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L’amore umano

2 Febbraio 2021 - Due volte, durante il colloquio con i farisei, che gli ponevano il quesito sulla indissolubilità del matrimonio, Gesù Cristo si è riferito al “principio”. […] “Principio” significa quindi ciò di cui parla il Libro della Genesi. È dunque la Genesi 1,27 che Cristo cita, in forma riassuntiva: “Il Creatore da principio li creò maschio e femmina” […] Il significato normativo è plausibile in quanto Cristo non si limita soltanto alla citazione stessa, ma aggiunge: “Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”. Quel “non lo separi” è determinante. (Giovanni Paolo II, Udienza Generale, mercoledì, 5 settembre 1979) Giovanni Paolo II è unanimemente riconosciuto come il Papa della famiglia e della promozione della vita, non ovviamente che gli altri pontefici – come abbiamo visto e vedremo – non abbiano confermato o ribadito i principi di una dottrina che è sempre stata fondamentale per la Chiesa, ma l’impegno di Papa Wojtyla su questo campo è stato davvero costante e massiccio per tutto l’arco del suo lungo pontificato. A meno di un anno dopo la sua elezione, egli decise di dedicare le udienze del mercoledì a quelle che furono chiamate le “catechesi sull’amore umano”, vere e proprie lezioni di teologia del corpo che evidentemente egli aveva elaborato in parte già prima di essere al soglio di Pietro, ovvero durante il periodo del Concilio, ma anche negli anni da arcivescovo di Cracovia e forse prima ancora come sacerdote attento alla pastorale dell’amore coniugale con i giovani che gli erano affidati. Con l’udienza del 5 settembre 1979, inizia quello che potrebbe definirsi un corso che si è protratto senza quasi soluzione di continuità fino al 28 novembre 1984. Circa 133 allocuzioni divise in sei cicli, che costituiscono un patrimonio unico di approfondimento teologico e dottrinale da cui non si può prescindere quando si voglia affrontare i fondamenti teorici e le ricadute pastorali sull’amore umano. Il primo ciclo è dedicato a “Il principio”, ovvero al richiamo di Gesù al libro della Genesi per esplicitare il valore dell’indissolubilità del matrimonio ai farisei che lo interrogavano. Il Signore Gesù è risoluto nella sua citazione e con la sua perentorietà rende norma superiore, perché fontale, originaria volontà di Dio Creatore quella che i farisei del suo tempo sembrano non considerare con la stessa valenza con cui valutano la legge mosaica che a certe condizioni permetteva il ripudio. Da sempre questa è stata la dottrina della Chiesa e ad essa, ai fondamenti di questa interpretazione filosofica e teologica dei versetti genesiaci, papa Giovanni Paolo II dedica parecchi incontri. Si respira nelle sue parole la volontà di non accontentarsi della norma, ma di sviscerarla in tutti i suoi risvolti, cercando di portare alla conoscenza di tutti i perché dell’insegnamento della Chiesa. L’immagine di Dio che è l’uomo nella duplicità di maschio e femmina, la solitudine originaria dell’uomo che cerca qualcuno che gli sia simile e solo nella donna può rispecchiarsi (“carne della mia carne”), l’unione sponsale che colma in pienezza il bisogno di amare della creatura e permette la fecondità generativa, rendendo le creature compartecipi della creazione. Questi sono solo alcuni dei temi affrontati dalle catechesi: una serie amplissima di approfondimenti che vanno a costituire le basi dell’antropologia cristiana a cui ancora oggi facciamo riferimento. C’è come ricaduta immediata per la vita degli sposi cristiani un’incrollabile fiducia nella fedeltà di Dio che non può venir meno alla sua promessa fatta “in principio”. L’indissolubilità del matrimonio, dunque, lungi dall’essere un vincolo dal peso insopportabile, si disvela in tutta la sua ampiezza come compartecipazione all’eternità di Dio che vuole per i suoi figli un amore senza fine. Una promessa che non viene mai meno e a cui si abbevera la Grazia continuamente elargita nel sacramento delle nozze. (Giovanni M. Capetta – Sir)    

Gesù, guariscimi!

