Primo Piano
Papa Francesco: “vicino al popolo del Marocco, colpito da un devastante terremoto”
Terremoto in Marocco: la vicinanza della Fondazione Migrantes anche ai migranti marocchini presenti in Italia
Viminale: da inizio anno sbarcate 115.368 persone migranti sulle coste
Card. Lojudice: l’immigrazione “non può più essere sinonimo di emergenza”
Migrantes Asti: dal 23 al 30 settembre il Festival dei Popoli
Migrantes Reggio Emilia-Guastalla: il 26 settembre pellegrinaggio di preghiera sulla spiaggia di Cutro
Migrantes Salerno – Campagna – Acerno: oggi la “Consulta dei Popoli” con la firma della Carta dei Valori
Migrantes: da domani il convegno degli operatori pastorali con i Rom e sinti
La cittadinanza? Aiuta a imparare…
Milano - La scuola italiana perde studenti e non riesce a valorizzare compiutamente i talenti di quelli che ha. Mentre le vacanze volgono al termine (per gli studenti dell’Alto Adige la prima campanella dell’anno è già suonata martedì, mentre in questi giorni le lezioni riprenderanno un po’ dappertutto), un Rapporto di Save the children alza il velo su un aspetto del nostro sistema d’istruzione non sufficientemente considerato nel discorso pubblico: la condizione di svantaggio in cui versano oltre 800mila studenti con cittadinanza non italiana, pari al 10,6% dell’intera popolazione scolastica. Così, mentre quest’anno in prima elementare ci saranno 71mila bambini e bambine in meno rispetto all’anno scorso, gli studenti figli di immigrati dovranno ancora lottare contro una legge sulla cittadinanza che non li riconosce come italiani, nonostante per il 67,5% siano nati nel Bel Paese. Da qui la campagna di Save the children, “Cittadinanza italiana per i bambini nati o cresciuti in Italia. È il momento di riconoscere i loro diritti!”, che, sotto forma di petizione, chiede a governo e Parlamento di «riformare la legge sulla cittadinanza e consentire a bambine, bambini e adolescenti nati in Italia o arrivati nel nostro Paese da piccoli, figli di genitori regolarmente residenti, di diventare italiani prima del compimento della maggiore età». Perché, osserva il Rapporto, «il mancato riconoscimento della cittadinanza italiana ha un impatto sul successo scolastico e segna il loro percorso di crescita e di formazione rispetto ai coetanei». Nel nostro Paese, si legge nel Rapporto “Il Mondo in una classe. Un’indagine sul pluralismo culturale nelle scuole italiane”, solo il 77,9% dei bambini con cittadinanza non italiana è iscritto e frequenta la scuola dell’infanzia (percentuale che sale all’83,1% per i nati in Italia) contro il 95,1% degli italiani, sperimentando così, fin dai primi anni di vita, percorsi scolastici e educativi diversi, che incidono sui risultati e sulle opportunità future. Tra gli studenti con background migratorio, si registrano maggiori ritardi scolastici, casi di dispersione e abbandono scolastico. Mentre gli studenti di origine italiana in ritardo nell’anno scolastico 2021/22 rappresentavano l’8,1%, quelli con cittadinanza non italiana erano il 25,4%, con un divario che diventa ancora più allarmante nella scuola secondaria di II grado (16,3% contro il 48,4%). Le disuguaglianze si rilevano anche negli apprendimenti, prosegue il Rapporto: al termine del primo ciclo di istruzione la percentuale degli studenti che non raggiungono le competenze adeguate in italiano, matematica e inglese (secondo i dati Invalsi del 2023) tra gli immigrati di prima generazione è doppia (26%) rispetto agli studenti italiani o stranieri di seconda generazione. A gravare sul percorso educativo dei minori immigrati, anche le condizioni di povertà economica – con un’incidenza del 36,2% della povertà assoluta tra le famiglie con minori composte esclusivamente da stranieri (per le famiglie composte solo da italiani si ferma all’8,3%, per quelle miste arriva al 30,7%) - e l’impatto della pandemia, che ha in molti casi comportato l’interruzione dell’insegnamento della lingua italiana e delle attività extrascolastiche, la mancanza di dispositivi tecnologici per seguire le lezioni, la mancanza di occasioni di socialità e di rapporto scuola- famiglia. «Gli studenti immigrati non beneficiano delle stesse opportunità dei loro coetanei italiani - denuncia Daniela Fatarella, Direttrice Generale di Save the Children -. Per questo, sono necessari interventi e politiche ampie che sostengano nella scuola e nella società le opportunità date da una società multiculturale e consentano di far fiorire i talenti di tutte le studentesse e gli studenti, cosa di cui, peraltro, il nostro Paese ha un enorme bisogno per il suo sviluppo». Proprio per favorire il percorso scolastico e di vita dei figli di famiglie immigrate, Save the children chiede la modifica della legge sulla cittadinanza, vecchia di trent’anni. «Da troppo tempo l’Italia attende una riforma legislativa che riconosca piena cittadinanza ai bambini e alle bambine che nascono o giungono da piccoli nel nostro Paese, rafforzando così il senso di appartenenza alla comunità nella quale crescono e spingendo in avanti le loro aspirazioni per il futuro - ricorda Raffaela Milano, direttrice Programmi Italia Europa di Save the children -. È un’opportunità che il nostro Paese non può perdere. L’impegno a favore dei percorsi scolastici degli studenti con background migratorio - prosegue Milano - deve inserirsi, a pieno titolo, in un piano di contrasto a tutte le gravi disuguaglianze educative che oggi pregiudicano il futuro dei bambini: le disuguaglianze territoriali, quelle legate alla condizione economica delle famiglie, quelle relative al genere, in particolare per l’accesso delle bambine alle discipline scientifiche. Il superamento delle disuguaglianze educative va messo al centro degli interventi previsti dal Pnrr, così come dei fondi ordinari e della nuova programmazione europea. Un intervento organico e strutturale a sostegno delle scuole e dei territori che affrontano giornalmente questa sfida è la strada per assicurare una scuola “aperta a tutti”, come recita la Costituzione». (Paolo Ferrario - Avvenire)
Chiamati ad educare
Padova: da oggi il LetteraMondo Fest!
