Tag: Emigrazione Italiana

“Come ponti sul mondo”. Il 2 ottobre a Roma l’anteprima della mostra immersiva su emigrazione e missione

30 Settembre 2025 - Giovedì 2 ottobre alle ore 11, a Roma, presso il Salone del Commendatore (Complesso di Santo Spirito in Sassia, Borgo Santo Spirito, 3) si terrà la presentazione di “Come ponti sul mondo. Scelte di vita, racconti di missione”, una mostra immersiva per rendere omaggio ai tanti missionari e alle tante missionarie che, partendo dal nostro Paese, hanno scelto di essere accanto e di accompagnare gli emigranti italiani nel mondo. La voce narrante è di Massimo Wertmüller. La mostra sarà visitabile dal 3 ottobre al 16 novembre – dalle ore 10 alle ore 18 – con ingresso libero presso la Sala della Quadreria nel complesso Santo Spirito in Sassia. Il programma:
Introduzione e moderazione
  • Paolo Masini, Presidente Fondazione Mei, ideatore e coordinatore del progetto.
Saluti istituzionali
  • Paola Canali, direttore UOC patrimonio e valorizzazione Complesso Monumentale Santo Spirito in Sassia.
  • Civita Di Russo, Vice Capo Gabinetto Presidente Rocca Regione Lazio.
Interventi
  • Mons. Pierpaolo Felicolo, direttore generale Fondazione Migrantes.
  • Mons. Graziano Borgonovo, Sottosegretario Dicastero per l’Evangelizzazione - Sezione per le questioni fondamentali dell’evangelizzazione nel mondo.
  • S.E. Mons. Samuele Sangalli, Segretario Aggiunto per l’Amministrazione del Dicastero per l’Evangelizzazione - Sezione per la prima evangelizzazione e le nuove Chiese particolari.
Presentazione della sala immersiva
  • Marisa Fois, Fondazione Migrantes.
Il progetto è stato realizzato dalla Fondazione Museo Nazionale dell’emigrazione italiana (Mei) e dalla Fondazione Migrantes, in occasione del Giubileo dei migranti e del mondo missionario (4 e 5 ottobre 2025), per ripercorrere la storia e dare voce anche all’attualità delle Missioni cattoliche italiane, volgendo lo sguardo all’intero universo missionario.
Ideazione e coordinamento scientifico: Paolo Masini, Fondazione MEI, e Delfina Licata Fondazione Migrantes. Ricerca storica ed elaborazione testi: Marisa Fois, Fondazione Migrantes. Consulenza storica: Raffaele Iaria, giornalista. Consulenza museale: Giorgia Barzetti, Museo MEI. Co-progettazione e realizzazione: Opera Laboratori. Hanno partecipato alla realizzazione dei contenuti: Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli (De Propaganda Fide), Congregazione Missionari di San Carlo – Scalabrinani, Suore Missionarie del Sacro Cuore di Gesù – Cabriniane, Archivio Storico “De Propaganda Fide” (Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli), Archivio della Fondazione Migrantes, Archivio Generale Scalabriniano, Istituto Storico Scalabriniano. Mei Mostra Roma 2025 Emigrazione e missione

Migranti e lavoro, il 60° anniversario della tragedia di Mattmark: una riflessione e un libro

28 Agosto 2025 - La tragedia della diga di Mattmark, in Svizzera, è considerata l'ultima grande strage sul lavoro di emigrati italiani. A 60 anni esatti da quell'evento terribile (30 agosto 1965), proponiamo una riflessione di don Carlo De Stasio, che attualmente si occupa della pastorale dei migranti nella diocesi di Coira (Svizzera), e un libro di Toni Ricciardi sulla storia e sugli esiti di quella tragedia. "La Fondazione Migrantes - ricorda mons. Pierpaolo Felicolo, direttore generale dell'organismo della Cei - è da sempre vicina a tutti gli italiani e le italiane che si spostano e lavorano all'estero: è nata proprio con questa vocazione. Tanto più in queste occasioni, in cui si fa memoria del loro sacrificio, ma anche del loro desiderio di una vita migliore nelle terre in cui hanno scelto di andare".
Il 30 agosto 1965, una data che rimane impressa nella storia dell’emigrazione italiana in Svizzera, 88 lavoratori persero la vita nella più grande e devastante tragedia industriale del Paese. La diga di Mattmark era un importante progetto idroelettrico che avrebbe dovuto fornire energia elettrica a gran parte della Svizzera. La costruzione della diga richiese la presenza di oltre 1.000 lavoratori, principalmente migranti, che lavoravano in condizioni difficili e pericolose. Alle 0re 17,20 di quel giorno, una enorme valanga di ghiaccio e detriti, staccatasi dal ghiacciaio dell’Allalin, travolse disastrosamente le baracche-alloggio dei lavoratori, la mensa e le officine del cantiere. Il doloroso bilancio fu di 88 vittime, 86 uomini e 2 donne, di cui 56 italiani, 23 svizzeri, 4 spagnoli, 2 tedeschi, 2 austriaci e 1 apolide. La tragedia scosse l'opinione pubblica svizzera e italiana. Le autorità elvetiche e le imprese di costruzione della diga furono criticate per la scarsa supervisione del cantiere e per non aver garantito condizioni di lavoro e alloggio sicure per gli operai. La commissione d’inchiesta lavorò per oltre sei anni e 17 persone furono accusate di omicidio colposo. Furono tutti assolti, in quanto i giudici stabilirono che si trattò di una catastrofe naturale. Non solo il danno, 88 vittime, famiglie distrutte e in lutto; condizioni lavorative precarie e pericolose, senza adeguate protezioni sociali. Ma anche la beffa. In appello, i familiari delle vittime furono condannate a pagare le spese processuali. La sciagura di Mattmark ci stimola a riflettere e a passare dalle parole ai fatti su tre urgenze che ci interpellano come cittadini e cristiani.
  • La salvaguardia del creato. Dobbiamo prenderci cura della nostra «casa comune», rispettare e preservare la natura; ciò è garanzia di vita. A interventi dell’uomo che prevaricano l’ambiente corrisponde la violenza della natura.
  • La sicurezza nel lavoro. Tema fortemente avvertito in Italia. Usando le parole di papa Francesco, è come «l’aria che respiriamo: ci accorgiamo della sua importanza solo quando viene tragicamente a mancare, ed è sempre troppo tardi!».
  • Accogliere, proteggere, promuovere e integrare i migranti. La Svizzera è indiscutibilmente una terra d’immigrazione. Ciò si riflette nella diversità della popolazione del Paese, composta per oltre il 30% da persone immigrate di prima generazione. La Confederazione Elvetica è tra le nazioni in cui questa percentuale è più alta. Complessivamente oltre il 40% della popolazione ha un passato migratorio. I lavoratori stranieri hanno largamente contribuito alla prosperità del Paese.
In Italia abbiamo un forte bisogno di lavoratori immigrati per sostenere la nostra economia, essere competitivi e mantenere i livelli di qualità di vita attuali. Ma nonostante ciò, una parte delle forze politiche contrasta l’immigrazione e una buona parte dell’opinione pubblica si esprime negativamente. Eppure, tutti lo sappiamo, abbiamo bisogno di persone che emigrano; il loro apporto al bene dell’Italia è già da tempo vitale economicamente, socialmente e culturalmente. A sessant’anni dal tragico evento di Mattmark, siamo chiamati a fare memoria per rendere onore alle vittime e riceverne un monito per riconciliarci con il creato, lavorare dignitosamente, secondo giustizia e in sicurezza e vivere da «sorelle e fratelli tutti». (Carlo De Stasio)
Per approfondire
T. Ricciardi, Morire a Mattmark. L'ultima tragedia dell'emigrazione italiana, Donzelli, 2025 (nuova edizione), pp. 200. Se Mattmark non è più una «Marcinelle dimenticata», resta ancora un interrogativo: l’Italia e anche la stessa Svizzera sono state all’altezza della storia? Con questa domanda Toni Ricciardi, storico delle migrazioni presso l’Università di Ginevra e l’Istituto di Storia dell’Europa mediterranea (Isem-Cnr), a sessant’anni di distanza dalla tragedia, introduce questa nuova edizione del suo lavoro. Morire a Mattmark Il 30 agosto 1965, in pochi secondi, accadde l’irreparabile: «Niente rumore. Solo, un vento terribile e i miei compagni volavano come farfalle. Poi ci fu un gran boato, e la fine. Autocarri e bulldozer scaraventati lontano». A parlare è uno dei sopravvissuti intervistati nel libro, uno dei testimoni della valanga di più di 2 milioni di metri cubi di ghiaccio che seppellì 88 lavoratori. Di questi, 56 erano italiani. Come a Marcinelle, la tragedia rappresentò una cesura nella lunga e travagliata storia dell’emigrazione italiana, segnando un punto di non ritorno. Inoltre, suscitò molto scalpore in tutta Europa: per la prima volta, stranieri e svizzeri morivano l’uno a fianco all’altro. Nei giorni successivi si scavò senza sosta con la speranza di trovare ancora vivi amici, padri, fratelli, figli. Ci vollero quasi due anni per recuperare i resti dell’ultima salma. Questa storia si concluse nel modo peggiore: i tempi dell’inchiesta furono lunghissimi, oltre sei anni, e i diciassette imputati chiamati a rispondere dell’accusa di omicidio colposo furono tutti assolti, nonostante l’instabilità del ghiacciaio fosse nota da secoli. In appello andò anche peggio, con la conferma dell’assoluzione e la condanna dei familiari delle vittime al pagamento delle spese processuali.

