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Ravenna Partecipa: seconda serata di confronto con i cittadini su Immigrazione e Intercultura

11 Febbraio 2020 - Ravenna - Proseguono gli eventi di Ravenna Partecipa, il percorso partecipativo per la costituzione di una nuova Rete interculturale sui temi dell’immigrazione, con la seconda serata di confronto con i cittadini. L’appuntamento è per domani, mercoledì 12 febbraio alle 20 nella sala del consiglio territoriale di Castiglione di Ravenna ed è dedicato ai cittadini delle aree territoriali di Castiglione di Ravenna, Roncalceci e San Pietro in Vincoli. Il laboratorio sarà anticipato da un momento conviviale organizzato dall’associazione Romania Mare che offrirà un aperitivo della tradizione rumena, accompagnato da musiche e balli popolari. Gli incontri, a cui possono partecipare tutti hanno lo scopo di raccogliere contributi, idee e buone pratiche per migliorare la qualità della convivenza, dell'integrazione e della partecipazione civica delle persone. Al termine del percorso partecipativo sarà redatto il Regolamento della Rete interculturale sui temi dell’immigrazione (Riti). Il percorso Ravenna Partecipa è un progetto co-finanziato dall’assessorato all’Immigrazione e alla Partecipazione e dalla legge regionale 15/2018. Attraverso l’incontro, la conoscenza reciproca, lo scambio e il dialogo tra cittadini e cittadine di diversa provenienza - si legge in una nota - sarà ideata e creata la Rete interculturale sui temi dell’immigrazione – Riti, nuovo strumento con cui i ravennati (di nascita o acquisiti che siano) potranno confrontarsi direttamente con l’Amministrazione comunale e agire in prima linea attraverso una modalità condivisa e inclusiva.

Raccontare le migrazioni: un convegno ieri a Oristano

4 Febbraio 2020 - Oristano - Una buona comunicazione sulla mobilità umana al centro dell’incontro promosso dalla Caritas e dalla Migrantes della Sardegna, in collaborazione con l’Ordine dei giornalisti e con l’Ucsi Sardegna, ieri nell’Istituto di Scienze religiose a Oristano.  A introdurre i lavori, i vescovi Mons. Roberto Carboni e Mons. Giovanni Paolo Zedda, rispettivamente delegati della Conferenza episcopale sarda per Migrantes e per la Carità, che hanno sottolineato la necessità di affrontare il tema nella sua complessità, per evitare rischi di banalizzazioni e di distanza tra realtà e percezione. Sullo sfondo, la ricerca una narrazione che sappia cogliere la “significatività di ogni storia, come dice Papa Francesco”, ha detto padre Stefano Messina, direttore regionale Migrantes. Si parte dall’attenzione al linguaggio, quel “parlare civile” che “deve evitare strumentalizzazioni e favorire la riflessione”, ha ricordato Raffaele Callia, delegato regionale Caritas. “L’informazione non può essere ridotta ad approccio emergenziale che si limita a raccontare la prima accoglienza materiale o gli sbarchi -   ha spiegato Simone Varisco della Fondazione Migrantes -. Spesso non si dà spazio alla realtà legata agli immigrati regolarmente residenti in Italia (oltre 5 milioni), ben più numerosi rispetto ai circa 200mila richiedenti asilo e profughi”.  Inoltre, “occorre partire dal dato reale, non dall’ideologia: facciamo ricerca per promuovere informazione, formazione e sensibilizzazione”.  Come spiegato dal relatore, sono oltre 257 milioni le persone che, nel mondo, vivono fuori dai loro paesi di origine; gli spostamenti più numerosi avvengono all’interno del continente asiatico (63 milioni) e in Europa (41 milioni). I circa 5 milioni di cittadini stranieri regolarmente residenti in Italia (l’8,7% del totale) costituiscono una cifra ben lontana da quel rischio di “invasione” di cui spesso parlano i media; in Sardegna, 55.900 gli stranieri regolarmente residenti (3,4% del totale). In Italia, circa il 60% degli immigrati regolari in età lavorativa sono occupati, con una differenza di retribuzione di -322 euro in rapporto agli italiani; spesso svolgono mansioni dequalificate rispetto ai loro titoli di studio. Nel 2017, circa 374mila le aziende di cittadini nati in paesi extra Ue; 7029 nell’Isola (7% del totale). Il 53,6% dei cittadini stranieri sono cristiani, il 30,1% musulmani. I matrimoni con almeno un coniuge straniero, sono 27.744 (14,5% del totale): gli unici in aumento nel Paese. I figli nati da entrambi i genitori stranieri sono circa 65mila (il 15% del totale, in calo del 3,7% rispetto al 2017); 9,7% gli alunni con cittadinanza non italiana nel 2017-2018,  di cui il 63% sono nati in Italia. La povertà accomuna italiani e stranieri: se a livello nazionale le persone assistite dalla Caritas sono per il 58% straniere, nel sud sono per il 68% italiane. Una giusta narrazione è necessaria per evitare la strumentalizzazione politica: a titolo esemplificativo, “sono state 787 le dichiarazioni offensive e discriminatorie durante la campagna elettorale del 2018, il 91% delle quali ha avuto come oggetto i migranti” I numeri reali, la completezza e l’ampiezza del fenomeno sono importanti anche nel comunicare l’emigrazione. “Contrariamente allo stereotipo che l’emigrazione sia legata al passato - ha spiegato Delfina Licata, curatrice del “Rapporto Italiani nel mondo” della Fondazione Migrantes  -  dall’Italia non si è mai smesso di emigrare, tanto da parlare di emigrazione strutturale”. Sono 128mila gli italiani partiti all’estero sia nel 2017 che nel 2018 (dati Aire), con una brusca diminuzione dell’età media nel 2018: oltre il 40% tra 18  - 34 anni e il 24 % tra i 35  - 49;  26 mila i minori (di cui 15mila hanno meno di 10 anni). Stessa tendenza nell’Isola, con un aumento del 15,3 % delle partenze nell’ultimo anno. Fondamentale “raccontare anche il passato migratorio che si deduce dalle fasce di età più mature e da più tempo presenti all’estero». Inoltre, l’attenzione al linguaggio: «L’espressione “fuga di cervelli”  non è rispettosa né di chi parte, né di chi resta”.  Per comunicare l’emigrazione “occorre conoscere, ascoltare, incontrare le persone e raccontare le loro storie,  tenendo conto non solo dei loro successi, ma anche dei fallimenti e delle fragilità”. (Maria Chiara Cugusi)

