26 Dicembre 2022 - Londra - Il Natale del Signore irrompe nella nostra vita, squarciando le tenebre che offuscano il nostro cammino verso la sua pienezza. La nascita di Dio emana una luce che illumina e riscalda i nostri cuori e con la sua grazia ravviva in noi il desiderio di raggiungere ogni angolo remoto della terra per portare a tutti la gioia del Vangelo e, soprattutto, ci invita ad allargare lo sguardo verso “un noi sempre più grande”. Dio si fa bambino migrante e sceglie di nascere da un uomo e una donna migranti; non nasce a casa sua, ma in una grotta, al freddo e al gelo, come ci ricorda il canto della nostra tradizione. Accogliere Gesù significa accettare di essere, come Lui, migranti, e di vivere la fede con il senso di incompiutezza e di precarietà proprie del migrante. La fede non è possesso, è itinerario.
La fede nasce dal discepolato di Cristo e il discepolo deve innanzitutto saper star fermo ad ascoltare la parola e imitare l’esempio del suo Maestro; arriva, e deve arrivare prima o poi, il momento in cui il discepolo, raggiunta la sua maturità, accoglie il mandato di diventare apostolo. Tocca ora a lui farsi parola e farsi gesto e azione.
A Natale Dio ci ricorda che la parola ha un potere straordinario: non è solo fiato e suono; la parola è responsabilità, impegno, dono; la parola è credibilità.
E’ per questo che in Dio il Verbo, la Parola, si fa carne. Dio promette, ma si assume la responsabilità di realizzare in prima persona le sue promesse. Possa il Signore sostenerci nel percorso di consapevolezza verso l’uso delle parole e, sul suo esempio, ci aiuti a diventare responsabili di questo grande dono. Che ogni parola che noi pronunciamo, o scriviamo, sia sempre più emanazione
della Parola; che le nostre parole siano sempre più Parola.
Le nostre parole si fanno Parola non solo quando come discepoli ci fermiamo ad ascoltarla e a meditarla, ma, soprattutto, quando accettiamo di trasformarla in gesto e azione (Mt 7,21; 12,50), quando ci assumiamo la responsabilità di portarla in quelle “periferie esistenziali” dove vivono tanti uomini e donne alla ricerca di quella gioia vera che il mondo non può offrire.
Questi uomini e queste donne non si trovano in altri continenti; sono, piuttosto, il mio prossimo: persone a volte affamate di pane, ma più spesso anche di amore vero e di rapporti autentici; persone assetate d’acqua, ma anche di verità, di pace, di giustizia; persone forestiere, ma anche persone che noi rendiamo tali in quanto altre da noi con il loro modo di essere, di pensare, o
semplicemente, straniere perché estromesse dal nostro tempo o dalla nostra attenzione, perché parlano una lingua diversa dalla nostra, hanno il colore della pelle, una religione, una preferenza sessuale, un livello culturale, diversi dai nostri; persone nude, perché indifese o fragili, perché giudicate, derise, emarginate; persone malate o carcerate, che si sentono sole e che hanno bisogno accanto a loro di una presenza di ascolto non giudicativa, un atteggiamento di misericordia, o semplicemente di ricevere un sorriso o un abbraccio.
Quel prossimo, qualsiasi sia il suo volto, è Cristo (Mt 25,35-44). Non esiste nessun Cristo alternativo a quello migrante, affamato, assetato, nudo, straniero, malato e carcerato. E’ quel prossimo, e solo quel prossimo, che ci definisce e ci rende propriamente cristiani. La fede cristiana è come il polo di una calamita: può sprigionare la pienezza della grazia solo se connessa all’altro polo, il prossimo. Per costruire “un noi sempre più grande”, come ci invita a fare Papa Francesco, dobbiamo allenarci ad avere un cuore sempre più grande e un ego sempre più piccolo.
La Missione dell’apostolo è difficile, ma quando la nostra vita sembra venire risucchiata dalla tempesta e sballottata dal vento contrario, lui ci incoraggia dicendo: “Coraggio, non abbiate paura” (cf Mt 14,22-36). Noi non siamo mai soli, il Signore ha scelto di essere l’Emanuele, il Dio con noi. Questo santo giorno, con l’irradiazione della luce emanata da Gesù che nasce ancora tra noi, ci dà l’opportunità di riscoprire, ancora una volta, che quella luce era dentro di noi sin dal giorno del nostro Battesimo, una luce per noi e in noi: noi siamo la luce del mondo (Mt 5,14a); una luce che ci è data non per restare nascosta, ma per risplendere nel mondo (Mt 5,14b-16).
Se solleviamo lo sguardo, scopriremo attorno a noi tanti fratelli e sorelle che, animati dalla dono della fede e della stessa grazia, Dio ha convocato e ci ha messo accanto per realizzare lo stesso progetto: edificare una nuova umanità.
Sono loro, siamo noi, quella porzione della Chiesa, la Betlemme, da cui siamo invitati a partire per raggiungere tutti gli uomini e le donne di buona volontà e a condividere con loro l’annuncio di cui oggi siamo destinatari: “Gloria a Dio e pace in terra agli uomini, che egli ama” (Lc 2,14).
don Antonio Serra
Coordinatore Missioni cattoliche Gran Bretagna