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Covid19: il racconto di suor Giuliana Bosini

10 Novembre 2020 - Francoforte - All’inizio di marzo è morto un mio cugino sacerdote per il Corona-virus. Ogni giorno poi chiamavo mio fratello Marco a Piacenza, anche lui malato per sapere come stava. Il 21 marzo si è fatto ricoverare perché la sua situazione respiratoria era peggiorata. A quel punto anche mia cognata era positiva. Entrambi si occupavano di mia mamma. Intanto i giorni passavano e in Germania eravamo nel blocco delle attività con le chiese chiuse. Ho detto alle mie consorelle “se va in ospedale anche mia cognata, la mia mamma a novant’anni rimane sola. Devo fare qualcosa, devo uscire da qui”. L’unico modo per arrivare da mia madre a Piacenza era prendere l’auto. Il 25 marzo dopo aver parlato con tutti, sacerdoti, superiori, comunità eccetera sono partita. Sono arrivata senza problemi alle frontiere ma a casa mi sono subito accorta che mia mamma non stava bene. Io mi sono messa in quella parte della casa con mia mamma un po’ più riservata e isolata. Abbiamo provveduto alla cura di mia cognata che aveva febbre e tanta tosse. I miei nipoti dicevano “zia, sei l’unica che può guidare la macchina per favore vai a fare la spesa”. E un giorno a far spesa, un giorno dal medico, un giorno in farmacia, le situazioni erano varie e mi prendevo cura un po’ di tutto questo. Il 31 marzo ho cominciato ad avvertire febbre e lì ho capito che potevo essere positiva anch’io e da quel giorno non solo più uscita di casa. Il 2 aprile la mia mamma venne ricoverata in geriatria a Piacenza, era positiva e cominciava ad aggravarsi. Intanto io a casa andavo avanti con Tachipirina e antibiotici, i medici ci curavano per telefono finché la situazione si è aggravata ed è venuta la dottoressa Rapacioli e un collega che mi hanno subito fatto una lastra al torace e hanno detto “Ha la polmonite, sorella, dobbiamo passare all’antivirale”. Mi hanno dato sette pastiglie rosa antivirali, grandi come confetti e mi sono detta “beh, sono sette, passerà presto” ma il terzo giorno non respiravo più, mi hanno ricoverata. In una giornata il mio polmone è peggiorato, dal 40% è sceso all’20% di attività, quindi il mio lettino è passato dalla medicina d’urgenza alla rianimazione, era il 10 aprile, Venerdì santo. Mentre mi trasportavano in rianimazione vedevo dalle vetrate la Cupola della Basilica di Santa Maria di Campania e ho detto “Maria, va avanti tu”, non sapevo in che condizioni fossi, che cosa mi stavano facendo. Il virus lavora sul polmone in modo devastante e molto velocemente. Arrivata in rianimazione la dottoressa Savi mi guardò e disse: “Lei non ha alternative che essere intubata. Si tolga gli anelli e si prepari, in tre minuti deve essere intubata”. Ed è stata una seconda consegna, la prima l’ho fatta alla Madonna e la seconda l’ho fatta a questa dottoressa che è stata molto autorevole e precisa. Ed era il pomeriggio del venerdì santo. Mi hanno messo in coma farmacologico per nove giorni, poi hanno cominciato a ridurre la somministrazione del farmaco per il risveglio. E quella mattina aprendo gli occhi vedevo sulla parete di fronte al mio letto l’immagine di una madonnina e dicevo “Maria, come andiamo a finire qua? Non ho la forza di battere ciglio”. Dopo tutti questi giorni non sapevo dove mi trovavo, vedevo solo questa madonnina e dialogavo con lei e con Gesù. Ho dato la vita a Gesù e non la voglio ritirare – “Gesù, la vita è tua e me la stai prendendo”. Mi sembrava davvero che la mia vita fosse un gradino in discesa. Poi proseguendo nella preghiera e nella riflessione guardavo la madonnina “Maria, solo tu puoi andare avanti, solo tu mi puoi salvare da queste acque, troppo grave è la mia situazione”. Mi venne in mente un’immagine che una famiglia mi mostrò tornando dalla Terrasanta, quella della piscina di Betzaeta, vedendo quella foto, allora, scoppiai a piangere. La famiglia mi regalò la foto che mi ricordava l’episodio del Vangelo dove chiede al paralitico “Vuoi guarire?”. Cominciavo a essere consapevole che la grazia della guarigione che avvenne a quell’uomo vicino alla piscina di Siloe in quel momento poteva avvenire anche per me, in quel momento ero io la paralitica. “Gesù, ascolta, chi mi può salvare, chi mi può immergere in questa acqua di guarigione?”