterraneo nel 2020.  

“Nuovi italiani: la maggioranza da Albania, Marocco e Brasile

19 Maggio 2020 - Roma - L'immigrazione di cittadini non comunitari in Italia è sempre più orientata alla permanenza stabile: cresce infatti la quota di titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo sul totale dei regolarmente soggiornanti, che si attesta attorno al 62% del totale. A stabilirlo i nuovi Rapporti annuali sulle comunità migranti in Italia, curati dal ministero del Lavoro. Secondo quanto riportato dai dossier, che fa riferimento al 2018, a crescere in modo deciso è anche il volume delle rimesse dall'Italia verso il resto del mondo, che ha visto un incremento del 14 per cento rispetto all'anno precedente, attestandosi intorno ai 5,8 miliardi di euro. Il primo Paese di destinazione è il Bangladesh, che costituisce più di un decimo del totale degli invii di denaro all'estero. Sono invece in calo rispetto all'anno precedente le acquisizioni di cittadinanza, passate dalle circa 135 mila del 2017 alle 103.478 del 2018. I “nuovi italiani” del 2018 provengono principalmente da Albania, Marocco, Brasile e India. Di difficile interpretazione invece il dato relativo alla partecipazione al mondo del lavoro della componente femminile della popolazione, dove si registrano differenze macroscopiche tra le comunità: a fronte di un tasso di disoccupazione medio femminile per i cittadini non comunitari pari al 17 per cento l'indicatore tocca il valore più basso nelle comunità filippina e cinese, tra il 3 e il 4,5 per cento, mentre risulta elevatissimo per le donne tunisine e senegalesi, rispettivamente il 51 e il 40%. Secondo quanto emerso dai Rapporti, al primo gennaio 2019 i cittadini non comunitari regolarmente soggiornanti in Italia sono 3.717.406, poco più di uno su cinque è costituito da minori. (DIRE)    

La doppia prigione dei profughi: lontani da casa e in “lockdown”