Vescovi Usa contestano la restrizione di Trump per i visti agli immigrati: “danneggerà famiglie innocenti”

4 Febbraio 2020 -

Washington - Forte disaccordo con l’amministrazione Trump. I vescovi americani contestano l’ultima decisione del Presidente che venerdì scorso ha emesso un ordine esecutivo con cui limita il rilascio di visti per gli immigrati provenienti da Myanmar, Eritrea, Kirghizistan e Nigeria e anche chi arriva da Paesi disagiati come Sudan e Tanzania non potrà più beneficiare di visti speciali, la cosiddetta “Visa diversity”. I vescovi delegati dalla Conferenza Episcopale per occuparsi delle migrazioni a più livelli, dall’assistenza umanitaria alla libertà di religione, hanno emesso un comunicato congiunto con il presidente del Catholic Service Relief, la maggiore organizzazione caritativa per i migranti e la Caritas in cui denunciano apertamente il decreto che avrà un impatto anche sul ricongiungimento familiare e sugli aiuti ai migranti che sono stati forzati a rimanere nei Paesi messi al bando. L’arcivescovo José Gomez, Presidente della Conferenza Episcopale, continua a ribadire che l’accoglienza delle famiglie ha permesso “al nostro Paese di integrare le successive generazioni di immigrati nel tessuto della vita americana, consentendo loro di contribuire con la loro fede, i valori e i talenti a renderlo grande” ed esorta l’amministrazione a tornare sui suoi passi.

Chiesa greco-cattolica ucraina: nominato il nuovo vescovo per la pastorale delle migrazioni

3 Febbraio 2020 - Roma - Il vescovo Mons. Stepan Sus è stato nominato capo dell’Ufficio per la Pastorale delle Migrazioni della Chiesa greco-cattolica ucraina. La nomina è stata decisa dall’Arcivescovo maggiore Mons. Sviatoslav Shevchuk con il consenso del Sinodo dei vescovi greco-cattolici ucraini. Il vescovo Sus prende il posto del vescovo Yosyf Milian, attualmente vescovo ausiliare dell’arcieparchia di Kyiv e sarà a capo della Pastorale delle Migrazioni. Il decreto di nomina stabilisce che il compito dell’Ufficio Pastorale per le migrazioni - per conto del Capo e del Sinodo dei Vescovi della Chiesa greco-cattolica ucraina - consiste nel fornire – si legge in una nota - l’assistenza pastorale ai fedeli  greco-cattolici ucraini nei territori in cui la Chiesa non ha una struttura gerarchica. L’Ufficio Pastorale delle Migrazioni opera negli ambiti analitico, strategico programmatico, e pratico  applicativo secondo le norme stabilite dal  Codice di Diritto Canonico delle Chiese Orientali e della Legge Particolare della Chiesa greco-cattolica ucraina. Al momento della consegna del decreto, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk ha sottolineato che tale cambiamento è dovuto al fatto che l’ufficio deve essere guidato da un vescovo dedicato principalmente alla pastorale. “Ringraziamo il Signore Dio – ha detto - che ora abbiamo il vescovo che sarà al servizio esclusivo di questi laici e sacerdoti. Secondo il Ministero degli Affari Esteri, ogni anno un milione dei nostri cittadini lascia l'Ucraina. E la Chiesa Madre deve seguirli. Il motto del Concilio Patriarcale di quest’anno è: ‘La Chiesa è sempre e ovunque con te!’ Vescovo, la Sua missione è far sentire ai nostri fedeli la nostra presenza, la premura della loro Chiesa ovunque si trovino".

Sardegna: oggi pomeriggio ad Oristano il “racconto” della mobilità umana tra realtà e percezione

3 Febbraio 2020 - Oristano -  Oggi pomeriggio nell’Istituto di Scienze religiose, a Oristano si svolgerà il seminario “Non si tratta solo di migranti”. Il racconto della mobilità umana tra realtà e percezione, organizzato dalla Delegazione regionale Caritas Sardegna, dalla Migrantes regionale, dall’Ordine dei giornalisti della Sardegna e dall’Ucsi Sardegna. Un seminario che nasce dalla necessità di riflettere sul fenomeno della mobilità umana, “tema ghiotto per le campagne elettorali, foriero di paure ancestrali rispetto alla diversità e al diverso, che rischia di essere sempre più manipolato strumentalmente e non conosciuto per l’effettivo dato di realtà”, spiega il delegato regionale Caritas Sardegna Raffaele Callia: persone che vengono nel nostro Paese per ragioni diverse – migrazioni forzate, fuga dalla miseria, ricerca di libertà, ecc.  e che “continuano ad andar via dalle nostre comunità, fra cui gli stessi sardi, soprattutto per mancanza di alternative”. Il delegato Caritas sottolinea come oggi più che mai “si abbia il dovere di fornire un’informazione obiettiva che presenti il tema nella sua complessità, senza semplificazioni e banalizzazioni, senza mistificare la realtà. Un’informazione rigorosa dal punto di vista scientifico e rispettosa in ogni caso della dignità della persona umana, di ogni persona”.  Da qui, l’idea di  proporre un seminario di approfondimento per i giornalisti e per tutti gli operatori che si occupano di tali argomenti, “con l’obiettivo di fornire una narrazione diversa rispetto a quelle in circolazione, in particolare nel complesso mondo dei social network”. “Questa iniziativa inter-pastorale, frutto della collaborazione tra gli uffici regionali Caritas e Migrantes – spiega Padre Stefano Messina, incaricato regionale di Migrantes – intende riflettere su come raccontare l’aspetto della ricchezza umana e culturale di cui i migranti sono portatori: una buona comunicazione capace di favorire l’integrazione”. Ciò che manca nel nostro paese, continua p. Messina, “è proprio la capacità di promuovere un percorso di reale integrazione, con cui costruire progettualità concrete, a lungo termine, che non si fermino alla prima accoglienza”. Progettualità “che favoriscano una conoscenza reciproca, premessa indispensabile per costruire una società basata sullo sviluppo umano integrale e sulla giustizia sociale”. Dopo i saluti  di Mons. Roberto Carboni, arcivescovo di Oristano e Vescovo delegato per Migrantes della Conferenza Episcopale Sarda, di Mons. Giovanni Paolo Zedda, Vescovo delegato per il servizio della carità della Conferenza Episcopale Sarda di Andrea Pala, presidente UCSI Sardegna, introdurranno i lavori Padre Stefano Messina e Raffaele Callia. A seguire, le relazioni di Simone Varisco e Delfina Licata che si soffermeranno su “Un quadro di riferimento dell’immigrazione oggi” e su “L’attualità dell’emigrazione italiana nel mondo”. Seguirà Nello Scavo, inviato di Avvenire  su “Comunicare la mobilità umana, oltre le percezioni”. A coordinare l’incontro Francesco Birocchi, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Sardegna.    