1 Febbraio 2021 - Nel Vangelo di questa domenica, Marco ci fa conoscere il primo “gesto di potenza” attuato da Gesù, subito dopo la chiamata dei primi discepoli. Manifesta in questo modo cosa significa che il Regno di Dio è iniziato con la sua parola e la sua opera. Il passo del Deuteronomio, la prima lettura, parla della volontà di Dio di “suscitare” un profeta, al quale “gli porrò in bocca le mie parole”. L’ascolto del profeta diviene dunque l’ascolto di Dio. Siamo a Cafarnao, località sulle rive del lago di Galilea, luogo di frontiera del territorio di Erode Antipa, governatore della Galilea per conto dei romani. È sabato e Gesù, appena giunto nella città, là dove viveva Pietro, non va a cercare un luogo dove riposare, ma entra nella Sinagoga, e si mette a insegnare. “Insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi”, leggiamo in Marco. Chi lo ascolta è attirato dal suo parlare, provoca meraviglia e stupore negli abitanti; inoltre “si rivela potente anche nelle opere”, afferma papa Francesco all’Angelus, recitato nella biblioteca del Palazzo apostolico, presenti un piccolo gruppo di ragazzi dell’Azione cattolica a conclusione del mese della pace. Il Vangelo di Marco richiama l’espressione del Deuteronomio, e ci propone l’autorità con cui parla e opera l’inviato di Dio. Ecco i due elementi caratteristici dell’azione di Gesù, dice il Papa: “la predicazione e l’opera taumaturgica di guarigione”. Marco evidenzia di più la parola; l’esorcismo “viene presentato a conferma della sua singolare autorità e del suo insegnamento. Gesù predica con autorità propria e non come gli scribi “che ripetevano tradizioni precedenti e leggi tramandate. Ripetevano parole, parole, parole, soltanto parole – come cantava la grande Mina – erano così: soltanto parole”. E curioso il fatto che Marco, pur evidenziando la forza della parola di Gesù, non ci porta a conoscenza un suo discorso, ma un suo atto, l’episodio di un esorcismo. Un uomo, ascoltate le parole del Signore, reagisce dicendo: che c’entri con noi Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? La parola di Gesù “è autorevole”, ci dice Francesco, e questo “tocca il cuore. L’insegnamento di Gesù ha la stessa autorità di Dio che parla; infatti, con un solo comando libera facilmente l’ossesso dal maligno e lo guarisce. Perché la sua parola opera quello che dice. Perché egli è il profeta definitivo”. Nella Sinagoga di Cafarnao non era l’uomo a parlare, ma il maligno. “La predicazione di Cristo è rivolta a sconfiggere il male presente nell’uomo e nel mondo, e punta direttamente contro il regno di Satana, lo mette in crisi e lo fa indietreggiare, lo obbliga ad uscire dal mondo”. Quell’uomo posseduto, dice Francesco, “raggiunto dal comando del Signore, viene liberato e trasformato in una nuova persona”. La predicazione di Gesù “appartiene a una logica opposta a quella del mondo e del maligno: le sue parole si rivelano come lo sconvolgimento di un ordine sbagliato di cose”. Totale estraneità tra Gesù e Satana: “sono su piani completamente diversi”, tra loro “nulla in comune; sono l’uno l’opposto all’altro”. E Francesco invita a ascoltare le autorevoli parole di Gesù: “tutti abbiamo dei problemi, tutti abbiamo peccati, tutti abbiamo delle malattie spirituali”. Chiediamo a Gesù: “guariscimi!”. Nel dopo Angelus, l’ascolto del messaggio di pace dei ragazzi dell’Acr e l’annuncio di una giornata mondiale dedicata ai nonni e agli anziani, la quarta domenica di luglio, in prossimità della ricorrenza dei santi Gioacchino e Anna, i nonni di Gesù. “Lo Spirito Santo suscita ancora oggi negli anziani pensieri e parole di saggezza: la loro voce è preziosa perché canta le lodi di Dio e custodisce le radici dei popoli”. La vecchiaia è “un dono” e “i nonni sono l’anello di congiunzione tra le generazioni, per trasmettere ai giovani esperienza di vita e di fede”. Ma tante volte “sono dimenticati”. Importante che nonni e nipoti si incontrino: “è una ricchezza”. Cita Gioele, il Papa, per dire, “i nonni davanti ai nipoti sogneranno, avranno illusioni, grandi desideri, e i giovani, prendendo forza dai nonni, andranno avanti, profetizzeranno”. Dice questo alla vigilia della festa della presentazione di Gesù al tempio, 2 febbraio: “è la festa dell’incontro tra nonni e nipoti”. (Fabio Zavattaro – Sir)    

Comitato Onu per i diritti umani: “l’Italia non è accorsa per salvare 200 vite umane in un naufragio nel 2013”

