Tag: Immigrati e rifugiati

Richiesta di protezione: il caso degli irregolari lasciati nel limbo

27 Gennaio 2023 -

Roma - Dopo la decisione del Tribunale di Ancona – che ha accolto il ricorso di un cittadino pachistano e stabilito con un’ordinanza che Questura e Prefettura sono tenute a trovare soluzioni per l’accoglienza in città entro 5 giorni dalla presentazione della domanda di protezione internazionale – ecco che sulla materia dei migranti irregolari, costretti ad attese interminabili per veder riconosciuti i propri diritti, interviene il Tribunale di Bologna. Con una sentenza che ha dato torto alla Questura e alla Prefettura di Parma imponendo agli enti pubblici il rilascio, stavolta entro 20 giorni, di un permesso di soggiorno per richiesta d’asilo e l’accesso all’accoglienza per i migranti. La decisione è arrivata grazie al lavoro del Ciac (Centro immigrazione asilo e cooperazione internazionale) di Parma e al sostegno dell’avvocato Calogero Musso, di concerto con gli avvocati soci Asgi di Parma. «È una grande vittoria dei diritti – commentano dall’ente di tutela –: il Tribunale ha chiarito che tutti i richiedenti asilo hanno diritto alla formalizzazione della domanda di protezione internazionale e all'accesso all'accoglienza senza se e senza ma».

Il caso su cui è intervenuto il giudice bolognese nasce nella scorsa estate con l’arrivo a Parma, come in diverse altre città italiane, di alcuni cittadini stranieri a cui era stata impedita la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno per richiesta asilo e di accedere alle misure di accoglienza. Alla loro domanda, infatti, si era opposto un vero e proprio muro di gomma da parte dell’amministrazione pubblica e i profughi erano stati costretti a vivere per strada per diversi mesi creando enormi disagi. Alla fine dell’estate 2022, visto che la situazione non si sbloccava, alcuni di loro hanno deciso di far sentire la propria voce, stabilendosi davanti alla sede di Ciac in via Cavestro a Parma. È stata proprio l’associazione parmigiana ad interessarsi della loro situazione prima lanciando un appello all’accoglienza e successivamente promuovendo una serie di incontri con le istituzioni. Contemporaneamente la decisione insieme ad Asgi di procedere col ricorso contro la Prefettura e la Questura di Parma. La sentenza del Tribunale di Bologna è chiarissima nel decretare che è «illegittimo ogni comportamento tenuto dalla pubblica amministrazione diretto a ritardare/impedire la formalizzazione dell’istanza di protezione».

Migranti: l’Europa ha rialzato i muri. Oltre 2mila chilometri di “barriere”

27 Gennaio 2023 -

Bruxelles - Tornano a crescere i flussi migratori e riappare la parola «magica»: muri alle frontiere esterne. Il tema è tornato alla ribalta, sulla scorta dei dati diffusi da Frontex (l’agenzia delle frontiere esterne Ue): il 2022 ha registrato 330.000 ingressi irregolari, il «più elevato numero dal 2016». Il tema è stato evocato ieri al Consiglio informale dei ministri dell’Interni Ue a Stoccolma e lo sarà al Consiglio europeo informale del 9 e 10 febbraio. Partiamo subito da un punto: i «muri» sono già ampiamente realtà. Secondo un documento pubblicato dal Parlamento Europeo lo scorso ottobre, a fine 2022 si contavano 2.048 chilometri di barriere ai confini Ue in 12 Stati membri, nel 2014 erano appena 315, nel 1990 zero. A dare l’esempio fu la Spagna, che tra il 1993 e il 1996 realizzò 20,8 chilometri di recinzione intorno alle sue exclave in Marocco di Ceuta e Melilla.