. Ho sentito che Maria avrebbe interceduto! Così ho promesso che se fossi guarita sarei andata a Loreto a piedi per ringraziare. Immediatamente nella mia mente è risuonato questo versetto biblico: “e sulle alture mi fa camminare” (Ab 3, 16). Ho capito di avercela fatta, di aver ricevuto la grazia della guarigione. Verso le otto di sera sento la voce di un’infermiera che dice “Suor Giuliana, sono l’infermiera incaricata del risveglio, mi sente?”. La sentivo ma non capivo dov’ero. “Si ricorda che è stata intubata, che è in rianimazione, si ricorda?”. Cominciavo a ricordare. “Ha male?” mi chiedeva. Avevo male ma non potevo parlare, mi toccava le mani per chiedere un segno convenzionale e capìi che mi facevano male i lacci che tenevano le braccia legate alle spranghe del letto. Tutti i ricoverati in rianimazione venivano legati al letto per evitare che si strappassero i tubi. L’infermiera allora disse “slegatela”. Su quel lettino, ero il numero nove della rianimazione, avevo davanti al mio letto, grandissimo l’orologio, e vedevo scattare minuto per minuto senza capire se era notte o giorno perché avevamo sempre una luce artificiale, essendo un reparto sotterraneo, e cercando di capire dal saluto che davano gli infermieri se eravamo di mattina presto, di pomeriggio; avendo dormito tanto al risveglio sono stata con gli occhi sbarrati per giorni e giorni e questo mi ha aiutata a considerare tante cose, il valore del tempo, il valore delle relazioni, a considerare il valore della preghiera e la certezza che molte persone pregavano per me, molti amici laici. Era come se un po’ in giro per il mondo ci fossero delle forze che si univano per sganciare me da quella situazione di immobilità. Ne ero così certa che mi sembrava di sentire la loro presenza lì. In particolare una signora di Napoli, Rosaria che abita vicino a Pompei, non so perché, mi sembrava che la sua mano fosse veramente stretta alla mia destra. Riportata in medicina d’urgenza dove era rimasta tutta la mia roba ho fatto delle telefonate. La prima con la superiora di Piacenza che mi disse “Eravamo in ottocentosettanta su facebook alle tre e mezza ogni giorno unite nella preghiera per chiedere la tua guarigione”. C’erano le amiche di Padova, di Piacenza, le persone della Germania, le mie suore del Brasile, degli Stati Uniti e dell’India, appena incontrate a Roma per il Capitolo generale, sapevo che la preghiera di tutte loro era in quel momento una forza per me. Questa cosa è rimasta nel mio cuore. In tante situazioni non è la nostra forza che ci innalza che ci fa fare, che ci fa essere; è veramente la grazia della preghiera e io l’ho sentita tanto. Dopo quella telefonata mi arrivò la telefonata di Rosaria di Pompei – “Suor Giuliana, ma tu hai sentito la mia mano?” – “Rosaria, non mi dire così” – “Ma hai sentito la mia mano? Io ti ho voluta stringere forte per dirti che non ti lascio un istante”. Il 21 aprile mi fanno uscire dalla rianimazione e spunta la dottoressa che mi ha intubato e mi disse “Si ricordi che Lei è un ottimo risultato per noi, risultato non scontato. Preghi per noi” Mentre io uscivo dal pericolo la mia mamma moriva nell’altro ospedale. Il 25 aprile mi hanno detto che ero fuori pericolo. Il 27 io e il mio compagno di camera, Giuseppe, un vigile urbano, che anche lui ha perso la mamma mentre era in coma, siamo stati portati all’ospedale di Castel San Giovanni, dove il giorno prima era morta la mia mamma. E non ci siamo viste. Non dovevo buttare via niente di questo dolore e del dolore di tanti altri, dovevo trasformare questo dolore in una nuova forma di evangelizzazione e così pensando durante il rientro in Germania in auto, che mi è costato fatica guidare otto ore. Ho chiesto a Gesù di farmi capire quale diversità dovevo porre nel mio ritornare in guarigione, cosa si attendeva da me, quale nuovo slancio. Non lo so ma mi sembra di percepire a distanza di riqualificare la parola di Dio che salva che rigenera. Passando in mezzo a queste prove ti accorgi che tutto non è come prima, la vita la si dona, ma in un batter d’occhio può volar via e la vita vale molto. Mi sembrava di voler cancellare ogni forma di frettolosità e di porre al centro la persona perché la persona è un tesoro così alto, così straordinario, dato da Dio, fatta a sua immagine. In assoluto la persona al primo posto, questo è ciò che mi è rimasto, cercare un equilibrio fra le richieste della missione e la qualità dell’annuncio che voglio dare che sento di dover dare alla nostra gente. (Corriere d'Italia)  