Mons. Desfarges: “non possiamo barricarci e costruire muri”

3 Febbraio 2020 - Algeri -  “Se ci sono persone che soffrono, in difficoltà, che affrontano prove così dure e drammatiche, dobbiamo chiederci tutti come organizzarci al meglio per accoglierli e integrarli. Non possiamo barricarci, costruire muri. I Paesi delle due rive del Mediterraneo dovrebbero chiedersi come fare per aiutare i migranti, capire se possono restare o farli tornare nel proprio Paese se necessario, sempre nel rispetto dell’umanità”. Lo afferma in una intervista al Sir Monsignor Paul Desfarges, Arcivescovo di Algeri e Presidente della Conferenza Regionale del Nord Africa, in vista dell’incontro “Mediterraneo, frontiera di pace”, che si svolgerà a Bari dal 19 al 23 febbraio, per iniziativa della CEI, e riunirà una sessantina di vescovi di 20 Paesi. Mons. Desfarges sarà tra coloro che accoglieranno Papa Francesco durante la visita del 23 febbraio. “Siamo una Chiesa di gente di passaggio – dice Mons. Desfarges -. Vorremmo che il Mediterraneo fosse un mare di pace, non di morte. Un luogo di scambio tra le due coste Nord e Sud e con i nostri fratelli e sorelle musulmane”. In Algeria i cattolici sono una minoranza di circa 8.000 persone, tra i quali solo 1000/2000 praticanti (su 41 milioni di abitanti). La maggioranza sono stranieri dall’Africa sub-sahariana ma anche molti europei espatriati per lavoro. E’ una Chiesa che “cerca la fraternità dell’incontro” con i “fratelli e le sorelle algerine musulmane”. “Abbiamo il nostro servizio umanitario e caritativo, biblioteche, centri di sostegno scolastico – racconta -. Ci incontriamo in maniera familiare, promuoviamo la pace e la non violenza, esprimiamo prossimità agli algerini che cercano un cammino di giustizia”. L’Algeria, come il Marocco e la Libia, è inoltre una delle rotte da cui i migranti cercano di passare per raggiungere l’Europa. La Chiesa è in collegamento con gli organismi internazionali e accoglie “i fratelli migranti che bussano alle nostre porte e si trovano a vivere situazioni molto difficili. Se sono malati li curiamo o li aiutiamo a curarsi. Abbiamo servizi per i migranti in situazione di grave vulnerabilità, bambini o con disabilità”. “Facciamo i primi gesti umanitari che possono portare un po’ di sollievo ma i mezzi sono molto limitati – precisa -. Tutti i Paesi del Maghreb sono in una situazione simile alla nostra. Per questo è importante avere, per la prima volta, un incontro tra vescovi del Mediterraneo. Per vedere cosa la Chiesa può fare, come può dare il suo contributo e per capire come collaborare con le Chiese da cui provengono i migranti”. (P.C.)  

Viminale: da inizio anno 1.275 persone sbarcate sulle coste italiane

31 Gennaio 2020 - Roma - 1.275. Questo il numero dei migranti sbarcate sulle coste italiane dall’inizio del 2020. Il dato è stato diffuso dal Ministero degli Interni ed è aggiornato a questa mattina alle 8. Dei quasi 1.300 migranti sbarcati in Italia nel 2020, di cui 2 registrati oggi, 249 sono di nazionalità algerina (19%), sulla base di quanto dichiarato al momento dello sbarco; gli altri provengono da Costa d’Avorio (126, 10%), Bangladesh (91, 7%), Iraq (62, 5%), Guinea (58, 5%), Iran (48, 4%), Marocco (46, 4%), Tunisia (40, 3%), Mali (27, 2%), Nigeria (25, 2%) a cui si aggiungono 503 persone (39%) provenienti da altri Stati o per le quali è ancora in corso la procedura di identificazione. Fino ad oggi sono stati 114 i minori stranieri non accompagnati ad aver raggiunto il nostro Paese via mare. Il dato, aggiornato al 27 gennaio, mostra un calo rispetto ai minori stranieri non accompagnati sbarcati sulle coste italiane lungo tutto il 2017 (15.779), il 2018 (3.536) e il 2019 (1.680). Per quanto riguarda la presenza di migranti in accoglienza, i dati parlano di 89.185 persone su tutto il territorio nazionale di cui 205 negli hot spot, 64.999 nei centri di accoglienza e 23.981 nei centri Siproimi. La Regione con la più alta percentuale di migranti accolti è la Lombardia (14%), seguita da Emilia Romagna (10%), Lazio e Piemonte (9%), Campania (8%), Veneto, Toscana e Sicilia (7%).  

