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Papa Francesco prega per il Camerun: tacciano le armi

28 Ottobre 2020 - Città del Vaticano – Papa Francesco ricorda i giovani uccisi sabato scorso in Camerun. “Mi unisco al dolore delle famiglie dei giovani studenti barbaramente uccisi sabato scorso a Kumba, in Camerun. Provo – ha detto al termine dell’Udienza Generale questa mattina - grande sconcerto per un atto tanto crudele e insensato, che ha strappato alla vita i piccoli innocenti mentre seguivano le lezioni a scuola. Che Dio illumini i cuori, perché gesti simili non siano mai più ripetuti e perché le martoriate regioni del Nord-Ovest e Sud-Ovest del Paese possano finalmente ritrovare la pace!”. Il pontefice auspica che “le armi tacciano e che possa essere garantita la sicurezza di tutti e il diritto di ciascun giovane all’educazione e al futuro”. “Esprimo – ha quindi concluso – alle famiglie, alla città di Kumba e a tutto il Camerun il mio affetto e invoco il conforto che solo Dio può dare”.  

Papa Francesco: “La pace è la priorità di ogni politica”

21 Ottobre 2020 - Roma - Alle 18.30 in punto, sulla piazza del Campidoglio, “cuore della città” di Roma, come l’ha definita il Papa “venuto dalla fine del mondo”, è sceso il silenzio per un minuto, in ricordo delle vittime di tutte le guerre. Per raggiungerla, papa Francesco ha sceso insieme “al mio fratello Bartolomeo”, come lo chiama da sempre, l’immensa scalinata della basilica dell’Ara Coeli, tanto cara alla devozione dei romani. L’uno accanto all’altro, l’uno vestito in bianco e l’altro in nero, il patriarca ecumenico di Costantinopoli aggrappato al suo bastone e il Santo Padre al corrimano esterno. Un esempio concreto di fraternità vissuta che prima hanno condiviso con i rappresentanti delle altre confessioni cristiane, pregando in basilica, e subito dopo con i leader delle grandi religioni mondiali che hanno preso parte all’incontro internazionale promosso dalla Comunità di Sant’Egidio sul tema “Nessuno si salva da solo. Pace e fraternità”. Lo “spirito di Assisi”, a 34 anni dallo storico incontro convocato da Giovanni Paolo II, è aleggiato anche nell’appello di pace con cui si è concluso l’incontro, consegnato da un gruppo di bambini agli ambasciatori e ai rappresentanti della politica nazionale e internazionale. E proprio alla politica si è rivolto Papa Francesco nel suo discorso dal palco: “Il mondo, la politica, la pubblica opinione rischiano di assuefarsi al male della guerra, come naturale compagna della storia dei popoli”, la denuncia: “Non fermiamoci su discussioni teoriche, prendiamo contatto con le ferite, tocchiamo la carne di chi subisce i danni. Prestiamo attenzione ai profughi, a quanti hanno subito le radiazioni atomiche o gli attacchi chimici, alle donne che hanno perso i figli, ai bambini mutilati o privati della loro infanzia”. “Oggi, i dolori della guerra sono aggravati anche dalla pandemia del Coronavirus e dalla impossibilità, in molti Paesi, di accedere alle cure necessarie”, incalza Francesco, secondo il quale “mettere fine alla guerra è dovere improrogabile di tutti i responsabili politici di fronte a Dio”. “La pace è la priorità di ogni politica”, tuona il Papa: “Dio chiederà conto, a chi non ha cercato la pace o ha fomentato le tensioni e i conflitti, di tutti i giorni, i mesi, gli anni di guerra che hanno colpito i popoli!”. “Quanti impugnano la spada, magari credendo di risolvere in fretta situazioni difficili, sperimenteranno su di sé, sui loro cari, sui loro Paesi, la morte che viene dalla spada”, spiega Francesco: Il “basta” di Gesù “è una risposta senza equivoci verso ogni violenza”: un “basta!” che “supera i secoli e giunge forte fino a noi oggi: basta con le spade, le armi, la violenza, la guerra!”. “Mai più la guerra!”, il grido sulla scorta del discorso di San Paolo VI alle Nazioni Unite, nel 1965: “Questa è l’implorazione di noi tutti, degli uomini e delle donne di buona volontà. È il sogno di tutti i cercatori e artigiani della pace, ben consapevoli che ogni guerra rende il mondo peggiore di come l’ha trovato”. “Nessun popolo, nessun gruppo sociale potrà conseguire da solo la pace, il bene, la sicurezza e la felicità”, ribadisce Francesco. E il pensiero corre ad un’altra piazza, non piena – nel rispetto delle norme anti Covid – come questa, ma deserta e bagnata dalla pioggia, in cui il Papa il 27 marzo scorso aveva pregato, per la prima volta da solo nella “sua” piazza, per la fine della pandemia. “La fraternità, che sgorga dalla coscienza di essere un’unica umanità, deve penetrare nella vita dei popoli, nelle comunità, tra i governanti, nei consensi internazionali. Così lieviterà la consapevolezza che ci si salva soltanto insieme, incontrandosi, negoziando, smettendo di combattersi, riconciliandosi, moderando il linguaggio della politica e della propaganda, sviluppando percorsi concreti per la pace”. A partire da un obiettivo raggiungibile imposto dalla pandemia, proposto come imperativo nell’appello di pace finale: “Uniamo già oggi gli sforzi per contenere la diffusione del virus finché non avremo un vaccino che sia idoneo e accessibile a tutti. Questa pandemia ci sta ricordando che siamo fratelli e sorelle di sangue”. Nessuno può salvarsi da solo, si legge ancora nell’appello: “Le guerre e la pace, le pandemie e la cura della salute, la fame e l’accesso al cibo, il riscaldamento globale e la sostenibilità dello sviluppo, gli spostamenti di popolazioni, l’eliminazione del rischio nucleare e la riduzione delle disuguaglianze non riguardano solo le singole nazioni. Lo campiamo meglio oggi, in un mondo pieno di connessioni, ma che spesso smarrisce il senso della fraternità”. La tentazione da cui fuggire “è la tentazione di pensare solo a salvaguardare se stessi o il proprio gruppo”, il monito dell’omelia papale dall’Ara Coeli: “Dio non viene tanto a liberarci dai nostri problemi, che sempre si ripresentano, ma per salvarci dal vero problema, che è la mancanza di amore. E’ questa la causa profonda dei nostri mali personali, sociali, internazionali, ambientali”. (M. Michela Nicolais – SIR)

Popoli e religioni uniti per la pace: ieri a Roma l’incontro interreligioso con Papa Francesco