Card. Parolin evidenzia il ruolo delle comunità ucraine negli aiuti alla popolazione
Mons. Tomasi in visita al centro di accoglienza all’ex caserma Serena: “un incontro tra fratelli e sorelle”

Nord Est: l’hotspot si farà (ma non subito)
Trieste - Avanti, dunque, con l’accoglienza diffusa. Da Trieste a Treviso. Anche se la cosa fa discutere. A Muggia, l’ultima cittadina sul confine con la Slovenia, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi conferma l’hotspot, ma – premette – se ci saranno le condizioni imprescindibili. Il tema «era in agenda - ha detto - perché se ne parlasse e se ne discutesse. Lo faremo rispettando tutte le sensibilità». Dall’altra parte del Nord Est, intanto, il vescovo di Treviso, monsignor Michele Tomasi, va in visita all’ex caserma Serena dove incontra 600 profughi insieme al sindaco Mario Conte. E al primo cittadino (leghista, presidente veneto dell’Anci) viene consegnato un elenco di 50 nominativi pronti a mettersi in gioco con qualche lavoro. Pieno il sostegno della diocesi, con lo stesso vescovo che conferma la disponibilità delle parrocchie a cercare in proprio forme di accoglienza.
L’ipotesi hotspot, dunque, frena, sia in Friuli Venezia Giulia che in Veneto. Dopo le contestazioni legate alla possibile scelta di Jalmicco, in Friuli, presso un’ex caserma, l’inquilino del Viminale mette le mani avanti: «Adesso vedremo - ha detto infatti -, ma l’importante è raccogliere le preoccupazioni dei territori, anche se tutto viene fatto nella logica di gestire i flussi al meglio. Questo non è un territorio abbandonato». Sarebbe quindi meglio realizzare le strutture nelle zone di confine, come Trieste? «Sì, le zone di confine sono di valenza nella gestione del fenomeno, però bisogna trovare compatibilità sia di strutture che di luoghi». E’ dunque un progetto imminente – insistono i giornalisti - quello dell’hotspot? «Era ed è in agenda per la discussione» ha risposto il ministro. Accanto a lui, il presidente della Regione, Massimiliano Fedriga, si è limitato a sollecitare che i profughi vengano tolti dalle strade e dalle piazze per una sistemazione finalmente dignitosa. A Treviso, intanto, il sindaco Conte si è visto consegnare dal presidente della Cooperativa “Nova facility”, Gianlorenzo Marinese, che dal 2015 si occupa dell'accoglienza dei profughi presenti all’ex caserma Serena una lista di migranti con indicate le loro competenze lavorative ed esperienze: un modo per far incontrare domanda e offerta di lavoro e arrivare così ad una vera integrazione degli ospiti. Confindustria ed altre categorie economiche hanno già dimostrato la loro disponibilità. L’idea è quella di realizzare una sorta di ufficio di collocamento all'ex Serena. «Dietro queste mura si vede un'ordinata convivenza di persone che ricevono accoglienza, viene rispettata e favorita la loro dignità» ha riconosciuto il vescovo Tomasi che era presente col sindaco. «Cercano di fare il possibile, insieme, per un futuro migliore, per loro e le loro famiglie: è un momento colorato di vita, per me è stato davvero importante venire qui perché è una realtà della Diocesi che è bene che ci sia. E' bene che ci sia l'accoglienza, poi le forme sono tante, dobbiamo aiutarci tutti davvero per essere persone che imparano ad essere fratelli e sorelle di tutti. La fraternità è un impegno, ma è possibile. Non è uno scherzo per nessuno essere qui, ma la maggior parte delle persone vuole imparare e avere la possibilità di farlo». Il prossimo 20 settembre una delegazione di migranti della “Serena” sarà in Vaticano per incontrare papa Francesco. (Francesco Dal Mas - Avvenire)