27 Gennaio 2021 -

Roma - “L’Italia non è riuscita a tutelare il diritto alla vita di oltre 200 migranti che erano a bordo di una nave affondata nel Mar Mediterraneo nel 2013”: è la denuncia odierna del Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite, secondo cui “l’Italia non ha risposto prontamente a varie chiamate di soccorso dalla barca che affondava, trasportando più di 400 adulti e bambini”. Avrebbe inoltre “omesso di spiegare il ritardo nell’invio della sua nave della marina, Its Libra, che si trovava a solo un’ora di distanza” dal luogo in cui avvenivano i fatti. La decisione del Comitato è una risposta ad una denuncia presentata da tre cittadini siriani e un palestinese sopravvissuti all’incidente, dopo aver perso nel naufragio le rispettive famiglie. Il 10 ottobre 2013 si sono imbarcati su un peschereccio e sono salpati da Zuwarah, un porto di pescatori in Libia, intorno all’una di notte. Poche ore dopo la nave, colpita da una barca battente bandiera berbera in acque internazionali, si è riempita di acqua, a 113 km a sud dell’isola italiana di Lampedusa e 218 km a sud di Malta. “Una delle persone a bordo ha chiamato il numero italiano per le emergenze in mare, dicendo che stavano affondando e inoltrando le coordinate della barca – ricorda il Comitato Onu -. Ha chiamato di nuovo più volte nelle ore successive e dopo le 13 gli è stato detto che, poiché si trovavano nella zona di ricerca e soccorso maltese, le autorità italiane avevano inoltrato la chiamata di soccorso all’autorità maltese”. I migranti hanno fatto diverse telefonate, “sempre più disperate”, al Centro di coordinamento del soccorso e alle Forze armate di Malta tra le 13 e le 15: “Quando una motovedetta maltese è arrivata sul posto alle 17.50, la nave si era già capovolta. Come da richiesta urgente di Malta, l’Italia ha infine ordinato alla sua nave della marina militare Its Libra, che era nelle vicinanze della barca, di accorrere in soccorso dopo le 18”. “A causa del ritardo nell’azione – sottolinea il Comitato Onu -, oltre 200 persone, tra cui 60 bambini, sono annegate”. “È un caso complesso – ha detto il membro del Comitato Hélène Tigroudja -. L’incidente è avvenuto nelle acque internazionali all’interno della zona di ricerca e soccorso maltese, ma il luogo era effettivamente più vicino all’Italia e ad una delle sue navi militari”. Il Comitato ha sollecitato perciò l’Italia “a procedere con un’indagine indipendente e tempestiva e a perseguire i responsabili”. (Sir)

Condividere la vita

27 Gennaio 2021 - Ogni coppia cristiana e ogni famiglia cristiana proclamano con la loro stessa esistenza che Dio è amore e che vuole il bene dell’umanità. La croce non è certo assente da questa comunione, così come non è assente da nessuna manifestazione d’amore. Sarebbe quindi vano e pericoloso desiderare un matrimonio che non portasse il segno della croce, né per sofferenza fisica, né per dolore morale o spirituale. Siete lì però a testimoniare che la grazia, la forza e la fedeltà di Dio danno la forza per portare la croce. Il sacramento è una fonte permanente di grazia che accompagna gli sposi per tutta la vita. (Paolo VI, Intervento al pellegrinaggio dell’Équipes Notre-Dame, mercoledì 22 settembre 1976)   Rivolgendosi a oltre tremila partecipanti all’incontro internazionale dell’Équipes Notre-Dame, Paolo VI ha modo di dimostrare tutta la sua sollecitudine per la famiglia cristiana e conseguentemente il suo affetto per questo movimento di spiritualità cristiana che vede nel matrimonio il suo elemento cardine. Il Papa richiama ancora la centralità del titolo di “chiesa domestica” e quanto scritto nella sua esortazione apostolica Evangelii nuntiandi. Si tratta di valorizzare “il potenziale di evangelizzazione che […] è presente all’interno di ogni famiglia cristiana nella corrente di affetto, di confidenza, di intimità che unisce i suoi membri”. Non vi sono dubbi, l’amore che alimenta la famiglia cristiana non può rimanere chiuso fra le mura domestiche ma è di per sé espansivo, da rivolgersi all’esterno, perché quella del matrimonio è una missione che non si esaurisce nell’amore della coppia. Nel contesto di questo invito, il Papa, però, fa una digressione: la testimonianza dell’amore che le famiglie vivono con la loro stessa esistenza non può fermarsi di fronte allo scandalo della croce. Non ha senso, sarebbe “vano e pericoloso” pensare che la dimensione della sofferenza sia assente dalla prospettiva del matrimonio. È una tentazione a cui si può andare incontro, soprattutto se si è vissuto un fidanzamento sereno e felice, quasi che vi siano dei meriti da accampare nei confronti del Signore. “Siamo una bella coppia, la salute ci arride, abbiamo grandi sogni e prospettive…”, eppure nessuna pretesa si può accampare di essere esentati dal male. Saggezza e prudenza vogliono che gli sposi vivano in pienezza la loro gioia, ma lascino spazio all’imprevisto, non si facciano trovare impreparati all’incombere della prova. Di fronte alla sofferenza, al dolore fisico e spirituale le famiglie sono tutte uguali, possono venire colpite in ogni momento. Diversa, però, è la reazione che si può mettere in campo. La tempesta della parabola evangelica non fa sconti a nessuno, piove sui giusti e sugli ingiusti, sugli sprovveduti e sui provvidi, ma questi ultimi hanno costruito la loro casa sulla roccia ed è per questo che essa non crolla. La roccia è l’affidamento a Dio, sono le fondamenta che si nutrono di fede e speranza, ma anche di fiducia reciproca e di mutuo sostegno. Quando una croce emerge dirompente nella vita di una famiglia cristiana è allora che la testimonianza può rendersi ancora più trasparente è feconda di bene. Prima di tutto nel non farsi prendere dalla vergogna, o dallo strenuo tentativo di cavarsela da soli. La sofferenza fa parte della vita e non ci sono colpe da nascondere o responsabilità da stigmatizzare. Per questo è bene riuscire ad aprirsi ai fratelli. Sia chi chiede aiuto, prima di tutto attraverso la preghiera, sia chi viene in soccorso, tutti beneficiano di un amore che si fa condivisione piena di vita. Vivere la gratuità dell’amicizia e della fratellanza è uno degli aspetti più essenziali della comunione ecclesiale che le famiglie cristiane possono incarnare nel loro cammino. Non ci si salva mai da soli, la Chiesa è una famiglia di famiglie che non teme il dolore perché sa che il Signore ha vinto la morte per sempre. (Giovanni M. Capetta – Sir)    