21 Ottobre 2020 - Roma - Lo spazio al centro della piazza del Campidoglio, ornata dalla stella a 12 punte disegnata da Michelangelo è organizzato in modo da conciliare due esigenze apparentemente contraddittorie: la prudenza del distanziamento sociale dettata dall’emergenza sanitaria, e il sentimento, qui prevalente, volto “alla fraternità e all’amicizia sociale” che ha motivato l’Enciclica Fratelli tutti. Un evento, questo del 34° Incontro internazionale promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, che fa di Roma la capitale della pace: un evento “ridotto alla sua forma essenziale”, come ha rilevato Andrea Riccardi, ma non per questo meno evocativo, anzi ricco di contenuti che rinviano alla realtà drammatica che l’umanità sta attraversando, quando alla guerra, “madre di tutte le povertà”, si è aggiunta una terribile pandemia che impoverisce intere popolazioni e mina la solidarietà. “La lezione della recente pandemia - ha detto Papa Francesco - se vogliamo essere onesti, è la consapevolezza di essere una comunità mondiale che naviga sulla stessa barca, dove il male di uno va a danno di tutti. Ci siamo ricordati che nessuno si salva da solo, che ci si può salvare unicamente insieme”. Alla tentazione di rinchiudersi in sé stessi, Riccardi contrappone la convinzione che “non ci si salva da soli, alle spalle degli altri, contro gli altri. Vale per l’Europa, vale per ogni continente”. E allora il tema della giornata – “Nessuno si salva da solo. Pace e fraternità” – coniuga i due elementi che fanno da filo conduttore di un percorso che può portare l’umanità all’uscita dal tunnel della paura e dell’egoismo. Insieme a papa Francesco, rappresentanti delle grandi religioni mondiali hanno pregato gli uni accanto agli altri, consapevoli che “la preghiera è la radice della pace”, e si sono poi ritrovati insieme, “come un arcobaleno di pace”, nel palco allestito davanti al palazzo Senatorio. Qui papa Francesco ha rivolto il suo appassionato appello: “C’è bisogno di pace! Più pace! Non possiamo restare indifferenti. Il mondo, la politica, la pubblica opinione rischiano di assuefarsi al male della guerra, come naturale compagna della storia degli uomini”. Il richiamo alle responsabilità della politica è stato raccolto dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che insieme ai ministri Di Maio e Lamorgese, alla sindaca Raggi e al presidente della regione Lazio Zingaretti, aveva accolto papa Francesco ai piedi della scalinata della Basilica di Santa Maria in Ara Coeli: “La Repubblica Italiana onora e riconosce gli sforzi di dialogo in questa direzione, nella consapevolezza del ruolo di fondamentale importanza che le religioni hanno e possono dispiegare nel contribuire a un avvenire di sviluppo e di eguaglianza fra le persone e i popoli. La speranza sarà più forte di tutti gli ostacoli, non sarà più irraggiungibile se le donne e gli uomini di buona volontà si impegneranno vivendola concretamente nel loro quotidiano”. L’Appello di pace che ha concluso l’Incontro di Roma richiama tutti i temi della giornata: “Le guerre e la pace, le pandemie e la cura della salute, la fame e l’accesso al cibo, il riscaldamento globale e la sostenibilità dello sviluppo, gli spostamenti di popolazioni, l’eliminazione del rischio nucleare e la riduzione delle diseguaglianze, non riguardano solo le singole nazioni. Lo capiamo meglio oggi, in un mondo pieno di connessioni, ma che speso smarrisce il senso della fraternità”. E quindi, “ai responsabili degli Stati diciamo: lavoriamo insieme ad una nuova architettura della pace. Uniamo le forze per la vita, la salute, l’educazione, la pace”.

Papa Francesco: a partecipanti Global Compact on Education, “sottoscrivere un patto educativo globale per e con le giovani generazioni”

16 Ottobre 2020 - Città del Vaticano - “Educare è sempre un atto di speranza che invita alla co-partecipazione e alla trasformazione della logica sterile e paralizzante dell’indifferenza in un’altra logica diversa, che sia in grado di accogliere la nostra comune appartenenza”. Lo dice Papa Francesco, in un videomessaggio ai partecipanti all’evento per il Global Compact on Education, presentato ieri pomeriggio, presso la Pontificia Università Lateranense, nel corso dell’iniziativa – in diretta streaming – promossa dalla Congregazione per l’Educazione cattolica. Indicando l’educazione come “il naturale antidoto alla cultura individualistica”, il Pontefice ribadisce che “il nostro futuro non può essere la divisione, l’impoverimento delle facoltà di pensiero e d’immaginazione, di ascolto, di dialogo e di mutua comprensione”. “Oggi c’è bisogno – avverte – di una rinnovata stagione di impegno educativo, che coinvolga tutte le componenti della società”. Quindi, l’incoraggiamento ad ascoltare “il grido delle nuove generazioni”, auspicando “un rinnovato cammino educativo”, che “non giri lo sguardo dall’altra parte favorendo pesanti ingiustizie sociali, violazioni dei diritti, profonde povertà e scarti umani”. “Si tratta di un percorso integrale, in cui si va incontro a quelle situazioni di solitudine e di sfiducia verso il futuro che generano tra i giovani depressione, dipendenze, aggressività, odio verbale, fenomeni di bullismo”. Un cammino “condiviso”, secondo il Papa, in cui “non si resta indifferenti di fronte alla piaga delle violenze e degli abusi sui minori, ai fenomeni delle spose bambine e dei bambini-soldato, al dramma dei minori venduti e resi schiavi”. Infine, l’indicazione di Francesco: “Nella presente situazione di crisi sanitaria – gravida di sconforto e smarrimento -, riteniamo che sia questo il tempo di sottoscrivere un patto educativo globale per e con le giovani generazioni, che impegni le famiglie, le comunità, le scuole e le università, le istituzioni, le religioni, i governanti, l’umanità intera, nel formare persone mature”.

Patto educativo globale: oggi l’apertura con il videomessaggio del Papa

15 Ottobre 2020 -

Roma - Sarà un videomessaggio del Papa ad aprire i lavori del convegno sul “Global Compact on Education” (patto globale per l’educazione) che si svolgerà dalle 14.30 di oggi in diretta streaming sul portale di Vatican News (e sui canali di YouTube) dall’Università Lateranense di Roma, che ospita l’evento. Un “patto globale” per l’educazione lanciato più di un anno fa. La pandemia ha condizionato i programmi, che passano oggi da questa nuova tappa di un cammino destinato a continuare. Sarà trasmesso anche un videomessaggio della direttrice generale dell’Unesco, Audrey Azoulay, mentre alla Lateranense saranno presenti i vertici della Congregazione per l’educazione cattolica, il prefetto, Card. Giuseppe Versaldi e il Segretario Mons. Vincenzo Zani. Previsti anche gli interventi dei rettori Vincenzo Buonomo (Lateranense) e Franco Anelli (Università Cattolica che ritrasmetterà l’evento sui propri profili social).

“Rilanciare i contenuti che il Papa ha esplicitato in diverse occasioni a partire dal suo messaggio del 12 settembre 2019, quando ha parlato per la prima volta del patto globale per l’educazione”, dice Mons. Zani alla Radio Vaticana: “l’obiettivo del Papa – sottolinea Zani – mi pare proprio quello di invitare tutti ad avere un passo comune sul fronte educativo. Ognuno segue direzioni diverse e assistiamo a quella che potremo definire quasi una catastrofe educativa”. Certo lo scenario attuale è molto diverso da quello di un anno fa, ma, ribadisce l’arcivescovo, ci ricorda sempre di più che “il futuro è nelle mani dell’educazione, perché l’educazione è il segno della speranza. Educare significa investire tutte le energie possibili per aiutare le persone a guardare avanti”. Un cammino che in questi mesi ha visto la Congregazione promuovere una quindicina tra convegni e congressi che hanno approfondito i vari temi per toccare le diverse sfaccettature il patto educativo.