18 Maggio 2020 - Milano - Bombe a orologeria. Sanitarie, sociali, umane. Con l’emergenza coronavirus che rischia di travolgere equilibri già esili e compromessi, frutto di convivenze forzate, condizioni igieniche disastrose, impossibilità di muoversi. I campi sono ormai una doppia prigione, dove il distanziamento fisico è poco più che una chimera. L’ultimo “fronte” è il campo profughi dei Rohingya della regione di Cox’s Bazar, al confine con il Myanmar, in Bangladesh. Ma i campi disseminati in Siria, in Sud Sudan, in Kenya, in Grecia, rischiano tutti di essere travolti. E diventare luoghi di contagio e morte. Nel mondo ci sono quasi 71 milioni di rifugiati e sfollati, il doppio rispetto al 2000. L’allarme arriva dall’organizzazione International Rescue Committee: «La rapida diffusione dell’infezione sulla nave da crociera Diamond Princess, all’inizio della pandemia, ha mostrato come il virus prosperi in spazi ristretti. Basta considerare che milioni di sfollati vivano in condizioni ben peggiori per capire quanto è alto il rischio a cui sono esposti». Un dato su tutti conferma il rischio. La popolazione ammassata in un spazi ridottissimi. Il campo Cox’s Bazar: 40mila persone per due chilometri quadrati. Moria in Grecia: 203.800 persone per due chilometri quadrati. Al-Hol in Siria: 37.570 in due chilometri quadrati. In Bangladesh il Covid-19 è destinato a rendere ancora più tragiche le condizioni di vita della minoranza musulmana. Il campo è un’immensa baraccopoli con fogne a cielo aperto ed è uno dei 34 che ospitano in tutto oltre 750mila persone fuggite nell’agosto 2017 dal Myanmar. Due giorni fa il coordinatore sanitario Abu Toha Bhuiyan aveva annunciato la positività di almeno due profughi. L’Oms ha mandato subito «squadre rapide di ricercatori » per tracciare i contatti, testarli e metterli in quarantena. L’intera struttura è stato chiusa. «Nonostante i migliori sforzi delle agenzie internazionali e del governo del Bangladesh, la capacità di assistenza sanitaria nei campi profughi è limitata e in tutto il Paese è sopraffatta a causa del Covid. Ci sono solo circa 2mila ventilatori in tutto il Bangladesh su una popolazione di 160 milioni di persone. Nel campo profughi dei Rohingya al momento non ci sono letti di terapia intensiva», è l’allarme lanciato da Athena Rayburn di Save the Children. Preoc-cupa la situazione nel campo di Dadaab, in Kenya, tra i più grandi campi profughi al mondo: da fine aprile sono in vigore rigide misure di ingresso e uscita nella struttura. Per Philippa Crosland-Taylor, direttore di Care «in Kenya una epidemia sarebbe un disastro: 270mila persone vivono a Dadaab, ma il campo ha una capacità di quarantena al massimo per duemila persone e un unico centro sanitario dedicato a coronavirus con soli 110 posti letto». Non solo: a peggiorare un quadro già drammatico «si aggiungono piogge molto forti che tagliano l’unica strada che porta al campo, ritardando la consegna di aiuti umanitari su cui molti si affidano per sopravvivere ». Allarme anche in Sud Sudan. Due contagi si sono registrati in un campo nella capitale, Juba, e uno a Bentiu, nel nord del Paese. Gli esperti hanno avvertito del pericolo rappresentato da un’eventuale diffusione del virus nei campi sovraffollati che ospitano circa 200mila persone in tutto il Paese. Anni di guerra hanno lasciato il Sud Sudan con uno dei sistemi sanitari meno attrezzati del continente africano. La nazione conferma 194 casi di contagio. Esplosiva anche la situazione in Grecia. Le autorità sanitarie di Atene hanno fatto test a campione tra i migranti e rifugiati che sono arrivati sull’isola di Lesbo, la settimana scorsa, dalle coste della Turchia e hanno trovato i primi due casi di contagio. Le due persone si trovano nel campo provvisorio di Megala Therma, affittato dal ministero delle Migrazioni come centro per mettere in quarantena le persone che arrivano a Lesbo. Le autorità greche hanno prorogato fino al 21 maggio il “lockdown” imposto da marzo. Nella Siria flagellata da un conflitto interminabile, 68mila persone vivono nel campo di al-Hol, sopportando condizioni climatiche rigide, a rischio alluvioni, rendendole più sensibili alle malattie. Le condizioni di vita all’interno sono inumane. Ogni persona è costretta a vivere in un piccolo spazio di 27 metri quadrati. L’equivalente di un posto auto. (Luca Miele - Avvenire)      

Giordania: sarte rifugiate cristiane cuciono 40mila mascherine per sfollati siriani