Pregare insieme

19 Gennaio 2021 - Noi vi preghiamo, Figli carissimi, e voi specialmente nuove famiglie cristiane, a dare, con debita forma e discreta misura, ma anche con aperta e collettiva espressione religiosa, l’onore della preghiera collettiva nelle vostre case: la madre ha in questa prima pedagogia della religione un compito altrettanto importante e degno quanto bello e commovente. Mamme, le insegnate ai vostri bambini le preghiere del cristiano? li abituate, se ammalati, a pensare a Cristo sofferente? a invocare l’aiuto della Madonna e dei Santi? lo dite il Rosario in famiglia? […] e voi, Papà, sapete pregare con i vostri figlioli, con tutta la comunità domestica, almeno qualche volta? L’esempio vostro, nella rettitudine del pensiero e dell’azione, suffragato da qualche preghierina comune vale una lezione di vita, vale un atto di culto di singolare merito; e portate così la pace nelle pareti domestiche […] Ricordate: così costruite la Chiesa. (Paolo VI, Udienza Generale, mercoledì, 11 agosto 1976) Paolo VI è sempre con il pensiero rivolto alla famiglia come “Chiesa domestica”, cioè luogo dove sacramentalmente Cristo si incontra con la nostra umanità e, in occasione di questa allocuzione per l’udienza generale del mercoledì, amplifica il suo magistero sottolineando la radicazione della famiglia cristiana nel sacerdozio comune battesimale. “Questa dottrina – afferma il Papa – si fa eminentemente pratica, specialmente là dove parla dei coniugi cristiani, i quali costituiscono una così detta Chiesa domestica (Lumen Gentium n.11). È in questo contesto che si innesta l’invito alla preghiera così caldamente espresso nelle battute che riportiamo. Il Papa riconosce ad ogni credente il sacerdozio comune conferito col battesimo e in virtù di questo ai coniugi e ai genitori affida l’impegno per quello che si potrebbe chiamare un culto domestico. Il suo linguaggio è molto colloquiale ma non meno perentorio. Quello della preghiera collettiva nelle case è un onore, un compito importante e degno quanto bello e commovente. Probabilmente, rivolgendosi alle madri cristiane, il pontefice va con la mente alla sua felice esperienza famigliare, rievocando con la memoria come anch’egli abbia imparato così le preghiere del cristiano. Alle mamme è affidato il compito di indicare Gesù ai propri figli, sia nei momenti di gioia, sia nelle prove, come la malattia, più o meno grave. Ai padri tradizionalmente più distanti (ma oggi non è certo più così) è chiesto di pregare ogni tanto con tutta la famiglia e di considerare questo un esempio prezioso che edifica la Chiesa. La preghiera con i genitori ha le parole del vocabolario famigliare, parla il linguaggio delle esperienze comuni, delle scoperte, delle gioie e delle preoccupazioni di ogni giorno. Sono le preghiere della tradizione, ma anche le preghiere semplici che nascono spontaneamente dal fervore che reciprocamente adulti e bambini si trasmettono. Viene da chiedersi quanto ancora oggi sia importante sentirci spronati a questa vita ecclesiale attraverso la preghiera all’interno della famiglia. Non si può non fare riferimento agli ultimi mesi che abbiamo vissuto, alle restrizioni che i diversi lockdown ci hanno imposto. Abbiamo avuto davvero tante occasioni per sperimentare che la nostra vita da cristiani si esercita prima di tutto all’interno delle mura domestiche. È qui che la preghiera si fa intima e personale, qui ci si rivolge al Signore con il tu della confidenza più sincera, qui idealmente attorno al fuoco, come avveniva una volta, si possono dare i nomi alle persone per cui si prega, si possono indirizzare richieste di protezione ed intercessioni in modo più personale di quanto avvenga nell’assemblea della chiesa parrocchiale. Nella preghiera in famiglia ci si può tenere per mano e ripercorrere l’albero genealogico dei propri cari, contemplando preghiere per i vivi e preghiere per i defunti. Ci si passa il testimone con i Pater, le Ave e i Gloria, oppure con le intenzioni spontanee e – come dice Paolo VI – così si edifica la Chiesa, si costruisce quella porzione di Regno che è affidata ad ogni casa, ad ogni nucleo famigliare, dove di generazione in generazione si trasmette la fede. (Giovanni M. Capetta – Sir)  

