11 Luglio 2019 - Roma - Quali sono i rischi, le vulnerabilità, i sogni e i bisogni dei minori stranieri non accompagnati (Msna), ospiti dei centri di prima e seconda accoglienza in Italia? La risposta arriva dal rapporto “L’ascolto e la partecipazione dei minori stranieri non accompagnati in Italia”, frutto di un lavoro congiunto dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (Agia) e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr). Il dossier è stato presentato martedì 9 luglio a Roma. Facciamo il punto della situazione dei Msna in Italia, e non solo, con Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr per il Sud Europa.
Qual è la condizione dei Msna nel nostro Paese?
La situazione dei minori stranieri non accompagnati dal punto di vista della tutela legislativa in Italia è positiva anche se devono essere ancora implementate le ultime norme che garantiscono appieno la tutela dei minori stranieri e, in particolare, dei Msna. Per noi è molto importante che, nonostante gli aspetti più critici delle ultime decisioni legislative, in particolare del decreto sicurezza, vengano garantiti la tutela e l’accesso ai progetti di integrazione. Il rapporto di Agia-Unhcr evidenzia come sia estremamente importante garantire ai Msna l’ascolto e la partecipazione.
I minori stranieri non accompagnati presenti in Italia sono adolescenti, che si avvicinano alla maggiore età: per loro è fondamentale entrare in relazione con i coetanei italiani, non sentirsi discriminati e conoscere molto bene le procedure legali che li riguardano. Due le priorità: essere sicuri di essere protetti dal punto di vista legale e poter accedere all’educazione o, comunque, a una formazione in vista di un lavoro. Attualmente in Italia i Msna sono circa 8mila, collocati in diverse strutture, che, per circa il 30%, si trovano in Sicilia.
È frequente il fenomeno della loro “sparizione” dai centri?
Rispetto a questo problema, è fondamentale per i Msna sapere il percorso che dovranno affrontare, i tempi necessari per avere i documenti che permettono di vivere in maniera regolare in Italia, il percorso educativo e formativo e il supporto dato. Le informazioni sono fornite in termini di difficile comprensione per loro, per questo bisogna sviluppare degli strumenti di informazione il meno tecnici possibile, in modo da aiutare il minore a capire che l’Italia è un Paese che lo può proteggere; altrimenti, i minori ‘scompaiono’ nel senso che si mettono in movimento per cercare di raggiungere altri Paesi europei. E qui si apre un altro elemento: il fatto che la riunificazione familiare sia molto difficile nonostante sia prevista dal regolamento di Dublino. Molti minori hanno la famiglia in altri Paesi: sarebbe opportuno che la riunificazione avvenisse in maniera legale in modo tale che i Msna non si spostassero da soli, esponendosi a dei rischi gravissimi.
Si hanno numeri sul fenomeno?
No, sappiamo che negli anni passati il numero dei minori in transito è stato molto alto. Abbiamo organizzato diversi workshop con i servizi sociali, soprattutto nel Nord Italia, perché lì sono le frontiere che cercano di attraversare – sia Ventimiglia sia alla frontiera Nord tra Piemonte e Francia –, per favorire una conoscenza anche tra gli operatori sociali sul modo di intervenire e su come garantire nel miglior modo possibile protezione e informazione. Abbiamo anche attivato, soprattutto nei mesi invernali, dei team di mediatori culturali nelle stazioni e alle frontiere per informare i minori sui rischi che corrono.
I minori cosa pensano dell’accoglienza in Italia?
Noi lavoriamo con centinaia di minori e tutti riferiscono di un peggioramento del clima e dell’atteggiamento nei loro confronti. Si dovrebbe favorire l’incontro tra ragazzi italiani e minori stranieri. Spesso, poi, quando un adulto parla a un minore straniero, soprattutto se proveniente da un Paese africano, è uso per quest’ultimo abbassare la testa. Questo, talvolta, viene considerato dagli italiani come una mancanza di rispetto, mentre per il minore è il contrario. Tante volte i Msna ci riferiscono che salutano le persone e viene loro risposto: ‘Non ti do soldi’. Percepiscono, in qualche maniera, un pregiudizio nei loro confronti, basato sempre su una mancata conoscenza. Quello che noi cerchiamo di stimolare attraverso le scuole e i comuni, dove i centri si trovano, sono occasioni di scambio.
Lega e M5s hanno trovato un accordo sugli emendamenti al Decreto sicurezza bis, con un inasprimento delle multe alle Ong (fino a un milione) e l’immediata confisca per le imbarcazioni che violano lo stop all’ingresso nei mari e porti italiani. Cosa dire del clima che si respira in Italia?
Ci preoccupa molto. Siamo stati molto chiari nel ribadire alcuni punti fermi, che attengono al mandato di Unhcr di monitorare affinché gli Stati emanino leggi in linea con il diritto internazionale. Nel Mar Mediterraneo esiste un problema di elevata rischiosità per coloro che in mano ai trafficanti si trovano spesso alla deriva. Esiste un rischio accresciuto: siamo passati da una persona che moriva ogni 23 nel 2018 a una ogni 6 nel 2019, dovuto al fatto che non solo l’Italia ma tutti gli Stati europei hanno ritirato i loro assetti navali e in questo momento non c’è nessuno che faccia ricerca e salvataggio, eccetto le Ong che svolgono un’attività umanitaria. Abbiamo chiesto che il Decreto sicurezza bis venga rivisto in Parlamento in modo tale da non proseguire la penalizzazione costante delle attività delle Ong. Chiediamo, soprattutto, che nessuno torni in Libia perché significherebbe rientrare in un circuito di detenzione di massa dove vengono costantemente violati i diritti umani. E ai Paesi europei di finire questo approccio barca per barca, porti chiusi-porti aperti, ma di mettere in piedi un sistema di sbarchi sicuri condiviso da tutti i Paesi che si affacciano nel Mediterraneo e un sistema di distribuzione all’interno dei Paesi. Sbarco e accoglienza sono due passaggi che vanno tenuti distinti. Questa politica dei porti chiusi non risolve il problema. Il 90% dei pochissimi arrivi in Italia via mare (3mila contro i quasi 19mila della Grecia e i quasi 15mila della Spagna) sono avvenuti in maniera o spontanea o accompagnati da autorità. Le persone salvate da Ong che hanno portato a queste tensioni equivalgono a una porzione veramente minima.
Intanto, si chiude il Cara di Mineo…
La struttura era stata aperta durante l’emergenza nel periodo delle Primavere arabe: abbiamo sempre sottolineato con molteplici rapporti la situazione molto critica che si era creata nel centro. Chiaramente ci sono delle persone in stato di vulnerabilità, in particolare con problemi psichiatrici, che necessitano di assistenza. D’altra parte, il Cara di Mineo, come tutte le strutture grandi, con forti concentrazioni, sarebbero da superare.
Che possibilità hanno le persone che escono dal sistema?
Questo è un problema. Molte persone sono state trasferite in altri centri. Noi ci auguriamo che a tutte le persone che abbiano un titolo a restare in Italia venga garantito il diritto di accedere all’accoglienza e al supporto, con un’attenzione alle vulnerabilità. I malfunzionamenti nell’applicazione delle norme vigenti o la mancanza di informazioni tra migranti, rifugiati e richiedenti asilo possono avere come conseguenza l’abbandono dei centri da parte delle persone benché abbiano diritto a essere accolte, esponendole a dei rischi. Vediamo che ci sono persone, che cercando lavoro o un tetto, vanno ad accrescere gli insediamenti informali, vicino alle campagne ma anche nelle città, dove le condizioni sono inaccettabili per un Paese come l’Italia. Tutto ciò necessita di un occhio molto attento delle autorità sull’impatto: occorre tutelare la legalità, che include il riconoscere a chi ha dei diritti di goderne, il prevedere per chi non ha diritto a restare il rientro nel proprio Paese nel rispetto i diritti umani e il comprendere che la creazione di decine di migliaia di irregolari comporta un grosso peso per i luoghi dove queste persone si trovano a vagare.
