Più fede e fedi in quest’Italia

18 Gennaio 2020 – Milano – La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio) stimolerà anche quest’anno iniziative ecumeniche e momenti di riflessione. In tale cornice s’inserisce un fattore sempre più significativo: il dialogo ecumenico e interreligioso s’intreccia in Italia come in tanti altri Paesi con il fenomeno dell’immigrazione. Sono almeno tre i profili dell’incontro tra l’insediamento di popolazioni straniere e il panorama religioso del nostro Paese.

Il primo e più evidente aspetto riguarda il fatto che se oggi in Italia il pluralismo delle fedi è un dato crescente, lo si deve soprattutto all’immigrazione dall’estero. Nonostante l’usuale enfasi su una presunta “islamizzazione”, le appartenenze religiose degli immigrati sono ben più variegate. I musulmani incidono per circa il 30% sul totale dei nuovi residenti, ma la maggioranza degli immigrati (53,6%) si riferiscono a una confessione cristiana, con la Chiesa ortodossa in primo piano (29,7%, circa 1,5 milioni di fedeli), seguita da quella cattolica con il 18,6% (attorno ai 900.000), dalla galassia evangelica con il 3,5%, dalla Chiesa copta con lo 0,3%. Buddisti (2,6%), induisti (2,2%), sikh (0,9%) e altre religioni (1,1%), completano il quadro. Rimane un 9,6% che non professa alcuna religione (Caritas-Migrantes, 28° Rapporto immigrazione). Nelle nostre città, accanto alle chiese cattoliche s’incontrano sempre più spesso templi, simboli, ministri, fedeli di altre confessioni cristiane e di altre religioni.

Un’attenzione particolare dovrebbe rivolgersi ai cattolici immigrati e alle loro cappellanie. Come un tempo gli italiani all’estero, spesso preferiscono ritrovarsi fra loro, mantenendo viva la lingua, la memoria del Paese di origine, alcune peculiari devozioni. Gli incontri domenicali aiutano a lenire la solitudine, a sviluppare pratiche di socialità e forme di solidarietà. Ad alcuni consentono anche di assumere ruoli attivi, a volte di leadership, il più delle volte negati nell’esperienza lavorativa di ogni giorno. Il primo passo ecclesiale ed ecumenico sarebbe quello di conoscere di più questi fratelli nella fede, di sviluppare maggiormente occasioni d’incontro e iniziative condivise, superando il rischio di una gentile convivenza nella separatezza.

Il secondo effetto del pluralismo religioso indotto dall’immigrazione riguarda la società più ampia: gli immigrati con la loro persistente religiosità mettono in questione l’idea di una progressiva e ineluttabile secolarizzazione delle società sviluppate. Come se le religioni fossero il passato e l’ateismo il futuro dell’umanità. Le società multietniche sono intrise di elementi religiosi, chiamate a trovare i modi per far convivere e dialogare diverse fedi e concezioni antropologiche.

Da qui discende un terzo aspetto: la promozione di una società più armoniosa e inclusiva, nel rispetto delle legittime differenze culturali, richiede il contributo fattivo delle religioni: quelle nuove e quelle insediate per tradizione. Un futuro più abitabile non si costruirà né sui muri della chiusura alle fedi degli altri, né sulla tabula rasa della cancellazione del sacro per scrupolo di neutralità. Il patrimonio spirituale delle religioni è troppo prezioso per essere svilito dalle polemiche di parte.

Certo richiede di essere costantemente attualizzato, rifuggendo settarismi e interpretazioni fondamentaliste. Sviluppato nel dialogo e nel servizio all’umanità, perseguito con gradualità e tenacia, pienamente legittimato e incluso nella sfera pubblica, potrà gettare una luce di speranza su un mondo attanagliato da conflitti, ansie e paure. (Maurizio Ambrosini – Avvenire)

 

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