Pochi anni dopo è stato il turno della Lituania, che ha costruito barriere (71,5 chilometri) con la Bielorussia già tra il 1999 e il 2000, dunque prima di entrare nell’Ue (muri poi «ereditati» dall’Ue). In seguito alla crisi dei profughi “inviati” da Minsk in Europa, la repubblica baltica ha ampliato la recinzione a 502 chilometri. Possiamo citare i 37,5 chilometri di barriera (con pali d’acciaio alti cinque metri) al confine tra Grecia e Turchia lungo il fiume Evros, Atene ha già annunciato che costruirà altri 35 chilometri. Anche la Bulgaria ha eretto al confine turco una recinzione a partire dal 2014, che oggi conta 235 chilometri. Come dimenticare l’Ungheria, che tra il 2015 e il 2017 ha costruito 158 chilometri di recinzione al confine serbo e 131 al confine con la Croazia (oggi membro Ue e di Schengen). Muri li troviamo anche ai confini esterni in Polonia, Estonia, Lettonia, in Francia all’imbocco del tunnel della Manica, per non parlare dell’Austria che nel 2015 ha «innovato», costruendo la prima recinzione (3,7 km) al confine con uno Stato Schengen, la Slovenia.

I muri insomma “crescono” e molti Stati membri vogliono che a finanziarli sia l’Ue (il primo a chiederlo fu il premier ungherese Viktor Orbán). Ed è di questi giorni la richiesta del cancelliere austriaco Karl Nehammer che Bruxelles eroghi due miliardi di euro per rafforzare la barriera eretta dalla Bulgaria al confine con la Turchia. Richiesta ribadita ieri a Stoccolma dal suo ministro dell’Interno Gerhard Karner. «So che è oggetto di dibattiti accesi – ha detto ottimista - ma penso anche che recentemente ci sia stato un movimento sul tema, perché molti Paesi sono coinvolti e le frontiere esterne hanno bisogno di aiuto». L’Austria è sotto forte pressione migratoria, come lo è l’Olanda (soprattutto per i flussi secondari da altri Stati Ue), che ha dato man forte a Vienna. A suo sostegno anche il presidente del Partito Popolare Europeo, Manfred Weber. «A nessuno piace costruire recinzioni – ha dichiarato - ma dov’è necessario, deve essere fatto». Già nell’ottobre 2021, dodici Stati membri (Austria, Bulgaria, Cipro, Repubblica Ceca, Danimarca, Grecia, Ungheria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia e Slovacchia) hanno inviato alla Commissione una lettera chiedendo finanziamenti Ue per i “muri”. « Barriere fisiche – scrivevano – appaiono un’efficace misura di protezione dei confini che servono gli interessi di tutte l’Ue» e dunque «devono essere oggetto di fondi aggiuntivi adeguati dal bilancio Ue con la massima urgenza ». La Commissione per ora ha resistito. « Non ci saranno fondi per fili spinati e muri» replicò allora la presidente Ursula von der Leyen. Il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, è stato però più morbido, parlando di «finanziamento giuridicamente possibili». E ieri a Stoccolma la commissaria agli Affari Interni Ylva Johansson è apparsa più sfumata. «Gli Stati membri – ha detto - sono quelli che meglio sanno quali sono le misure più efficaci per proteggere le frontiere esterne». Quanto ai soldi, «gli Stati membri hanno tagliato i fondi proposti dalla Commissione per il bilancio 2021-27 per la gestione delle frontiere e la migrazione, se si vogliono finanziare nuove misure bisogna tagliare altrove». E l’Italia? La premier Giorgia Meloni, che all’opposizione chiedeva il “blocco navale” davanti alla Libia, oggi parla di resuscitare la missione navale Ue nel Mediterraneo antiscafisti Sofia (chiusa nel 2020, per volontà dell’allora governo italiano), in particolare la “fase tre” mai attuata, che prevede il pattugliamento nelle acque libiche. Ci vorrebbe il via libera della autorità di Tripoli. (Giovanni Maria del Re - Avvenire)

Eurostat: domande di asilo in aumento

25 Gennaio 2023 -
Roma - Nell’ottobre 2022 le domande di asilo di chi ne fa richiesta per la prima volta sono aumentate del 10% in Europa. Lo comunica Eurostat in una pubblicazione odierna. Lo scorso ottobre 99.175 richiedenti asilo per la prima volta hanno fatto domanda di protezione internazionale negli Stati membri dell’Ue: 8.630 persone in più rispetto al mese precedente, con un aumento del 10%. Rispetto all’ottobre 2021 (59.870), si è registrato un aumento del 66% del numero totale di richieste, mentre è diminuito il numero totale dei richiedenti successivi (persone che hanno ripresentato domanda di asilo dopo che è già stata presa una decisione su una richiesta precedente). Nell’ottobre 2022, i richiedenti successivi erano 6.380 con una diminuzione del 3% (-185 richiedenti successivi) rispetto a settembre 2022. Confrontando il dato con ottobre 2021, si è registrato un calo del 5%.