Scalabriniane: 125 anni di storia a fianco dei migranti

26 Ottobre 2020 -  Piacenza - Compiono 125 anni le Suore Missionarie di San Carlo Borromeo, le "Scalabriniane". Da quel 25 ottobre 1895 sono le "suore dei migranti". Sarà un Giubileo tutto particolare quello di quest'anno, in piena pandemia di Covid-19. Per questo motivo le comunità missionarie dei 27 Paesi del mondo si sono organizzate con eventi online e momenti di raccoglimento e preghiera. Le iniziative (che dureranno per tutto un anno) partono a Piacenza, dove ieri si è tenuta una celebrazione eucaristica nella Cattedrale della città, nello stesso luogo dove è possibile vedere le spoglie mortali del fondatore, il beato Giovanni Battista Scalabrini. Quel 25 ottobre di 125 anni fa, alla presenza del cofondatore, il venerabile padre Giuseppe Marchetti, quattro suore pioniere, la beata Madre Assunta Marchetti (cofondatrice) Carolina Marchetti, Angela Larini e Maria Franceschini, emisero i primi voti. "Ancora echeggia forte nel nostro cuore l'appello che ci ha rivolto papa Francesco, dicendo 'Vi incoraggio a mettere il vostro carisma sempre più a servizio della Chiesa' espressione che alimenta la memoria storica, facendo incrociare il passato e il presente, non rimanendo solo dentro a questa celebrazione, ma abitando nel cuore delle migrazioni, 'non solo come memoria del passato, ma come profezia per l’avvenire', nell’attenzione alle sfide del nostro tempo, seguendo Gesù Cristo, “sempre in cammino” verso i migranti e i rifugiati – spiega suor Neusa de Fatima Mariano, superiora generale - Nella grazia di questo tempo giubilare vogliamo proseguire il cammino confermate nella fede e nella speranza, camminando umilmente con il nostro Dio". "Il volto di Gesù Cristo è nei tanti migranti che, nel mondo, fuggono o si rifugiano. È un volto che soffre, ma pieno di speranza – prosegue suor Neusa – Le Scalabriniane hanno sempre accolto a braccia aperte, nel profondo spirito di quel Gesù che ha sempre chiesto di aprire i cuori e di guardare il mondo con gli occhi puri. Lo facciamo da 125 anni e continueremo a farlo, con quella stessa passione delle nostre prime suore, in obbedienza al mandato evangelico - ero forestiero e mi avete ospitato". La celebrazione religiosa è avvenuta alla presenza di monsignor Luigi Chiesa, vicario del vescovo di Piacenza, mons. Adriano Cevolotto.