Sono stati liberati a Tripoli i 350 migranti del campo di detenzione di Tajoura, bombardato una settimana fa…
Per noi è una decisione estremamente positiva: sono migranti e rifugiati che hanno subito quello a cui nessun essere umano dovrebbe essere esposto. Tra loro ci sono donne, bambini molto piccoli, bambini soli, feriti: sono mesi che facciamo un appello affinché siano evacuati i 4mila rifugiati che si trovano nei centri di detenzione libici. Purtroppo, su questo non c’è la necessaria attenzione. Sono solo 4mila persone: chiudere i centri non rappresenta una minaccia per nessuno. (Gigliola Alfaro – Sir)
Tag: Immigrazione
Mons. Reali incontra la comunità nigeriana a Cesano
10 Luglio 2019 - Cesano – “Le doniamo la statua di un’aquila come ricordo per la sua visita pastorale, abbiamo un detto che dice ‘In an eagle there is all the wisdom of the world’ ( in un’aquila c’è tutta la sapienza del mondo, ndr). Con questo simbolo le auguriamo la divina sapienza per guidare il suo gregge”: così Emeka Jason Emejuru ha accolto il vescovo Reali a nome della comunità cattolica nigeriana di Porto–Santa Rufina riunita domenica scorsa a Cesano nella parrocchia di San Giovanni Battista.
Cinquanta famiglie, divise in due gruppi, qui alla periferia di Roma e a Ladispoli nella parrocchia della Santissima Annunziata, si incontrano ogni settimana per la Messa e le attività pastorali nella loro lingua e secondo le loro tradizioni. «Grazie di cuore per averci mandato un cappellano che ha un cuore di buon pastore, don Matthew Eze, – ha continuato Emejuru – attraverso di lui e i suoi collaboratori (Emeka Ago, Chigozie Unogu, Davison Uzosike, Raymond Onyemechara, Monday Ariboke ndr) la nostra comunità vive nella gioia del Vangelo. Grazie ancora per il direttore Migrantes, il diacono Enzo Crialesi, e la nostra coordinatrice suor Anna. Grazie per l’accoglienza dei nostri parroci, don Vicenzo Mamertino, a Cesano e don Saji Thadathil a Ladispoli e delle comunità parrocchiali. La nostra convivenza con loro è veramente un segno di una comunità viva. Caro vescovo, le chiediamo di ricordare sempre nelle sue preghiere tutti i migranti, in modo particolare quelli che soffrono in questo momento e che rischiano di perdere la speranza».
Nell’auditorium l’incontro è stato breve, il vescovo ha ringraziato dell’affetto per lui e per la diocesi: «La Chiesa è la casa di tutti, nella Chiesa dobbiamo tutti sentirci a casa nostra». Un pensiero che il presule invita a rendere sempre più chiaro. Ci sono «delle parole e delle immagini che ci lasciano perplessi», che dimenticano l’esperienza dei migranti: «Voi avete dovuto lasciare il vostro paese, imparare una nuova lingua, accanto a persone che esprimono i loro sentimenti in modo differente dal vostro». Ma, la conoscenza reciproca, la condivisione dei problemi e delle buone iniziative devono essere portate avanti per mostrare che «la verità della Chiesa del Signore Nostro Gesù Cristo è appartenere all’unica famiglia del Padre». Poi l’invito a voler bene a don Matthew e ad aiutare i connazionali: «I cattolici annunciano il Vangelo a tutti. Anche a chi non lo conosce, a chi lo ha perso, a chi se ne è allontanato».
Ma, il Vangelo cosa chiede? Nella Messa seguita all’incontro, il vescovo Reali propone una delle risposte, partendo dal fatto che: «La parola di Dio fissa nel testo la nostra fede, ma ogni volta ridiscende in noi come quella parola che abbiamo bisogno di ascoltare in quel preciso momento». La liturgia del giorno parla di vocazione, di tutte le vocazioni, da quella sacerdotale, a quella matrimoniale, a quella dello studio e del lavoro. Nel pellegrinaggio verso Gerusalemme Gesù «Insegna un cammino di amicizia e dialogo, un cammino però deciso e decisivo verso la sua passione». La vocazione chiede l’essenzialità al seguito di Cristo: «Le volpi hanno le loro tane, ma il figlio dell’uomo non ha dove riposare» e la scelta di metterlo prima di ogni cosa, «Lascia che i morti seppelliscano i morti».
Si tratta di un percorso di «Continua obbedienza e di condivisione», ha spiegato il vescovo aggiungendo che: «Oggi Gesù chiede a Nora ( Ukaegbu, ndr), che tra qualche minuto battezzerò, di seguirlo in questa strada, assieme ai suoi genitori, al padrino, alla madrina e a tutti noi». (Simone Ciampanella)
Lampedusa: domenica una giornata per ricordare la visita del Papa
10 Luglio 2019 - Lampedusa - Una giornata per ricordare l’anniversario della venuta di Papa Francesco a Lampedusa. Lo ha deciso il card. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento per domenica 14 luglio 2019 a sei anni dalla visita del pontefice sull’isola.
Fu proprio il porporato, allora Presidente della Commissione CEI per le Migrazioni e della Fondazione Migrantes, ad accogliere Papa Francesco in quella giornata, rimasta storica: primo viaggio del pontificato di Papa Bergoglio. Nella maggiore delle Pelagie, il Pontefice, dopo avere lanciato in mare una corona di fiori in memoria dei migranti morti nel Mediterraneo, incontrando alcuni giovani migranti sul Molo Favarolo, luogo di approdo dei migranti, parlò di globalizzazione dell’indifferenza e di una società che ha dimenticato l’esperienza di piangere…
E lunedì scorso, per ricordare la visita, ha celebrato una liturgia eucaristica nella Basilica di San Pietro con 250 persone tra migranti e volontari e durante la quale ha detto che “sono gli ultimi ingannati e abbandonati a morire nel deserto; sono gli ultimi torturati, abusati e violentati nei campi di detenzione; sono gli ultimi che sfidano le onde di un mare impietoso; sono gli ultimi lasciati in campi di un’accoglienza troppo lunga per essere chiamata temporanea”. Essi – ha detto – sono “solo alcuni degli ultimi che Gesù̀ ci chiede di amare e rialzare. Purtroppo le periferie esistenziali delle nostre città sono densamente popolate di persone scartate, emarginate, oppresse, discriminate, abusate, sfruttate, abbandonate, povere e sofferenti. Nello spirito delle Beatitudini siamo chiamati a consolare le loro afflizioni e offrire loro misericordia; a saziare la loro fame e sete di giustizia; a far sentire loro la paternità̀ premurosa di Dio; a indicare loro il cammino per il Regno dei Cieli. Sono persone, non si tratta solo di questioni sociali o migratorie! “Non si tratta solo di migranti!”, nel duplice senso che i migranti sono prima di tutto persone umane, e che oggi sono il simbolo di tutti gli scartati della società̀ globalizzata”. (Raffaele Iaria)
UNHCR: “nella prima metà del 2019 nel Mediterraneo centrale ha perso la vita una persona ogni 6 arrivate in Italia”
10 Luglio 2019 - Roma - “Tra gennaio e giugno del 2019, lungo la rotta del Mediterraneo centrale ha perso la vita una persona ogni 6 arrivate in salvo in Italia, rispetto ad una ogni 18 nello stesso periodo dello scorso anno”. Lo ha affermato l’UNHCR Italia, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, nel diffondere i dati aggiornati su morti e dispersi nel Mediterraneo nel tentativo di raggiungere le coste europee dall’Africa e dal Medio Oriente. Tra gennaio e giugno 2019 sono state 667 le persone morte o disperse nel Mediterraneo (erano state 1.289 nello stesso periodo del 2018): di queste 423 (63%) lungo la rotta del Mediterraneo centrale a fronte di 2.779 migranti sbarcati in Italia, 193 (29%) lungo quella del Mediterraneo occidentale rispetto alle 10.475 giunte in Spagna, 51 (8%) nel Mediterraneo orientale a fronte delle 12.863 arrivate in Grecia. Le stime dicono che nei primi 6 mesi dell’anno sono 128 le persone morte (384 nello stesso periodo del 2018) e 539 quelle disperse (905). A fronte di numeri assoluti in calo, i dati diventano impietosi se si considera il rapporto tra chi non ce l’ha fatta a raggiungere le coste europee dall’Africa e chi le ha raggiunte. Nel 2019 ogni 1.000 arrivi di migranti in Italia, sono stati 152,2 i morti o dispersi (erano 56,6 nel 2018).