Cefalù: laboratorio di formazione socio-politica sul tema migrazioni e accoglienza

30 Gennaio 2020 - Cefalù -  “Accogliere, proteggere, promuovere e integrare” è il tema del secondo appuntamento del Laboratorio diocesano di formazione socio-politica che si terrà domani, venerdì 31 gennaio e sabato 1 febbraio presso la chiesa Ss. Sacramento, a Cefalù. “Vogliamo offrire spunti di riflessione  e di formazione sul fenomeno migratorio in linea con il Magistero della Chiesa – dice don Giuseppe Amato, responsabile della Scuola di Formazione –, andando oltre il luoghi comuni”. Gli spunti di riflessione e le occasioni di dibattito saranno offerti, nel primo giorno dei lavori, dagli interventi del Card. Francesco Montenegro, Arcivescovo di Agrigento e già Presidente della Fondazione Migrantes, e del prof. Giuseppe Verde, già Preside della Facoltà di Giurisprudenza di Palermo; l’1 febbraio animeranno il dibattito l’assessore del Comune di Palermo, Giuseppe Mattina, che si soffermerà sui decreti sicurezza e la portavoce della Ong Mediterranea, Alessandra Sciurba. “Nel programmare questo secondo modulo formativo – dicono gli organizzatori –, abbiamo fatto nostro l’invito di Papa Francesco a non alzare muri, che ha detto che ‘Non è facile entrare nella cultura altrui, mettersi nei panni di persone così diverse da noi, comprenderne i pensieri e le esperienze. E così, spesso, rinunciamo all’incontro con l’altro e alziamo barriere per difenderci’. Un punto di partenzaaggiungono – per una discussione franca su un tema complesso e al centro del dibattito politico“. Sia venerdì che sabato, i lavori avranno inizio alle ore 16:00.  

Matera-Irsina: inaugurata Casa Betania, argine contro il caporalato

23 Gennaio 2020 - Matera – E’ l’accoglienza dei migranti che lavorano nelle campagne del Metapontino, in Basilicata, la priorità di “Casa Betania – la Casa della carità”, inaugurata ieri dall’Arcidiocesi di Matera-Irsina e dalla Caritas nel borgo Serramarina di Bernalda (Matera). La struttura è stata acquistata dall’Arcidiocesi grazie ai finanziamenti dell’8 x mille alla Chiesa cattolica. Betania, ha spiegato l’arcivescovo Antonio Giuseppe Caiazzo, “è il villaggio dove Marta, Maria e Lazzaro vivevano e presso la cui casa Gesù si fermava ogni volta che percorreva quella strada. Ieri come oggi – ha aggiunto il presule – questo nome significa accoglienza, amicizia, prossimità. Qui abbiamo creato un argine alla piaga del caporalato”. Una trentina i posti letto a disposizione di chi, per periodi determinati, avrà necessità di un tetto sicuro e provvisto di tutti i servizi, comprese due cucine e spazi comuni di aggregazione. “Vigileremo – ha detto il presule inaugurando la struttura alla presenza delle massime autorità istituzionali della provincia, prefetto e questore inclusi, ma anche di un nutrito gruppo di imprenditori – perché ogni lavoratore che intercettiamo riceva un regolare contratto di lavoro”. Del resto, è stato ribadito ieri, la lotta contro lo sfruttamento lavorativo e il lavoro nero si fonda su interventi integrati: accoglienza, servizi sanitari, trasporto, formazione, controllo del mercato del lavoro e applicazione dei contratti. La gestione del sito, ha rilevato don Antonio Polidoro, direttore dell’ufficio Migrantes, sarà curata – grazie a progetti coordinati, finanziati anch’essi con l’8 x mille –, dalla stessa Fondazione e dal Servizio per gli interventi caritativi a favore dei Paesi del Terzo Mondo, nell’ambito del progetto “Liberi di partire, liberi di restare”. Inoltre, per l’attività di accoglienza proseguirà il rapporto con il Forum “Terre di dignità" nel quale anche la Caritas diocesana è presente. Il prefetto di Matera, Rinaldo Argentieri, si è impegnato ad attivare la cabina di regia sul contrasto al caporalato convocandola il 10 febbraio proprio a Casa Betania. (Lucia Surano – Avvenire)

Sardegna: il 3 febbraio il racconto della mobilità umana tra realtà e percezione in un convegno ad Oristano