“Un manifesto rosa”. L’emigrazione italiana in Belgio e la tragedia di Marcinelle

7 Agosto 2025 - In vista della 69esima ricorrenza della strage nella miniera di Marcinelle, a Bois du Cazier, dell'8 agosto 1956, ripubblichiamo un racconto di Luigi Dal Cin, "Un manifesto rosa", tratto dal suo volume "Sulla porta del mondo. Storie di emigranti italiani" (Terre di Mezzo editore, 2024), realizzato con la Fondazione Migrantes. Le illustrazioni sono di Cristiano Lissoni.  Lo tengo aperto qui da­vanti a me, sopra il foglio bianco ancora da scrive­re. L’ho trovato tra le vecchie carte di mio nonno, conservate nel baule in soffitta. Riposava lì, ripiegato su sé stesso, chis­sà da quanti anni. Un manife­sto rosa. “Operai italiani, condizioni particolarmente vantaggiose vi sono offerte per il lavoro sot­terraneo nelle miniere belghe.” E subito sotto il titolo un’invi­tante tabella con i salari gior­nalieri. A seguire: “Premio temporaneo. Per un periodo di 6 mesi, a partire dal 1° novem­bre 1951, gli operai delle minie­re riceveranno, in più del loro salario, un premio eccezionale e supplementare”. E poi, in bel­la evidenza, tutta una serie di benefici: “Assegni familiari, As­senze giustificate per motivi di famiglia, Carbone gratuito, Bi­glietti ferroviari gratuiti, Pre­mio di natalità, Ferie, Alloggio”. In fondo al manifesto: “Appro­fittate degli speciali vantag­gi che il Belgio accorda ai suoi minatori. Il viaggio dall’Ita­lia al Belgio è completamente gratuito per i lavoratori italia­ni firmatari di un contratto an­nuale di lavoro per le miniere. Il viaggio dall’Italia al Belgio dura in ferrovia solo 18 ore. Compiute le semplici formalità d’uso, la vostra famiglia potrà raggiungervi in Belgio”. Manifesto rosa Belgio Marcinelle Strano, però. Sì, strano. Nessun accenno alle condizioni di la­voro. A quale profondità i mi­natori avrebbero dovuto ina­bissarsi nel ventre della terra per scavare il carbone? Quante ore al giorno avrebbero dovuto lavorare là sotto? C’erano dei rischi? Rischi lavorativi? Rischi per la salute, a respirare tutta quella polvere di carbone? Niente. Il manifesto rosa non dice nient’altro. Mio nonno non è mai emigrato in Belgio, ma aveva conservato con grande cura questo mani­festo. Mi viene da pensare che, sfiancato dalla fame e dalla mi­seria, avesse preso in conside­razione la possibilità di partire per lavorare nelle miniere bel­ghe. Sarebbe mai ritornato? Perché è proprio nelle parole di propaganda altisonante di questo manifesto rosa che van­no cercati i motivi per cui nella tragedia della miniera di Mar­cinelle la maggior parte delle vittime era italiana. Tra que­ste, la maggior parte era parti­ta dall’Abruzzo.
Una promessa
La Seconda guerra mondia­le aveva lasciato in Italia feri­te profonde. Una nazione, fatta a pezzi, da ricostruire, un’eco­nomia in ginocchio, interi ter­ritori ridotti in miseria. Fu al­lora che la promessa di una vita migliore apparve all’improvvi­so su curiosi manifesti rosa ap­pesi per le strade delle città a dei paesi di tutta Italia. Un miraggio di speranza nel deserto che la guerra aveva lasciato dietro di sé. In mol­ti lo leggono. Qualcuno se lo fa leggere. È una proposta. Di più. È una promessa. Un lavo­ro. Uno stipendio. Un lavoro nelle miniere di carbone, ben stipendiato. Belgio. Certo, significa separarsi dagli affetti e dai luoghi di sem­pre. Ma sarebbe stato per poco: si guadagna, si risparmia, e poi si ritorna a casa. Quel manife­sto rosa è un proclama. A chiare lettere annuncia la liberazione dalla miseria. Una prospettiva di riscatto. Una via di fuga. Nel disastro della miniera di carbone Bois du Cazier a Marcinelle, in Belgio, persero la vita 262 minatori, di cui 136 italia­ni. E la regione con il maggior numero di vittime fu l’Abruz­zo. Era l’8 agosto del 1956. Fu il terzo incidente per numero di vittime nella storia dei minato­ri italiani emigrati. Il primo, per numero di mor­ti, fu il disastro avvenuto nel 1907 a Monongah in West Vir­ginia, negli Stati Uniti, dove le vittime furono in prevalenza italiane, in prevalenza molisa­ne. Molise e Abruzzo: unite in un’unica regione fino al 1963, drammaticamente accomuna­te anche nelle condizioni di la­voro dei propri emigranti.
Approfittate degli speciali vantaggi
Il 23 giugno 1946 tra il governo italiano e quello belga era sta­to firmato un trattato che pre­vedeva un gigantesco baratto. L’Italia doveva inviare in Bel­gio 2.000 lavoratori a settima­na da impiegare nelle miniere. In cambio, il Belgio assicurava all’Italia una buona quantità di carbone per ogni minatore. Ap­pena uscita dalla guerra, l’Italia contava milioni di disoccupa­ti e aveva necessità di carbone per far ripartire le proprie indu­strie. In Belgio, invece, la man­canza di manodopera nelle mi­niere frenava la produzione. Il governo italiano considera­va l’emigrazione come il prin­cipale fattore economico per la ricostruzione del Paese trami­te le rimesse, ovvero il trasfe­rimento del denaro degli emi­granti verso il Paese d’origine, e poiché in Belgio c’era bisogno di manovalanza a basso costo incentivò la partenza di lavo­ratori che non trovavano im­piego in Italia. Dell’accordo “minatori in cam­bio di carbone” – il trattato par­lava testualmente di “accordo minatori-carbone” – sui mani­festi rosa della Federazione car­bonifera belga, però, non c’era traccia. I minatori emigranti al­lora non ne furono messi a co­noscenza. Lo scoprirono solo dopo il disastro di Marcinelle. E ne nacque una questione mol­to controversa. L’accordo “mi­natori-carbone” equiparava in­fatti i lavoratori a una merce. I minatori italiani sentirono di essere stati trattati come de-portati economici, venduti da un’Italia matrigna e cinica per qualche misero sacco di car­bone. E se l’accordo si occupa­va di tutti gli altri aspetti del­lo scambio, si preferiva invece chiudere gli occhi, sia da par­te delle autorità belghe che di quelle italiane, sulle condizioni di vita e di lavoro che effettiva­mente attendevano i lavorato­ri italiani destinati alle miniere del Belgio. Approfittate degli speciali van­taggi che il Belgio accorda ai suoi minatori. Condizioni par­ticolarmente vantaggiose di la­voro sotterraneo. Premio tem­poraneo, Assegni familiari, Assenze giustificate per motivi di famiglia, Carbone gratuito, Biglietti ferroviari gratuiti, Pre­mio di natalità, Ferie, Alloggio. [caption id="attachment_62615" align="aligncenter" width="210"]Marcinelle Manifesto rosa (illustrazione di Cristiano Lissoni)[/caption]
Propaganda
Pura propaganda. Pubblicità in­gannevole, diremmo oggi. Per­ché nei vagoni di ogni treno erano stipate circa mille per­sone. E, una volta a destinazio­ne, la promessa degli alloggi a prezzi scontati si svelava in tut­ta la sua cruda realtà. Baracche fatiscenti dove pochi anni pri­ma erano stati rinchiusi i pri­gionieri di guerra. E apparve subito chiaro come per gli ita­liani emigrati non fosse possi­bile affittare un alloggio più di­gnitoso. Non solo per ragioni economiche. La gente del posto lo scrive­va su cartelli: Ni animaux, ni étrangers ovvero “Né animali, né stranieri”. Non mancò in­fatti il disprezzo nei confron­ti degli emigranti italiani, a cui fu affibbiata l’etichetta dispre­giativa di macaronì. E poi c’e­ra l’impatto con la miniera e le “condizioni particolarmente vantaggiose di lavoro sotterra­neo” che talvolta prevedevano che i minatori arrivassero a ol­tre mille metri di profondità. L’inesperienza, la mancanza di un periodo di formazione e l’ignoranza sulla reale situa­zione in cui avrebbero dovuto lavorare rendevano particolar­mente traumatica la discesa in miniera. E non c’era nemmeno la consapevolezza che respira­re quell’aria intrisa di polve­re di carbone esponeva al ri­schio di contrarre la silicosi, una grave malattia professio­nale che ha portato alla mor­te centinaia di migliaia di mi­natori. Ma ormai non era più possibile tornare indietro. Chi rompeva il contratto poteva fi­nire in carcere.
La tragedia di Marcinelle
Pare che all’origine del disa­stro ci fu un’incomprensione tra i minatori che dal fondo del pozzo caricavano sull’ascenso­re i vagoncini con il carbone e i manovratori in superficie. Alle 8 e 10 del mattino dell’8 ago­sto 1956 un vagone di carbone rimase incastrato nella gabbia del montacarichi ma l’ascenso­re partì comunque. Nella risali­ta il carrello che sporgeva tran­ciò le condutture dell’olio, i tubi dell’aria compressa e i cavi dell’alta tensione. Le scintille causate dal cortocircuito fece­ro incendiare l’olio. Fu subito l’inferno. Un impo­nente incendio si estese alle gallerie superiori mentre sotto, a oltre mille metri di profondi­tà, i minatori venivano soffo­cati dal fumo. Il fuoco infatti era divampato nel pozzo d’in­gresso dell’aria e il fumo pro­dotto dalla combustione rag­giunse ben presto ogni angolo della miniera. Fin dai primi istanti la gravità dell’incidente e l’impossibilità di trarre in salvo gli eventua­li superstiti apparvero chia­re ai soccorritori. Il 22 agosto, dopo due settimane di diffici­li ricerche, mentre una fumata nera e acre continuava ancora a uscire dal pozzo, uno di loro, riemergendo affranto dalle vi­scere della miniera, sussurrò in italiano: “Tutti cadaveri”. A Marcinelle persero così la vita 262 minatori di diverse nazionalità ma per la maggior parte, 136, italiani. Di questi, 60 erano abruzzesi, di cui quasi la metà dai paesi di Manoppel­lo e Lettomanoppello, in pro­vincia di Pescara. Il ministro dell’Economia bel­ga creò una commissione d’in­chiesta alla quale presero parte due ingegneri del Corpo delle miniere italiane. Anche la Fe­derazione carbonifera belga creò una propria commissione d’indagine. Le inchieste si pro­ponevano di fare “ogni luce” su cosa fosse accaduto nella mi­niera di carbone Bois du Cazier a Marcinelle la mattina dell’8 agosto 1956. Ma nessuna del­le istituzioni mantenne piena­mente le sue promesse.
Da “macaronì” a “copains”
Fu la strage di Marcinelle a far superare i preconcetti sui mi­natori italiani. La tragedia in­fatti accomunò famiglie italia­ne e belghe nello stesso lutto e all’improvviso fu chiaro per tutti come lo sviluppo econo­mico dell’intera nazione bel­ga stesse poggiando anche sul lavoro di molti italiani, schiavi del carbone. Nel 1956, tra i 142.000 lavo­ratori impiegati nelle miniere belghe, 63.000 erano stranieri e, tra questi, 44.000 erano ita­liani. “Il nostro vicino, che non la smetteva mai di insultare mio padre, è venuto da noi piangen­do”, dichiarò in un’intervista il figlio di un minatore. “La comu­nità italiana del Belgio ha pa­gato con il sangue il prezzo del suo riconoscimento”, commen­tò il quotidiano Le Monde. L’impressione della tragedia di Marcinelle trasformò i macaronì in copains, “amici”. Da quel do­lore si avviò il processo di inte­grazione degli italiani in Belgio. Il prezzo pagato per ottenere il riconoscimento della digni­tà degli emigranti italiani fu di 136 vite, consumate in poche ore. Vite perdute per riscattare una dignità propria a ogni esse­re umano. La storia a venire era già pronta a chiudere gli occhi per dimenticare e riproporre lo spaventoso baratto. Nel 2012 la miniera di Marcinelle è stata inserita tra i siti dichiarati Patrimonio dell’U­manità dall’Unesco. Un ricono­scimento, certo, ma soprattutto un monito. Per non dimentica­re gli incidenti sul lavoro che hanno segnato le pagine più buie della storia dell’emigra­zione. (Luigi Dal Cin, "Migranti Press" n. 6 - giugno 2025) [caption id="attachment_62616" align="aligncenter" width="555"]Marcinelle (illustrazione di Cristiano Lissoni)[/caption]