Asgi: “criticità” del Patto Ue su migrazioni e asilo

13 Gennaio 2021 - 13 Gennaio 2021 - Roma - Nel nuovo Patto sull’asilo e le migrazioni, presentato dalla Commissione europea a settembre 2020, vengono fatti “rilevantissimi passi indietro” rispetto al testo di riforma del Regolamento Dublino e si crea “una crescente frammentazione del diritto di asilo, che diventa cangiante e multiforme, variando in base a chi presenta la domanda, dove e quando la presenta”: questo il parere dell’Associazione studi giuridici immigrazione (Asgi), che solleva oggi diversi punti critici e li pone all’attenzione del governo e del Ministero dell’Interno italiano, in vista dell’incontro informale a Lisbona, il 28 e il 29 gennaio, tra i Ministri della Giustizia e degli Affari interni per discutere le strategie europee in relazione al nuovo Patto su migrazione e asilo. “Da più parti sono già state segnalate preoccupazioni rispetto ai rischi evidenti di violazioni dei diritti umani – ricorda Asgi -, ribaditi in una recente proposta di risoluzione votata il 12 gennaio 2021 dagli europarlamentari della Commissione libertà civili giustizia e diritto interno (Libe)”. Nel documento l’Asgi evidenzia le principali criticità. Se verrà attuata la misura di screening per valutare il richiedente asilo, ad esempio, “questo strumento graverà esclusivamente sui Paesi alle frontiere europee, e si rischierà una formalizzazione del sistema hotspot, che porta a gravi violazioni quali il trattenimento arbitrario e l’esclusione dal diritto di asilo”. Inoltre, “non essendo previsto un generale e vincolante principio di redistribuzione dei richiedenti asilo tra i Paesi membri e non venendo modificato il criterio che attribuisce la competenza di esaminare le domande di asilo al Paese di primo ingresso, ma prevedendone l’applicazione anche ai minori stranieri non accompagnati, non si affrontano le criticità rilevate negli ultimi anni, non riformando adeguatamente il Regolamento Dublino”. I cittadini stranieri sono inoltre “esposti ad elevati rischi di detenzione e refoulement”. Infine, la sospensione della registrazione delle domande di asilo “si porrebbe in irrimediabile contrasto col diritto di asilo costituzionalmente garantito dall’art. 10, comma 3”, che comporta anche “il diritto di accedere provvisoriamente al territorio e di fare accertare la condizione che legittima il diritto”. (Sir)​  

 