23 Gennaio 2020 - Cagliari – Lunedì 3 febbraio 2020, dalle ore 14 alle 17, nell’Istituto di Scienze religiose, a Oristano si svolgerà il seminario “Non si tratta solo di migranti”. Il racconto della mobilità umana tra realtà e percezione, organizzato dalla Delegazione regionale Caritas Sardegna, dalla Migrantes regionale, dall’Ordine dei giornalisti della Sardegna e dall’Ucsi Sardegna. Un seminario che nasce dalla necessità di riflettere sul fenomeno della mobilità umana, “tema ghiotto per le campagne elettorali, foriero di paure ancestrali rispetto alla diversità e al diverso, che rischia di essere sempre più manipolato strumentalmente e non conosciuto per l’effettivo dato di realtà”, spiega il delegato regionale Caritas Sardegna Raffaele Callia: persone che vengono nel nostro Paese per ragioni diverse - migrazioni forzate, fuga dalla miseria, ricerca di libertà, ecc.  e che “continuano ad andar via dalle nostre comunità, fra cui gli stessi sardi, soprattutto per mancanza di alternative”. Il delegato Caritas sottolinea come oggi più che mai “si abbia il dovere di fornire un’informazione obiettiva che presenti il tema nella sua complessità, senza semplificazioni e banalizzazioni, senza mistificare la realtà. Un’informazione rigorosa dal punto di vista scientifico e rispettosa in ogni caso della dignità della persona umana, di ogni persona”.  Da qui, l’idea di  proporre un seminario di approfondimento per i giornalisti e per tutti gli operatori che si occupano di tali argomenti, “con l’obiettivo di fornire una narrazione diversa rispetto a quelle in circolazione, in particolare nel complesso mondo dei social network”. “Questa iniziativa inter-pastorale, frutto della collaborazione tra gli uffici regionali Caritas e Migrantes – spiega Padre Stefano Messina, incaricato regionale di Migrantes – intende riflettere su come raccontare l’aspetto della ricchezza umana e culturale di cui i migranti sono portatori: una buona comunicazione capace di favorire l’integrazione”. Ciò che manca nel nostro paese, continua p. Messina, “è proprio la capacità di promuovere un percorso di reale integrazione, con cui costruire progettualità concrete, a lungo termine, che non si fermino alla prima accoglienza”. Progettualità “che favoriscano una conoscenza reciproca, premessa indispensabile per costruire una società basata sullo sviluppo umano integrale e sulla giustizia sociale”. Dopo i saluti  di Mons. Roberto Carboni, arcivescovo di Oristano e Vescovo delegato per Migrantes della Conferenza Episcopale Sarda, di Mons. Giovanni Paolo Zedda, Vescovo delegato per il servizio della carità della Conferenza Episcopale Sarda di Andrea Pala, presidente UCSI Sardegna, introdurranno i lavori Padre Stefano Messina e Raffaele Callia. A seguire, le relazioni di Simone Varisco e Delfina Licata che si soffermeranno su “Un quadro di riferimento dell’immigrazione oggi” e su “L’attualità dell’emigrazione italiana nel mondo”. Seguirà Nello Scavo, inviato di Avvenire  su “Comunicare la mobilità umana, oltre le percezioni”. A coordinare l’incontro Francesco Birocchi, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Sardegna.  

Anelli: studiare il fenomeno migratorio mediante un approccio scientifico con un’attenzione particolare alla dimensione religiosa

23 Gennaio 2020 - Roma - “La ricerca che presentiamo rientra in programmi specifici dell'impegno dell'Università Cattolica nel portare avanti ricerche multidisciplinari, in contesti trasversali: la realtà è complessa e la ricerca fa dialogare insieme metodi e saperi differenti”. Così il rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore Franco Anelli ha presentato un’ampia ricerca condotta dall’ateneo sulle relazione tra i fenomeni migratori e la religione dal titolo “Migrazioni e appartenenza religiosa”. “L'idea di fondo – ha detto ieri pomeriggio durante un convegno al Senato - è studiare il fenomeno migratorio mediante un approccio scientifico con un'attenzione particolare alla dimensione religiosa, non dato accessorio, ma esplicativo dell'essenza dei fenomeni migratori”. Per Anelli  conoscere la spinta religiosa alla migrazione significa “conoscerne una causa profonda. La geopolitica dimostra nuovi luoghi e contesti un tempo pacifici, oggi conflittuali. Studiare l'appartenenza religiosa aiuta inoltre a comprendere come le comunità in uscita possono essere accolte dalle comunità di arrivo”. Lo studio “evidenzia la necessità di rafforzare la reciproca conoscenza tra apparati istituzionali e organizzazioni religiose” e di analizzare la “capacità dei nostri sistemi di protezione di rimanere fedeli ai principi fondanti delle democrazie europee”. L’intera ricerca sarà disponibile nelle prossime settimane. Lo studio conferma che “vi è un pregiudizio ideologico che impedisce di cogliere adeguatamente il ruolo della religione nei processi migratori e di integrazione”. Da qui si evidenzia “la necessità di rafforzare la formazione in materia religiosa e la reciproca conoscenza tra apparati istituzionali e organizzazioni/leader religiosi. I primi devono essere resi maggiormente consapevoli della rilevanza della religione in tutte le fasi del processo migratorio; i secondi devono essere resi maggiormente consapevoli dell’importanza del rispetto della legalità e, in particolare, di un ricorso corretto e non meramente strumentale alla richiesta di asilo politico”. Il riconoscimento dell’identità religiosa dei migranti è “una condizione essenziale per un processo di re-umanizzazione sul quale costruire una nuova etica dell’ospitalità. La ricerca inoltre dimostra come, attraverso le sue iniziative, la Chiesa “possa contribuire a forgiare il lessico, il quadro semantico e le procedure attraverso i quali ripensare il concetto di cittadinanza all’interno di una società pluralistica”. (R.I.)

Lamorgese: i flussi migratori sono un fenomeno epocale che non ammette semplificazioni

23 Gennaio 2020 - Roma - Quello dei flussi migratori è “un argomento complesso che non ammette semplificazioni e va affrontato tenendo presente la sua complessità, ma non è una questione emergenziale, perché i numeri sono scesi notevolmente”. Lo ha detto il Ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, all'incontro “Promuovere e integrare”, organizzato nella Sala Koch di Palazzo Madama su iniziativa dell'Ente Nazionale per il Microcredito in occasione della presentazione del Progetto F.A.S.I. “Formazione, auto imprenditoria e start-up per immigrati regolari” - finanziato con i fondi PON Legalità 2014-2020 - e della ricerca “Migrazioni e appartenenza religiosa” dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. “Lo Stato - ha precisato il Ministro - deve garantire un'esistenza dignitosa agli stranieri presenti sul nostro territorio, in un quadro che assicuri anche i diritti costituzionalmente garantiti ai quali deve corrispondere, per i cittadini stranieri come per quelli italiani, una serie di doveri stabiliti in modo da garantire un'ordinata convivenza civile”. Per il responsabile del Viminale, inoltre, bisogna “dedicare molta attenzione alle giovani generazioni. Ritengo che le seconde generazioni davvero possano costituire un punto di riferimento, ma devono sentirsi integrate, devono sentirsi parte di una comunità”. Al convegno hanno preso parte, tra gli altri, il Cardinale Gualtiero Bassetti, Presidente della  Conferenza Episcopale Italiana, Mario Baccini, Presidente dell'Ente Nazionale per il Microcredito e il Rettore dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, Franco Anelli.  

