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Mons. Baturi: la soluzione al problema migranti non può essere solo respingere e contenere
Roma - La Chiesa italiana esprime « preoccupazione per una soluzione del problema dei migranti solo in termini di respingimento, di contenimento e di ordine pubblico ». Lo afferma l’arcivescovo di Cagliari Giuseppe Baturi, Segretario generale della Cei nella conferenza stampa di chiusura dei lavori del Consiglio permanente. Le domande si focalizzano sui provvedimenti governativi attesi nella serata di ieri (la conferenza stampa si è svolta nel primo pomeriggio di ieri). «È necessario - avverte - che tutti i provvedimenti siano rispettosi della dignità dell'uomo, che non si protraggano ad esempio delle detenzioni oltre la misura necessaria, ma poi è necessario attivare tutti gli altri percorsi perché le vite umane siano accolte, siano protette, siano promosse e siano integrate come dice il Papa». Quindi «non si può ridurre la gestione di questo fenomeno soltanto a una misura di contenimento detentivo o in vista di una azione di rimpatrio». Sollecitato sulla stretta sui minori e sulle donne incinte, il presule è stato molto chiaro: «I minori hanno bisogno di maggiore tutela, così come le donne, sui minori non accompagnati è necessario avviare una riflessione con le comunità locali, con le Regioni, c'è la necessità di conoscere le loro storie individuali, di proteggerli anche con l'aiuto di staff, di figure di professionisti capaci di accompagnarli, le misure semplicemente detentive potrebbero non raggiungere lo scopo di un rispetto della dignità dell'uomo, su questo penso che è possibile un dialogo con la società civile, con la Chiesa, con le autonomi locali, con il mondo del Terzo settore». Riguardo al tema dei migranti Baturi ricorda l’impegno della Chiesa italiana con la campagna “Liberi di partire, liberi di restare”, titolo che è stato ripreso nel Messaggio del Papa per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato di quest’anno. Campagna che ha visto la realizzazione di 130 progetti (in Italia, nei Paesi di transito e in quelli di partenza) per un totale di oltre 28 milioni di euro.
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Don Torreggiani: oggi la conclusione della fase diocesana della causa di beatificazione dell’apostolo tra nomadi e circensi
Reggio Emilia - Apostolo delle carovane e degli spettacoli viaggianti, fondatore dei Servi della Chiesa, missionario dal cuore grande, amico dei carcerati, monsignor Dino Torreggiani sta per compiere un altro passo verso gli altari. L’appuntamento è nella Cattedrale di Reggio Emilia per stasera alle 19, quando l’arcivescovo Giacomo Morandi presiederà la Messa a chiusura dell’inchiesta diocesana circa la vita, le virtù e la fama di santità del servo di Dio reggiano che era stata avviata nel 2006. La data scelta per la celebrazione è significativa: oggi ricorre infatti il 40° anniversario della nascita al cielo di don Torreggiani. Per favorire la partecipazione anche dagli altri Paesi del mondo in cui sono presenti servi e serve della Chiesa, il Centro comunicazioni sociali di Reggio Emilia-Guastalla trasmetterà la liturgia eucaristica in diretta streaming sul canale YouTube La Libertà Tv. Don Torreggiani fu un precursore della Chiesa dei poveri. «Non la Chiesa che si occupa di loro, ma la Chiesa che assume i loro lineamenti, la loro condizione come frutto di immedesimazione in loro, e come riflesso dell’incarnazione stessa del Verbo che si è fatto carne e che da ricco si è fatto povero, svuotando se stesso», come scrive don Daniele Simonazzi, membro dei Servi della Chiesa, sul settimanale diocesano. Un prete, don Dino, il cui agire è sempre stato sorretto dalla Provvidenza; un uomo agostinianamente inquieto e molto autocritico, che ha considerato la santità come la condizione normale per la vita della Chiesa e che ha intuìto – sottolinea ancora don Simonazzi – di potersi consacrare al Signore con i voti rimanendo un prete diocesano; la consacrazione totale al Signore mediante i voti fa del prete – qui sono parole di Torreggiani – «un uomo posseduto da Dio, un’anima profondamente carismatica, nella quale i carismi dello Spirito Santo lavorano, facendone un profeta, un testimone, una viva sensibilità alla presenza di Cristo nel suo popolo». L’architrave del sacerdozio di don Torreggiani è stato la pratica «generosa, sincera e libera» dei consigli evangelici, che egli ha tentato a più riprese di proporre a vescovi e a presbiteri, per una Chiesa dei carismi, ma anche dell’obbedienza, della comunione, della condivisione e della corresponsabilità, fedele al “sacramento dei poveri”. Nella sua vita il presbitero alternava giornate frenetiche – accompagnate da don Bosco, dal Cottolengo e dallo Chevrier – a pensose veglie notturne con santa Teresa di Lisieux, Grignion De Montfort e il curato d’Ars. Don Dino fu un suscitatore di vocazioni e spese il suo ministero tra sinti, rom e carcerati, tanto da dar vita nel 1958 all’Opera per l’assistenza spirituale ai nomadi in Italia. Gli premeva piuttosto raggiungere le anime, soprattutto dei figli del proletariato e del sottoproletariato, perché credeva a una sola rivoluzione: quella innescata da una testimonianza radicale del Vangelo. Negli anni ‘50 e ‘60 i Servi della Chiesa varcarono i confini reggiani in direzione del Veneto, della Toscana, del Lazio, dell’Umbria, dell’Italia meridionale e insulare. Ex detenuti, nomadi, anziani, lavoratori dello spettacolo viaggiante, e ancor prima i vescovi di numerose diocesi in difficoltà, impararono a conoscere la loro carità non episodica. Don Torreggiani contribuì anche al ripristino del diaconato permanente in Italia. Ebbe un grande spirito missionario: non a caso morì nel 1983 in Spagna, a Palencia, dove si era recato per rilanciare il suo Istituto verso nuovi orizzonti in America latina. (Edoardo Tincani - Avvenire)