L’Italia delle partenze e dei ritorni. Pensionati migranti di ieri e oggi: Un convegno INPS e Fondazione Migrantes

5 Ottobre 2023 - Roma - “L’Italia delle partenze e dei ritorni. Pensionati migranti di ieri e oggi”. Sarà questo il titolo del convegno promosso dall’INPS  e dalla Fondazione Migrantes che si svolgerà martedì 10 ottobre, dalle 9,30, a Roma (Palazzo Wedekind, piazza Colonna 366). Sono previsti interventi sull’andamento dei trasferimenti all’estero e degli anziani che emigrano, sulle pensioni pagate all’estero, sul rientro in Italia da pensionati dei nostri emigranti oltre ad una tavola rotonda su “Quale futuro per le italiane e gli italiani che invecchiano? Tra pensione e mobilità”. Interverranno, nell'ordine, Delfina Licata della Fondazione Migrantes; Vito La Monica, Direttore centrale pensioni dell’INPS; Susanna Thomas, Direzione centrale Pensioni dell’INPS; Toni Ricciardi, storico delle migrazioni all’Università di Ginevra; Daniele Russo, Dirigente Direzione centrale Pensioni dell’INPS e Mons. Pierpaolo Felicolo, Direttore generale della Fondazione Migrantes al quale sono affidate le conclusioni prima della tavola rotonda. A quest'ultima interverranno, moderati da Fabio Insenga, vice direttore Adn Kronos, Micaela Gelera, Commissario Straordinario dell’INPS, Mons. Gian Carlo Perego, Presidente Fondazione Migrantes e Luigi Maria Vignali, Direttore Generale per gli italiani all’estero e le politiche migratorie del Ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale.  