Annunciare il Vangelo

12 Gennaio 2021 - Nell’ambito dell’apostolato di evangelizzazione proprio dei laici, è impossibile non rilevare l’azione evangelizzatrice della famiglia. Essa ha ben meritato, nei diversi momenti della storia della Chiesa, la bella definizione di “Chiesa domestica”, sancita dal Concilio Vaticano II. Ciò significa che, in ogni famiglia cristiana, dovrebbero riscontrarsi i diversi aspetti della Chiesa intera. Inoltre la famiglia, come la Chiesa, deve essere uno spazio in cui il Vangelo è trasmesso e da cui il Vangelo si irradia. Dunque nell’intimo di una famiglia cosciente di questa missione, tutti i componenti evangelizzano e sono evangelizzati. I genitori non soltanto comunicano ai figli il Vangelo, ma possono ricevere da loro lo stesso Vangelo profondamente vissuto. E una simile famiglia diventa evangelizzatrice di molte altre famiglie e dell’ambiente nel quale è inserita.[…]. (Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi, n. 71, 8 dicembre 1975) Papa Paolo VI, nel suo magistero, torna più volte sulla dimensione della famiglia come “chiesa domestica”, la definizione che, già presente nella storia della Chiesa, trova una forte conferma in occasione del Concilio Vaticano II. Un importante intervento in tal senso è nell’Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi dove, nel contesto degli “operai dell’evangelizzazione”, il pontefice riserva un posto particolare alla famiglia. Quello che viene delineato all’interno della comunità famigliare è uno spazio circolare “in cui il Vangelo è trasmesso e da cui il Vangelo si irradia”. Dunque questa, che è una caratteristica propria anche della Chiesa come istituzione, trova una sua concretizzazione specifica nella dimensione famigliare. La chiesa domestica non ha delimitazione di spazi in virtù dei ruoli, in casa non c’è un presbiterio e uno spazio per l’assemblea, ma tutti, genitori e figli, sono coinvolti contemporaneamente in un’attività di annuncio e di ricezione del Vangelo. Tutti “evangelizzano e sono evangelizzati”. I genitori hanno il compito di trasmettere il Vangelo ai figli, ma sono chiamati anche ad esercitare un grande impegno nell’ascolto dei figli stessi che a loro volta sono portatori di Vangelo. Il Vangelo dei genitori in casa non dovrebbe essere proclamato da un qualche pulpito, in modo unilaterale, senza concedere spazio al dialogo e al confronto. Il Vangelo testimoniato dai genitori ha molto più l’aspetto di un esempio, spesso magari silenzioso, di fatto è trasmesso ai figli attraverso la vita concreta di ogni giorno. Da parte dei figli, allo stesso modo, il Vangelo si manifesta in gesti di prossimità spontanei, in testimonianze gratuite di generosità, ma anche sotto forma di domande e perfino di obiezioni. In tal senso è chiaro che bisogna saper riconoscere i germi di Vangelo in tante e diverse dimostrazioni. Ai genitori sono richieste un’attenzione e una pazienza particolari capaci di captare la dimensione di ricerca di verità e di senso sotto la forma dell’interrogativo e perfino dell’obiezione da parte dei figli, che non sempre seguono linearmente il cammino di fede degli adulti. C’è un periodo, di solito coincidente con l’adolescenza, in cui spesso i figli, per esempio, rifiutano un cammino ecclesiale. Anche in questa resistenza va cercata una verità. Attraverso la circolarità di cui parla il Papa abbiamo chiaro come lo spazio della famiglia sia fondamentale per preparare le nuove generazioni alla vita spirituale. Laddove l’incontro con la realtà ecclesiale possa aver registrato delle difficoltà o delle incomprensioni, è proprio fra le mura domestiche che si può recuperare un piano comune di condivisione e confronto anche su quegli elementi della vita di fede che sono risultati ostici. Parallelamente la parrocchia può essere il luogo in cui i ragazzi e i giovani ricevono quella notizia di Vangelo che possono portare nella propria casa dove magari la Parola non risuona più come un tempo o dove mai è stata aperta. Infine il Papa evidenzia come una famiglia che riconosca in se stessa la propria missione evangelizzatrice non può che diventare una cellula capace di illuminare con la parola del Vangelo tante altre famiglie nell’ambiente in cui è inserita. Questo significa che per la famiglia l’evangelizzazione non ha confini, ma si estende a tutti gli ambiti della vita associata. Liberi dalla veste istituzionale tipica delle persone consacrate, genitori e figli, oltre ad evangelizzarsi reciprocamente, propongono, con l’esempio e la parola, “fatti di Vangelo”, a scuola, sul lavoro, nello sport e nelle occasioni di svago. Senza aver bisogno di uno spazio dedicato, né un contesto preparatorio, le famiglie cristiane sono libere di esprimere la loro appartenenza a Cristo attraverso tutto il bagaglio tipico della loro esperienza vissuta. Un campo infinito in cui mettersi a servizio del Signore nella fraternità degli uomini. (Giovanni M. Capetta – Sir)  