Scalabriniane: diario da Lesbo (4)

4 Settembre 2020 - Lesbo - Uno dei momenti più commoventi, per una religiosa qui a Lesbo, è ricevere la comunione, in un momento di preghiera che coinvolge persone dalle nazionalità più diverse. Sulle pendici del monte di Moria, il momento comune di raccoglimento richiama una piccola rappresentanza di profughi. Don Gervais ha il compito di accompagnarci, di presentarci e commentarci le parole del Vangelo, in una comunità senza frontiere. E’ questo il momento forse più toccante per chi, tutti i giorni, porta nel cuore il pensiero di Cristo, del fondatore della Congregazione e dei suoi cofondatori. Le cene comunitarie ci raccontano bene cosa vuol dire aprirsi al mondo. Tra volontari italiani, siriani, afgani, congolesi si suggella l’amicizia, la solidarietà, e non manca il commiato nel segno della fede "per rivolgere insieme, tutti e fratelli, una preghiera al Signore" e consegnare a Lui, in buona sorte, tutti i profughi del mondo. Il lavoro qui a Lesbo è stato tanto, come la fatica, ma la gioia di esprimere materialmente la condivisione alla sofferenza dei rifugiati ha compensato il sudore versato. Lunghi pomeriggi a distribuire cibo, ad una media di mille persone al giorno. Poche a fronte di un esercito di 10mila dimenticati, quei "pochi" sono stati invitati a sedersi a un tavolo e sono stati serviti, non con le briciole cadute dal pranzo dei ricchi, ma con il vassoio dell'agape. Tra i fratini azzurri di Sant’Egidio, che danno speranza a chi è fuggito dai luoghi di sofferenza, c’eravamo anche noi, le suore dei migranti, le figlie del beato Giovanni Battista Scalabrini, con l'audacia missionaria della beata Assunta Marchetti e del venerabile Giuseppe Marchetti.

Scalabriniane: diario da Lesbo (3)

27 Agosto 2020 - Lesbo - Si chiama Fazi, ha 11 anni. E’ fuggita dall’Afghanistan per continuare a vivere. Ora si trova a Lesbo e, alla sua età, ai più piccoli insegna quel po’ che sa in inglese. Le Suore Scalabriniane, nell’ambito della loro missione svolta grazie alla collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio, l’hanno incontrata. Fazi si trova nel campo profughi di Moria, luogo dove la dignità umana sembra essere cosa sconosciuta. La formazione ha i colori delle suore e della Comunità e passa dai sorrisi e dai piccoli grandi gesti di animazione che viene fatta.  E’ bello vedere come nonostante il momento di crisi proprio i bimbi ancora disegnino a colori. Hanno voglia di casa, di serenità e si adattano per come possono, in questo momento. Il sole sorge ogni giorno su quelle baracche costruite da frasche e pezze di teli di plastica. Arrampicarsi sui pendii del campo non è cosa facile. I migranti arrivano qui passando dalla Turchia, a due passi da quest’isola. Sembra l’ultima tappa di un viaggio che invece è solo il punto intermedio. Fra le tende ci sono fili che reggono i panni messi ad asciugare: danno il senso dell’umanità in cammino. Molti sono i bisogni essenziali a cui rispondere: cibo e igiene personale in primis. Amare è prendersi cura degli altri, è l’obiettivo della missione scalabriniana che si sviluppa nella terra di questi luoghi ma che si alimenta stando vicini ai rifugiati, tenendo presente come le sfide siano sempre dietro l’angolo. Fazi è un simbolo di chi ha gli occhi che guardano con stupore l’arcobaleno e le onde del mare, la natura e gli altri. Fazi guarda con occhi Cristiani, è il fuoco ardente di chi ama vivere. La vita ha sempre una Fazi accanto a noi.

Lesbo: parte un nuovo gruppo di suore scalabriniane

24 Agosto 2020 - Piacenza – E’ partito un nuovo gruppo delle Suore Missionarie Scalabriniane per la missione a Lesbo. Sono suor Erica Ortiz, suor Maria Rosa Zanchin e suor Clarice Barp che insieme alla Comunità di Sant’Egidio sostengono i rifugiati che si trovano nel campo di Moria, che hanno fatto il loro viaggio della speranza verso l’Europa. Questa volta ad accompagnare le suore c’è anche Maria Vittoria Gazzola, giornalista piacentina, già a fianco delle Scalabriniane in altre attività missionarie. “Nonostante le restrizioni contingenti da e verso la Grecia per il Covid-19, stiamo partendo consapevoli della necessità di essere con i rifugiati in questo difficile periodo”, spiega sr. Milva Caro, superiora provinciale: “fra tanti porti chiusi a Lesbo si incontrano cuori aperti, di ogni parte del pianeta, di ogni fede, ma con un unico comune denominatore: la speranza di vivere in un mondo migliore”. Per Suor Neusa de Fatima Mariano, superiora generale, questa fase della missione a Lesbo “rientra nello straordinario progetto di collaborazione avviato con la Comunità di Sant’Egidio, che ringraziamo, a tutela dei migranti e dei rifugiati”.  