Mci Germania: la seconda giornata dei lavori del Convegno nazionale

5 Ottobre 2023 - Palermo - Per affrontare il tema della seconda giornata del convegno nazionale delle Missioni cattoliche Italiane in Germania – in corso fino a domani a Palermo - si sono posti a confronto e in dialogo le istituzioni della Chiesa italiana con quelli della Chiesa tedesca. Confronto e dialogo che si è sviluppato su tre livelli. Un primo livello è quello che ha posto uno di fianco all’altro due responsabili delle comunità di altra madre lingua di due diocesi tedesche: sono Hans-Paul Dehm, referente diocesano per le comunità di altra madrelingua a Fulda, e Sebastian Schwertfeger, vice-referente diocesano per le comunità di altra madrelingua dell’arcidiocesi di Berlino. “L’idea era quella di ascoltare le loro esperienze – spiega don Gregorio Milone, delegato nazionale delle Mci in Germania–, ma anche  cercare di prospettare il futuro delle nostre comunità”. Per il secondo livello la parola è passata a due vescovi, entrambi legati alle Commissioni per le migrazioni: mons. Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, presidente Migrantes e CEMI della Conferenza episcopale italiana, e mons. Peter Birkhofer, vescovo ausiliare di Friburgo, membro della Commissione Migrantes  della Conferenza episcopale tedesca. “Una sorta di mutuo soccorso tra due Chiese sorelle e su come la Chiesa italiana può essere di supporto e di aiuto alle missioni di lingua italiana in Germania, come ad esempio la sofferenza che esse vivono per la mancanza di personale”. Il confronto, nel pomeriggio, si è spostato sul terzo ed ultimo livello dando la parola ai due direttori: il direttore generale della Fondazione Migrantes, mons. Paolo Felicolo, e il direttore nazionale della Germania della pastorale per gli stranieri, Lukas Schreiber. In serata la messa nella Cattedrale di Palermo, presieduta dall’arcivescovo mons. Corrado Lorefice, delegato Cesi per le Migrazioni, con l’animazione del coro “Arcobaleno di popoli”. A chiudere la seconda giornata, la cena a cura del ristorante “Moltivolti” nel quartiere Ballarò.  

Mci Svizzera: avviato il progetto Erasmus pastorale

4 Ottobre 2023 - Zurigo -Da alcuni giorni sono arrivati  a Zurigo tre giovani diaconi della Diocesi di Napoli (don Luigi Grieco, don Pasquale D'Orsi e don  Delio Montiero) che vivranno per sei mesi una intensa esperienza pastorale accanto ai missionari italiani in Svizzera e soprattutto accanto ai tanti italiani che risiedono nel territorio elvetico. A Zurigo sono stati accolti dal Coordinatore nazionale delle Missioni Cattoliche Italiane, don Egidio Todeschini, da don Mimmo Basile che sta coordinando il progetto Erasmus pastorale, e dal Missionario di Kloten don Patryk e dalla collaboratrice pastorale Maria. I tre giovani diaconi abiteranno presso il seminario st. Beat di Lucerna sotto la direzione del rettore don Agnell e frequenteranno il Corso di tedesco; per il fine settimana i tre diaconi visiteranno le Missioni cattoliche Italiane, dove dal mese di Novembre svolgeranno il loro ministero a tempo pieno e avranno l’occasione di conoscere le Comunità cristiane di lingua italiana e di lingua tedesca o francese.

Istat: dal Nord del Paese oltre la metà degli emigrati italiani

1 Febbraio 2022 - Roma - Nell’ultimo decennio si è registrato un significativo aumento delle cancellazioni anagrafiche di cittadini italiani per l’estero (emigrazioni) e un volume di ingressi che non bilancia le uscite (complessivamente 980mila espatri e 400mila rimpatri). Di conseguenza i saldi migratori con l’estero dei cittadini italiani sono negativi, soprattutto a partire dal 2015, con una media di 69mila unità in meno all’anno. Nel 2020 il saldo migratorio con l’estero degli italiani è negativo per 65.190 unità. Lo scrive oggi in una nota l’Istat sottolineando che nonostante la pandemia, nel 2020 il flusso più consistente di cancellazioni per trasferimento della residenza all’estero di cittadini italiani si è registrato nel Nord-ovest (36mila, +10% rispetto al 2019), seguito dal Nord-est (27mila, +2%); in aumento anche le emigrazioni in partenza dal Centro (20mila, +4%), mentre diminuiscono sensibilmente i flussi dal Mezzogiorno (39mila, -13% rispetto al 2019). Rispetto al 2019 la propensione a espatriare dei cittadini italiani residenti nel 2020 è stabile ed è pari a 2,2‰. "I tassi di emigratorietà sono sopra la media nazionale al Nord (2,6 espatri su 1.000 residenti italiani) e sotto la media al Centro e nel Mezzogiorno del Paese (2‰). La distribuzione degli espatri per regione di provenienza è eterogenea. «Il tasso di emigratorietà più elevato - si legge nel Report -  si ha in Valle d’Aosta/Vallée d'Aoste, Trentino-Alto Adige (in una posizione geografica di confine che facilita gli spostamenti con l’estero) e Molise (più di tre italiani per 1.000 residenti). Seguono Marche, Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna (tassi di circa 2,5‰). Le regioni con il tasso di emigratorietà per l’estero più basso sono invece Puglia e Lazio (valori pari a circa 1,5‰). A livello provinciale, i tassi più elevati di emigratorietà degli italiani si rilevano a Bolzano/Bozen (4‰), Mantova, Vicenza e Macerata (tutte 3,6‰), Imperia, Isernia e Treviso (tutte 3,2‰); quelli più bassi si registrano nelle province di Foggia e Barletta-Andria-Trani (1,2‰)".

Istat: un italiano emigrato su quattro ha almeno la laurea

1 Febbraio 2022 - Roma - Nel 2020 gli italiani espatriati sono soprattutto uomini (54%), ma fino ai 25 anni non si rilevano forti differenze di genere (20mila per entrambi i sessi) e la distribuzione per età è perfettamente sovrapponibile. A partire dai 26 anni fino alle età anziane, invece, gli emigrati iniziano a essere costantemente più numerosi delle emigrate: dai 75 anni in poi le due distribuzioni tornano a sovrapporsi. Lo scrive oggi l'Istat. L’età media degli emigrati è di 32 anni per gli uomini e 30 per le donne. Un emigrato su cinque ha meno di 20 anni, due su tre hanno un’età compresa tra i 20 e i 49 anni mentre la quota di ultracinquantenni è pari al 14%. Considerando il livello di istruzione posseduto al momento della partenza, nel 2020 un italiano emigrato su quattro è in possesso almeno della laurea (31mila). Rispetto all’anno precedente, le numerosità dei laureati emigrati è in lieve aumento (+5,4%). L’incremento è molto più consistente se si amplia lo spettro temporale: rispetto a cinque anni prima gli emigrati con almeno la laurea crescono del 17%. Secondo l'Istat sono poco più di 40mila i giovani italiani tra i 25 e i 34 anni espatriati nel 2020 (il 33% del totale degli espatriati); di essi due su cinque (18mila) sono in possesso di almeno la laurea (+10% rispetto al 2019). Il numero dei rimpatri di giovani laureati si attesta su livelli nettamente più bassi (6 mila, -3,5% sul 2019), generando un saldo migratorio negativo che si traduce in una perdita di circa 12 mila unità. La riduzione degli espatri nel 2020 rispetto al 2019 (-0,9%) ha ridotto l’emigrazione giovanile del 7%, ma la quota dei laureati sul totale dei giovani espatriati è passata dal 38,7% del 2019 al 45,6% del 2020 .  Cresce anche l’incidenza degli espatriati laureati sulla popolazione italiana laureata di 25-34 anni, dal 9,9‰ del 2019 al 10,5‰ del 2020. Non si arresta, dunque - secondo l'Istituto di Statistica italiano - la fuga delle giovani risorse qualificate verso l’estero, nonostante le limitazioni imposte agli spostamenti durante le varie fasi della pandemia. .

Istat: la pandemia non ferma la migrazione degli italiani all’estero

1 Febbraio 2022 - Roma - Nel 2020 il volume delle cancellazioni anagrafiche per l’estero è di circa 160mila unità e segna un forte calo (-10,9% sul 2019) soprattutto per la riduzione, di circa un terzo, delle emigrazioni di residenti non italiani. Gli espatri dei cittadini italiani (pari a 120.950) diminuiscono soltanto dello 0,9%. Lo dice oggi l’Istat. L’impatto della pandemia sui flussi in uscita dal Paese – scrive - è “riconducibile tanto all’effetto diretto delle restrizioni alla mobilità internazionale, attuate per contrastare la diffusione del virus, quanto al clima di incertezza e difficoltà che può aver impattato negativamente sui progetti migratori”. Gli effetti congiunturali sono evidenti. Nei primi due mesi del 2020, le cancellazioni anagrafiche verso l’estero mostrano un andamento in linea con le tendenze più recenti: ossia un incremento del 26,3% rispetto allo stesso bimestre del 2019, dovuto soprattutto ai trasferimenti verso i paesi dell’Unione europea (+43,4%) e di America e Oceania (+47%), una decisa diminuzione dei flussi verso l’Africa (-53%) e, in misura minore, verso l’Asia (-7,8%). Durante la prima ondata (marzo-maggio 2020) i flussi di emigrazione per qualunque destinazione diminuiscono drasticamente (-31,7%) e risultano più che dimezzati (-54,2%) quelli diretti verso i paesi africani. Nella fase di transizione (giugno-settembre 2020) si riducono lievemente le uscite rispetto ai livelli medi del 2019 (-4,6%), grazie alla ripresa delle emigrazioni verso i paesi Ue (+7,3%), mentre continuano a diminuire le emigrazioni verso l’Africa (-50%). La seconda ondata (ottobre-dicembre 2020) provoca una nuova contrazione dei flussi in uscita, ma in misura meno marcata (-21,8% rispetto allo stesso periodo del 2019) della prima ondata.