Autorità Garante Infanzia e UNHCR: presentato dossier sui Msna
9 Luglio 2019 - Roma - Quali sono i rischi, le vulnerabilità, i sogni e i bisogni dei minori stranieri non accompagnati (Msna) ospiti dei centri di prima e seconda accoglienza in Italia? La risposta arriva dal rapporto L’ascolto e la partecipazione dei minori stranieri non accompagnati in Italia frutto di un lavoro congiunto dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (AGIA) e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR). Il dossier è stato presentato oggi al Museo dell’Ara Pacis a Roma dalla Garante Filomena Albano e dal Portavoce UNHCR per il Sud Europa Carlotta Sami.
Ventidue le strutture visitate in 11 regioni per un totale di 203 minorenni coinvolti (età media 17 anni) di 21 nazionalità diverse. Nell’ambito delle visite sono stati realizzati focus group e attività di partecipazione e ascolto. Al termine sono state adottate dall’Autorità garante raccomandazioni che rappresentano la sintesi e la voce dei ragazzi che hanno preso parte all’attività.
Tra le problematiche più segnalate, nell’80% dei centri visitati sono state rilevate diffuse e sostanziali carenze nelle informazioni e nelle attività di orientamento destinate ai ragazzi. Nel 53% è stata denunciata la mancanza di attività di socializzazione e nel 47% dei casi è risultato che la permanenza nei centri di prima accoglienza o emergenziali si è protratta ben oltre i 30 giorni massimi fissati dalla legge. I gestori dei centri hanno lamentato tempi lunghi per la nomina dei tutori. Insieme ai ragazzi hanno inoltre segnalato l’impossibilità di far giocare i giovani in squadre di calcio iscritte alla Figc, poiché per il tesseramento è richiesta la firma di autorizzazione da parte di un genitore.
L’80% dei minorenni coinvolti poi nelle attività di partecipazione ha chiesto approfondimenti e chiarimenti sulla procedura di richiesta di protezione internazionale e il 60% li ha chiesti sul funzionamento della Commissione territoriale, competente sulla valutazione delle richieste. Il 70% ha dichiarato di aver percepito ostilità o pregiudizi, mentre il 50% ha manifestato l’esigenza di condividere tempo e spazi con i coetanei italiani. Il 40% ha dichiarato di non essersi sentito coinvolto nelle scelte al proprio percorso legale in Italia.
“Ascolto e partecipazione sono stati gli assi su cui è stato sviluppato il ricco e articolato piano di lavoro realizzato in questi due anni con UNHCR”, dice Filomena Albano. “Grazie all’ascolto è stato possibile impostare le attività di partecipazione avviate nel 2018. Pur trattandosi di attività sperimentali le azioni hanno rappresentato una grande occasione di crescita. I giovani ospiti del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) di Firenze e Pescara ad esempio hanno portato la loro testimonianza ai corsi di formazione per aspiranti tutori volontari. Quelli di Roma hanno partecipato a laboratori di fotografia che sono stati l’occasione per realizzare la mostra Io So(g)no, in esposizione al Museo dell’Ara Pacis dal 19 giugno. Le attività hanno permesso ai minori di sentirsi parte di un processo in cui loro, al pari degli adulti, sono stati parte attiva”.
“Quasi la metà della popolazione rifugiata nel mondo è costituita da bambini, molti dei quali trascorrono tutta la loro infanzia lontano da casa”, dichiara Carlotta Sami. “E’ molto importante collaborare con i minori stessi per garantire loro protezione, rafforzando i meccanismi di partecipazione attiva nelle decisioni che li riguardano, anche attraverso la collaborazione con le autorità nazionali come AGIA”.
In Sicilia le veglie per chi è in mare
9 Luglio 2019 - Palermo - Tutti in piedi e con lo sguardo rivolto al mare: con un gesto semplice, la preghiera che la comunità cristiana rivolge a Dio per i fratelli defunti. Così è stata fatta memoria non dei migranti, ma di uomini, donne e bambini che hanno un volto e un nome, una storia e dei sogni infranti. Pozzallo, nel Ragusano, è una terra di approdo sul Mediterraneo, ha vissuto gli anni caldissimi degli sbarchi a ripetizione, ha imparato ad accogliere e includere. Per questo venerdì sera l’anfiteatro 'Pietre Nere' era gremito, per la veglia penitenziale in ricordo dei tanti morti del Mediterraneo diventato ormai un cimitero, come ha ricordato il vicario generale della diocesi di Noto, don Angelo Giurdanella. È una delle numerose iniziative che la Chiesa siciliana sta mettendo in campo per tenere alta l’attenzione sul tema dell’accoglienza, anche in occasione delle partecipatissime feste patronali in ogni angolo dell’isola, da Palermo ad Agrigento. La preghiera di Pozzallo è stata organizzata dalla diocesi e dalla Caritas di Noto, da Migrantes, Comunità Missionaria e We Care, sostenuta dall’amministrazione comunale.
«Li lasciamo annegare per negare» il titolo della veglia con un carattere penitenziale, per tutte quelle volte che «abbiamo ucciso con le parole», parole di paura e di odio, di astio «verso chi neanche si conosce».
«Sono rimasto tre giorni senza bere, in Libia: quell’acqua non si poteva bere, era quella del bagno. Poi ho capito che non avevo altra scelta, e l’ho bevuta. Ora non m’importa se qualcuno mi ferma, mi insulta perché sono nero... io so che sono vivo; lì non pensavo che sarei riuscito a continuare a vivere. C’erano momenti in cui la morte sarebbe stata una liberazione, perché la sofferenza era troppo grande» ha raccontato un giovane. E poi la testimonianza di un altro ragazzo: «Abbiamo visto tanti nostri compagni morire in mare. Un bambino ha bevuto acqua ed è morto... E io non potevo fare nulla. Ma ora noi dobbiamo fare, dobbiamo fare quello che loro non hanno potuto fare, loro sono con noi...».