Una carezza che è una scintilla

6 Ottobre 2020 - Tornando a casa troverete i bambini; date una carezza ai vostri bambini e dite: “Questa è la carezza del Papa”. Troverete qualche lacrima da asciugare. Fate qualcosa, dite una parola buona. Il Papa è con noi specialmente nelle ore della tristezza e dell’amarezza. (Saluto del Santo Padre Giovanni XXIII ai fedeli partecipanti alla fiaccolata in occasione dell’apertura del Concilio Vaticano II, giovedì 11 ottobre 1962) Il 15 maggio del 1961 è pubblicata l’enciclica Mater et Magistra ed in essa papa Giovanni dedica un passaggio al rispetto delle leggi della vita e alla responsabilità della maternità e paternità. È come un ponte fra il dettato magisteriale di Pio XI ( si pensi all’enciclica Casti Connubii) e di Pio XII e quello che a breve produrrà in abbondanza il suo successore Paolo VI (in particolare con l’enciclica Humanae Vitae). Non ci soffermiamo su questo testo e invece andiamo al cuore del pontificato di Papa Roncalli, ovvero il Concilio Vaticano II. Quel giovedì 11 ottobre 1962, la Chiesa cattolica ha vissuto “uno spettacolo che neppure la basilica di San Pietro, che ha quattro secoli di storia, ha mai potuto contemplare”. I padri conciliari sono sfilati in processione e sono andati ad occupare i loro posti nelle tribune allestite nella navata centrale. È una grande occasione di pace, di fratellanza, di spiritualità condivisa, il Papa ne è consapevole e ne ricorda la solennità, pur volendo sottrarre la sua persona dal ruolo di protagonista che, invece, ha di fatto avuto nell’intuizione della convocazione dell’assise. La sera molte persone su iniziativa dell’Azione Cattolica sono confluite in una fiaccolata in piazza San Pietro e via della Conciliazione. Si tratta di una folla che lascia trapelare un forte afflato, un senso ecclesiale spiccato, la consapevolezza che il Concilio riguarda i singoli fedeli, il popolo di Dio, non è solo un affare delle gerarchie. Di fronte alla sfilata dei partecipanti alla fiaccolata si dice che il Papa non avesse intenzione di intervenire, ma poi vedendo la folla mostratagli dalla finestra dal suo segretario monsignor Capovilla, si commosse e prese la parola che amplificata raggiunse tutti i fedeli in piazza San Pietro. A questi il Papa rivolse le parole che sono passate alla storia come “il discorso alla luna”. La tenerezza di quell’invito a portare la carezza del Papa ai bambini nelle case ha un sapore inedito, una novità nel linguaggio papale, Giovanni XXIII si sbilancia, si rivolge ai partecipanti come un affettuoso parroco che conosce i suoi fedeli uno a uno. La folla non è abituata a sentirsi interpellata così sinceramente negli affetti personali. Ha il sapore di una profezia questo linguaggio colloquiale, anticipa quello che sarà l’atteggiamento di successori molto distanti nel tempo. È come se il Papa affidasse all’amore all’interno delle famiglie di custodire il mistero dell’amore di Dio per il suo popolo e di conseguenza quello del pontefice per i suoi fedeli. Portare una scintilla di speranza, portare un barlume della luce di quelle fiaccole accese nelle singole case, essere capaci di asciugare una lacrima, di consolare un dolore o un’amarezza. Le famiglie italiane, le famiglie del mondo sono le destinatarie principali di quello che si sta vivendo in Vaticano, non c’è soluzione di continuità fra la Chiesa dei vescovi e dei cardinali e la Chiesa composta dai laici che compongono il tessuto del popolo di Dio. Per questo motivo il Concilio dovrà essere al servizio del popolo e il lavoro dei padri conciliari non dovrà fermarsi all’elaborazione di nuove dottrine ma inserirsi come linfa viva nella storia della Chiesa. Il Papa dimostra di conoscere e di riconoscere il bene che sgorga ordinariamente nella vita delle famiglie, ne valorizza la preziosità quotidiana. Nell’atteggiamento di confidenza manifestato spontaneamente da Giovanni XXIII possiamo leggere in germe quella che sarà la nuova interpretazione che il Concilio saprà dare della famiglia nel contesto del discorso sulla Chiesa. Un discorso che ancora oggi, a distanza di tanti anni, necessita di essere assimilato sia dai pastori sia dall’assemblea e che potremo rivisitare prossimamente anche noi. (Giovanni M. Capetta)  

La carità del Papa

1 Ottobre 2020 - Roma - Durante i mesi difficili del lockdown e della pandemia Papa Francesco, come ha sempre fatto fin dall’inizio del suo Pontificato, ha fatto giungere agli ultimi il proprio aiuto “con speciale larghezza” a Roma, in Italia e nel mondo. Una carità “fattiva”, concreta, sotto agli occhi di tutti, che richiede il sostegno da parte di tutti i cristiani “far giungere più lontano il grande cuore del Papa”. Lo ricorda il segretario generale della CEI, Mons. Stefano Russo, nella lettera arrivata in tutte le parrocchie assieme ad Avvenire e alla locandina della Giornata per la carità del Papa, che, dopo essere stata rimandata a causa della pandemia (la data tradizionale è l’ultima domenica di giugno in connessione con la solennità dei santi Pietro e Paolo), è stata fissata per domenica 4 ottobre. Ricordando la preghiera presieduta dal Papa il 27 marzo sul sagrato della Basilica Vaticana, Mons. Russo nota che “l’immagine del Santo Padre che percorre da solo la piazza ha smosso le coscienze di tutti. La pioggia scrosciante sembrava simboleggiare le lacrime di disperazione e di aiuto di un mondo su cui inaspettatamente era venuta la ‘sera’”. La “solitudine” del Papa davanti alla Basilica resterà, nell'immaginario collettivo, l’icona dell’angoscia che pareva insidiare pensieri e azioni, mentre la pandemia seminava incertezze e lutti costringendo tutti a scelte difficili. Eppure, aggiunge il segretario della CEI, “proprio dentro quella solitudine estrema, con la sola compagnia del Crocifisso di San Marcello, ci siamo ritrovati tutti uniti nei medesimi sentimenti, affratellati anche nello smarrimento, saldi nella consapevolezza di non essere più padroni del nostro destino”. Ricordarci che siamo tutti sulla stessa barca, continua la lettera, è stato “un invito a essere (tutti insieme) Chiesa-madre. È un percorso ben preciso, che non nascondendo sconforto e smarrimento, chiede comunione e condivisione. Abbiamo bisogno gli uni degli altri, ognuno ha qualcosa di irrinunciabile da donare al prossimo, qualunque tempesta è affrontabile nell'affidamento reciproco”. “Non siamo autosufficienti”, ci ha ricordato il Papa: “È una verità che faremmo bene a custodire dentro di noi come l’eredità preziosa di un tempo aspro che ci è stato dato di attraversare, non da soli – nota mons. Russo –. Mettendosi al fianco di chi si trova più in difficoltà, la Chiesa italiana ha aperto le mani con la vicinanza dei sacerdoti e delle parrocchie e con un sostegno economico alle situazioni di maggiore disagio attingendo ai fondi dell’8xmille, che i cittadini destinano alla Chiesa cattolica. Vicini si è con la presenza amica, la parola fraterna, ma anche con l’aiuto materiale, che spesso si fa indispensabile. In questo, Francesco è stato d’esempio a tutta la Chiesa. Ora spetta a noi aiutare lui”. La Giornata per la carità del Papa, quindi, “giunge quest’anno come una prima opportunità per far tesoro di ciò che abbiamo vissuto e imparato nei giorni bui. Incoraggiare la generosità delle persone per sostenere la carità fattiva del Santo Padre – continua il vescovo – vuol dire aiutare la maturazione dei frutti che il tempo della prova può far crescere nelle comunità cristiane come segno per la società. Fare appello alla magnanimità della gente è un gesto che assume un valore speciale proprio per l’incertezza del momento che attraversiamo”. Oggi, conclude Mons. Russo, “c’è bisogno di testimoni della speranza per dare sostegno vero a chi teme di non farcela, e per far giungere più lontano il grande cuore di Papa Francesco. L’offerta per la sua Carità durante le Messe del 4 ottobre è un modo semplice ed esplicito per dire la nostra gratitudine verso la paternità che ci ha mostrato una volta in più, facendo risuonare le parole di Cristo sulla barca nella tempesta: ‘Non avete ancora fede?’. Stiamogli vicino, stretti a lui sulla stessa barca”.  