Migrantes Messina-Lipari-Santa lucia del Mela: per la giunta regionale “governare l’immigrazione è uno spreco”

25 Gennaio 2023 - Messina - Per risparmiare si chiude l’Ufficio Speciale Immigrazione della Regione Siciliana. Lo ha deliberato la Giunta regionale riunita lo scorso venerdì, 20 gennaio, su proposta del governatore Renato Schifani in nome delle “politiche anti-spreco”.
Una decisione che è arrivata nella stessa giornata in cui la dott.ssa Nuccia Albano, assessora alla Famiglia, alle Politiche sociali e al Lavoro, da cui dipende l’Ufficio, con un comunicato stampa aveva annunciato la pubblicazione dell’elenco dei “mediatori culturali”, con la gestione e l’aggiornamento affidato proprio all’Ufficio Speciale Immigrazione (che poche ore più tardi si decide di sopprimere).
Se governare l’immigrazione è ritenuto uno spreco vuole dire privilegiare una visione emergenziale del fenomeno, una narrazione politica che, spesso, si basa su elementi propagandistici e in parte strumentale. Noi riteniamo che lo spreco sarebbe quello di perdere quanto di buono è stato portato avanti dall’Ufficio Speciale Immigrazione nella ricerca, nel confronto, nell’ascolto del territorio, nella progettazione e nella costruzione di una rete tra tutti gli attori coinvolti dal fenomeno della mobilità
umana. (Santino Tornesi - Direttore Migrantes Messina-Lipari-Santa Lucia del Mela)

Migranti morti a Borgo Mezzanone, mons. Pelvi: “sono lavoratori e vanno riconosciuti come persone”

24 Gennaio 2023 -

Foggia - Dopo la morte, la notte tra domenica e lunedì, di Ibrahim e Queen, una coppia di immigrati da Gambia e Ghana che abitavano nel “ghetto” di Borgo Mezzanone, nel foggiano, dove vivono in condizioni di degrado altri 1500 braccianti, il vescovo di Foggia-Bovino, mons. Enzo Pelvi lancia un appello: “Sono lavoratori, hanno bisogno dell’essenziale e di essere riconosciuti come persone”. E invita le Chiese cristiane “a ritrovarsi uniti nella carità” a partire da queste situazioni, cercando di “essere da stimolo e incoraggiamento alle istituzioni locali, per suggerire loro comportamenti virtuosi, perché le emergenze sono tante”. I due trentenni avevano acceso un braciere nella baracca per cercare di riscaldarsi ma sono morti a causa delle esalazioni di monossido di carbonio. “Ieri sera ci siamo riuniti per un incontro di preghiera con evangelici, battisti e ortodossi e cattolici – racconta al Sir monsignor Pelvi -. Il dolore per la morte di questi due giovani ci ha uniti come Chiesa, invitandoci ad assumere una condotta più coerente e a non voltare le spalle alle persone più fragili”. “Foggia non è solo un territorio con tanti problemi", ha aggiunto il presule: "Ci sono anche tanti sforzi e dedizione nella promozione della carità, si stanno creando delle reti virtuose. La carità a partire da un evento luttuoso può essere una strada verso l’ecumenismo" aggiungendo che come accaduto in passato la Chiesa foggiana si preoccuperà di essere vicina alle vittime. 

Commissione Ue: “contribuire a ridurre la migrazione irregolare e non sicura”

24 Gennaio 2023 -
Bruxelles - La Commissione europea propone una strategia per aumentare i “rimpatri efficaci” e accelerarne le procedure. Lo comunica la Commissione Ue in una nota. La strategia si articola in quattro punti: azioni mirate sulle esigenze immediate, comprese operazioni di rimpatrio congiunte in determinati Paesi terzi; accelerazione del processo di rimpatrio; promozione della consulenza e del reinserimento dei rimpatri; digitalizzazione della gestione dei rimpatri. Oggi la commissaria per gli Affari interni, Ylva Johansson, incontrerà la coordinatrice Ue per i rimpatri, Mari Juritsch. La strategia sarà discussa dal Consiglio informale Giustizia e affari interni che si svolgerà in settimana. Un sistema efficace e comune dell’Ue per i rimpatri è “un pilastro di sistemi di migrazione e asilo credibili e ben funzionanti, nonché dell’approccio globale del Nuovo Patto su migrazione e asilo”, sostiene la Commissione. Questo sistema per i rimpatri “dovrebbe anche servire da deterrente per contribuire a ridurre la migrazione irregolare e non sicura”, ha aggiunto l’Esecutivo Ue.