15 Maggio 2020 - Roma - Quarantamila mascherine da destinare ai rifugiati dei campi sfollati in Giordania: a cucirle nei prossimi mesi saranno le ragazze dell’atelier “Rafedin – Made by Iraqi Girls”, di Amman in Giordania. Venti ragazze cristiane irachene, costrette a suo tempo a fuggire dallo Stato Islamico e dalla violenza scoppiata nel loro Paese, riparate in Giordania dove hanno ricominciato a vivere grazie a un progetto di moda e sartoria artigianale nato a marzo di 4 anni fa, da un’idea di don Mario Cornioli – “abuna Mario” – sacerdote del Patriarcato latino di Gerusalemme. L’idea, sostenuta all’inizio dai fondi dell’8×1000 della Cei e di Ats Terrasanta, ora si avvale anche del sostegno della Ambasciata francese e dell’Unicef attraverso l’associazione italiana “Habibi Valtiberina” (Hava) riconosciuta come Ong locale dal ministero giordano dello Sviluppo sociale. E il progetto denominato “Behind the mask” (dietro la maschera) nasce proprio dalla sinergia tra Hava e Unicef che, grazie a fondi destinati al sostegno dei giovani, vuole fornire ai rifugiati nei campi nel Regno Hashemita un dispositivo di protezione dal Covid che altrimenti non potrebbero permettersi. Saranno mascherine in doppio strato lavabili, realizzate con i classici tessuti di foggia mediorientale, presi in Palestina, Giordania e Egitto, nel tipico stile Rafedin. Dal 14 marzo, da quando il Governo giordano ha imposto le prime stringenti misure per far fronte alla diffusione del virus Covid-19, l’ong Hava ha deciso di avviare la produzione di maschere protettive con alcune delle ragazze dell’atelier Rafedin. “Un modo per promuovere uno spirito di resilienza, di consapevolezza crescente durante questo periodo di pandemia e di solidarietà”. Le mascherine, infatti, “sono un dispositivo impossibile da ottenere per i rifugiati visto che in Giordania una mascherina può arrivare a costare l’equivalente di oltre 3 euro, una cifra enorme per loro” affermano dall’ong Hava. “Più accessibili le mascherine monouso che possono arrivare a costare 25 piastre, circa 40 centesimi”. Felici le ragazze dell’atelier, protagoniste del progetto con Unicef. “Per noi – dicono Hala, 28 anni, e Marina, 21 anni – è un modo per aiutare gli altri così come lo siamo state noi quando siamo arrivate in Giordania”. Le fanno eco Virgin, 46 anni, e Rose, 20 anni: “È una gioia per me lavorare e realizzare mascherine per gli altri rifugiati. Se c’è anche qualcos’altro da fare oltre alle mascherine, vorrei farlo, perché anche noi siamo rifugiati e sappiamo cosa significa. Inoltre vogliamo ringraziare l’Unicef che ci ha dato la possibilità di aiutare altri fratelli e sorelle come noi”. (Daniele Rocchi – Sir)

Lavoratori stranieri: cosa fare per “emergere”

15 Maggio 2020 - Milano - Alla fine, il travagliato compromesso raggiunto in maggioranza è stato incluso nel decreto Rilancio. È dentro lo sterminato articolo 110 bis, intitolato «Emersione di rapporti di lavoro» e lungo ben 5 pagine e 22 commi. Interessa tre settori: il primo comprende «agricoltura, allevamento e zootecnia, pesca e acquacoltura e attività connesse»; il secondo l’«assistenza alla persona per se stessi o per componenti della propria famiglia, ancorché non conviventi, affetti da patologie o handicap che ne limitino l’autosufficienza »; il terzo è il «lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare». Dopo l’entrata in vigore, i canali per l’emersione previsti sono due. Nel primo caso, sta ai datori di lavoro (che siano italiani o stranieri) «presentare istanza per concludere un contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale» oppure autodenunciarsi, dichiarando «la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare, tuttora in corso, con cittadini italiani o cittadini stranieri». Nella seconda opzione, saranno i cittadini stranieri «con permesso scaduto dal 31 ottobre 2019, non rinnovato o convertito in un altro titolo di soggiorno» a poter «richiedere un permesso di soggiorno temporaneo di sei mesi». Se entro quel periodo, il bracciante, la colf o la badante ottiene un contratto di lavoro subordinato, il documento è convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro. In ogni caso, l’immigrato deve essere presente in Italia da prima dell’8 marzo 2020. Per regolarizzare i lavoratori, chi assume dovrà corrispondere 400 euro per ciascun lavoratore, oltre a un forfait a titolo retributivo, contributivo e fiscale (da determinarsi con un decreto del ministro del Lavoro). Invece, l’immigrato che chiede il permesso temporaneo dovrà corrispondere 160 euro (più altri 30 euro per trasmettere l’istanza). La finestra per le domande è compresa fra il 1° giugno e il 15 luglio: per i contratti di lavoro, in caso di italiani o europei vanno presentate all’Inps, in caso di stranieri allo sportello unico per l’immigrazione; per il permesso di soggiorno semestrale si dovrà andare in Questura. Lo scudo penale. È prevista la sospensione dei procedimenti penali e amministrativi a carico di datore di lavoro e lavoratore, a meno che non riguardino i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, sfruttamento della prostituzione o di minori, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Inammisibilità. Riguardo al permesso di soggiorno, non verranno ammesse le domande di conversione in motivi di lavoro, se chi assume è stato condannato negli ultimi 5 anni (anche non in via definitiva) per i reati elencati sopra. Inoltre, non verrà ammessa la domanda di stranieri che abbiano ricevuto un provvedimento di espulsione, segnalati per la non ammissione in territorio italiano, ritenuti una «minaccia per la sicurezza» o condannati (anche solo in primo grado) per diversi reati, fra cui traffico di stupefacenti o sfruttamento. (Vincenzo R. Spagnolo – avvenire.it)