Più fede e fedi in quest’Italia

18 Gennaio 2020 - Milano - La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio) stimolerà anche quest’anno iniziative ecumeniche e momenti di riflessione. In tale cornice s’inserisce un fattore sempre più significativo: il dialogo ecumenico e interreligioso s’intreccia in Italia come in tanti altri Paesi con il fenomeno dell’immigrazione. Sono almeno tre i profili dell’incontro tra l’insediamento di popolazioni straniere e il panorama religioso del nostro Paese. Il primo e più evidente aspetto riguarda il fatto che se oggi in Italia il pluralismo delle fedi è un dato crescente, lo si deve soprattutto all’immigrazione dall’estero. Nonostante l’usuale enfasi su una presunta "islamizzazione", le appartenenze religiose degli immigrati sono ben più variegate. I musulmani incidono per circa il 30% sul totale dei nuovi residenti, ma la maggioranza degli immigrati (53,6%) si riferiscono a una confessione cristiana, con la Chiesa ortodossa in primo piano (29,7%, circa 1,5 milioni di fedeli), seguita da quella cattolica con il 18,6% (attorno ai 900.000), dalla galassia evangelica con il 3,5%, dalla Chiesa copta con lo 0,3%. Buddisti (2,6%), induisti (2,2%), sikh (0,9%) e altre religioni (1,1%), completano il quadro. Rimane un 9,6% che non professa alcuna religione (Caritas-Migrantes, 28° Rapporto immigrazione). Nelle nostre città, accanto alle chiese cattoliche s’incontrano sempre più spesso templi, simboli, ministri, fedeli di altre confessioni cristiane e di altre religioni. Un’attenzione particolare dovrebbe rivolgersi ai cattolici immigrati e alle loro cappellanie. Come un tempo gli italiani all’estero, spesso preferiscono ritrovarsi fra loro, mantenendo viva la lingua, la memoria del Paese di origine, alcune peculiari devozioni. Gli incontri domenicali aiutano a lenire la solitudine, a sviluppare pratiche di socialità e forme di solidarietà. Ad alcuni consentono anche di assumere ruoli attivi, a volte di leadership, il più delle volte negati nell’esperienza lavorativa di ogni giorno. Il primo passo ecclesiale ed ecumenico sarebbe quello di conoscere di più questi fratelli nella fede, di sviluppare maggiormente occasioni d’incontro e iniziative condivise, superando il rischio di una gentile convivenza nella separatezza. Il secondo effetto del pluralismo religioso indotto dall’immigrazione riguarda la società più ampia: gli immigrati con la loro persistente religiosità mettono in questione l’idea di una progressiva e ineluttabile secolarizzazione delle società sviluppate. Come se le religioni fossero il passato e l’ateismo il futuro dell’umanità. Le società multietniche sono intrise di elementi religiosi, chiamate a trovare i modi per far convivere e dialogare diverse fedi e concezioni antropologiche. Da qui discende un terzo aspetto: la promozione di una società più armoniosa e inclusiva, nel rispetto delle legittime differenze culturali, richiede il contributo fattivo delle religioni: quelle nuove e quelle insediate per tradizione. Un futuro più abitabile non si costruirà né sui muri della chiusura alle fedi degli altri, né sulla tabula rasa della cancellazione del sacro per scrupolo di neutralità. Il patrimonio spirituale delle religioni è troppo prezioso per essere svilito dalle polemiche di parte. Certo richiede di essere costantemente attualizzato, rifuggendo settarismi e interpretazioni fondamentaliste. Sviluppato nel dialogo e nel servizio all’umanità, perseguito con gradualità e tenacia, pienamente legittimato e incluso nella sfera pubblica, potrà gettare una luce di speranza su un mondo attanagliato da conflitti, ansie e paure. (Maurizio Ambrosini – Avvenire)  