Due migranti intossicati in una baracca, Francescani secolari: “Nessuno sia considerato materiale di scarto” 

24 Gennaio 2023 - Roma - "È tempo di stare con questi fratelli, perché nessuno sia considerato materiale di scarto". E' l'appello che parte dalla rivista  dell’Ordine Francescano Secolare d’Italia, in seguito alla tragedia di ieri avvenuta nello slum di Borgo Mezzanone, nelle campagne del foggiano, dove due lavoratori immigrati africani hanno perso la vita, intossicati da un braciere. Il messaggio giunge, in particolare, da Roberto Ginese, francescano secolare di Foggia e delegato nazionale OFS presso il Forum delle Associazioni Familiari: "Ancora incendi, ancora morti in luoghi così spettrali, che per definirli è necessario far ricorso ad una terminologia del passato – ghetti, inferni, baraccopoli – eppure ancora tristemente presenti nella nostra terra e vicinissimi alla nostre moderne città del primo mondo. Qualcuno le definisce città fantasma, perché, come i fantasmi, sono realtà invisibili finché, in queste drammatiche circostanze, come colpite da un fascio di luci ad infrarossi, riappaiono all’improvviso e occupano spazi tra le pagine patinate di rotocalchi e nelle scarne note di cronaca; ma anche nei distratti commenti sui social e su qualche nostalgico stato di Whatsapp. Poi quel sapore amarognolo va velocemente dissolvendosi, la curiosità finisce, il ghetto ripiomba nel buio e nel freddo, e per illuminare e riscaldare si riaccendono impianti elettrici improvvisati e pericolosi e bracieri insalubri e mortiferi. E si va avanti così, fino alla prossima disgrazia".

Ginese è tra le persone che hanno sfidato paure, pregiudizi e sospetti e hanno iniziato a dare fiducia, a partire dal primo sconosciuto che chiedeva ospitalità, fino ai tanti, odierni, mendicanti di prossimità agli angoli di periferia. Con un frate francescano e un gruppo di francescani secolari, 36 anni fa ha contribuito a fondare la “Casa d’accoglienza Sant’Elisabetta d’Ungheria” struttura che nel 1986 ha avviato l’esperienza dell’accoglienza dedicata a persone indigenti, senza casa e senza sostentamento. Tra loro, fin dall'inizio vi furono, e vi sono ora, numerosi migranti con le loro famiglie, che vengono accompagnati nell’inserimento nel tessuto sociale, con la conoscenza della lingua, corsi di avviamento al lavoro, laboratori artigianali, tirocini  formativi. Alla rivista "Francesco il Volto Secolare" Ginese racconta cosa significhi la morte dei due immigrati, uomo e donna, nel quadro di una situazione di indifferenza, sfruttamento, emarginazione sociale: "Per chi ha avuto la fortuna, il desiderio, la grazia di essere condotto tra questi fratelli, di entrare nelle loro baracche di condividere un pezzetto della loro vita, la morte di Ibrahim e Queen è una tristezza infinita, una perdita enorme, un dolore senza tempo. Ma, insieme, è la conferma di una sola necessità: non si può rimanere indifferenti, non è umano non lasciarsi smuovere dalla tiepidezza salottiera, non è possibile non sentirsi interpellati da 'questo povero che grida'. È perfino indecente, per un cristiano, non provare a fare qualcosa per chi ci è evangelicamente prossimo. È tempo di usare misericordia, di “stare” con questi fratelli, per conoscere le situazioni, per sensibilizzare le coscienze, per spingere la promozione di norme giuste, per sollecitare interventi politici adeguati per cambiare ciò che non è giusto perché «nessun uomo sia oggi considerato materiale di scarto". Per Ginese è "tempo di uscire dal mondo delle comode abitudini delle nostre fraternità, dei rigidi schemi che intrappolano l’intraprendenza dei desideri e riconducono nei solchi della pigrizia. È davvero il tempo del “tutti fuori”, verso quelle periferie ferite dell’esistenza da riempire di umanità e illuminare di speranza. Non è un sogno, è semplicemente la nostra vocazione". (R.Iaria)