Alarm Phone: una nave con 70 persone a bordo a largo di Lampedusa

13 Novembre 2020 - Roma - Un allarme dopo l’altro di imbarcazioni cariche di migranti che affrontano le insidie del Mediterraneo in cerca di fuga dalla Libia. L’ultimo avvistamento a largo delle coste di Lampedusa è dato, attraverso Twitter, da Alarm Phone. “Dopo diverse ore senza contatti con la barca con 70 persone a bordo, abbiamo ripreso contatto stamattina. Ora sono vicini a Lampedusa”, spiega Alarm Phone, precisando che “le autorità italiane sono avvisate”. Questo aggiornamento segue il tweet di ieri sera, con il quale Alarm Phone avvisava di aver avvistato l’imbarcazione con 70 persone a bordo, tra cui anche tre bambini. E solo ieri l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) denunciava: “Un devastante naufragio ha causato la morte di almeno 74 migranti” ieri, 12 novembre, “al largo di Khums, in Libia. Si tratta dell’ultima di una serie di tragedie che hanno coinvolto almeno altri otto naufragi nel Mediterraneo centrale dal primo ottobre”. L’imbarcazione, secondo l’Oim, “trasportava oltre 120 persone, tra cui donne e bambini. Quarantasette sopravvissuti sono stati portati a riva dalla Guardia Costiera libica e da pescatori, 31 corpi sono stati recuperati. Proseguono le ricerche delle vittime”. Altre 19 persone sono morte negli ultimi due giorni: tra le vittime anche due bambini annegati dopo che le due barche sui cui si trovavano si sono rovesciate. La nave Open Arms – l’unica nave di una ong attualmente attiva nel Mediterraneo centrale – ha salvato più di 200 persone in tre operazioni”. “La perdita di vite umane nel Mediterraneo è una manifestazione dell’incapacità degli Stati di intraprendere un’azione decisiva per dispiegare un sistema di ricerca e soccorso quanto mai necessario in quella che è la rotta più mortale del mondo”, ha detto Federico Soda, capo missione dell’Oim Libia. “Da tempo chiediamo un cambiamento nell’approccio, evidentemente impraticabile, seguito nei confronti della Libia e del Mediterraneo – ha aggiunto -. Non dovrebbero essere più riportate persone a Tripoli e si dovrebbe dar vita al più presto a un meccanismo di sbarco chiaro e prevedibile, a cui possano far seguito delle azioni di solidarietà degli altri Stati. Migliaia di persone vulnerabili continuano a pagare il prezzo dell’inazione, sia in mare sia sulla terraferma”. Intanto, sta facendo il giro del mondo il video, diffuso ieri dalla ong Open Arms con il grido disperato della madre del bimbo morto nel naufragio dell’11 novembre. La donna che si dispera a bordo del gommone, urlando: “I loose my baby”, “Where is my baby?” (“Ho perso mio figlio”, “Dov’è mio figlio?”), è il grido disperato della madre del piccolo. “Abbiamo riflettuto se fosse il caso di mostrare il grido del naufragio, il dolore e la disperazione – ha spiegato su Twitter la ong spagnola -. Abbiamo deciso di rendere pubblico quello che accade in quel tratto di mare perché i nostri occhi non siano i soli a vedere e perché si ponga fine a tutto questo subito. (Sir) ​  

Un prete per amico

10 Novembre 2020 - È compito dei sacerdoti, provvedendosi una necessaria competenza sui problemi della vita familiare, aiutare amorosamente la vocazione dei coniugi nella loro vita coniugale e familiare con i vari mezzi della pastorale, con la predicazione della parola di Dio, con il culto liturgico o altri aiuti spirituali, fortificarli con bontà e pazienza nelle loro difficoltà e confortarli con carità, perché si formino famiglie veramente serene. (Gaudium et Spes, n. 52 – 7 dicembre 1965)   Quasi al termine del capitolo dedicato alla famiglia, la Gaudium et Spes presenta un paragrafo interessante in cui si pone a tema il ruolo dei sacerdoti in relazione alla vocazione dei coniugi. Molti di noi avranno tante esperienze da raccontare riguardo al rapporto della propria famiglia con preti o religiosi, ma forse non tutti sono a conoscenza che il Concilio ha dato un indirizzo, un’indicazione che aiuta a capire la giusta reciprocità da crearsi fra le due colonne del popolo di Dio. Prima di tutto si dice che il compito dei sacerdoti è quello di formarsi una competenza riguardo ai problemi famigliari. Oltre a quella che, oggi, più di un tempo, si riceve in seminario, con materie di studio che sono propedeutiche alla pastorale famigliare, la formazione a cui si allude riguarda un tirocinio sul campo. Non basta che i preti facciano riferimento alla loro precedente vita di figli in famiglia, ma è necessario che fin dai primi anni di ministero frequentino con umiltà altre famiglie concrete e da esse attingano elementi preziosi per il loro servizio. Ma, poi, cerchiamo di capire in che cosa consista prioritariamente questo servizio: il testo parla di “aiutare amorosamente - espressione dal peso specifico grande -  la vocazione dei coniugi” il che significa mettere sacerdoti e famiglie sullo stesso piano senza uno squilibrio gerarchico degli uni rispetto agli altri. Attraverso tutti i mezzi della pastorale, la predicazione della Parola, la liturgia e gli altri aiuti spirituali, fortificare e confortare i coniugi perché si formino famiglie serene. Lo stesso obbiettivo è particolare, ha a che fare con la serenità della vita stessa delle famiglie prima ancora che con la loro santificazione, quasi ad indicare che quest’ultima sia un fine a cui tutti siamo chiamati in virtù del nostro battesimo, ma che i sacerdoti non siano in partenza depositari di una santità più garantita da vivere e offrire al laicato. Da queste poche righe in sostanza si può desumere uno stile, il profilarsi di un modus operandi del prete nei confronti delle famiglie che incontra nella sua esperienza di pastore. È uno stile improntato alla mitezza e alla capacità di saper mettersi al servizio senza imporre una presenza a volte troppo ingombrante. Il prete che vive in parrocchia, incontra fidanzati, neo coppie di sposi, famiglie con figli in età di catechismo o più grandi, famiglie di anziani, una grandissima varietà di situazioni in cui gli è chiesto di entrare in relazione in punta di piedi, con grande rispetto. L’immagine plastica è proprio quella di un invito a casa, in cui l’ospite sacerdote non si senta l’invitato di riguardo a cui tutto è dovuto e servito, quanto piuttosto il compagno che accetta di fare un tratto di strada insieme, offrendo – prima di tutto – la luce della Parola che illumina il cammino. Chi ha accesa questa lanterna non ha la presunzione di possedere la Verità, che è poi sempre la persona di Gesù, ma la generosa volontà di mettere sulla strada giusta il popolo che gli è stato affidato. In quest’ottica allora si può immaginare come il sacerdote possa e debba essere anche la guida nella preghiera, in particolare in quella espressa nella liturgia. Colui che accompagna l’assemblea delle famiglie di cui è composta la comunità a riscoprire ogni volta di più il fondamento e l’alimento del proprio camminare nei sacramenti e in specie nell’Eucarestia. Anche in questo caso un uomo che indica, che eleva, che mostra il Signore senza che la sua voce prevarichi, ma, anche nell’omiletica, sia sempre sincera esegesi delle Scritture, spiegazione, sprone, incoraggiamento. Sono belle quelle famiglie che hanno saputo incontrare e intrecciare la loro strada con quella di qualche sacerdote. Lì veramente si vivono i benefici della comunione ecclesiale. Sono legami in cui davvero virtuosamente ci si arricchisce a vicenda, rafforzando e integrando per osmosi le reciproche vocazioni. Dal Concilio ad oggi si sono fatti tanti passi in avanti, ma ancora molta strada resta da percorrere in questa relazione di scambio che è frutto maturo di una Chiesa adulta nella fede. (Giovanni M. Capetta - SIR)  