I sacrifici nascosti

22 Settembre 2020 - Conosciamo quali difficoltà incontrano le famiglie, specie le più numerose, i cui sacrifici sono spesso nascosti e talora anche non stimati. Sappiamo come lo spirito del mondo, avvalendosi di sempre nuovi allettamenti, cerchi di insinuarsi nel santo istituto familiare, voluto da Dio a custodia e salvaguardia della dignità dell’uomo, dal primo sbocciare della vita alla giovinezza tumultuosa; e dall’età matura alla più alta anzianità. (Dal Messaggio del Santo Padre Giovanni XXIII alle famiglie cristiane, in occasione della festività della Sacra Famiglia, domenica 10 gennaio 1960). In occasione della festa della Sacra Famiglia, che Giovanni XXIII ha posto a ridosso dell’Epifania e quindi all’inizio dell’anno civile, il Papa invoca su tutte le famiglie l’assistenza di Gesù, Maria e Giuseppe. Dalle sue parole si evince che il richiamo alla famiglia di Nazareth ha un peso sostanziale, non è affidato ad una semplice devozione. È nel nascondimento dei numerosi anni presso i suoi genitori che Gesù “ha consacrato con virtù ineffabili la vita domestica”, virtù come dolcezza, modestia, mansuetudine con le quali esercitare le quattro caratteristiche del matrimonio cristiano: fedeltà, castità, mutuo amore e timor di Dio. La benedizione del Papa è un accompagnamento fervente, consapevole della complessità in cui le famiglie sono chiamate a vivere. Il riferimento è alle famiglie numerose, verso le quali Giovanni XXIII ha già mostrato un’attenzione particolare, forse dovuta anche alla sua diretta esperienza. Il Papa si sofferma sui sacrifici che non vengono sufficientemente considerati, che restano nascosti. È importante questa valorizzazione delle fatiche quotidiane, di quel surplus di gratuità che in famiglia si consuma spesso senza un riconoscimento, appunto, ma con quella costanza che edifica una porzione di Regno già in questa vita. Da queste parole traggono incoraggiamento tutti quei genitori che hanno lasciato aperta la porta all’abbondanza della vita, quelle coppie – negli anni sessanta sempre meno numerose – che hanno dato alla luce quattro o più figli e che si trovano a fronteggiare problemi spesso molto onerosi. Giovanni XXIII infonde coraggio ed esplicita la solidarietà che sia la Chiesa, sia la società sono tenute ad offrire a coloro che hanno scommesso sulla vita e la vita in abbondanza, ma non possono essere lasciati soli. L’istituto famigliare – dice il Papa – è custodia e salvaguardia della dignità dell’uomo ma è “tentato” di cedere agli allettamenti dello spirito del mondo. Pare di vedere in controluce le lusinghe dell’egoismo e del consumismo che inizia a fare breccia nel tessuto delle società occidentali – di certo in quella italiana. Parole semplici per esprimere concetti che saranno poi ripresi ampiamente dai suoi successori, fino alla denuncia reiterata da Papa Francesco rispetto alla “cultura dello scarto”. Un altro tassello nell’accudimento papale delle famiglie cristiane. Un’altra tappa di avvicinamento verso quella che sarà la rivoluzionaria svolta del Concilio Vaticano II. Fortemente voluta da Papa Roncalli, l’assise conciliare segnerà anche in modo determinante la visione della famiglia nel contesto di un più organico discorso sulla Chiesa (Giovanni M. Capetta – Sir)  

Nelle loro mani

21 Settembre 2020 - Como - Una delle coroncine del rosario che papa Francesco, tramite il card. Konrad Krajewski, ha donato ai fratelli e alla sorella di don Roberto Malgesini sarà portata all’uomo che il 15 settembre a Como ha ucciso il prete che iniziava il giorno con la preghiera e la continuava con il dono di un caffelatte, di un biscotto, di un sorriso, di un ascolto. L’Elemosiniere pontificio al termine delle esequie celebrate il 19 settembre nella cattedrale di Como ha poi comunicato che, terminata la celebrazione, sarebbe andato a incontrare i genitori del sacerdote nel piccolo paese in Valtellina. Per baciare le loro mani a nome di papa Francesco. Un fremito di commozione si è avvertito tra le navate del duomo e nelle tre piazze dove molti partecipavano alla preghiera. I pensieri hanno iniziato a intrecciarsi con le parole del cardinale: “Don Roberto Malgesini è morto, quindi vive ancora”. E questo “vive ancora” si è declinato subito con due gesti. La coroncina del rosario affidata alle “autorità militari perché venga consegnata in carcere” a chi ha ucciso è un gesto che sconvolge le logiche della condanna e della pena che appaiono le uniche ragionevoli. Un’altra logica viene proposta: quella del Vangelo. Nulla viene tolto al percorso della giustizia umana, tutto viene ricondotto al mistero dell’uomo, al suo cammino interiore, all’incontro con la verità. Un percorso che don Roberto aveva conosciuto nelle storie di coloro avevano ricevuto più privazioni che doni, più umiliazioni che rispetto. Il secondo gesto, colmo di tenerezza, è quell’andare del card. Krajewski, a Regoledo di Cosio, piccolo paese valtellinese, per incontrare il papà e la mamma di don Roberto. Andarci di persona e, a nome del Papa, baciare le mani degli anziani genitori. Mani che avevano accarezzato, sostenuto, accompagnato il figlio. Mani che lo avevano salutato il giorno della sua partenza da casa. Le mani di don Roberto, quando all’altare consacrava il pane e il vino, erano anche le loro mani. Le mani di don Roberto quando stringeva quelle degli scartati dalla società e dalla storia erano anche le loro mani. Le mani di un prete sono anche le mani dei suoi genitori. Ecco il perché di quel bacio di papa Francesco. Il pensiero corre poi alle mani di chi ha ucciso. Stringeranno e sgraneranno la coroncina del rosario, la ignoreranno, la rifiuteranno? Qualcuno, nel rispetto di una fede diversa, gli parlerà di quei grani che fanno corona a una piccola croce. Qualcuno gli dirà il significato che quell’umile segno aveva per un prete che lo aveva amato. Non sappiamo cosa accadrà nel cuore di quell’uomo. La risposta è nelle mani di un prete. E’ nelle mani di Dio. (Paolo Bustaffa – SIR)