L’italiano spiegato alla scuola migranti in un docufilm

16 Gennaio 2020 - Milano - La scuola, nella sua urgenza e nelle sue contraddizioni, continua a essere il tema del racconto di cineasti di tutto il mondo. E con Marco Polo - Un anno tra i banchi di scuola arriva nei cinema il documentario di Duccio Chiarini, che narra, dopo novanta ore di riprese e un anno scolastico intero trascorso tra i banchi, le infinite possibilità che la formazione e l’educazione creano. Presentato in anteprima alla scorsa edizione di “Alice nella città” (la sezione indipendente della Festa di Roma), Marco Polo - Un anno tra i banchi di scuola si ispira al nome dell’omonimo istituto tecnico fiorentino ed è una scuola particolare, esemplare: nel pomeriggio professori e studenti si impegnano a insegnare la lingua italiana ai migranti grazie al modello della Penny Wirton (la scuola gratuita ideata dallo scrittore Eraldo Affinati insieme all’insegnante Anna Luce Lenzi). «Da tempo volevo realizzare un documentario di pura osservazione – spiega Duccio Chiarini – seguendo l’esempio del cineasta americano Frederick Wiseman. Volevo trovare un luogo che mettesse al centro della narrazione scene vere di vita vissuta, senza la mediazione filmica della voce fuori campo o delle interviste. Quando ho intercettato l’istituto Marco Polo, che avevo conosciuto per un progetto iniziale che è non stato più sviluppato, ho iniziato a lavorare in maniera “neutra”: prima ho voluto incontrare tutti gli insegnanti per spiegare il progetto filmico e, di conseguenza, capire, dialogando con loro, come essere rispettoso del lavoro e degli spazi. Poi, senza telecamera, ho trascorso un mese alla ricerca delle classi che avrebbero potuto creare spunti adatti a far emergere i contrasti, l’energia e la spontaneità dei ragazzi». Girare un film in una scuola non è un’operazione semplice. La sfida principale è creare una fiducia tale da rendere trasparente la presenza del regista e degli operatori nelle classi, nei corridoi e negli uffici scolastici: «La provocazione della naturalezza – continua Chiarini – è quotidiana, anche quando non utilizziamo le videocamere: indossiamo maschere, recitiamo ruoli per dimostrare chissà cosa. Affiancando gli adolescenti nella mia precedente esperienza cinematografica ho scoperto come la spontaneità nell’essere sé stessi li ha abituati alla presenza della macchina da presa. Nel film ci sono scene a contenuto emozionale più elevato rispetto ad altre, ma molto naturali, mai finzionali, anche quando ho ripreso il rimprovero del preside ad una ragazza contro la sua assenza ingiustificata». Nel film si alternano le lezioni in classe più varie, dallo studio del cinese allo studio della storia e prevale, spesso, l’importanza che i professori di storia e educazione civica conferiscono allo studio dell’Europa unita o della politica del passato. Ma non mancano anche i momenti di tensione quando una professoressa accusa un ragazzo di non aver compreso lo studio dell’economia e di aver “forse” sbagliato indirizzo scolastico: «È stata un’occasione importante – spiega il regista – che mi ha riportato indietro negli anni quando i professori manifestavano, rispetto a oggi, una durezza maggiore. Mi sembrava di vivere un momento alla Jane Austen, in cui lo stesso ragazzo accusato dall’insegnante cambia le carte in tavola e conduce l’adulto in un dialogo dell’assurdo. Quando la macchina da presa era spenta ho cercato di non commentare alcunché con i protagonisti e di evitare, durante le riprese, l’incrocio degli sguardi con gli stessi alunni e professori. Ci sono stati solo due momenti in cui ho spento la telecamera. La prima volta è accaduta nel giorno in cui si sarebbe votato, a livello europeo, sul diritto d’autore: sono intervenuto dopo aver ascoltato delle imprecisioni sulla censura della libertà di YouTube. E l’ultima volta quando, durante un’interrogazione sul primo governo del dopoguerra, un ragazzo si è rivolto a me perché rispondessi alla domanda». Mentre si intrecciano, come un naturale fluido, i momenti delle lezioni in e fuori dalla classe emerge come la personalità dell’insegnante sia sottoposta a una continua sfida educativa: «Ho ripreso la lezione – spiega il regista – che uno psicologo rivolge ai professori: il suo era un discorso affascinante, teorico sui ragazzi e sui buoni propositi in classe. Durante questo anno di riprese ho ammirato molto gli insegnanti che devono avere molte diverse competenze e mantenere, allo stesso tempo, uno stile stratificato, ovvero pedagogico, umano, culturale e privato. E aggiungerei pubblico, che è il filtro narrativo che ho utilizzato nel girare questo documentario: nella scuola infatti si impara la relazione pubblica, la stessa che, da studente, non percepivo perché provavo la sensazione che la scuola fosse un edificio chiuso rispetto al mondo reale. Diventando più grande ho compreso come la scuola possa diventare una finestra sulla realtà. E questo avviene presso il Marco Polo. La scuola per immigrati, ad esempio, si dedica all'immigrazione non dal punto di vista teorico ma pratico. Affronta perciò un problema che è la quintessenza del nostro secolo: insegnare la nostra lingua aiuta studenti e professori a diventare utili anche socialmente a chi, come i migranti, arriva nel nostro Paese senza conoscere una parola italiana». (Emanuela Genovese – Avvenire)

Immigrazione: il Ministro Lamorgese incontra il Direttore OIM Antonio Vitorino

15 Gennaio 2020 - Roma - Il Ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, ha incontrato ieri pomeriggio al Viminale il Direttore Generale dell’Organizzazione Internazionale per le migrazioni, Antonio Vitorino. L’incontro è stato l’occasione per fare il punto sullo stato della collaborazione tra Interno ed OIM e condividere nuove iniziative. Vi è stato uno scambio di opinioni sulla situazione libica e sui suoi effetti in tema di flussi migratori, si legge in una nota pubblicata sul sito del Ministero. La titolare del Viminale ha espresso “vivo apprezzamento per i consolidati ed ottimi rapporti tra Interno ed OIM, che, da sempre, è un partner di riferimento per una gestione ordinaria e sostenibile del fenomeno migratorio. Oggi più che mai – ha proseguito Lamorgese – l’OIM riveste un ruolo fondamentale nel più generale e complesso scenario mediterraneo. Mi riferisco, in particolare, a due direttrici di intervento in Libia: la salvaguardia dei diritti umani, all’interno e all’esterno dei centri per i migranti, e lo sviluppo delle regioni libiche maggiormente interessate dai flussi migratori”. «Rilevante - ha concluso la responsabile dell’Interno - è il ruolo di supporto svolto dall’OIM per il ricollocamento in altri Stati Membri UE, a seguito della Dichiarazione di Malta, dei richiedenti asilo sbarcati in Italia».

Brescia: a teatro uno spettacolo che racconta l’immigrazione

10 Gennaio 2020 - Brescia - È in programma domenica 12 gennaio alle 21 presso il teatro Der Mast, in via Carducci a Brescia, l’8° appuntamento della stagione “Contaminazioni Teatrali”, promosso dall’associazione ContaminAzioni. In scena lo spettacolo “Ingannati”, monologo di Nicola Pannelli tratto da “Uomini sotto il sole” di Ghassan Kanafani, che affronta l’attualissimo tema dell’immigrazione. Lo spettacolo, infatti, racconta la storia – si legge sul settimanale diocesano di Brescia “La Voce del Popolo” - di tre emigranti palestinesi clandestini che, chiusi dentro un’autocisterna, cercano di attraversare il deserto per raggiungere il Kuwait e con esso una nuova vita. Un testo per chi vuole conoscere quell’umanità e comprenderne a fondo le ragioni, per chi vuole sentir battere il cuore pulsante, poetico e tragico del popolo palestinese. Lo spettacolo sarà preceduto, alle 19.30, da un momento artistico a sorpresa nel foyer del teatro. Al termine della rappresentazione il pubblico potrà incontrare l’interprete.