Il Centro Astalli rilegge Hannah Arendt

23 Gennaio 2023 - Roma - C’è un libretto scritto ottant’anni fa che parla di oggi, anzi di domani. Dà espressione all’identità dei rifugiati, partendo dal rifiutarne la definizione: a “noi rifugiati” – questo il titolo – non piace essere chiamati ‘rifugiati’. Un annuncio che racchiude la dolorosa scissione di entrare in un Paese nuovo ed essere destinati a rimanervi, non potendo tornare nel proprio, dopo aver perso la casa e la propria piccola realtà familiare, il lavoro e il ruolo nella società, la lingua e la possibilità di esprimersi spontaneamente, i parenti e gli amici, l’intero proprio “mondo privato”. La contraddizione del ricostruirsi nel luogo di destinazione – del vivervi a lungo, dello sforzarsi di chiamarlo casa e di somigliare ai suoi abitanti – e ciononostante di restare stranieri. Visti come diversi, sempre in fondo “indesiderabili”. Sono le prime pagine scritte da Hannah Arendt da rifugiata negli Stati Uniti, nel 1943, dopo la fuga dalla persecuzione nazista in Europa. L’incontro, svoltosi nei giorni scorsi su iniziativa del Centro Astalli al Goethe-Institut di Roma, è stato l’occasione per rileggerle col pensiero al presente. E per scoprire che non raccontano il Novecento, ma il nostro tempo e il futuro, e non descrivono gli esuli ebrei né soltanto i profughi di tutte le religioni, nazionalità, idee, bensì ogni donna e ogni uomo. Con la limpidezza di pensiero della studiosa, e la profondità dell’esperienza personale, Arendt indica la macchia che il rifugiato non riesce a lavare via: qualcosa dev’esserci nel suo passato o nella sua identità, perché si trovi in questa condizione. Il rifugiato legge l’accusa negli occhi dei nuovi vicini, si sente incolpato della propria sfortuna, e reagisce con uno sforzo di assimilazione. Un tentativo di liberarsi del sé e confondersi tra i cittadini di diritto, che tuttavia rimane un’aspirazione impossibile. Il pensiero ebraico influenza la filosofa: lo spiega Benedetto Carucci Viterbi, rabbino e biblista, che ricorda come in ebraico le parole abitare e straniero derivino dalla stessa radice. Il paradosso di Abramo che si presenta ai cananei come ‘straniero residente’ tra loro, sperimentato dagli ebrei nella Storia, coglie l’essenza dello stato di ogni immigrato: che svolge la sua vita in un luogo senza arrivare ad appartenervi mai, differenziato fisicamente, socialmente e giuridicamente, stretto tra barriere di documenti che dovrebbero aprirgli opportunità e invece lo discriminano. Sono gli Stati nazionali ad aver costruito rifugiati, richiedenti asilo e migranti economici, per conservare la propria omogeneità etnica contro il movimento naturale delle persone, ma queste categorie non esistono nella realtà, chiarisce subito Donatella Di Cesare, filosofa e docente, curatrice di una nuova edizione di “Noi rifugiati”. Per questo le parole di Arendt valgono per chiunque sbarchi oggi sulle nostre coste o scenda dai nostri valichi. Anche chi aggira gli stratagemmi di deterrenza delle partenze, si sottrae alla cattura e al trattenimento violenti, si crea la sua strada nella sabbia, nella neve e nell’acqua e riesce infine ad attraversare la frontiera; anche chi, dopo l’ingresso, si sottrae all’irregolarità, evita o supera il passaggio della detenzione amministrativa – che tiene ristretto chi non ha commesso reati e somiglia così tanto all’internamento sperimentato da Arendt in quanto ebrea, nel campo di Gurs sui Pirenei – e si conquista un documento di soggiorno, anche questo immigrato resterà straniero. Non si radicherà, come fosse destinato a portarsi dentro quel confine che ha oltrepassato una volta, nota Padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli. Per questo, il diritto da garantire non è migrare, ma essere accolti. Senza la costrizione ad “integrarsi”, essere accettati con semplicità, ascoltati, ricevere le stesse opportunità dei cittadini per nascita, poter partecipare. Le persone migrano per tante ragioni, spiega Soumaila Diawara – lui, maliano, che lo ha fatto per scampare alla persecuzione politica – ma tutte fuggono dalla prospettiva della mera sopravvivenza. Nel Paese d’arrivo, chi migra cerca il diritto a vivere. A ottant’anni dal manifesto di questo bisogno, la migrazione resta una storia di lontananza nella vicinanza. C’è un modo per rovesciare lo stato delle cose e creare un mondo nuovo, ed è riconoscersi tutti nel “Noi” di Hannah Arendt. Scoprirsi nient’altro che “nudi esseri umani”, tutti ospiti tutti pellegrini, in cerca solo di protezione e della possibilità di una vita piena. (Livia Cefaloni)      