Le Missioni Cattoliche Italiane e la loro “ricchezza” in Europa

15 Novembre 2021 - Roma - Anche grazie ai «milioni di emigranti italiani e di altri Paesi che stanno rinnovando il volto delle città», l’Europa sta diventando «un bel mosaico». Papa Francesco ha ricevuto, giovedì scorso, in Vaticano, circa 200 tra sacerdoti, laici e operatori impegnati nella pastorale con gli italiani residenti in Europa e partecipanti al convegno delle Missioni Cattoliche Italiane, promosso dalla Fondazione Migrantes, sul tema “Gli italiani in Europa e la missione cristiana. Radici che non si spezzano ma che si allungano ad abbracciare ciò che incontrano”. MCI che sono state la “casa” per tanti italiani «che erano lontano da casa”, come ha detto il direttore Migrantes, don Giovanni de Robertis. Le MCI possono essere, ha spiegato il presidente della Fondazione, l’arcivescovo mons. Gian Carlo Perego, «uno strumento, una ‘casa tra le case’ per un primo incontro, ma soprattutto un’esperienza e una comunità laicale che aiuta a intercettare, accompagnare e anche aiutare gli emigranti a non rompere quel filo sottile che li lega alla Chiesa ma a intraprendere un nuovo percorso di vita cristiana». Perego ha parlato di progetti «interlinguistici», «interculturali», ecumenici e interreligiosi, «liberi da stereotipi comuni e da contrapposizioni infruttuose». Comunità che «possano continuare a essere fonte di vita, di guarigione spirituale per le tante ferite di questo nostro continente», ha detto il Presidente della CEI, il card Gualtiero Bassetti evidenziando che «l’unica Italia a crescere non è sul nostro territorio nazionale ma è l’Italia che risiede all’estero». Ecco allora l’importanza di una presenza, come quella di sacerdoti di lingua italiana, a fianco dei nostri connazionali che oggi vivono all’estero  Una figura e un ruolo che va certamente ripensato: «una priorità e una necessità irrimandabile», dice don Luigi Usubelli, responsabile della MCI di Barcellona aggiungendo che il convegno vissuto a Roma «ha posto in luce la necessità dell'acquisizione di competenze interculturali da parte dei sacerdoti – in Italia e all'estero - in quanto la maggior parte di loro – causa la consistente mobilità contemporanea - entra inevitabilmente in contatto con cristiani di altre culture». Il sacerdote parte dalla base della Missione Cattolica Italiana, con la preoccupazione di andare e vedere e rendersi conto anche dell’evolversi delle situazioni, perché le persone cambiano e quindi «l’empatia con il popolo è cruciale, e bisogna, anche, andare a cercarli un po’ casa per casa e testimoniare l’attenzione della Chiesa per loro sia in senso umano sociale che spirituale e religioso», spiega don Pierluigi Vignola della MCI di Amburgo in Germania. Soprattutto per le comunità di vecchia generazione il sacerdote italiano, spiega don Gregorio Aiello della MCI di Genk, in Belgio, «stimola e incoraggia relazioni personali che sono alla base della vita comunitaria», un riferimento «prezioso per potersi esprimere potendo comunicare spontaneamente i sentimenti e le esperienze di gioia e dolore che accompagnano la vita». Naturalmente la Missione Cattolica di lingua italiana non è più quella di una volta: «non ci sono più i migranti con la valigia di cartone». Il sacerdote oggi è «un accompagnatore che si pone accanto e in cammino con la comunità dietro a Gesù in ascolto della sua parola», sottolinea don Pasquale Avena della MCI di Annecy, in Francia e il sacerdote, per sua natura, è «fautore di incontri», spiega don Valeriano Giacomelli, responsabile delle Missioni cattoliche Italiane in Romania: «l'incontro con i fratelli e le sorelle ha come prima finalità quella di instaurare relazioni costruttive, sane ma, come finalità ultima, quella di portarli o riportarli ‘all'incontro’ con Cristo e il suo messaggio di salvezza. Ritengo che tale pastorale ‘dell'incontro’ sia in modo particolare importante da incarnare nei confronti degli emigrati italiani che, per svariati motivi, si sono recati, per brevi o lunghi periodi, in altre nazioni dell'Europa o del mondo». La Chiesa è per sua natura missionaria e il sacerdote è chiamato a mettere in atto questa missione «vivendo in mezzo agli altri uomini come fratelli in mezzo ai fratelli con il ruolo di sentinella per poter scrutare i segni dei tempi e interpretarli alla luce del Vangelo», sottolinea don Antonio Serra,  delegato delle Missioni cattoliche Italiane in Gran Bretagna che ricorda l’istituzione delle Missioni Cattoliche Italiane caratterizzate da «un modo di vivere, di pregare e di parlare solidamente ancorati alle radici della propria Patria. In un contesto di smarrimento e di incertezza i sacerdoti hanno rappresentato un punto di riferimento spirituale, sociale e linguistico per gli emigrati italiani in terra straniera». Oggi le MCI hanno «allargato il loro ambito di azione e sono diventate di Lingua Italiana per accogliere coloro che pur non essendo Italiani erano emigrati prima in Italia e poi all’estero». Un uomo, il sacerdote accanto a queste comunità, che sa «spendersi» per i nostri connazionali portando “speranza e gioia» a queste comunità, ha detto fra Sergio Tellan delle MCI in Ungheria. Comunità che grazie alla loro radicata religiosità popolare hanno «comunicato la gioia del Vangelo, hanno reso visibile la bellezza di essere comunità aperte e accoglienti, hanno condiviso i percorsi delle comunità cristiane locali», ha detto loro papa Francesco. La storia della Chiesa locale e la ricchezza “rigenerante delle comunità migranti fanno sì che Dio parli ancora alla Chiesa e parli con linguaggi nuovi», ha sottolineato il responsabile della MCI di Berma, p. Antonio Grasso. La «nostra presenza – spiega don Carlo De Staio, delegato delle Missioni Cattoliche Italiane in Svizzera - costituisce dono e ricchezza nella cooperazione tra le Chiese; mette in circolo esperienze e vissuti, modalità di azione pastorale e prassi locali e globali. Ciò che ci caratterizza sempre più è la passione per il Vangelo e la dedizione alla Chiesa che non hanno i confini ristretti di una lingua, di un’etnia o di una popolazione; con il nostro servizio ci sentiamo e viviamo la cattolicità, ci sentiamo protagonisti della chiamata alla universalità». (Raffaele Iaria)

Card. Bassetti: “l’emigrazione giovanile è un fenomeno che investe sempre più la comunità umbra”