Migrantes Trieste: domenica 12 la Festa dei Popoli

9 Gennaio 2020 -

Trieste - Domenica 12 gennaio la diocesi di Trieste  celebrerà la Festa dei popoli. E’ stato un desiderio del Vescovo, Mons.  Giampaolo Crepaldi in continuità con la tradizione degli scorsi anni, di vivere lo stesso questo appuntamento a metà gennaio anche se il Papa Francesco ha spostato la Giornata del Migrante all’ultima domenica di settembre. 

Ci troveremo quindi domenica 12 gennaio alle ore 12 a celebrare l’Eucarestia nella Parrocchia di Santa Caterina da Siena (Via dei Mille, 18) presieduta dal presule. Si è scelto di fare la messa dei popoli in una messa di orario della parrocchia, perché sia valorizzata non solo dai gruppi etnici e linguistici, ma anche della partecipazione e dalla presenza della comunità italiana e slovena. 

A seguire, presso il salone attiguo alla chiesa, vi sarà un momento di pranzo condiviso e l’occasione di un incontro di approfondimento e scambio culturale fra le diverse comunità etniche presenti a Trieste. La giornata terminerà con un concerto di musica barocca alle ore 18 presso la Basilica di Muggia vecchia.  Si tratta di un’iniziativa che ha lo scopo di riunire per un momento di preghiera e di condivisione le ormai tante presenze straniere della nostra città. L’occasione del Santo Natale appena celebrato ce ne dà l’opportunità, essendo questa una festa molto sentita in ogni parte del mondo. (don Francesco Bigatti - Direttore Migrantes Trieste)

Torino: Festa dei Popoli il 5 gennaio al Santo Volto

20 Dicembre 2019 - Torino - La tradizionale “Festa dei Popoli” a Torino non verrà celebrata come di consueto il giorno dell’Epifania, ma verrà anticipata a domenica 5 gennaio, presso la chiesa del Santo Volto. Ne  da notizia il settimanale diocesano “La Voce e il Tempo della diocesi nel numero in uscita questa settimana. Alle 11 del 5 gennaio  l’arcivescovo  del capoluogo piemontese, Mons. Cesare Nosiglia, presiederà la celebrazione eucaristica, a cui seguiranno il pranzo condiviso e uno spettacolo in cui ogni comunità condividerà la propria ricchezza culturale.  

L’immigrazione è percepita (e l’emergenza non c’è)

19 Dicembre 2019 - Milano - Su cento persone residenti nel nostro Paese, nove sono di origine straniera (l’8,5% secondo le ultime rilevazioni dell’Istat), ma gli italiani pensano che la quota di stranieri che vivono nel nostro Paese arrivi al 31%. Non siamo gli unici a soffrire di una percezione 'distorta' del fenomeno migratorio: anche in Grecia e Ungheria la maggior parte delle persone sovrastima la presenza di migranti e rifugiati nel proprio Paese. In Ungheria, ad esempio, i cittadini pensano che i migranti siano il 20% della popolazione a fronte di un dato reale del 2%. In Grecia il 'percepito' è del 35% a fronte di un dato reale del 9%, mentre in Austria il rapporto è tra il 16% dei dati reali contro una percezione del 35%. La stessa discrepanza si riscontra quando ci si concentra sui cittadini musulmani: in Austria sono solo il 7% della popolazione, ma la percezione è del 26%. Mentre in Italia si pensa che i musulmani siano il 22% della popolazione a fronte di un dato reale del 5%. I dati sono contenuti nel sondaggio 'Ciak Migr-Action: percezione, stereotipi e divario di conoscenza tra i cittadini europei sulla migrazione' realizzato dall’istituto di ricerca Ipsos per 'WeWorld Onlus' e presentata ieri a Milano, in occasione della Giornata internazionale dei migranti. Dati che ci restituiscono l’immagine di un’Europa convinta che nel Vecchio Continente si stia consumando un’emergenza migratoria di dimensioni epiche. Ma i numeri ci raccontano di un fenomeno molto più contenuto rispetto a quanto percepito dall’opinione pubblica. “La campagna mediatica di attacco a chi si occupa di accoglienza ha distorto le percezioni sulle migrazioni, creando un’emergenza dove non c’è e fondendo in un’unica preoccupazione i temi di accoglienza e di inclusione” spiega Marco Chiesara, presidente di 'WeWorld'. A domanda diretta, la maggior parte degli italiani (57%) risponde che l’immigrazione ha avuto un impatto negativo sul Paese. Un dato in linea con quello greco (64%) e ungherese (56%), mentre gli austriaci si dividono tra chi esprime un giudizio negativo (49%), chi ha un approccio neutrale (29%) e chi ne dà un giudizio positivo (20%). Un dato – si legge nella ricerca – che può essere spiegato dal forte scollamento tra la realtà del fenomeno e la rappresentazione che ne viene fatta a livello pubblico. Eppure in nessuno dei casi presi in esame, i cittadini hanno messo l’immigrazione al primo posto tra le principali sfide per il Paese. In Austria si piazza al terzo posto (preceduto da aumento dei prezzi e ambiente). In Italia il 50% degli intervistati punta il dito contro la disoccupazione, il 38% la situazione economica, il 34% la tassazione e solo il 28% indica nei migranti il problema principale per il Paese. Per il 33% degli italiani la maggior parte dei crimini in Italia è commessa da immigrati e per il 40% è troppo pericoloso accogliere migranti perché rappresentano una grave minaccia terroristica. (Ilaria Sesana – Avvenire)