Papa Francesco: una messa mattutina offerta per i malati di coronavirus

9 Marzo 2020 - Città del Vaticano – “In questi giorni officio la messa per gli ammalati di questa epidemia, per i medici, per gli infermieri, per i volontari, che aiutano tanto, per i familiari, per gli anziani che stanno nelle case di riposo, per i carcerati che sono rinchiusi”. Da oggi la celebrazione mattutina del Papa a Casa Santa Marta viene trasmessa in diretta video senza la partecipazione dei fedeli. E il Papa prega per coloro che sono stati colpiti dal coronavirus e per tutti coloro che si stanno prodigando per la loro salute. “Preghiamo insieme questa settimana, questa preghiera forte al Signore: ‘salvami o Signore e dammi misericordia’”, ha detto il pontefice che nell’omelia, commentando le letture del giorno, ha invitato a chiedere “la grazia della vergogna: vergognarci dei nostri peccati” e  che “il Signore, a tutti noi, ci conceda questa grazia”. Papa Francesco, riferendosi alla prima lettura sottolinea che “c’è una confessione dei peccati, un riconoscere che abbiamo peccato. E quando noi ci prepariamo a ricevere il sacramento della riconciliazione, dobbiamo fare quello che si chiama ‘esame di coscienza’ e vedere cosa ho fatto io davanti a Dio: ho peccato. Riconoscere il peccato. Ma questo riconoscere il peccato – ha aggiunto papa Francesco - non può essere soltanto fare un elenco dei peccati intellettuali, dire ‘ho peccato’, poi lo dico al padre e il padre mi perdona. Non è necessario, non è giusto fare questo. Questo sarebbe come fare un elenco delle cose che devo fare o che devo avere o che ho fatto male, ma rimane nella testa. Una vera confessione dei peccati deve rimanere nel cuore. Andare a confessarsi non è soltanto dire al sacerdote questo elenco, ‘ho fatto questo, questo, questo, questo …’, e poi me ne vado, sono perdonato. No, non è questo. Ci vuole un passo, un passo in più, che è la confessione delle nostre miserie, ma dal cuore; cioè, che quell’elenco che io ho fatto delle cose cattive, scenda al cuore. E così fa Daniele, il Profeta. ‘A te, Signore, conviene la giustizia; a noi, la vergogna”. Per il papa la vergogna per i nostri peccati è “una grazia, dobbiamo chiederla: ‘Signore, che io mi vergogni’”. Quando “noi abbiamo non solo il ricordo, la memoria dei peccati che abbiamo fatto, ma anche il sentimento della vergogna, questo tocca il cuore di Dio e risponde con misericordia. Il cammino per andare incontro alla misericordia di Dio, è vergognarsi delle cose brutte, delle cose cattive che abbiamo fatto. Così, quando io andrò a confessarmi dirò non solo l’elenco dei peccati, ma i sentimenti di confusione, di vergogna per avere fatto questo a un Dio tanto buono, tanto misericordioso, tanto giusto”. Da oggi e nei prossimi giorni, come dicevamo, la Messa mattutina a casa Santa Marta sarà trasmessa in video come ha annunciato il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni: “In relazione alla particolare situazione dovuta al rischio di diffusione del Covid-19 il Santo Padre ha disposto che le Messe da lui celebrate in forma privata a Santa Marta nei prossimi giorni siano trasmesse in diretta, anche tramite il player di Vatican News, e distribuite da Vatican Media ai media collegati e a quelli che ne facciano richiesta, per consentire a chi lo vorrà di seguire le celebrazioni in unione di preghiera al Vescovo di Roma”. Finora la celebrazione non era mai stata trasmessa. Al termine l’omelia, fatta sempre a braccio, veniva diffusa dai media vaticani. (Raffaele Iaria)  

Papa Francesco: messaggio GMG 2020, “i fallimenti sono un bene, se fanno crollare gli idoli”

5 Marzo 2020 -

Città del Vaticano -  “Guardo con occhi attenti, oppure come quando sfoglio velocemente le migliaia di foto nel mio cellulare o i profili social? Quante volte oggi ci capita di essere testimoni oculari di tanti eventi, senza però mai viverli in presa diretta!”. Lo scrive Papa Francesco nel messaggio per la Giornata Mondiale della Gioventù 2020, che si celebra a livello diocesano in tutto il mondo il prossimo 5 aprile, Domenica delle Palme, sul tema: “Giovane, dico a te, alzati!” (cfr Lc 7,14), brano che racconta come Gesù, entrando nella cittadina di Nain, in Galilea, s’imbatte in un corteo funebre che accompagna alla sepoltura un giovane, figlio unico di una madre vedova, che poi resusciterà. “A volte la nostra prima reazione è di riprendere la scena col telefonino, magari tralasciando di guardare negli occhi le persone coinvolte”, osserva il Pontefice. La sua attenzione è per “tante situazioni negative” vissute dai giovani. Da una parte, chi si gioca tutto nell’oggi, mettendo in pericolo la propria vita con esperienze estreme, dall’altra  giovani che invece sono “morti” perché “hanno perso la speranza”. “Purtroppo anche tra i giovani si diffonde la depressione, che in alcuni casi può portare persino alla tentazione di togliersi la vita”. Un riferimento alle “situazioni in cui regna l’apatia, in cui ci si perde nell’abisso delle angosce e dei rimorsi”. “Quanti giovani piangono senza che nessuno ascolti il grido della loro anima! Intorno a loro tante volte sguardi distratti, indifferenti, di chi magari si gode le proprie happy hour tenendosi a distanza”. E, ancora, chi “vivacchia nella superficialità, credendosi vivo mentre dentro è morto”. “Ci si può ritrovare a vent’anni a trascinare una vita verso il basso, non all’altezza della propria dignità”. Da Francesco l’allarme per “un diffuso narcisismo digitale, che influenza sia giovani che adulti”. “Alcuni di loro forse hanno respirato intorno a sé il materialismo di chi pensa soltanto a fare soldi e sistemarsi, quasi fossero gli unici scopi della vita. A lungo andare comparirà inevitabilmente un sordo malessere, un’apatia, una noia di vivere, via via sempre più angosciante”. Quindi, l’attenzione ai “ai fallimenti personali”: “La fine di un ‘sogno’ può far sentire morti. Ma – avverte il Papa – i fallimenti fanno parte della vita di ogni essere umano, e a volte possono anche rivelarsi una grazia”, perché “spesso qualcosa che pensavamo ci desse felicità si rivela un’illusione, un idolo”. “Gli idoli pretendono tutto da noi rendendoci schiavi, ma non danno niente in cambio. E alla fine franano, lasciando solo polvere e fumo. In questo senso i fallimenti, se fanno crollare gli idoli, sono un bene, anche se ci fanno soffrire”.

 

Città dei Ragazzi: un convegno in vista del Global Compact Education

25 Febbraio 2020 - Roma - Si fa sempre più vicina la data del 14 maggio voluta da Papa Francesco per lanciare il Global Compact Education. In un messaggio Papa Francesco invita a “dialogare sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta e sulla necessità di investire i talenti di tutti, perché ogni cambiamento ha bisogno di un cammino educativo per far maturare una nuova solidarietà universale e una società più accogliente". L’obiettivi è quello di “promuovere insieme e attivare, attraverso un comune patto educativo, quelle dinamiche che danno un senso alla storia e la trasformano in modo positivo”. L'obiettivo è di «ravvivare l'impegno per e con le giovani generazioni, rinnovando la passione per un’educazione più aperta ed inclusiva, capace di ascolto paziente, dialogo costruttivo e mutua comprensione”. Dalla data di presentazione del messaggio del Papa tanti gli incontri che si sono svolti in Italia. Altri sono previste nelle prossime settimane. Il 24 marzo una giornata di riflessione su iniziativa del gruppo di lavoro che si sta occupando del rilancio della “Città dei ragazzi", del quale fanno parte, fra gli altri, la Fondazione Migrantes e l’Ufficio Migrantes di Roma e la Sezione Migranti e rifugiati del Dicastero per lo sviluppo umano integrale. I lavori della giornata si concentreranno sui quattro verbi proposti da Papa Francesco nel gennaio 2018 per l'accoglienza di migranti e rifugiati: accogliere, proteggere, promuovere e integrare.  