4 Maggio 2021 - Perugia - “Con questo incontro la Chiesa umbra affronta un tema decisivo per il presente e per il futuro della nostra società. I giovani e il lavoro, infatti, sono due elementi cruciali che si riflettono non solo sull’economia ma anche sulla famiglia e l’educazione, sui diritti sociali e sulla robotica, sulla coesione sociale e sulla mobilità umana. Parlare del rapporto tra giovani e lavoro significa, in definitiva, parlare di una nuova questione sociale che è, al tempo stesso, una nuova questione antropologica”. A sottolinearlo è stato il Cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve Gualtiero Bassetti, Presidente della CEI, nell’intervenire all’incontro di riflessione e di preghiera sul tema “Giovani e lavoro: un cantiere aperto”, tenutosi nei giorni scorsi a Perugia. All’incontro, promosso dalla Commissione regionale per i problemi sociali e il lavoro, la pace e la custodia del Creato della Conferenza Episcopale Umbra, hanno partecipato in presenza circa trenta persone in rappresentanza delle Istituzioni civili e religiose e del mondo imprenditoriale e sindacale dell’Umbria, ed altre hanno preso parte in remoto, seguendo la diretta streaming trasmessa dai canali social di Chiesainumbria.it , del settimanale La Voce e dell’emittente Umbria Radio InBlu. A moderare i lavori è stata l’avv. Francesca Di Maolo, coordinatrice della Commessione regionale Ceu e presidente dell’Istituto Serafico di Assisi e a relazionare e a tracciare una sintesi dei vari interventi è stato il prof. Luca Fiorucci, docente ordinario di Economia e management delle imprese all’Università di Perugia. A precedere i relatori, tra cui la dott.ssa Laura Binda, responsabile delle risorse umane della Nestlé, sono state quattro testimonianze di storie di resilienze e intraprendenze nel mondo del lavoro di giovani delle Diocesi di Foligno, Spoleto-Norcia, Perugia-Città della Pieve e Terni-Narni-Amelia. “Il Cardinale Bassetti, nel suo intervento, si è soffermato sul rapporto giovani e lavoro prendendo spunto dal fenomeno riemergente dell’emigrazione che li riguarda da vicino. “Tra i nuovi emigranti italiani del XXI secolo, moltissimi sono i giovani – ha evidenziato il porporato –. Giovani che subito dopo la scuola superiore o dopo l’Università, lasciano il nostro Paese. Ne ho incontrati molti di questi giovani. Alcuni scelgono di partire come scelta di vita. Si sentono cittadini del mondo. Molti altri no. Vorrebbero rimanere in Italia ma sono costretti a partire. È questo un fenomeno su cui riflettere perché investe in pieno la nostra comunità regionale. Si riflette per esempio sulla formazione delle famiglie. Uno dei motivi per cui si ritarda la data del matrimonio riguarda proprio la mancanza del lavoro. E conseguentemente della casa e di ogni protezione sociale. E anche dopo il matrimonio, portare avanti una famiglia in questa situazione sociale così complessa diventa veramente difficile. Fare una famiglia oggi è in molti casi un gesto eroico. Penso per esempio alle giovani coppie con figli che vivono nelle grandi città. Ma anche nei nostri piccoli borghi umbri. Riuscire ad armonizzare la vita familiare e il lavoro è una sfida quotidiana dal risultato incerto”. “Mai come oggi, dunque, è veramente importante rimettere al centro della nostra attenzione il rapporto tra giovani e lavoro – ha commentato il card. Bassetti –. Si tratta di una grande questione su cui è opportuno riflettere e soprattutto fare delle proposte concrete sia per ciò che concerne la creazione di nuovi posti di lavoro e sia per ciò che riguarda le politiche sociali che armonizzino il rapporto tra famiglia e lavoro. Una di queste proposte è l’assegno unico universale: spero vivamente, come ho già avuto modo di scrivere su ‘Avvenire’, che il Governo fornisca un’adeguata dotazione finanziaria. Ma in generale, mi auguro che il recovery plan sia veramente di aiuto per far ripartire l’Italia dopo lo shock della pandemia”. Il cardinale, ribadendo quanto già detto in passato, ha parlato di una “nuova questione sociale”, che “si caratterizza per un potere pervasivo della tecnica e per uno sradicamento della persona umana, facendo passare nel silenzio invece una dimensione fondamentale del lavoro: la sua sacralità. Il lavoro è sacro, lo ha detto spesso Papa Francesco, perché attraverso di esso l’uomo si fa con-creatore del mondo. Le persone attraverso questa attività, che va svolta con equità e carità, acquisiscono una loro dignità. Una dignità che però perdono quando al lavoro si sostituisce lo sfruttamento oppure una lunga stagione di precariato e di umiliazione, fino alla disoccupazione”.

Bellunesi nel mondo: tre incontri sull’emigrazione italiana

10 Marzo 2021 - Belluno - L'Associazione Bellunesi nel Mondo, con il supporto della Biblioteca delle migrazioni “Dino Buzzati”, il Centro studi sulle Migrazioni “Aletheia” e Radio ABM, organizza un ciclo di incontri on line dal titolo “Migrar. Storie di emigrazione di gente di montagna”. Tre appuntamenti, a cura della storica Luciana Palla, che saranno trasmessi on line direttamente dal canale YouTube dell’Associazione Bellunesi nel Mondo. Il primo, previsto per venerdì 12 marzo alle ore 18.00, riguarda Storie di donne nelle Dolomiti fra ottocento e novecento: protagonista sarà la figura femminile, ora assurta al ruolo di eroina ladina come Caterina Lanz durante le guerre napoleoniche, oppure grande imprenditrice turistica in Val di Fassa agli inizi del novecento come Maria Piaz, infine donne profughe dalle zone del fronte durante la prima guerra, e da ultimo storie di emigranti con le loro vite sofferte. Il secondo incontro, che si terrà venerdì 16 aprile prossimo, ripercorre La vita straordinaria dell’alpinista fassano Tita Piaz (1887-1948), il “Diavolo delle Dolomiti”, che rivoluzionò il ruolo di guida alpina e il modo di scalare le montagne. Fu però anche protagonista di primo piano nella vita politica dell’epoca, amico di Cesare Battisti, socialista e irredentista, poi antifascista e antinazista. Sul piano economico fu un antesignano dello sviluppo turistico di tipo moderno, facendo della montagna già agli inizi del novecento una risorsa di vita per la comunità dolomitica della Val di Fassa. Il terzo incontro, programmato per venerdì 14 maggio, Quando a partire eravamo noi, riguarda il tema dell’emigrazione, in particolare dai comuni di Colle Santa Lucia, Livinallongo e Rocca Pietore nell’Alto Agordino nella prima metà del novecento. Tutti gli incontri saranno trasmessi in diretta dal canale YouTube dell’Associazione Bellunesi nel Mondo: www.youtube.com/user/bellunesinelmondo.  

Un fumetto per raccontare emigrazione italiana

2 Dicembre 2020 - Bruxelles - Un fumetto per raccontare ai ragazzi una pagina dell'immigrazione italiana. "Una Storia Importante. 70 anni di immigrazione italiana in Belgio e oltre" è il titolo dell'opera, finanziata dal Ministero degli Esteri e realizzata dal disegnatore italo-belga Antonio Cossu, che ripercorre gli anni dell'immigrazione italiana dal 1946 ai giorni nostri, passando per la tragedia della miniera Bois Du Cazier di Marcinelle dell'8 agosto 1956, dove persero la vita 262 minatori, di cui 136 italiani. L'idea del fumetto è stata promossa dal Comitato degli italiani all'estero, Comites Belgio e sostenuta dalla Regione Vallonia "per il suo alto valore divulgativo ed educativo". I disegni di Antonio Cossu raccontano come negli anni '50, in Belgio non sono mancate le discriminazioni e i pregiudizi verso gli italiani. Ai minatori venivano promessi alloggi e buone paghe, ma vivevano in baracche di lamiera. "La storia dell'emigrazione italiana è stata, soprattutto nel primo decennio del dopoguerra, caratterizzata dalla sofferenza degli immigrati stigmatizzati e costretti a durissime condizioni di vita e di lavoro.