Suore Scalabriniane: diario da Lesbo (2)

20 Agosto 2020 - Lesbo - Una donna si avvicina a noi. E’ venuta sola fin qui, a Lesbo, partendo dal Camerun. Ha 34 anni. Ha descritto il campo di Moria, dove vive, come un luogo di violenza. Vivevano in 20 in una delle centinaia di tende dell’area. Racconta delle condizioni precarie in cui è costretta a stare: il loro pavimento di terra è il luogo in cui mangiano e fanno i bisogni. Vivono lì tutte donne: hanno dovuto montare loro stesse un precario impianto elettrico spesso inutile, visto che rimangono al buio. La paura, specie tra loro, è costante: spesso si sentono le urla delle risse vicino alla loro tenda e, quando accade, non osano muoversi, temendo anche che con il coltello si arrivi a tagliare la tela della tenda e usare loro violenza. Nel campo di Moria le donne vengono violentate anche sotto gli occhi di chi dovrebbe occuparsi della sicurezza. Non muovono un dito e non vogliono entrare nel campo. Lasciano che lì dentro ci si autoregoli e prevalga la legge del più forte. Per andare a mangiare la fila è interminabile e spesso si vedono lunghe scie di sangue. Per i bagni e per lavarsi ci si alza alle 5 del mattino perché già poche ore dopo l’acqua è finita. C’è un certo sentimento di ostilità nell’Isola. I migranti percepiscono di non essere ben accolti e pensano che quella di farli stare male sia una strategia per disincentivare gli arrivi e farli rientrare a casa, luogo dove si sentono molto meno protetti che in Europa. Un nuovo gruppo di suore scalabriniane, oggi, si stanno preparando a dare il cambio al nostro. Una missione che vogliamo continuare a seguire, qui, in questo angolo di mondo.

Suore Scalabriniane

  La prima puntata qui 

Suore scalabriniane: diario da Lesbo (1)

10 Agosto 2020 - Lesbo - Un’isoletta nel mare può essere una frontiera, cuore dei flussi di esseri umani che dal Medio Oriente arrivano in Europa. Lesbo, un’isoletta che politicamente della Grecia ma che è vicinissima, a livello geografico, alla Turchia, per noi non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza. Siamo in quattro, partite grazie alla collaborazione stretta tra la Comunità di Sant’Egidio e la nostra Congregazione religiosa, le Suore Missionarie di San Carlo Borromeo, Scalabriniane. Viviamo per i migranti: questo è il nostro carisma. Siamo Suor Marlene e suor Leticia e due donne in formazione, Monica Leticia, postulante e l’aspirante Laura. Veniamo da storie e da luoghi diversi del mondo, ed essere qui è per noi una nota di orgoglio. Per chi ancora non ha emesso i voti è bello cominciare da qui, in un luogo dove il sole picchia forte, in un angolo di mondo conosciuto fino a poco tempo fa per le spiagge e per la sua destinazione turistica da ‘Paesi ricchi’, che per noi ha una veste completamente diversa. L’isola di Lesbo, proprio come Lampedusa in Italia, sta dimostrando la sua forza nell’accoglienza. Ci sono circa 15.000 tra profughi e rifugiati che vengono a chiedere aiuto. Siamo arrivate a fine luglio e ci siamo messe subito al lavoro per cercare di capire come dare una mano. La terra brulla e ocra dell’isola ti entra fin nella pelle. La mascherina fa sentire ancor più il calore dell’estate del Mediterraneo. Il sole picchia, come dicevamo, ed è stato doveroso creare uno spazio, ombreggiato, dove creare un’area mensa. L’abbiamo ricavata all’interno di un vecchio frantoio. Uno spazio che, rispettando le misure di contenimento del Covid-19, arriva ad avere circa 300 posti a sedere. Cerchiamo, in questo modo, di rendere loro più semplice la vita. A Lesbo, dopo un viaggio che ha il sapore della scommessa della vita, i rifugiati vivono qui in tende o baracche più o meno improvvisate, luoghi che diventano roventi con questo caldo. Girare per le loro case di fortuna, però, non ci avvilisce perché hanno un tesoro da mostrare: il loro sorriso. Lo fanno i grandi ma soprattutto i più piccoli. Sorridono perché hanno la speranza, perché in Europa si sentono più al sicuro, perché hanno modo di toccare con mano che siamo qui per aiutare loro, per cercare di tendere una mano con la speranza che il loro futuro sia più a colori. La cosa che ci fa sbalordire sono i bambini: hanno una forza di vivere e un coraggio da vendere. Non si voltano, guardano sempre in avanti.