E domenica scorsa è stato il primo giorno di festeggiamenti in onore di San Calogero, compatrono di Agrigento, proprio nel segno dei migranti. «Siamo fieri del nostro santo nero, ma aumenta il numero di coloro che rifiutano e disprezzano quanti arrivano da altre terre – ha detto il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, durante l’omelia –. Senza conoscerli, li definiscono tutti delinquenti e terroristi; molti di loro sono cristiani come noi, allora, mi domando, non potrebbe sbarcare anche qualche santo? Un altro San Calogero, insomma!». Il porporato ha condiviso il suo «stupore» per il fatto che «oggi, solo perché non si condivide il pensiero di alcuni, si diventa oggetto di insulti pesanti. Povera democrazia! ». Nei giorni scorsi, in occasione della presentazione del Festino per Santa Rosalia, la patrona di Palermo, era stato l’arcivescovo monsignor Corrado Lorefice a usare parole forti: «Siamo inquieti e preoccupati per la paura che ai nostri giorni sembra prevalere nel nostro Paese e in Europa e che viene seminata a piene mani da sedicenti profeti di sventure e propugnatori di neonazionalismi».
Per giorni, poi, il parroco di Lampedusa, don Carmelo La Magra, aveva trascorso le notti sul sagrato della chiesa di San Gerlando, assieme ad alcuni parrocchiani e attivisti dell’isola, per lanciare un messaggio di coraggio e fiducia ai migranti a bordo della Sea Watch 3. (Alessandra Turrisi – Avvenire)
Nel ricordo delle vittime del Mediterraneo
9 Luglio 2019 - Città del Vaticano - Festa dei popoli: era espressa già nel canto d’ingresso una delle coordinate della messa per i migranti celebrata da Papa Francesco nella basilica vaticana la mattina di lunedì 8 luglio, nel sesto anniversario della sua visita a Lampedusa. L’altra coordinata era quella del ricordo delle vittime dei naufragi nel Mediterraneo, rievocati durante la preghiera eucaristica, significativamente nella Giornata internazionale dedicata a questo mare, a lungo ponte di collegamento tra l’Europa e l’Africa e oggi purtroppo cimitero a cielo aperto, tomba per tanti disperati in cerca di un presente e di un futuro migliore.
Organizzata dalla sezione migranti e rifugiati del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, la celebrazione si è svolta all’altare della Cattedra, in un’atmosfera di grande raccoglimento, a tratti interrotto dal pianto di alcuni dei dieci piccoli, bambini e bambine, seduti nei primi banchi in braccio o accanto alle madri e alle volontarie che se ne prendono cura.
Con il Pontefice hanno concelebrato una dozzina di vescovi — tra i quali Guerino Di Tora, ausiliare di Roma e presidente della Fondazione Migrantes, e Melchisédec Sikuli Paluku, di Butembo-Beni, nella Repubblica Democratica del Congo — e una trentina di sacerdoti impegnati ogni giorno su questo fronte pastorale a incoraggiare, sostenere, accompagnare e accogliere: tra questi, i sottosegretari nel dicastero organizzatore, il gesuita Czerny e lo scalabriniano Baggio.
Vi hanno partecipato circa 250 persone tra migranti, rifugiati e quanti si sono prodigati per salvare le loro vite. Per volontà del Papa la messa si è svolta in forma riservata, quasi privata, per questo non è possibile raccontare le storie dei protagonisti.
Sono approdati in Italia provenienti dall’Africa, soprattutto, ma anche dal Medio oriente, dall’Asia e dall’America latina, per la maggior parte in fuga dalla guerra e dalla miseria. Al termine, nel salutarli tutti personalmente, Francesco è apparso visibilmente commosso.
Prendendo posto sotto la statua di san Domenico di Guzmán, fondatore dell’ordine dei predicatori, il Papa ha celebrato usando un pastorale di legno donatogli proprio a Lampedusa, in quella che fu la prima uscita in Italia del Pontificato. Nell’orazione colletta ha invocato «Dio, Padre di tutti gli uomini» — perché, ha spiegato, «per te nessuno è straniero, nessuno è escluso dalla tua paternità» — affinché guardi «con amore i profughi, gli esuli, le vittime della segregazione e i bambini abbandonati e indifesi»; invocando che «sia dato a tutti il calore di una casa e di una patria, e a noi un cuore sensibile e generoso verso i poveri e gli oppressi».
Alla preghiera dei fedeli sono state elevate, tra le altre, intenzioni in italiano per il vescovo di Roma «pastore e profeta a favore delle vittime della cultura dello scarto», in portoghese per i soccorritori nel mar Mediterraneo e in inglese per le persone che sono state soccorse «affinché siano accolte da tutti noi con amore, come un dono ricevuto» dal Signore.
Il rito è stato diretto da monsignor Marini, maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie, coadiuvato dai cerimonieri Peroni e Dubina. Particolarmente espressivi i canti eseguiti dal Grande coro dell’associazione Hope (speranza) di Torino, attiva in seno alla pastorale giovanile della Chiesa italiana. Soprattutto quello iniziale, quando con una toccante immagine auspicava «una vita di fraternità» per dare «ali a una nuova umanità», a questo «mondo che cammina nelle tenebre».(Osservatore Romano)
Migrantes: oggi mons. Di Tora a Tv 2000 per parlare di migrazioni
8 Luglio 2019 -
Roma - In occasione del sesto anniversario della visita del Pontefice a Lampedusa, l’8 luglio del 2013, Papa Francesco ha celebrato oggi, nella Basilica di San Pietro, una messa per i Migranti.
Alla celebrazione hanno partecipato circa 250 persone tra migranti, rifugiati e quanti si sono impegnati per salvare la loro vita.
Nel ricordo di quanti sono morti per sfuggire alla guerra e alla miseria e per incoraggiare coloro che ogni giorno si prodigano per sostenere, accompagnare e accogliere i migranti e i rifugiati, “il Diario di Papa Francesco” su Tv2000 ospita dalle 17.30 alle 18.00, con la conduzione di Nicola Ferrante, mons. Guerino Di Tora, vescovo ausiliare di Roma, presidente della Commissione Episcopale per le Migrazioni e Presidente della Fondazione Migrantes.
Card. Montenegro: aumenta il numero di coloro che rifiutano quanti arrivano da altre terre
8 Luglio 2019 - Agrigento – “Siamo fieri del nostro santo nero, ma aumenta il numero di coloro che rifiutano e disprezzano quanti arrivano da altre terre. Senza conoscerli, li definiscono tutti delinquenti e terroristi; molti di loro sono cristiani come noi”. Lo ha tetto ieri il card. Francesco Montenegro, arcivescovo di Palermo, nell’omelia della messa celebrata in occasione della festa del patrono san Calogero.
Il card. Montenegro ha rivelato il suo “stupore” per il fatto che “oggi, solo perché non si condivide il pensiero di alcuni, si diventa oggetto di insulti pesanti”. “Povera democrazia! Continuando di questo passo si tornerà al far west (e i segnali ci sono), quando il prepotente decideva la sorte degli altri”. Per il porporato essere cristiani “non significa essere religiosi ma essere più umani, tanto da rassomigliare a Gesù di Nazareth. Non sono gli atti religiosi a farci cristiani, ma lo schierarsi dalla parte della sofferenza di Dio nella vita del mondo. Il Vangelo richiede non di fare delle cose, ma di fare delle scelte. Essere, cioè, come diceva Paolo, ‘cittadini degni del Vangelo’, cioè persone che trovano nella Parola di Dio la ‘marcia’ in più per vivere valori come la giustizia, il rispetto, l’onestà, la legalità”.