Issaka è morto di clandestinità: la gelida solitudine del portiere

20 Gennaio 2023 - Milano - Gli stenti uccidono sotto un ponte di Milano il giocatore del St. Ambroeus. Queste parole, oggi, sono listate a lutto e hanno un solo argomento: un ragazzo di nome Issaka. Ho guardato e riguardato la figurina del calciatore Issaka Coulibaly. No, non cercatela nella collezione Panini, non la troverete mai, e lui poi, non lo troverete più, l'ha inghiottito una notte gelida e di scighera di questa città, Milano, dove era giunto dal Togo. Posso solo dirvi che Issaka somigliava tanto, per fisico e volto, al fuoriclasse e suo connazionale Emmanuel Adebayor. Ma Issaka faceva il portiere amateur, come quelli che piacciono tanto a papa Francesco (che vorrei tanto conoscesse questa storia di un calciatore triste, sportivo vero anche se mai arrivato nel paradiso del supercalcio), e i gol li evitava, mentre l'altro, Adebayor, di gol ne ha segnati a raffica nella Premier inglese e a 38 anni fa ancora il bomber in qualche parte del mondo. A differenza di Adebayor, Issaka Coulibaly, non è diventato milionario con il calcio, ma il calcio è stata comunque la sua grande passione e lo ha arricchito nella sua breve vita terminata con un triplice e tragico fischio anticipato, a soli 27 anni. Il pallone e i guanti gli sono serviti giusto il tempo di allontanare per un po' la solitudine del portiere, a deviare in angolo i tiri mancini della miseria fino al gol finale della morte che ha insaccato nella porta vuota della sua povera esistenza. È morto di stenti e di freddo, Issaka, sotto un ponte della civilissima Milano, capitale riconosciuta della moralità e dell'accoglienza. Sarà ancora così caro vecchio Enzo Jannacci che cantavi El portava i scarp del tennis? Mah. Il portiere Issaka in campo portava gli scarpini tacchettati di gomma. Al margine della società, ma almeno lì, in campo, il numero 1: fortissimo, per chi lo aveva avvistato dalle parti del Pini, l'ex manicomio, per il torneo estivo dove era stato il migliore e aveva fatto vincere la sua squadra con quei tuffi da gatto nero dei pali. Questo raccontano quelli che hanno avuto il piacere di vederlo e di giocarci assieme, nel St.Ambroeus, la prima formazione milanese interamente composta da rifugiati e richiedenti asilo politico. Una morte annunciata come il risultato di un posticipo di una gara di dilettanti: Issaka è stato ritrovato cadavere, in un capannone di via Corelli, il 25 novembre scorso e la notizia l'abbiamo appresa solo ora, su Facebook, grazie a qualche amico di buon cuore che sa che la memoria di cuoio, qui sotto la Madonnina, non è fatta solo di Supercoppe nerazzurre e di luci rossonere a San Siro. Un amico di Issaka ha avuto la bontà di scrivere un tenero ricordo e di chiosare con una denuncia che suona come uno schiaffo per tutti noi, calciofili accecati solo dalla luce delle stelle milionarie e dalla futilità di un quotidiano clamore sotto i riflettori di questo Skyline italiano: « Issaka è morto di freddo e di clandestinità ». E forse prima di morire sì, « El purtava i scarp de tennis, el parlava de per lü». (Massimiliano Castellani - Avvenire)