Non aspettano più gli adulti

9 Novembre 2020 - Roma - “Non aspettiamo più di poter parlare nei convegni dei grandi ma parliamo noi. I leader impegnati nella discussione sul clima ci hanno sbattuto la porta in faccia. Dal momento che non ci ascoltano non giocheremo più al loro gioco e costruiremo la nostra conferenza”. Dalle Filippine al Costa Rica una denuncia unanime da parte dei giovani: “I leader mondiali hanno come priorità solo gli interessi economici”. Era prevista in questi giorni a Glasgow la Conferenza mondiale sull’ambiente, la Cop 26, ma la pandemia lo ha impedito ed è stata rinviata al prossimo anno. Visto che la Cop26 non potrà tenersi, ragazze e ragazzi di 118 Paesi, hanno dato vita un evento su Internet chiamato Mock Cop, la Cop simulata (www.mockcop.org). Dal 19 novembre al 1° dicembre si ritroveranno on line in una sorta di governo virtuale del pianeta affrontando temi quali la giustizia climatica, la formazione scolastica, la sanità e la salute mentale, i nuovi lavori ecosostenibili, gli obiettivi di riduzione del carbonio. Quello per la salute ha la precedenza su qualsiasi altro impegno ed è doveroso che tutti gli sforzi vengano concentrati in questa direzione. Nel contempo le altre grandi sfide all’umanità non possono essere abbandonate a sé stesse e se la priorità deve essere rigorosamente rispettata non si devono lasciare senza risposta le domande sul futuro. Molte riguardano il cambiamento climatico che, peraltro, non è estraneo al sorgere e allo svilupparsi della pandemia. Guardando alla tragedia che nel mondo si sta consumando, Mock Cop potrebbe essere inteso come una mancanza di sensibilità. come una fuga dalla responsabilità. Non è così. I giovani considerano la pandemia anche una conseguenza dello squilibrio ecologico globale e temono che l’unica preoccupazione dei leader, sconfitto il virus, sia quella di recuperare la crescita economica persa nei   mesi del contagio. Si aggiunge il timore, come peraltro è accaduto dopo il primo lockdown, che gli stili di vita personali e collettivi rimangano quelli di prima, gli stessi che hanno contribuito alla crisi ambientale con le sue drammatiche conseguenze quali le diseguaglianze che lacerano ancor più una società disorientata. C’è un pensiero che ha ispirato e guida Mock Cop, è di Greta Thunberg: “Qualcuno dovrà fare qualcosa e quel qualcuno potrei essere io”. Parole che lasciano intendere la difficoltà di una strategia, perché il coronavirus ribadisce che non si possono fare grandi programmi, ma c’è la volontà di ascoltare persone credibili, con loro confrontarsi sul futuro e quindi agire. Tra queste persone c’è Francesco, con la Laudato si’. (Paolo Bustaffa – SIR) ​