Papa Francesco: appello e messa per i migranti oggi in Vaticano
8 Luglio 2019 -
Città del Vaticano - Nel corso dell’Angelus domenica di ieri Papa Francesco ha chiesto di "pregare per le povere persone inermi uccise o ferite dall’attacco aereo che ha colpito un centro di detenzione di migranti in Libia”. La comunità internazionale – ha detto il pontefice riferendosi a quanto accaduto alcuni giorni fa - non può tollerare fatti così gravi. Prego per le vittime: il Dio della pace accolga i defunti presso di sé e sostenga i feriti” auspicando che siano organizzati in modo esteso e concertato i “corridoi umanitari per i migranti più bisognosi". Dal 2016, quando sono partiti i progetti dei corridoi umanitari – prima con la Comunità di Sant’Egidio insieme alle Chiese Evangeliche in Italia e poi con la Conferenza Episcopale Italiana che agisce tramite la Caritas Italiana e la Fondazione Migrantes - sono oltre 2.500 i profughi arrivati in Europa con questa modalità: la maggior parte in Italia ma ci sono anche esperienze di corridoi umanitari con Francia, Belgio e Andorra.
Questa mattina il pontefice, in occasione del VI anniversario della visita a Lampedusa, celebrerà una Messa per i Migranti, alle ore 11, nella Basilica di San Pietro. Parteciperanno- spiega il direttore della Sala stampa della Santa Sede, Alessandro Gisotti –circa 250 persone tra migranti, rifugiati e quanti si sono impegnati per salvare la loro vita. Gisotti spiega inoltre che alla celebrazione, presieduta dal Papa all’Altare della Cattedra, prenderanno parte solo le persone invitate dalla Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, a cui “il Santo Padre ha affidato la cura dell’evento”. Papa Francesco – aggiunge il direttore della Sala Stampa – “ desidera che il momento sia il più̀ possibile raccolto, nel ricordo di quanti hanno perso la vita per sfuggire alla guerra e alla miseria e per incoraggiare coloro che, ogni giorno, si prodigano per sostenere, accompagnare e accogliere i migranti e i rifugiati”.
Per la Fondazione Migrantes sarà presente il vescovo, Mons. Guerino Di Tora, Presidente della Fondazione e della Commissione CEI per le Migrazioni. (Raffaele Iaria)
Don Savina: Testimoni e porta di accoglienza dell’umanità di oggi
5 Luglio 2019 - Roma - “Il Dialogo ecumenico e interreligioso nella cura pastorale dei migranti”: è stato questo il tema affrontato ieri pomeriggio da don Giuliano Savina, Direttore dell’Ufficio Cei per il dialogo ecumenico ed interreligioso, intervenendo al Corso di Formazione “Linee di pastorale migratoria” promosso dalla Fondazione Migrantes e destinato principalmente ai Direttori Migrantes regionali e diocesani, ai collaboratori degli uffici diocesani; ai Cappellani etnici che svolgono il ministero nelle Diocesi italiane e ai missionari per gli italiani all’estero oltre ai religiosi, religiose, laici impegnati nel volontariato e interessati alle migrazioni. Al corso partecipano circa 50 operatori provenienti dall’Italia e dall’estero.
Per don Savina ogni ufficio “è il volto della Chiesa a servizio” e “voi – ha detto rivolgendosi ai partecipanti – siete i testimoni dell’umanità di oggi, voi siete la porta di accoglienza dell’umanità di oggi”. E – ha aggiunto il direttore dell’Ufficio per l’ecumenismo e del dialogo interreligioso – nell’umanità di oggi c’è tutto”. L’obiettivo è quello di “entrare in dialogo con l’altro e se entro in dialogo, entro in ascolto con l’altro. E se entro in ascolto non sono più quello di prima. Entro, quindi, in un processo deformante che mi cambia”. Quindi, testimoni di una chiesa deformante, di una chiesa in azione di “cui noi siamo protagonisti e soggetti attivi”.
I lavori del Corso si concluderanno, questa mattina, con un intervento del direttore generale, don Gianni De Robertis che parlerà, fra le altre cose, della prossima Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato che si celebrerà domenica 29 settembre sul tema “Non si tratta solo di Migranti”.
Istat: sempre di meno gli iscritti in anagrafe dall’estero
4 Luglio 2019 - Roma - Le iscrizioni in anagrafe dall’estero si sono ridotte da quasi 500 mila del 2008 a 332 mila del 2018 mentre le cancellazioni dall’anagrafe per l’estero sono aumentate in maniera marcata, passando da 80 mila a 157 mila nel decennio. Il saldo migratorio con l’estero si è quindi ridotto a 175 mila unità nel 2018. E’ quanto emerge dal Bilancio Demografico Nazionale dell’Istat. Secondo i dati dell’Istituto di Statistica nel 2018 gli iscritti in anagrafe provenienti da un Paese estero sono diminuiti del 3,2% rispetto al 2017. Sono soprattutto cittadini stranieri (85,9%) anche se gli italiani che rientrano dopo un periodo di emigrazione all’estero sono in crescita rispetto al 2017 (+10,5%). Sono soprattutto gli uomini a scegliere di trasferirsi in Italia (55,7%), contrariamente a quanto avvenuto in tutto il decennio precedente, quando nei flussi di iscrizioni dall’estero erano le donne a prevalere. Le persone che nel 2018 hanno lasciato il nostro Paese sono quasi 157 mila, con un aumento di 2 mila unità rispetto al 2017.
Summit Diaspore: un incontro sulla stampa multietnica
2 Luglio 2019 - Roma – In incontro-confronto sul tema della stampa multietnica quello di oggi pomeriggio presso la sede dell’agenzia Dire sul tema “L'informazione che cambia. Notizie dall'Italia plurale”, promosso dal Summit nazionale delle Diaspore.
“Non chiamiamola stampa multietnica, bensì interculturale, per favorire il senso di parità”, ha detto Ahmad Ejaz, giornalista pachistano della rivista “Azad”, rivolta alla sua comunità di origine in Italia. Secondo Ejaz oggi è importante partire dal lessico per costruire una nuova cultura e un nuovo linguaggio. “Io - ha detto - provengo dal mondo islamico e mi fa strano leggere sui giornali, in caso di attentati, la parola 'kamikaze', che è giapponese. Io scrivo invece 'attacco suicida', anche per ricordare che secondo l'islam, il suicidio è vietato da Dio”. Ma per migliorare questa situazione, “gli 'aborigeni italiani' devono aiutarci, insieme agli stranieri e alle seconde generazioni".
Per Raffaele Iaria, redattore di Migrantesonline.it, “bisogna insistere sui dati di una presenza attiva delle comunità straniere in Italia per smentire stereotipi o una linea informativa che porta spesso a nascondere il ruolo svolto nella società italiana da cinque milioni di persone presenti in Italia”. Per questo – ha detto Iaria – occorre dar “conoscere” le tante iniziative positive, le storie e i progetti di integrazione. Ad introdurre i lavori il direttore dell’agenzia Dire che ha evidenziato l’importanza di conoscere per costruire.