Quei volti che guardano al futuro: una mostra a Milano del Centro Astalli

19 Gennaio 2023 - Milano - Venti pannelli ad altezza d' uomo, ciascuno raffigurante un giovane rifugiato che guarda negli occhi chi gli si avvicina. È "Volti al futuro, con i rifugiati per un nuovo noi", la mostra itinerante realizzata dal Centro Astalli di Roma, che verrà inaugurata domani nella Comunità di Villapizzone. Gli scatti, realizzati dal fotografo Francesco Malavolta, celebrano i primi 40 anni del Centro Astalli, la sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, un' organizzazione nata nel 1980 su intuizione di padre Pedro Arrupe. La filosofia alla base di questa forma di accoglienza si poggia su tre parole: accompagnare, nel senso di farsi compagni di strada dei rifugiati cercando di capire i loro bisogni; servire, cioè mettersi al servizio delle loro esigenze; e infine, difendere, quindi spendersi per i loro diritti. E proprio per rendere questi obiettivi alla portata e all' attenzione di tutti è stata ideata questa mostra fotografica, il cui titolo gioca sull' omografia fra vòlti, nel senso di rivolti al futuro, che può essere interpretato come un monito a noi che dobbiamo guardare a un futuro di convivenza più che a una politica dell' oggi, e vólti, i volti raffiguranti i venti rifugiati che guardano anch' essi a un futuro migliore. A essere rappresentati sono venti ragazzi, fra i 20 e i 30 anni, che sono stati o sono ancora ospiti del Centro Astalli: tutti sorridenti, sono in piedi e alle loro spalle lo sfondo è sfocato ma permette di intuire un contesto cittadino. «Lo sfondo sfocato della città è simbolo del processo di integrazione in divenire, un processo che spesso per ragioni politiche e burocratiche si realizza a fatica. Il fatto che i pannelli siano ad altezza d' uomo vuole dare l' idea che quei rifugiati noi li abbiamo di fronte, sono volti in cui specchiarsi e con cui confrontarsi»: padre Camillo Ripamonti è il presidente del Centro Astalli, nonché uno degli organizzatori della mostra. Il messaggio che vuole lanciare con queste fotografie è quello di riportare al centro i rifugiati e camminare con loro: «Spesso i rifugiati sono considerati numeri o problemi, noi vogliamo far capire che sono prima di tutto persone che camminano con noi e che con noi vogliono costruire un futuro che sia bello per tutti». La mostra è stata pensata per ricordare i 40 anni di attività del Centro Astalli, non una festa autocelebrativa ma un momento di memoria per un' organizzazione che in questi anni ha accolto e integrato quasi 20mila rifugiati. Un numero, il 40, che oltre a simboleggiare un lungo percorso, ricorda anche i 40 anni di cammino del popolo di Israele nel deserto. È proprio questa l' immagine scelta da Papa Francesco nell' introduzione che ha donato a questa mostra: «Quaranta, nella Bibbia, è un numero significativo che ha molti rimandi, ma certamente pensando a voi mi viene in mente il popolo di Israele che per 40 anni cammina nel deserto, prima di entrare nella terra della promessa. Anche gli ultimi quarant' anni della storia dell' umanità non sono stati un progredire lineare: il numero delle persone costrette a fuggire dalla propria terra è in continua crescita. In questi quarant' anni e in questo deserto, tuttavia ci sono stati tanti segni di speranza che ci permettono di poter sognare di camminare insieme come un popolo nuovo "verso un noi sempre più grande"». L' augurio con cui il pontefice conclude la sua introduzione è che si possa realizzare finalmente una «cultura dell' incontro», che si possa progettare qualcosa che coinvolga tutte le persone, non solo i volontari. È questo uno dei motivi per cui si è scelto di creare una mostra che fosse itinerante: nel suo viaggiare fra città come Milano, Roma, Padova o Grumo Nevano, in provincia di Napoli - tutte città che ospitano una succursale del centro Astalli - è diventata di volta in volta parte integrante della struttura che l' ha ospitata, andando a fondersi completamente con lo spirito di accoglienza del luogo. La speranza di padre Camillo è che questi venti pannelli continuino a raccontare la loro storia anche quando il loro viaggio sarà concluso: le foto verranno infatti donate ai centri dove sono nate, si potranno spostare, potranno costituire nuovi nuclei o, perché no, essere donate alle scuole. (Rachele Callegari)