Papa Francesco: il più grande nella Chiesa è chi serve, non chi ha più titoli

25 Febbraio 2020 - Città del Vaticano - Non si può vivere il Vangelo facendo compromessi, altrimenti si finisce con lo spirito del mondo, che punta al dominio degli altri ed è “nemico di Dio”, ma bisogna scegliere la strada del servizio. La riflessione del Papa, stamani nell’omelia della Messa a Casa Santa Marta, - come riferisce Vatican News - parte dal brano del Vangelo odierno (Mc 9,30-37) nel quale Gesù dice ai Dodici che se uno vuole essere il primo è chiamato a farsi ultimo e servitore di tutti. Gesù sapeva che lungo la strada i discepoli avevano discusso tra loro su chi fosse il più grande “per ambizione”. Questo litigare dicendo “io devo andare avanti, io devo salire”, spiega il Papa, è lo spirito del mondo. Ma anche la Prima Lettura della Liturgia di oggi (Gc 4,1-10) ricalca questo aspetto, quando l’apostolo Giacomo ricorda che l’amore per il mondo è nemico di Dio: “Quest’ansia di mondanità, quest’ansia di essere più importante degli altri e dire: ‘No! Io merito questo, non lo merita quell’altro’. Questo è mondanità, questo è lo spirito del mondo e chi respira questo spirito, respira l’inimicizia di Dio. Gesù, in un altro passo, dice ai discepoli: ‘O siete con me o siete contro di me’. Non ci sono compromessi nel Vangelo. E quando uno vuole vivere il Vangelo facendo dei compromessi, alla fine si trova con lo spirito mondano, che sempre cerca di fare compromessi per arrampicarsi di più, per dominare, per essere più grande”. Tante guerre e tante liti vengono proprio dai desideri mondani, dalle passioni, evidenzia il Papa facendo ancora riferimento alle parole di san Giacomo. È vero “oggi tutto il mondo è seminato da guerre. Ma le guerre che sono fra di noi? Come quella che c’era fra gli apostoli: chi è il più importante?”, si chiede Francesco: “ ‘Guardate la carriera che ho fatto: adesso non posso andare indietro!’. Questo è lo spirito del mondo e questo non è cristiano. ‘No! Tocca a me! Io devo guadagnare di più per avere più soldi e più potere’. Questo è lo spirito del mondo. E poi, la malvagità delle chiacchiere: il pettegolezzo. Da dove viene? Dall’invidia. Il grande invidioso è il diavolo, lo sappiamo, lo dice la Bibbia. Dall’invidia. Per l’invidia del diavolo entra il male nel mondo. L’invidia è un tarlo che ti spinge a distruggere, a sparlare, a annientare l’altro”. Nel dialogo dei discepoli c’erano tutte queste passioni e per questo Gesù li rimprovera e li esorta a farsi servitori di tutti e a prendere l’ultimo posto: “Chi è il più importante nella Chiesa? Il Papa, i vescovi, i monsignori, i cardinali, i parroci delle parrocchie più belle, i presidenti delle associazioni laicali? No! Il più grande nella Chiesa è quello che si fa servitore di tutti, quello che serve tutti, non che ha più titoli. E per far capire questo prese un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo con tenerezza – perché Gesù parlava con tenerezza, ne aveva tanta – disse loro: ‘Chi accoglie un bambino, accoglie me’, cioè chi accoglie il più umile, il più servitore. Questa è la strada. La strada contro lo spirito del mondo è una sola: l’umiltà. Servire gli altri, scegliere l’ultimo posto, non arrampicarsi”. Non bisogna, quindi, “negoziare con lo spirito del mondo”, non bisogna dire: “Ho diritto a questo posto, perché, guardate la carriera che ho fatto”. La mondanità, infatti, “è nemica di Dio”. Bisogna invece ascoltare questa parola “tanto saggia” e incoraggiante che Gesù dice nel Vangelo: “Se uno vuole essere il primo sia l’ultimo di tutti, sia il servitore di tutti”.    

Quaresima: il calendario di Papa Francesco per il mercoledì delle Ceneri

25 Febbraio 2020 - Città del Vaticano -  La processione all'Aventino, dalla chiesa di Sant'Anselmo alla Basilica di Santa Sabina, e la liturgia penitenziale nella Basilica di San Giovanni in Laterano con i preti romani. Sono i due tradizionali riti della Quaresima presieduti da Papa Francesco. A confermarli, in una nota, è il Vicariato di Roma che annuncia per domani, mercoledì 26 febbraio, Mercoledì delle Ceneri, alle 16.30, nella chiesa di Sant'Anselmo all'Aventino, la liturgia “stazionale” presieduta dal Papa cui farà seguito la processione penitenziale verso la Basilica di Santa Sabina. Alla processione prenderanno parte i cardinali, gli arcivescovi, i vescovi, i monaci benedettini di Sant'Anselmo, i padri domenicani di Santa Sabina e alcuni fedeli. Al termine della processione, nella Basilica di Santa Sabina, avrà luogo la celebrazione della Messa con il rito di benedizione e di imposizione delle Ceneri. Giovedì 27 febbraio, il Papa sarà invece nella Basilica di San Giovanni in Laterano per la tradizionale liturgia penitenziale di inizio Quaresima con il clero della diocesi di Roma. Dopo una meditazione del Cardinale vicario, Angelo De Donatis, i sacerdoti si confesseranno; anche il Papa ascolterà alcune confessioni e concluderà la celebrazione rivolgendo la sua parola.   

Papa Francesco: “sentire compassione per le vittime innocenti delle guerre”

24 Febbraio 2020 - Città del Vaticano -  “Mettere il mistero pasquale al centro della vita significa sentire compassione per le piaghe di Cristo crocifisso presenti nelle tante vittime innocenti delle guerre, dei soprusi contro la vita, dal nascituro fino all’anziano, delle molteplici forme di violenza, dei disastri ambientali, dell’iniqua distribuzione dei beni della terra, del traffico di esseri umani in tutte le sue forme e della sete sfrenata di guadagno, che è una forma di idolatria”. È un appello a 360°, quello con cui si conclude il messaggio del Papa per la Quaresima – diffuso oggi – sul tema “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio”. “Anche oggi – scrive papa Francesco – è importante richiamare gli uomini e le donne di buona volontà alla condivisione dei propri beni con i più bisognosi attraverso l’elemosina, come forma di partecipazione personale all’edificazione di un mondo più equo”. “La condivisione nella carità rende l’uomo più umano”, la tesi del Papa: “L’accumulare rischia di abbrutirlo, chiudendolo nel proprio egoismo”. “Possiamo e dobbiamo spingerci anche oltre, considerando le dimensioni strutturali dell’economia”, l’invito per lanciare un appuntamento ormai imminente: “Per questo motivo – annuncia infatti Francesco – nella Quaresima del 2020, dal 26 al 28 marzo, ho convocato ad Assisi giovani economisti, imprenditori e change-makers, con l’obiettivo di contribuire a delineare un’economia più giusta e inclusiva di quella attuale”. “Come ha più volte ripetuto il magistero della Chiesa, la politica è una forma eminente di carità”, ribadisce il Santo Padre citando Pio XI: “Altrettanto lo sarà l’occuparsi dell’economia con questo stesso spirito evangelico, che è lo spirito delle Beatitudini”. Dare ascolto al “padre della menzogna” è “sprofondare nel baratro del non senso” e sperimentare “l’inferno qui sulla terra”, esordisce il Papa: chi crede nell’annuncio pasquale, “respinge la menzogna secondo cui la nostra vita sarebbe originata da noi stessi, mentre in realtà essa nasce dall’amore di Dio Padre, dalla sua volontà di dare la vita in abbondanza”. “Se invece si presta ascolto alla voce suadente del ‘padre della menzogna’ si rischia di sprofondare nel baratro del non senso, sperimentando l’inferno già qui sulla terra, come testimoniano purtroppo molti eventi drammatici dell’esperienza umana personale e collettiva”. “Non lasciamo passare invano questo tempo di grazia, nella presuntuosa illusione di essere noi i padroni dei tempi e dei modi della nostra conversione a Lui”, l’appello a proposito della parola chiave della Quaresima: “conversione”. “L’esperienza della misericordia – scrive Francesco nel messaggio  - è possibile solo in un ‘faccia a faccia’ col Signore crocifisso e risorto ‘che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me’. Un dialogo cuore a cuore, da amico ad amico”. Ecco perché la preghiera è tanto importante nel tempo quaresimale: “Prima che essere un dovere, esprime l’esigenza di corrispondere all’amore di Dio, che sempre ci precede e ci sostiene. Il cristiano, infatti, prega nella consapevolezza di essere indegnamente amato. La preghiera potrà assumere forme diverse, ma ciò che veramente conta agli occhi di Dio è che essa scavi dentro di noi, arrivando a scalfire la durezza del nostro cuore, per convertirlo sempre più a Lui e alla sua volontà”. “In questo favorevole – l’auspicio del Papa per la Quaresima – lasciamoci condurre come Israele nel deserto. Quanto più ci lasceremo coinvolgere nella sua Parola, tanto più riusciremo a sperimentare la sua misericordia gratuita per noi. Non lasciamo passare invano questo tempo di grazia, nella presuntuosa illusione di essere noi i padroni dei tempi e dei modi della nostra conversione a Lui”. (M.M.Nicolais – Sir)  