Tra gli interventi quello di Lucia Joana Metazama, presidente dell'Associazione delle donne mozambicane in Italia, di Oles Horodetskyy, giornalista di origine ucraina, di Zakariya Mohamed Ali di origine sudanese e di Stephen Ogongo, giornalista keniano, fondatore della testata 'Cara Italia', il quale incoraggia anche un giornalismo "che spinga le persone a pensare, investendo nella formazione dei professionisti della comunicazione".
Morcellini(Agcom): “Una foto simbolo urtante può risvegliare nostra umanità”
27 Giugno 2019 - Roma - “E’ vero che c’è una piccola strumentalizzazione del corpo inerme e indifeso di questi due morti ma è anche vero che, se diventano simboli del nostro tempo, può essere l’inizio di una riscossa”. Così il Commissario dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (Agcom) Mario Morcellini, studioso e docente di comunicazione, giornalismo e reti digitali della Sapienza Università di Roma, commenta la foto choc di Oscar Alberto Martinez Ramirez e della sua bambina di 23 mesi, Valeria, provenienti da El Salvador, annegati nel fiume Rio Grande nel tentativo di oltrepassare la frontiera tra Messico e Stati Uniti. Una foto che ha fatto indignare gli Stati Uniti e sta facendo il giro del mondo, emblema di tutte le tragedie migratorie in corso nel nostro tempo. Anche Papa Francesco “è profondamente addolorato per la loro morte, prega per loro e per tutti i migranti che hanno perso la vita cercando di sfuggire alla guerra e alla miseria”, ha detto Alessandro Gisotti, direttore “ad interim” della Sala Stampa della Santa Sede.
La foto ricorda molto quella di Alan (Aylan) Curdi, il bimbo siriano annegato nel Mediterraneo nel 2015. Grande emozione, poi di nuovo indifferenza e cinismo per il dramma delle morti nel Mediterraneo. Ogni volta dobbiamo arrivare fino a questo punto per scuotere la coscienza civile?
La potenza della fotografia, per il modo in cui immobilizza la realtà, singolarmente urtante, soprattutto della nostra coscienza, la dice lunga sul fatto che almeno in profondità noi restiamo umani. Bisognerebbe riflettere sul fatto che basta una fotografia per ripristinare elementi di coscienza ed autocoscienza del nostro tempo. C’è un passaggio, in un romanzo di Graham Greene, in cui l’autore racconta di poliziotti aguzzini ad Haiti che portano gli occhiali scuri per non farsi vedere negli occhi e per non guardare le vittime, per evitare un indebolimento della loro coscienza e quindi provare pietà. Questo significa che negli occhi degli uomini è depositata una grande risorsa, quella di una lettura della realtà che può persino liberarsi dalle mode e dall’eccesso di pressioni politiche che sembrano fondarsi sulla rinuncia alla consapevolezza.
La foto immobilizza il nostro sguardo e dimostra che siamo comunque permeabili al dolore del mondo. Come possiamo contrastare il disimpegno etico?
Dobbiamo cercare di capire come possa vincere, anche solo congiunturalmente, il disimpegno etico. C’è una frase di uno filosofo francese del ‘900, Paul Ricoeur, che dice: noi conosciamo l’altro attraverso i racconti che lo riguardano.Questa frase, a mio avviso, efficacemente commenta la nostra reazione di fronte alla fotografia: abbiamo bisogno di capire l’altro e, anzitutto, di introiettarlo nella nostra retina visiva.
Cosa sta succedendo alla nostra società, modellata anche da un certo modo di fare comunicazione?
In qualche modo abbiamo dichiarato guerra al cambiamento, compresi i migranti, come se fossero loro a rappresentare la foto ingiusta del cambiamento. A questo proposito gli studiosi devono cominciare a dire cose molto più dure di quelle che ci siamo scambiati finora: non basta più la parola “populismo”, che è solo la conseguenza. Una parte delle politiche pubbliche, quelle più improntate ad una idea plebiscitaria della politica, sembra invece puntare al disimpegno etico. Ci sono politici che hanno intuito che per vincere devono abbassare la soglia etica e dell’attenzione nei confronti degli altri. È così che vince la gigantesca fake sui migranti. Qui c’è un gioco sconvolgente da parte della comunicazione e c’è da domandarsi quanto la comunicazione abbia esercitato la funzione per cui è nata, che non è solo quella di narrare, ma di farlo con responsabilità sociale.
Non accade solo in Italia, anche negli Stati Uniti e in altri Paesi.
Sta accadendo anche negli Stati Uniti e non a caso un grande studioso di questo fenomeno è Albert Bandura, grande personaggio della psicologia sociale premiato da Obama, ci spiega come si può essere eticamente disimpegnati restando in pace con sé stessi. Aumentare cioè la nostra soglia di de-sensibilizzazione per poter dormire tranquilli.
Nel mondo dell’informazione si affronta spesso questo grande dilemma: fino a che punto è giusto mostrare immagini così dure della morte e della sofferenza?
Quella foto riguarda quelle due povere persone, ma dice anche molto del nostro tempo.
Sospenderne la pubblicazione sarebbe un dramma e aumenterebbe il nostro disimpegno etico.
Mentre non è detto che una foto, come è successo per Aylan, possa smuovere le nostre coscienze e riaccendere l’impegno sociale, etico e civile a cui siamo (o dovremmo sentirci) chiamati a rispondere.
Aylan è stato dimenticato visto che le politiche europee non sono cambiate?
Non è vero che Aylan è stato dimenticato perché continuiamo ad usare il suo nome. Ed è impressionante il fatto che lui sia rimasto nell’immaginario. Non attaccherei la comunicazione quando si interroga sui limiti di quello che deve fare. Piuttosto, l’attaccherei quando, per anni, ha moltiplicato il numero dei migranti “negli occhi” degli uomini.
Non si corre il rischio di attaccarsi ai simboli e non considerare il valore delle vite di persone vere che non hanno occasione di apparire in una foto ad alto impatto?
Sono in disaccordo. Perché noi abbiamo bisogno di elementi di simbolizzazione per riconoscere la nostra vita. Contrariamente a quanto pensa la maggioranza degli uomini non possiamo vivere di sola realtà, ma abbiamo bisogno di simboli. E’ vero che c’è una piccola strumentalizzazione del corpo inerme e indifeso di questi due morti, ma è anche vero che se loro diventano simboli del nostro tempo, può essere l’inizio di una riscossa.
Quindi possiamo sperare che una foto del genere provochi un sussulto di coscienza anche nella società italiana, rispetto ai temi che ci riguardano?