Storie di immigrati e rifugiati in tempi di lockdown

14 Maggio 2020 - Roma - Quella che stiamo vivendo è un’epidemia passata alla lente di ingrandimento attraverso una comunicazione capillare grazie anche ai social, che non solo stanno unendo a ‘distanza’ le persone, ma sono interpreti e messaggeri di tante storie. Il sito internazionale ODI 60 years of impact (Overseas Development Institute) è il principale think tank globale indipendente del Regno Unito che si occupa già da qualche anno dello sviluppo internazionale e umanitario su scala globale, riportando storie, date e cifre. Al Covid-19 ha dedicato una sezione con avvenimenti che riguardano migranti e rifugiati dal titolo molto significativo “Lavoratori Chiave. Contributo dei migranti alla risposta COVID-19”. Infatti scorrendo le pagine si legge “I rifugiati e gli altri migranti fanno parte della forza lavoro globale dei lavoratori essenziali che rispondono alla pandemia di Covid-19: ogni giorno salvano vite e contribuiscono alle nostre economie e società. Con una grafica essenziale, ma molto esplicativa, un ramoscello stilizzato con alle estremità dei puntini rossi, che indicano le notizie o le storie riportate, cliccandoci sopra l’utente ha la possibilità di andare a leggere, attraverso altri 5 ramoscelli, le notizie sull’Europa, il Nord America, l’Asia-Oceania, l’America Latina e l’Africa. Per l’Europa sono 32 le storie suddivise tra: assistenza sanitaria – cibo e agricoltura – immigrazione – ospitalità. Se si clicca sul cerchietto ‘ospitalità’ ci sono due storie: una riguarda i migranti e rifugiati che nel Regno Unito consegnano pacchi alimentari per conto di una organizzazione benefica a persone senza rete di sostegno; l’altra racconta di un villaggio nei Paesi Bassi in cui alcuni richiedenti asilo disinfettano i carrelli della spesa nei supermercati. Cliccando sul cerchietto ‘cibo e agricoltura’ sono sei le storie che emergono, tra queste si legge che la Spagna ha autorizzato l’assunzione temporanea di migranti e disoccupati per sopperire alla mancanza di lavoratori agricoli. Per l’Italia si viene rimandati al link della pagina del theguardian.com, che ha dedicato un servizio alla cooperativa Barikama costituita nel 2011 da ragazzi immigrati africani. La cooperativa si trova a Martignano a poche decine di chilometri da Roma, oltre ai prodotti agricoli produce anche lo yogurt. Nel periodo di lockdown i ragazzi hanno raccontato di lavorare il doppio per non far mancare sulle tavole dei loro clienti la genuina produzione. Cheikh, uno dei soci, arrivato dal Senegal nel 2007, ex giocatore di football ed ex studente di biologia all’università, con orgoglio afferma “È una cosa meravigliosa che stiamo aiutando a nutrire la comunità in questi tempi terribili”.   Nicoletta Di Benedetto