Migrantes: 131 mila le partenze per espatrio nell’ultimo anno

27 Ottobre 2020 - Roma - Da gennaio a dicembre 2019 si sono iscritti all’AIRE 257.812 cittadini italiani (erano poco più di 242 mila l’anno prima) di cui il 50,8% per espatrio, il 35,5% per nascita, il 6,7% per reiscrizione da irreperibilità, il 3,6% per acquisizione di cittadinanza, lo 0,7% per trasferimento dall’AIRE di altro comune e, infine, il 2,7% per altri motivi. Il dato oggi nel rapporto Italiani nel Mondo presentato dalla Fondazione Migrantes. In valore assoluto, quindi, nel corso del 2019 hanno registrato la loro residenza fuori dei confini nazionali, per solo espatrio, 130.936 connazionali (+2.353 persone rispetto all’anno precedente). Il 55,3% (72.424 in valore assoluto) sono maschi, il 64,5% (84.392) celibi o nubili e il 30% circa (39.506) coniugati/e. Si tratta di partenze più maschili che femminili al contrario di quanto visto per la comunità generale degli iscritti all’AIRE dove la differenza di genere si sta sempre più assottigliando e di persone che, nella stragrande maggioranza dei casi, partono non unite in matrimonio poiché soprattutto giovani (il 40,9% ha tra i 18 e il 34 anni), ma anche giovani-adulti (il 23,9% ha tra i 35 e i 49 anni). D’altra parte, però, i minori sono il 20,3% (26.557) e di questi l’11,9% ha meno di 10 anni: continuano, quindi, le partenze anche dei nuclei familiari con figli al seguito. Diminuisce il protagonismo degli anziani (il 4,8% del totale ha dai 65 anni in su), ma non quello dei migranti maturi (il 10,1% ha tra i 50 e i 64 anni). Rispetto all’anno precedente riscontriamo una crescita generale del +1,8% che diventa il 5,5% dal 2017. In soli 4 anni le peculiarità di chi parte dall’Italia sono completamente cambiate più volte. Se dal 2017 al 2018 è stato riscontrato un certo protagonismo degli anziani, nell’arco degli ultimi quattro anni si rileva una crescita nelle partenze di minori dai 10 ai 14 anni (+11,6%) e di adolescenti dai 15 ai 17 anni (+5,4%), ai quali si uniscono i giovani (+9,3% dai 18 ai 34 anni) e gli adulti maturi (+9,2% dai 50 ai 64 anni). L’ultimo anno rispecchia la tendenza complessiva: l’Italia sta continuando a perdere le sue forze più giovani e vitali, capacità e competenze che vengono messe a disposizione di paesi altri che non solo li valorizzano appena li intercettano, ma ne usufruiscono negli anni migliori, quando cioè creatività e voglia di emergere sono ai livelli più alti per freschezza, genuinità e spirito di competizione. Il 72,9% dei quasi 131 mila iscritti all’AIRE da gennaio a dicembre 2019 si è iscritto in Europa e il 20,5% in America (di questi, il 14,3% in quella meridionale). Sono 186 le destinazioni scelte da chi ha deciso di risiedere all’estero nell’ultimo anno. Tra le prime 20 mete vi sono nazioni di quattro continenti diversi, ma ben 14 sono paesi europei. In quarta posizione troviamo il Brasile che insieme all’Argentina (8° posto) e agli Stati Uniti (7° posto) rappresentano il continente americano che si completa dell’Oceania con l’Australia (9° posto), dell’Asia (Emirati Arabi, 19° posto) e dell’Africa (Tunisia, 23° posto). Nelle prime posizioni si fanno notare paesi di “storica” presenza migratoria italiana. Al primo posto, ormai da diversi anni, vi è il Regno Unito (quasi 25 mila iscrizioni, il 19,0% del totale) per il quale vale sia il discorso di effettive nuove iscrizioni sia quello di emersioni di connazionali da tempo presenti sul territorio inglese e che, in virtù della Brexit, hanno deciso di regolarizzare ufficialmente la loro presenza complice il complesso e confusionario processo di transizione rispetto ai diritti, ai doveri, al riconoscimento o meno di chi nel Regno Unito già risiedeva e lavorava da tempo. A seguire la Germania (19.253, il 14,7%) e la Francia (14.196, il 10,8%), nazioni che continuano ad attirare italiani soprattutto legati a tradizioni migratorie di ricerca di lavori generici da una parte – si pensi a tutto il mondo della ristorazione e dell’edilizia – e specialistici dall’altra, legati al mondo accademico, al settore sanitario o a quello ingegneristico di area internazionale. Va considerato, inoltre, il mondo creativo e artistico italiano che trova terreno fertile in nazioni come la Francia e la Germania e, in particolare, in città come Parigi e Berlino. La Lombardia continua ad essere oggi la regione principale per numero di partenze totali ma non si può parlare di aumento percentuale delle stesse (-3,8% nell’ultimo anno). Il discorso opposto vale, invece, per il Molise (+18,1%), la Campania (+13,9%), la Calabria (+13,6%) e il Veneto (+13,3%). È necessario porre in evidenza un altro elemento: il dato della Sardegna (-14,6%) e, unitamente, anche quello della Sicilia (-0,3%), dell’Abruzzo (1,5%) e della Basilicata (3,4%) si spiega considerando la circolarità del protagonismo regionale. Vi sono regioni, cioè, che oggi hanno raggiunto un grado talmente alto di desertificazione e polverizzazione sociale da non riuscire più a dare linfa neppure alla mobilità nonostante le partenze in valore assoluto – ed è il caso della Sicilia in particolare – le pongano al terzo posto tra tutte le regioni di Italia per numero di partenze. In generale, quindi, le regioni del Nord sono le più rappresentate, ma nel dettaglio viene naturale chiedersi quanti pur partendo oggi dalla Lombardia o dal Veneto sono, in realtà, figli di una prima migrazione per studio, lavoro o trasferimento della famiglia dal Sud al Nord Italia.  

“L’influenza italiana sullo sviluppo, sulla cultura e lo sport nello Stato del Minas Gerais”: un convegno da domani in diretta streaming

5 Ottobre 2020 - Roma - Il X Seminario sull’ Emigrazione Italiana nel Minas Gerais si svolgerà in diretta streaming dal 6 al 10 ottobre 2020. L’ evento è promosso da “Ponte entre Culturas” e dal “Consiglio Generale degli Italiani all’Estero – CGIE” in partenariato con le Università Federali di Minas Gerais (UFMG) e di Juiz de Fora (UFJF) e con il patrocinio del Consolato d’ Itália in Belo Horizonte. Tra il 1875 e il 1960 – spiega una nota - quasi due milioni di italiani emigrarono in Brasile e quelli che vi rimasero - cioè circa un milione - costituirono la base per l'inizio della crescita demografica della componente italiana del popolo brasiliano. Minas Gerais è stata la terza area a ricevere immigrati italiani, dopo gli stati di São Paulo e Rio Grande do Sul: i dati esistenti suggeriscono che la popolazione di discendenti italiani in tutto il Minas Gerais è di circa due milioni. C'è anche una più recente immigrazione italiana, legata all'arrivo della FIAT negli anni '70, a cui si aggiunge una nuova ondata migratoria, iniziata negli anni 2000 e intensificatasi con la crisi globale del 2008. Nonostante l’importanza di questo fenomeno, gli studi sull’emigrazione italiana nello stato del Minas Gerais sono sempre stati molto scarsi. Per colmare questa lacuna nel 2005 è nato il progetto del Seminario sull’Emigrazione italiana nel Minas Gerais che si prefigge di incentivare la ricerca e divulgare i diversi aspetti e contributi dati dagli emigrati italiani allo sviluppo di questo Stato, in ambito culturale, socioeconomico e politico. Il seminario ha anche l’obiettivo di promuovere il dialogo tra Minas Gerais e l'Italia in diversi ambiti e, per questo motivo, il programma ha sempre dato spazio a temi contemporanei con la partecipazione di esperti italiani e brasiliani. L'evento è multidisciplinare, pubblico e gratuito previa iscrizione. Quest’anno si svolgerà on line in streaming su youtube. Il programma prevede tre sessioni con la presentazione di lavori di ricerca, conclusi o in corso, riguardanti il tema dell'influenza italiana nello Stato del Minas Gerais  su tre assi tematici: lo sviluppo economico e sociale regionale; la formazione culturale e identitaria nelle sue manifestazioni materiali e immateriali e la nascita, l'organizzazione e la diffusione dello sport. Le sessioni di apertura e di chiusura saranno dedicate a temi contemporanei come lo sviluppo sostenibile e il made in Italy, e ai rapporti bilaterali in ambito socioeconomico e culturale, con la partecipazione di rappresentanti istituzionali, ricercatori ed esperti italiani e brasiliani. Per info www.ponteentreculturas.com.br/seminario2020  

Italiani all’estero: parte l’Osservatorio delle Radici Italiane

1 Giugno 2020 -

Roma - Da anni attiva sul tema dell’emigrazione, della mobilità e delle ricadute che queste hanno sul territorio l’Associazione AsSud ha istituito il Centro Studi e Ricerche sul tema “Osservatorio permanente delle Radici Italiane” (ORI), in modo da coordinare e dare maggiore impulso alle varie azioni che in questi anni l’Associazione ha promosso, sostenuto, diretto, in collaborazione con Istituzioni, Università, Case Editrici, Scuole, e tutti gli attori territoriali e le comunità locali. L’Osservatorio svolge le funzioni di monitorare in modo permanente tutto ciò che attiene alle radici, all’identità ai valori italiani, tanto sul piano teorico che empirico, sia per il passato che per il presente, dentro e fuori i confini nazionali. Tra le iniziative di questo periodo una ricerca dal titolo “Scoprirsi Italiani: i viaggi delle radici in Italia”.