Direi che la fortuna virale di questa foto è la prova che c’è gente disponibile a pensare a ciò che facciamo. (Patrizia Caiffa – Sir)
Morire di Speranza: ieri la veglia di preghiera a Roma
21 Giugno 2019 - Roma - “Alain, Mulela, Nadia, Youssef...”. In una basilica affollata da uomini e donne originari di tanti Paesi del mondo, insieme a chi li ha accolti e si è impegnato per la loro integrazione, sono risuonati i nomi di chi invece non ce l’ha fatta ad attraversare il mare. È stata commossa e molto partecipata “Morire di speranza”, la veglia organizzata a Santa Maria in Trastevere da tante associazioni – tra queste Migrantes - che lavorano ogni giorno per dare un futuro a chi arriva nel nostro Paese per ricordare le oltre 38 mila vittime dei viaggi in mare e via terra verso l’Europa, dal 1990 ad oggi. Tra gli ex migranti, oggi già avanti nell’integrazione, tanti che sono arrivati con i barconi, insieme a chi invece ha avuto la fortuna di giungere con i corridoi umanitari, il progetto realizzato da Sant’Egidio insieme alle Chiese protestanti italiane e alla Cei, dal Libano per i profughi siriani e dall’Etiopia per quelli del Corno d’Africa: sono ormai oltre 2.500, giunti non solo in Italia ma anche in Francia, in Belgio e ad Andorra. Le tragedie del mare non sono affatto finite. Nell'ultimo anno, da giugno 2018 ad oggi, le vittime sono state 2389, mentre nel primo semestre del 2019 sono già 904 i morti in mare, con un aumento delle donne e dei bambini che hanno perso la vita in traversate sempre più pericolose. A fronte di una diminuzione degli sbarchi, è infatti cresciuta la percentuale di morti e dispersi: se nel 2017, considerando solo il Mediterraneo Centrale, il tasso di mortalità di chi intraprendeva un “viaggio della speranza” era di 1 su 38, nel 2018 è stato di 1 su 14. “Le morti in mare non sono una statistica ma una tragedia dell’umanità di fronte alla quale non si può restare indifferenti - ha commentato il presidente della Comunità di Sant'Egidio, Marco Impagliazzo - da Santa Maria in Trastevere lanciamo un appello perché si aprano con urgenza nuovi corridoi umanitari e nuove vie legali di ingresso in Europa”.
Nell’omelia il cardinale Joseph Farrell, prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, ha invitato ad ascoltare il “grido di angoscia lanciato da tante persone durante i viaggi della speranza, in balia del mare agitato e del clima avverso, e soprattutto in balia della crudeltà di uomini indifferenti alla loro sofferenza, alla loro dignità, alla loro vita”. Ricordando il Messaggio di papa Francesco per la 105ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, il cardinale ha concluso: “Una società che non è più capace di prendersi cura di chi è vulnerabile diventa disumana”. Nel corso della veglia sono stati pronunciati ad alta voce alcuni nomi di chi è morto in mare nell’ultimo anno, accompagnati dall’accensione di candele in loro memoria e da canti in lingua, intonati dagli stessi rifugiati. Alcuni di loro sono stati compagni di viaggio di chi si è fatta memoria. “Morire di speranza” - che i prossimi giorni verrà celebrata anche in altre città italiane ed europee è stata promossa per non dimenticare l’attesa e al tempo stesso la sofferenza di chi cerca protezione in Europa, per non rassegnarsi o assuefarsi alle tragedie ma impegnarsi per un mondo più umano e giusto. Associazioni che, di fronte al gran discutere di immigrazione in questi mesi, chiedono che si continui a salvare, accogliere e integrare chi fugge dalle guerre, ma anche che crescano i corridoi umanitari, aumenti il numero dei reinsediamenti dei profughi che hanno abbandonato il loro Paese e si aprano nuovamente vie legali anche per motivi di lavoro. Solo in questo modo le nostre società potranno essere più inclusive e quindi più sicure.
UNHCR: boom di profughi nel mondo
20 Giugno 2019 - Roma - Un nuovo, drammatico record. Le persone che nel mondo sono costrette a fuggire da guerre, persecuzioni, violazioni dei diritti umani hanno superato quota 70 milioni. Mai così tanti negli annali dell’Agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati, da quasi 70 anni impegnata a portare aiuto e assistenza ai profughi. Ma sbaglia chi crede che questo popolo in fuga si riversi in massa Europa o nei paesi delle aree sviluppate. Oltre la metà infatti, 41,3 milioni, sono sfollati interni, persone cioè che non hanno lasciato il proprio Paese. E l’80% di chi invece ha varcato la frontiera è rimasto negli Stati confinanti. Anche tra i Paesi occidentali, in ogni caso, l’Italia con 3 rifugiati ogni
mille residenti non è tra quelli che ne ha di più. Malta ne ha 20, la Svezia 25. Numeri ben lontani dai 29 del Chad, dei 45 della Turchia, dei 72 della Giordania o dei 156 del Libano. I numeri del Global Trends Report 2019, il rapporto annuale dell’ACNUR, l’agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati, danno le esatte dimensioni di un fenomeno drammatico, ma ben diverso da quello raccontato da certa propaganda ansiogena e xenofoba. L’invasione, insomma, non esiste e l’impatto dei rifugiati sui paesi sviluppati è relativamente contenuto. Solo il 16% infatti è stato accolto in regioni sviluppate. I Paesi ad altro reddito hanno infatti una percentuale di rifugiati di 2,7 ogni mille abitanti, meno della metà di quelli a medio e basso reddito che sono al 5,8.
“Questi dati sono l’ulteriore conferma di come ci sia una tendenza nel lungo periodo all’aumento del numero di persone che fuggono in cerca di sicurezza da guerre, conflitti e persecuzioni”, dice l’Alto commissario Onu per i rifugiati. Filippo Grandi sottolinea come “da un lato il linguaggio utilizzato per parlare di rifugiati e migranti tende spesso a dividere, allo stesso tempo stiamo assistendo a manifestazioni di generosità e solidarietà, specialmente da parte delle stesse comunità che accolgono un numero elevato di rifugiati”.
La cifra di 70,8 milioni, sostiene l’Agenzia, è stimata per difetto perché non considera pienamente la crisi venezuelana in corso. La cifra globale è composta da tre distinti sotto-insiemi: il primo è quello dei rifugiati, 25,9 milioni di persone costrette a fuggire da guerre o persecuzioni, alle quali è stato riconosciuto il pieno diritto d’asilo.
Il secondo gruppo è quello dei richiedenti asilo, altri 3,5 milioni, anch’essi fuggiti dal loro paese e che ricevono protezione internazionale nell’attesa dell’esito della domanda di asilo. Il terzo gruppo, il più numeroso, sono i 41,3 milioni di persone che si sono spostati in aree comunque interne al proprio Paese di origine, definiti sfollati interni. I rifugiati e i richiedenti asilo, quelli che effettivamente bussano alle porte di altri paesi, sono dunque meno della metà del numero complessivo, cioé 29,4 milioni.
La tendenza globale registra un costante aumento: 20 anni fa i rifugiati nel mondo erano la metà degli attuali. Solo nel 2018 sono stati altri 13,6 milioni le persone costrette ad abbandonare le proprie case, pari a 37 mila persone ogni giorno. Circa 3,5 milioni i richiedenti asilo in attesa di una
risposta sul loro status.
E da dove fuggono i rifugiati? Dalla Siria, prima di tutto (6,7 milioni), poi da Afghanistan (2,7), Sud Sudan (2,3), Myanmar (1,1), Somalia (0,9).
Dove vanno? Per il quinto anno consecutivo è la Turchia il paese che ha accolto il più alto numero di rifugiati (3,7 milioni), seguito da Pakistan (1,4), Uganda (1,2), Sudan (1,1), e in Europa la Germania (1,1). Rispetto alla popolazione invece sono il Libano (che ha 4,3 milioni di abitanti) e la
Giordania (10,5) gli stati con la più alta percentuale di rifugiati: rispettivamente circa 1,5 milioni e 800 mila.
