19 Novembre 2024 - È intervenuto anche l'arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana, il card. Matteo Zuppi al convegno online “Migranti e vulnerabilità. Sfruttamento lavorativo e caporalato” promosso dalla Fondazione Migrantes. L'organismo pastorale dei vescovi italiani, infatti, da qualche anno propone un percorso di formazione giuridica per gli operatori pastorali affidato alla professoressa Paola Scevi, direttrice del Master in Diritto delle Migrazioni nell'Università degli studi di Bergamo.
L'incontro di ieri, introdotto dal direttore generale della Fondazione Migrantes, mons. Pierpaolo Felicolo, ha riguardato il tema della dignità del lavoro e del contrasto ai delitti di schiavitù, servitù, tratta e caporalato, che attualmente sono trattati in modo differente dal nostro ordinamento giuridico.
Il fenomeno del caporalato spesso è poco conosciuto perché nascosto o camuffato. "Molti dicono 'da noi non c'è'..." Così ha esordito il card. Matteo Zuppi, nel suo intervento di apertura su “La dignità del lavoro, la disumanità del caporalato”. Il centro della prima parte del suo intervento è stato sull'importanza della cultura, in questo caso giuridica, per "servire, amare meglio i più poveri".
Facendo un paragone sull'importanza dell'esegesi biblica per attualizzare ogni giorno e per ogni singola storia differente ciò che la Parola di Dio ha da dirci oggi, concretamente, il card. Zuppi ha voluto sottolineare che senza gli strumenti culturali necessari, anche l'azione pastorale della Chiesa è meno efficace, nel tentativo di rimuovere le cause dei fenomeni che affrontiamo. A tal proposito ha fatto riferimento alla "pericolosa vulgata intorno agli stranieri" sottolineando che oggi sul tema migrazione “c’è una pericolosa, ignorante intolleranza”. Tornando al tema del caporalato, il presidente della Cei ha ribadito che la sola repressione, quando ci sono i controlli, "non basta e non risolve, e anzi rischia di rendere ancora più sommerso il fenomeno". E ha sottolineato che, sebbene siano soprattutto i migranti vittime di questa pratica, "non si tratta di una questione che deve riguardare solo la Fondazione Migrantes", ma tutta la Chiesa.
A seguire, una vera lezione, dal punto di vista giuridico – “I contrasto dei delitti di schiavitù, servitù e sfruttamento del lavoro” – della professoressa Scevi, che si è concentrata in particolar modo sulle implicazioni del nuovo art. 18-ter introdotto nel Testo Unico sull'Immigrazione (TUI), che prevede la concessione di un permesso di soggiorno speciale ai migranti, vittime di caporalato, qualora collaborino con le autorità; e sulla questione dei cosiddetti "Paesi sicuri", oggetto di un contenzioso tra Governo e magistratura in seguito all'apertura del nuovo centro di permanenza per il rimpatrio dei migranti richiedenti asilo, attivato in Albania.
Nel corso del suo intervento, la professoressa Scevi ha osservato che anche il traffico di migranti può essere caratterizzato dalla strumentalizzazione della condizione di vulnerabilità, al pari della tratta, e sovente ha luogo in condizioni di pericolo e di degrado, con gravi abusi dei diritti umani: "Sovente il migrante che intraprende il suo viaggio nell'ambito di una attività di favoreggiamento dell'immigrazione illegale diviene vittima di forme di sfruttamento, financo di schiavitù o di servitù". Scevi ha evidenziato che, nonostante questo quadro analogo ad altre fattispecie, "tuttavia ai migranti trafficati non viene riconosciuta la condizione di vittime". E quindi non possono avvalersi delle protezioni previste dall'ordinamento in altri casi.
[caption id="attachment_50190" align="aligncenter" width="1024"] (foto: Lance Cheung / USDA)[/caption]