Lesbo: una nuova missione delle Scalabriniane

29 Luglio 2020 -
Roma - Oggi parte per Lesbo una nuova missione temporanea delle Suore Missionarie Scalabriniane. Ad agosto si succederanno due gruppi di religiose. Grazie alla collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio svolgeranno un servizio di assistenza ai profughi che arrivano nell’isola greca. A comporre l’equipe di servizio saranno suor Marlene Vieira, brasiliana che opera in Belgio, suor Leticia Gutierrez Valderrama, messicana che lavora in Spagna e due giovani in formazione, la postulante argentina Monica Leticia Tozzi e l’aspirante italiana Laura Lazzoni, di Roma.
"Lesbo è uno dei luoghi del mondo nel cuore di Papa Francesco, perché è un corridoio umanitario che punta all'integrazione dei profughi – spiega suor Milva Caro, superiora provinciale delle Scalabriniane -  Ringraziamo la Comunità di Sant’Egidio per la collaborazione straordinaria perché, sin da subito, ci ha aperto le porte. Ci motiva il nostro carisma che ci invia a stare e a camminare accanto ai migranti, anche alla luce della nostra esperienza legata al servizio itinerante, che ci vede nei luoghi più ‘caldi’ dei flussi migratori, anche in Europa". Le suore saranno coinvolte nella preparazione dei pasti quotidiani per i rifugiati (circa 150 al giorno), nell’insegnamento della lingua inglese, nel servizio di assistenza ai bambini e nella collaborazione per la comunità cattolica francofona. «Accogliere è un concetto universale – prosegue suor Milva – In ogni angolo del mondo, anche ai tempi del Covid, tendere una mano d'aiuto vuol dire essere umani, regalare pezzetti di futuro e speranza. Stiamo andando  in punta di piedi  per chiedere il permesso di fare un po' di bene, come diceva il beato Scalabrini,  nostro fondatore e padre dei migranti, seguendo l'esempio di Gesù Cristo e volendo anche essere le braccia e le orecchie di Papa Francesco, che a Lesbo ha il cuore rivolto alla situazione dei profughi".

Migranti, accordo di collaborazione tra la Comunità di Sant’Egidio e le Scalabriniane