La stragrande maggioranza di chi è costretto ad abbandonare la propria casa vorrebbe tornarci appena possibile. Purtroppo il ritorno coinvolge una fetta ridotta dei rifugiati. Nel 2018 sono stati 2,9 milioni le persone ritornate alle proprie terre o ai propri Paesi di origine, tra cui 2,3 di sfollati interni. Solo 593.800 quindi i rifugiati scappati oltreconfine tornati a casa. Un saldo senza dubbio negativo. Altri sono stati redistribuiti in altri paesi: 92.400 i reinsediamenti, meno del 7% di tutti quelli che sono in lista di attesa. Altri 62.600 hanno invece acquisito una nuova cittadinanza per naturalizzazione.
Il Global Trends Report non dà solo le dimensioni del fenomeno. Un numero enorme di rifugiati è costituito da minori: uno su due, la metà. Molti sono quelli che scappano da soli, circa 111 mila, e senza famiglia. Ad esempio l’Uganda - che ha 26 rifugiati ogni mille abitanti - ha registrato 2.800 bambini di età pari o inferiore a 5 anni, soli o separati dalle famiglie di origine. Quasi due rifugiati su tre, il 61%, vive in paesi o città, piuttosto che in aree rurali o campi per profughi. E la loro non è una condizione passeggera: i quattro quinti ha vissuto sradicati da casa per almeno cinque anni, un quinto ha vissuto da rifugiato per almeno 20 anni. (Luca Liverani – Avvenire)
#Io accolgo: ad ogni balcone la coperta termica simbolo della Campagna
19 Giugno 2019 - Roma - In occasione del 20 giugno, Giornata Mondiale del Rifugiato, la Campagna #IoAccolgo rivolge a tutti/e l’invito a stendere al proprio balcone una coperta termica, quelle che vengono usate per proteggere i naufraghi tratti in salvo e che rappresenta l’oggetto simbolo di #IoAccolgo. La scorsa settimana è stata presentata alla stampa la Campagna promossa da 46 organizzazioni sociali, con lo scopo di “dare voce e visibilità non solo a tutte quelle esperienze di solidarietà e accoglienza diffuse in ogni zona d’Italia, di cui si sa troppo poco ma anche ai tanti cittadini che condividono questi valori e che vogliono esprimere il proprio dissenso rispetto alla chiusura dei porti, alla legislazione e alle politiche anti-immigrati”. Stendere le coperte termiche ai balconi non sarà l’unica azione che caratterizzerà quella Giornata. In tutta Italia sono state organizzati eventi che, con modalità diverse, si collegheranno alla Campagna per ribadire che i diritti o sono uguali per tutti o non sono, che i porti devono essere aperti, che dev’essere potenziato, e non smantellato, un sistema organizzato d’accoglienza e integrazione.
In allegato e al link http://www.ioaccolgo.it/eventi l’elenco e la descrizione di alcune delle iniziative in programma.
Agia: oltre 8mila i Minori Stranieri Non Accompagnati
19 Giugno 2019 - Roma - In Italia almeno un minorenne su dieci ha entrambi i genitori di origini immigrate. A tutela dei loro diritti l’Autorità garante per l’Infanzia e l’Adolescenza ha formulato di recente, all’esito di uno studio avviato nel 2018, una serie di raccomandazioni, chiedendo, tra l’altro, che il personale che entra in contatto con bambini e ragazzi di nuova generazione sia sensibilizzato sulle loro specificità culturali, in particolare a scuola. Richiesta la presenza di mediatori linguistici e culturali ai colloqui dei genitori con gli insegnanti. Sono alcune delle richieste avanzate dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (Agia), Filomena Albano, nella Relazione al Parlamento, presentata oggi a Montecitorio, a Roma, alla presenza del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e del presidente della Camera, Roberto Fico. Al 30 aprile 2019 erano 8.131 i minori stranieri non accompagnati (Msna) presenti in Italia per i quali l’Agia chiede “una distribuzione uniforme sul territorio nazionale (e non concentrata nelle regioni di arrivo); una permanenza non superiore a 30 giorni nei centri di prima accoglienza; l’adozione di prassi uniformi nel rilascio dei permessi di soggiorno”. E ancora: l’emanazione dei decreti attuativi della legge 47 del 2017 sui minori stranieri non accompagnati e quello per regolamentare le procedure di colloquio nonché l’adozione del protocollo per uniformare le modalità di accertamento dell’età dei ragazzi.
Consiglio d’Europa: accoglienza migranti, troppi muri, pochi diritti
19 Giugno 2019 - Strasburgo - Trentacinque raccomandazioni sul salvataggio dei migranti in mare, sono arrivate dal Consiglio d’Europa, per “aiutare tutti gli Stati membri” a trovare il giusto equilibrio tra sicurezza e rispetto dei diritti. “L’approccio alla migrazione nel Mar Mediterraneo si è concentrata troppo sull’impedire ai rifugiati e ai migranti di raggiungere le coste europee e troppo poco sugli aspetti umanitari e sui diritti umani. Questo sta avendo conseguenze drammatiche”, ha dichiarato Dunja Mijatović, commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, presentando la pubblicazione delle Raccomandazioni. “Un certo numero di Stati ha adottato leggi, politiche e pratiche contrarie agli obblighi giuridici che garantiscono efficaci operazioni di ricerca e soccorso, sbarchi rapidi e sicuri delle persone soccorse”, ha affermato il Commissario: pur riconoscendo il diritto degli Stati di “controllare i propri confini e garantire la sicurezza”, Mijatović ricorda “il dovere di proteggere efficacemente i diritti sanciti dalla giurisprudenza marittima, relativa ai diritti umani e ai rifugiati”. E sulla vicenda della Sea-Watch3, bloccata da sei giorni al largo delle coste di Lampedusa con 43 persone a bordo, tra cui 6 donne e 3 minori, Mijatović ha chiesto che alla nave “sia indicato tempestivamente un porto sicuro che possa essere raggiunto rapidamente”. “I migranti salvati in mare non dovrebbero mai essere sbarcati in Libia – ha sottolineato –, perché i fatti dimostrano che non è un Paese sicuro”.
Migrantes: non facciamoci contagiare dal “virus” dell’indifferenza
19 Giugno 2019 - Roma - Il 20 giugno prossimo si celebrerà in tutto il mondo la Giornata Mondiale del Rifugiato promossa dall’Onu con l’obbiettivo di far conoscere le condizioni di milioni di rifugiati e richiedenti asilo, costretti a fuggire dalle loro terre per fame, miseria, guerra, calamità naturali o diversi altri drammi. Come ha ricordato domenica 16 giugno u.s. papa Francesco, si tratta di una ricorrenza che invita tutti “alla solidarietà con gli uomini, le donne e i bambini in fuga da guerre, persecuzioni e violazioni dei diritti fondamentali”.
“Una solidarietà che oggi si fa più necessaria con la nave Sea Watch 3 ferma a poche miglia da Lampedusa con a bordo 53 persone salvate in mare da una ong tedesca. Solo alcuni hanno avuto l’autorizzazione a sbarcare a Lampedusa, perché bisognosi di cure mediche”, si legge in una nota della Fondazione: “oggi si fa più urgente, come più volte richiesta in questi anni, l’esigenza di proteggere i profughi e salvaguardare la vita e la dignità dei migranti anche attraverso l’utilizzo di vie legali per chi fugge da situazioni drammatiche. “Quello che noi stiamo vivendo è veramente triste e preoccupante. Nessuno può dire ‘a me non interessa: si tratta di uomini, donne e bambini, che hanno subìto vessazioni, torture o violenze, e rifiutarli non è segno di civiltà né di solidarietà”. “Restiamo umani” e “non facciamoci contagiare” dal “virus” dell’ “indifferenza, della noncuranza o del menefreghismo”.