Papa Francesco: Dio ci chiede un cuore aperto e pieno di compassione

18 Febbraio 2020 - Città del Vaticano - Manca pane a sufficienza ai discepoli che sono saliti in barca con Gesù e in loro subentra la preoccupazione per la gestione di qualcosa di materiale: “Discutevano fra loro -dice oggi il Vangelo di Marco ( Mc 8,14-21) - perché non avevano pane”. Gesù accortosi di questo li ammoniva: “Perché discutete che non avete pane? Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito? Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite? E non vi ricordate, quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?”. Papa Francesco, nell’omelia della messa a Santa Marta, questa mattina, come riferisce Vatican News - prende le mosse da questa scena del Vangelo per far comprendere la differenza che c'è tra un “cuore indurito”, come quello dei discepoli, e un “cuore compassionevole” come quello del Signore, quello che esprime la Sua volontà: “E la volontà del Signore è la compassione: ‘Misericordia voglio e non sacrifici’. E un cuore senza compassione è un cuore idolatrico, è un cuore autosufficiente, che va avanti sostenuto dal proprio egoismo, che diventa forte soltanto con le ideologie. Pensiamo ai quattro gruppi ideologici del tempo di Gesù: i farisei, i sadducei, gli esseni, gli zeloti. Quattro gruppi che avevano indurito il cuore per portare avanti un progetto che non era quello di Dio; non c’era posto per il progetto di Dio, non c’era posto per la compassione”. Ma esiste una “medicina” contro la durezza del cuore ed è la memoria. Per questo nel Vangelo di oggi e in tanti passi della Bibbia che il Papa ripercorre torna come una sorta di ‘ritornello” il richiamo al potere salvifico della memoria, una “grazia” da chiedere - dice Francesco - perché “mantiene il cuore aperto e fedele”: “Quando il cuore diventa indurito, quando il cuore si indurisce, si dimentica… Si dimentica la grazia della salvezza, si dimentica la gratuità. Il cuore duro porta alle liti, porta alle guerre, porta all’egoismo, porta alla distruzione del fratello, perché non c’è compassione. E il messaggio di salvezza più grande è che Dio ha avuto compassione di noi. Quel ritornello del Vangelo, quando Gesù vede una persona, una situazione dolorosa: ‘ne ebbe compassione’. Gesù è la compassione del Padre; Gesù è lo schiaffo a ogni durezza di cuore”. Chiedere dunque la grazia di avere un cuore “non ideologizzato” e quindi indurito, ma “aperto e compassionevole” di fronte a quanto accade nel mondo perché - ricorda il Papa - da questo saremo giudicati il giorno del giudizio, non dalle nostre “idee” o dalle nostre “ideologie”. “Ho avuto fame, mi hai dato da mangiare; sono stato in prigione, sei venuto a trovarmi; ero afflitto e mi hai consolato” sta scritto nel Vangelo e “questa - rimarca Francesco - è la compassione, questa è la non-durezza di cuore”. E l'umiltà, la memoria delle nostre radici e della nostra salvezza, ci aiuteranno a conservarlo tale. Da qui la preghiera conclusiva del Papa: “Ognuno di noi ha qualcosa che si è indurito nel cuore. Facciamo memoria, e che sia il Signore a darci un cuore retto e sincero dove abita il Signore. Nei cuori duri non può entrare il Signore; nei cuori ideologici non può entrare il Signore. Il Signore entra solo nei cuori che sono come il suo cuore: i cuori compassionevoli, i cuori che hanno compassione, i cuori aperti. Che il Signore ci dia questa grazia”.    

Sinodo dei vescovi: “esprimere con urgenza solidarietà con i fratelli e le sorelle coinvolti nel dramma della migrazione forzata”

17 Febbraio 2020 - Città del Vaticano - “Esprimere con urgenza solidarietà con i fratelli e le sorelle coinvolti nel dramma della migrazione forzata”. E’ quanto è emerso nell’incontro  della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, presieduto da Papa Francesco, riunitosi nei giorni scorsi e che  ha riflettuto, tra le altre cose, sulle conseguenze del fenomeno migratorio in atto in diverse regioni del pianeta. Durante l’incontro il Papa ha deciso di indire la prossima Assemblea del Sinodo dei vescovi per l’autunno 2022. “A causa di guerre, ineguaglianze economiche, ricerca di lavoro e di terre più fertili, persecuzione religiosa, terrorismo, crisi ecologica, ecc., moltissime persone sono costrette a spostarsi da un paese all’altro”, si legge nel Messaggio del XV Consiglio Ordinario della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi sulle gravi conseguenze del movimento di persone in atto nel mondo: “Gli effetti sono spesso devastanti. Le persone  sono disorientate, le famiglie distrutte, i giovani traumatizzati, e quanti sono rimasti a casa indotti alla disperazione. Talvolta tali persone – prosegue il messaggio -  patiscono in campi-profughi e alcune addirittura finiscono in prigione. Donne e giovani sono costretti a prostituirsi; vengono abusati fisicamente, socialmente e sessualmente. I bambini sono separati dai genitori e privati del diritto di crescere nella sicurezza di una famiglia unita”. Di fronte a ciò, il Consiglio del Sinodo desidera ricordare che la Chiesa, “mentre deplora le ragioni che causano un così massiccio movimento di persone, è chiamata a offrire conforto, consolazione e accoglienza a tutti coloro che stanno soffrendo in un modo o nell’altro. Essa – si legge ancora nel messaggio -  si identifica con il povero, il piccolo e lo straniero, considerando parte della sua missione profetica l’impegno a levare la voce contro l’ingiustizia, lo sfruttamento e la sofferenza”. La Chiesa “apprezza, al tempo stesso, i governi e le organizzazioni non governative che mostrano interesse e si stanno impegnando ad aiutare quanti sono costretti a spostarsi” e sostiene coloro che stanno “cercando di avviare politiche favorevoli all’accoglienza di queste persone nelle loro comunità”. Da qui anche l’auspicio  che i governi locali affrontino le situazioni che costringono le persone a lasciare la loro casa” e si chiede “vigilanza contro il traffico di persone e impegno a promuovere la fine dei conflitti che provocano tanta sofferenza”. “Affidiamo – conclude il messaggio -  i nostri fratelli e le nostre sorelle sofferenti a Maria, Madre dell’umanità, che per prima ha conosciuto il dolore di dover lasciare la sua casa e il suo paese insieme alla propria famiglia in cerca di sicurezza e di pace”. (R.Iaria)