9 Luglio 2020 - Roma - Si rafforza la collaborazione tra la Comunità di Sant’Egidio e la Congregazione delle Suore missionarie di San Carlo Borromeo/Scalabriniane. A Roma, nella sede della Comunità, si è svolto un incontro tra le due organizzazioni nel corso del quale si è tracciato un percorso comune di cammino.  “Le suore scalabriniane hanno dimostrato una ‘giovinezza’ della loro vocazione – spiega Daniela Pompei, coordinatrice delle attività per i migranti della Comunità di Sant’Egidio - Negli ultimi due anni è stata una grande novità per noi la presenza delle scalabriniane, ‘suore itineranti anche con pochi mezzi’, che è poi lo spirito della comunità di Sant’Egidio. Vogliamo essere insieme, lì dove c’è bisogno. Lo spirito è di accompagnare, di essere vicine al momento del bisogno, con l’idea di integrare.  Curiamo il progetto dei Corridoi umanitari, che nasce per bloccare il flusso dei trafficanti di uomini e per dire che è possibile da una parte entrare legalmente e che le comunità cattoliche possano assumere l’accoglienza. E’ una risposta all’appello del Papa dal 2013 in poi con il suo primo viaggio di Lampedusa e lo abbiamo iniziato a proporre insistentemente, senza mai demordere. Abbiamo voluto aprire piccoli varchi e continueremo a farlo. Possiamo portare avanti tanti progetti: siamo molto impegnati sul tema della regolarizzazione per far emergere il diritto e, allo stesso tempo, per far emergere le persone. Avere i documenti per un migrante vuol dire nascere di nuovo”. “Monsignor Giovanni Battista Scalabrini intuì che la mobilità sarebbe diventato il fenomeno fondamentale della vita umana – ha commentato Gianni La Bella, della Comunità di Sant’Egidio – Il suo è stato un carisma anticipatore nella Chiesa. Chiedeva di mettere preti nei porti, cosa che all’epoca c’era chi non capiva. A partire dall’incontro con i migranti abbiamo creato tante strade nuove e abbiamo scritto una pagina dell’impegno della Chiesa nel nostro mondo contemporaneo. Sentiamo il desiderio di ‘contagiare’ tante altre Congregazioni religiose. Dobbiamo rendere ancora di più forte questa nostra alleanza tra la Comunità e la Congregazione delle Scalabriniane. Insieme dobbiamo fare uno sforzo gioioso per una maggiore integrazione tra di noi facendo rete, connessione, coinvolgendo in questo grande abbraccio tanti altri. La vita religiosa deve assumere la sfida dei migranti come una chiamata evangelica per la vita di oggi. Scriviamo il secondo capitolo della nostra storia di amicizia, tanti ne dovremo continuare a scrivere”. “Abbiamo accolto con immensa gioia l’invito della comunità di Sant’Egidio, a cui abbiamo risposto prontamente, poiché abbiamo grande considerazione e apprezzamento per il lavoro che la comunità svolge ‘uscendo’ verso le periferie umane ed esistenziali, servizio riconosciuto internazionalmente per la dedizione, per la serietà e l’impegno con i poveri, con i migranti, i più vulnerabili della società – spiega la Superiora generale delle Suore scalabriniane, suor Neusa de Fatima Mariano - Accogliamo ciò come una valida opportunità che certamente rafforzerà ancor di più la collaborazione tra le nostre Istituzioni, impegnate e coinvolte con i migranti e i rifugiati, riconosciute e credibili nella Chiesa e nella società civile per la missione che realizziamo nella promozione e nella difesa della vita”. “Nella nostra attività missionaria valorizziamo molto la prossimità, l'essere insieme, l'essere migrante con i migranti e con i rifugiati e in particolar modo con le donne e i bambini in cerca di protezione a causa di situazioni di rischio, di violazioni e di vulnerabilità, soprattutto nei luoghi di frontiera, dove le popolazioni sono maggiormente segnate da violazioni dei diritti, da minacce alla dignità delle persone”.
Suor Milva Caro, superiora della Provincia San Giuseppe (che sovraintende all’area europea), ha illustrato l’attività delle suore scalabriniane in Europa e ha ricordato come proprio “un anno fa iniziava una collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio con l’accoglienza a Fiumicino di una famiglia venuta in Italia grazie ai corridoi umanitari. Dopo un anno è nata una bambina e ora li aiuteremo a spiccare il volo, felici di vedere la loro speranza”. Suor Eleia Scariot, brasiliana, ha raccontato l’esperienza del progetto di semiautonomia “Chaire Gynai”, che vede un progetto per donne rifugiate e per i loro figli. A Roma ci sono due case coinvolte in questa iniziativa, voluta da Papa Francesco. “Finora abbiamo accompagnato circa 50 persone. Ci attiviamo seguendo i quattro verbi del Pontefice, accogliere, proteggere, promuovere e integrare – ha spiegato suor Eleia – La Comunità di Sant’Egidio è una grandissima risorsa per noi in questo progetto, per la segnalazione di potenziali partecipanti”. Suor Stella John Joseph, indiana, ha illustrato le attività di Assmi, un’associazione che a Roma gestisce un centro culturale per migranti, con corsi di lingua, informatica, che promuove progetti per l’integrazione. L’occasione è stata anche quella per presentare anche le attività delle suore scalabriniane a livello internazionale. E’ stata Suor Ana Silvia Zamin, brasiliana, a raccontare le attività della Casa Mambre di Città del Messico. “Il migrante è una benedizione per noi. Lì lavoriamo anche con persone vittime di violenza,  è uno spazio dove possono recuperare sia a livello fisico e psicologico e riorganizzare il loro progetto di vita”, ha raccontato, descrivendo anche il lavoro di Tijuana, alla frontiera con gli Stati Uniti d’America. Suor Janete Ferreira, brasiliana, ha descritto la situazione delle case d’accoglienza dell’America Centrale e del Sud, e della gestione dei migranti venezuelani che stanno chiedendo aiuto al Brasile.