 

Svimez: nasce osservatorio su cittadinanza, emigrazione e investimenti sociali

18 Dicembre 2019 - Roma - L’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (Svimez) ha siglato un protocollo di partenariato con Sapienza-Irpps e l’Università Federico II di Napoli che porterà alla nascita di “Laboratorio Mezzogiorno: cittadinanza, emigrazione e investimenti sociali”, un osservatorio di analisi a sostegno delle policy e dei programmi che riguardano la dimensione sociale degli interventi in favore delle Regioni meridionali. “In particolare – spiega una nota –, l’osservatorio si muoverà su alcune direttrici: analizzare le disuguaglianze territoriali nell’accesso ai servizi sociali e alle opportunità occupazionali, con particolare attenzione ai soggetti e alle aree più fragili; analizzare l’impatto dell’emigrazione all’interno e all’estero con particolare riferimento alla situazione nelle aree di partenza; valutare l’impatto degli investimenti sociali per il rafforzamento della coesione sociale e della crescita e, infine valutare l’impatto della transizione ecologica nel paese, con una particolare attenzione al Mezzogiorno”. L’obiettivo, prosegue la nota, “è quello di contribuire allo sviluppo della conoscenza sulle tematiche dei diritti di cittadinanza, della coesione, degli investimenti sociali, della transizione ecologica, coniugando azioni di ricerca e analisi dei dati ricerca, con studi di campo che permettano di vedere meglio alcuni fenomeni”.  

Piacenza: sabato l’inaugurazione del Museo dell’Emigrazione

25 Novembre 2019 - Piacenza – Sarà inaugurato sabato 30 novembre a Piacenza il “Museo Emigrazione Scalabrini”. Alla presentazione delle sale sono previsti gli interventi di  p. Gianni Borin, Vicario generale della Congregazione dei Missionari Scalabriniani, il vescovo di Piacenza-Bobbio, Mons. Gianni Ambrosio, Patrizia Barbieri, sindaco di Piacenza,  Massimo Toscani, Presidente della Fondazione di Piacenza e Vigevano, don Giovanni De Robertis, Direttore generale della Fondazione Migrantes della CEI, Manuel Ferrari, Direttore dell’Ufficio Beni culturali della diocesi, Elena Pedrazzini, Direttrice di Twin Studio Milano e p. Lorenzo Prencipe, Direttore del Centro studi emigrazione Roma, moderati da padre Gaetano Parolin. A Piacenza esiste già un museo “Sì, un museo piccolo, dedicato alle cose personali” del fondatore degli scalabrinaini, il vescovo Giovanni Battista Scalabrini, dice p. Parolin in una intervista pubblicata dal settimanale diocesano “Il Nuovo Giornale”: “Quello nuovo invece è un museo che inserisce Scalabrini in un contesto sociale”. L’anno scorso Capitolo della Congregazione è  stato presentato e approvato il progetto: “avevo chiesto all’architetto Ferrari di prepararlo e poi lo ha seguito in prima persona affidandosi per la elaborazione delle immagini, dei filmati, al Twin Studio di Milano. Per la parte economica invece sono arrivati contributi dell’8 per mille tramite la Fondazione Migrantes e dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano”, spiega il religioso aggiungendo che con questa iniziativa “vorremmo fa capire che quanto successo ai nostri italiani a partire dalla fine dell’Ottocento, sta succedendo oggi a tante altre persone. Come gli Scalabriniani hanno tentato in tutti i modi di difendere la dignità, la vita degli italiani vorremmo che anche oggi ci fosse una risposta solidale per le nuove migrazioni. La nostra intenzione è di rivolgerci soprattutto a gruppi scolastici e parrocchiali e far seguire alla visita un momento di approfondimento per riflettere subito su quanto appreso. Il Museo Emigrazione Scalabrini, dopo l’inaugurazione del 30 novembre e fino al 15 marzo 2020, sarà visitabile solo il sabato e la domenica dalle 15 alle 18; dal 16 marzo 2020 apertura anche dal lunedì al venerdì – solo su prenotazione - dalle 9.30 alle 12.30.

Mons. Marciante: “raggiungiamo con la luce della nostra preghiera e della nostra fede i nostri fratelli immigrati”

7 Agosto 2019 - Cefalù - “Noi tutti, stasera, come discepoli del Cristo Trasfigurato, vogliamo con la nostra preghiera stare accanto a quei nostri fratelli che hanno urgente bisogno di incontrare il volto luminoso del Cristo, di ricevere la Luce di Dio, la Sua gloria, e la Sua Speranza. Il nostro ricordo vada al prossimo più prossimo che abita a pochi passi da noi, ma che arriva da quelle aree del mondo tanto diverse dalle nostre. Tanto povere, abitate solo dal buio della disperazione, dal grido di guerre sanguinose, di morti anche innocenti”. Lo ha detto ieri sera, sul sagrato della Cattedrale di Cefalù, il vescovo mons. Giuseppe Marciante nel discorso alla cittadinanza, al termine della solenne festa del Santissimo Salvatore. “Raggiungiamo con la luce della nostra preghiera e della nostra fede i nostri fratelli immigrati. Penso – ha detto mons. Marciante - a quelli che risiedono al centro di accoglienza di Piano Zucchi: li ho incontrati giorni fa. La compostezza dei loro gesti, di ogni loro movimento mi ha consegnato il disagio della gratitudine. Li ho osservati. Dai loro occhi traspariva tristezza, dolore. Erano occhi velati da paure mai raccontate, portavano le cicatrici di affetti spezzati. In quel centro è come se fossi stato ‘arrostito’ dalla grazia di Dio.  Anche loro sono umani; hanno bisogno di progetti di Speranza. Non lasciamoci travolgere dall’odio, dal populismo e dalla paura dell’altro uomo. La luce del Cristo trasfigurato faccia nascere o rafforzi in noi la mentalità dell’accoglienza, dell’integrazione, ci spinga a un forte rinnovamento interiore che ci allontani dal vedere nel fratello immigrato un peso da portare, ma a considerarlo una risorsa”. Il vescovo cita alcuni dati relativi alla scuola dove sono iscritti oltre 850.000 minori provenienti da 160 diversi paesi del mondo:  “siamo di fronte a una fonte di ricchezza inesauribile e spesso ancora inesplorata. Se la confrontiamo ad un’altra cifra, quella della diminuzione degli studenti italiani in Sicilia, pari a 11.000 unità l’anno.  Ciò significa che ogni anno muore un paese. Impegniamoci a essere una Chiesa che decide di stare in piedi che impara a capire come gli "scarti" diventino pietra angolare”. Il presule invita poi a non dimenticare “i nostri giovani con le valigie che lasciano la nostra terra per inseguire con tenacia e coraggio i loro sogni che spesso si trovano sulle cime impervie di un Tabor lontano diverse migliaia di chilometri dalla nostra splendida isola”. Anche qui alcuni dati: lo scorso anno oltre 128.000 connazionali hanno lasciato l’Italia; di questi, più di 24.000 erano minori, definiti “minori con la valigia”. Le cifre sono “talvolta impietose”: quasi il 17% di questi minori ha meno di 14 anni: “non si tratta di un fenomeno transitorio. Chiediamo luce al Cristo trasfigurato per capire meglio il futuro e le profonde e radicali trasformazioni della geo-politica mondiale che ci toccano anche da vicino, coinvolgendo i nostri centri abitati. Tanti nostri connazionali e conterranei sbarcano a Londra, Berlino, Amsterdam, Parigi, New York, Sidney e perfino a Shangai”.  Un numero sempre crescente di Italiani continua a raggiungere la Spagna: “si è stanchi di retribuzioni dimezzate, di lavoro sommerso non tutelato, di precari ancora non ancora stabilizzati dai nostri enti pubblici come la Regione e i nostri Comuni, di un paese che non riesce ancora a premiare il merito, di una burocrazia asfissiante, di una situazione perennemente stagnante. Talvolta ci si trova obbligati a una scelta atroce: o ci si accontenta di essere schiavi o si è costretti a partire. Siamo vicini a questo flusso inarrestabile, a questa emorragia di ristoratori, pizzaioli, camerieri, medici, commercialisti, muratori, insegnanti, giovani universitari e persino minori che sono costretti a imbarcarsi per un viaggio di sola andata, spesso senza ritorno”.