Papa Francesco: tenere nel cuore chi ci accompagna nel cammino della vita

14 Febbraio 2020 - Città del Vaticano - Il calore di Casa Santa Marta, di una “famiglia larga” la definisce il Papa, fatta di persone che ci accompagnano nel cammino della vita, che ogni giorno lavorano lì, nel cuore del Vaticano,  con dedizione e cura, che aiutano se una compagna è malata, provano tristezza se uno di loro va via. Volti, sorrisi, saluti: semi che si gettano nel cuore di ognuno. Francesco, nell’omelia della Messa del mattino, come riferisce Vatican News, prende spunto dal pensionamento di una dipendente, Patrizia, per fare “atto di memoria, di ringraziamento” e anche di scuse nei confronti di chi ci accompagna nel cammino. E’ un’omelia che racconta la quotidianità di Casa Santa Marta. Papa Francesco vuole soffermarsi sulla famiglia, non solo “papà, mamma, fratelli, zii, nonni” ma “la famiglia larga, coloro che ci accompagnano nel cammino della vita per un po’ di tempo”. Spiega che, dopo 40 anni di lavoro, Patrizia va in pensione; una presenza di famiglia su cui soffermarsi: “E questo farà bene a tutti noi che abitiamo qui, pensare a questa famiglia che ci accompagna; e a tutti voi, che non abitate qui, pensare a tanta gente che vi accompagna nel cammino della vita: vicini, amici, compagni di lavoro, di studio Noi non siamo soli. Il Signore ci vuole popolo, ci vuole in compagnia; non ci vuole egoisti: l’egoismo è un peccato”. Nella sua riflessione, papa Francesco ricorda la generosità di tante compagne di lavoro che si sono prese cura di chi si è ammalato. Dietro ogni nome, una presenza, una storia, una permanenza breve che ha lasciato il segno. Una familiarità che ha trovato spazio nel cuore del Papa. “Penso a Luisa, penso a Cristina”, afferma il Pontefice, alla nonna di casa, suor Maria, entrata a lavorare giovane e che lì decise di consacrarsi. Ma nel ricordare la sua famiglia “larga”, il Pontefice ha un pensiero per chi non c’è più “Miriam, che se n’è andata con il bambino; Elvira, che è stata un esempio di lotta per la vita, fino alla fine”. E poi altri ancora che sono andati in pensione o a lavorare altrove. Presenze che hanno fatto bene e che a volte si fa fatica a lasciare: “Oggi ci farà bene, a tutti noi, pensare alla gente che ci ha accompagnato nel cammino della vita, come gratitudine, e anche come un gesto di gratitudine a Dio. Grazie, Signore, per non averci lasciati da soli. È vero, sempre ci sono dei problemi, e dove c’è gente ci sono delle chiacchiere. Anche qui dentro. Si prega e si chiacchiera, ambedue le cose. E anche, alcune volte, si pecca contro la carità”. Peccare, perdere la pazienza e poi chiedere scusa. Si fa così in famiglia. “Io vorrei ringraziare per la pazienza delle persone che ci accompagnano – sottolinea il Papa - e chiedere scusa per le nostre mancanze”: “Oggi è un giorno per ringraziare e chiedere scusa, dal cuore, ognuno di noi, alle persone che ci accompagnano nella vita, per un pezzo della vita, per tutta la vita… E vorrei approfittare di questo congedo di Patrizia per fare con voi questo atto di memoria, di ringraziamento, e anche di chiedere scusa alle persone che ci accompagnano. Ognuno di noi lo faccia con le persone che abitualmente lo accompagnano. E a coloro che lavorano qui a casa, un ‘grazie’ grande grande grande. E a lei, Patrizia, che incominci questa seconda parte della vita, altri 40 anni!”.  

Papa Francesco: la Chiesa diventa “strumento di carità nella misura in cui le comunità urbane sono non solo missionarie”, ma anche “accoglienti”

12 Febbraio 2020 - Città del Vaticano - La Chiesa diventa “strumento di carità nella misura in cui le comunità urbane sono non solo missionarie nel loro ambiente, ma anche accoglienti verso i poveri che arrivano dall’interno spinti dalla miseria. E ugualmente lo è nella misura in cui le comunità sono vicine ai giovani migranti per aiutarli a integrarsi nella città senza cadere nelle sue reti di degrado”. Lo scrive Papa Francesco nell’Esortazione Apostolica post snodale “Querida Amazonia” diffusa oggi. Per il Papa tali azioni ecclesiali, che “nascono dall’amore, sono percorsi preziosi all’interno di un processo di inculturazione”. L’inculturazione “eleva e conferisce pienezza. Certamente va apprezzato lo spirito indigeno dell’interconnessione e dell’interdipendenza di tutto il creato, spirito di gratuità che   ama la vita come dono, spirito di sacra ammirazione davanti alla natura che ci oltrepassa con tanta vita. Tuttavia – scrive Papa Francesco -  si tratta anche di far sì che questa relazione con Dio presente nel cosmo diventi sempre più la relazione personale con un Tu che sostiene la propria realtà e vuole darle un senso”. “L’amata Amazzonia – scrive aprendo il documento Papa Bergoglio - si mostra di fronte al mondo con tutto il suo splendore, il suo dramma, il suo mistero”. Il Pontefice, nei primi punti spiega “il senso di questa Esortazione” ricca di riferimenti a documenti delle Conferenze Episcopali dei Paesi amazzonici ma anche a poesie di autori legati all’Amazzonia. Sottolinea che desidera “esprimere le risonanze” che il Sinodo ha provocato in lui. E precisa che non intende né sostituire né ripetere il Documento finale che invita a leggere “integralmente”, auspicando che tutta la Chiesa si lasci “arricchire e interpellare” da esso e che la Chiesa dell’Amazzonia si impegni “nella sua applicazione”. Papa Francesco condivide i suoi “Sogni per l’Amazzonia”  la cui sorte deve preoccupare tutti perché questa terra è anche “nostra”. Formula cosi “quattro grandi sogni”: che l’Amazzonia “lotti per i diritti dei più poveri”, “che difenda la ricchezza culturale”, che “custodisca gelosamente l’irresistibile bellezza naturale”, che infine le comunità cristiane siano “capaci di impegnarsi e di incarnarsi in Amazzonia”. (R.I.)

Papa Francesco: appello per la “martoriata e amata Siria

12 Febbraio 2020 - Città del Vaticano - “Vorrei che tutti pregassimo per l’amata e martoriata Siria”. E’ ‘appello rivolto questa mattina da Papa Francesco al termine dell’Udienza Generale nell’Aula paolo VI in Vaticano. “Tante famiglie, tanti bambini devono fuggire dalla guerra. La Siria sanguina da anni. Preghiamo per la Siria”, ha detto il pontefice che ha anche rivolto un appello per la Cina chiedendo una preghiera “per i nostri fratelli cinesi, che soffrono per questa malattia così crudele”, riferendosi al coronavirus che continua a mietere vittime: “Che trovino la strada della guarigione il più presto possibile”, ha detto il Papa. (R.I.)