Scalabriniane: i migranti insegnano a ravvivare la vita

29 Giugno 2020 - Roma - L'impegno a sostegno delle migrazioni è una “grande luce” che permette di perseguire nuove sfide e strategie per il dialogo e il confronto tra i popoli. L'occasione per fare il punto delle migrazioni e per declinare così l’impegno del carisma scalabriniano su scala internazionale è stato un incontro, svolto in webinar, che ha portato proprio le Suore Missionarie di San Carlo Borromeo/Scalabriniane, a fare il punto con le proprie diverse comunità del mondo. Un impegno che le vede coinvolte in 27 Paesi e nei luoghi di frontiera più caldi, dove le emergenze si susseguono giorno dopo giorno. “E’ importante fare rete e coltivare nuove strategie per la migrazione – spiega suor Neusa de Fatima Mariano, superiora generale delle Scalabriniane – Così siamo più forti e viviamo le sfide che abbiamo davanti. L’impegno che abbiamo è per noi una ‘grande luce’”. Nel mondo, nel solo 2019, sono stati 80 milioni i rifugiati costretti a migrare. “Abbiamo grandi sfide che passano attraverso la creazione dei corridoi umanitari a tutela dei diritti umani, l’interruzione delle politiche di costruzione dei muri, l’impegno nella lotta alla tratta, essere una maglia attiva delle reti di accoglienza umanitaria a donne e bambini in situazione di vulnerabilità”, spiega Suor Neusa che aggiunge come “i migranti oggi provocano un cambiamento e per noi sono un'opportunità per confermare il carisma scalabriniano”. A parlare nel corso dell'incontro internazionale, poi, tre esperienze simili ma allo stesso tempo diverse e che sono svolte dalle Scalabriniane in alcune aree di crisi del mondo. La prima è quella di suor Janete Aparecida Ferreira, che ha preso parte al servizio itinerante di Tijuana, al confine tra Messico e Stati Uniti d'America. “Vogliamo rispondere agli appelli dei migranti e tentare di difendere i loro progetti e di proteggere la loro vita. Siamo in un luogo di frontiera con gli Usa, dove milioni di persone passano per avere un futuro migliore”. Suor Rosa Maria Zanchin, invece, con i suoi 43 anni di vita consacrata alle spalle, si trova a Messina. “Sono in una terra di emigrazione e di immigrazione - sottolinea - Qui oggi ci sono due difficoltà, una delle quali è quella di non sapere la lingua del migrante che arriva. La seconda, è invece la difficoltà del migrante di far capire la sua storia e il suo trauma. I migranti sono creativi, non si danno per vinti, insegnano a ravvivare la vita”. Suor Eleia Scariot, invece, cura a Roma il progetto Chaire Gynai, case di accoglienza per donne rifugiate con bimbi e in situazione di vulnerabilità. “Lavoriamo con ogni donna, dal momento in cui entra in casa, con un progetto personale che nasce a partire dal sogno che loro hanno, con progetti accompagnati e controllati”, spiega. Ed è proprio questo il percorso dell’assistenza ai migranti promosso dalle Scalabriniane: la cura di ognuno, senza trattare le persone come numeri ma coscienti che dietro di loro c’è una storia sempre diversa.