Primo Piano
Firmato un Memorandum per l’inclusione socio-economica dei rifugiati
Nasce il Primo Coordinamento Italiano delle Diaspore: oggi la presentazione a Roma
Primi due click day: già 320mila richieste
Giubileo: i “rosari del mare” opera di migranti tra le iniziative sociali
Roma - «Gratuità, giustizia, perdono». Sono queste le tre parole tipiche che «risuonano nell’anno giubilare». Lo ha ricordato il cardinale Mauro Gambetti, arciprete della basilica vaticana, vicario generale del Papa per la Città del Vaticano e presidente della Fabbrica di San Pietro, nella conferenza stampa di presentazione delle «azioni di carattere sociale» della basilica di San Pietro in preparazione al Giubileo. Due in particolare, rivolti a persone rifugiate e carcerate: i “Rosari del mare”, in collaborazione con la Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti, e un programma di reinserimento lavorativo di detenuti, in collaborazione con l’Associazione Seconda Chance. Il progetto "Rosari del mare" impiega persone rifugiate nella produzione di rosari destinati all'acquisto da parte dei pellegrini che giungono nella Basilica di San Pietro. Il materiale utilizzato per i rosari è il legno delle imbarcazioni dei migranti che hanno attraversato il Mediterraneo per raggiungere le coste italiane in cerca di salvezza. I rosari vengono completati e assemblati presso la Fabbrica di San Pietro da due persone rifugiate, assunte dalla Cooperativa sociale Casa dello Spirito e delle Arti, il cui presidente e fondatore è Arnoldo Mosca Mondadori, e vengono consegnati ai negozi della Basilica di San Pietro. Le fasi precedenti del lavoro si svolgono in alcuni istituti penitenziari di Milano, Monza e Roma. A Milano Opera, due persone smontano le barche e preparano il legno per le diverse parti che comporranno il rosario. Le croci vengono realizzate presso la Casa Circondariale di Monza e il Carcere di Rebibbia. Una piccola parte del lavoro viene inoltre svolta da persone senza fissa dimora presso l'Opera Cardinal Ferrari di Milano. Il primo rosario prodotto è stato donato al Papa. Il ricavato della vendita dei rosari sostiene le persone rifugiate e detenute.
Gambia-Civitavecchia: l’odissea di Alieu
Civitavecchia - Alieu, 17 anni, viene dal Gambia, da dove è partito a 13 anni, e ha provato tre volte a imbarcarsi in Libia per arrivare in Italia. Ha pagato ogni volta. Ma ogni volta è stato fermato, arrestato e sbattuto in una prigione/lager libica. «È stata un’esperienza molto dolorosa. Mi picchiavano per avere soldi e il cibo era poco e cattivo». Al quarto tentativo Alieu ce l’ha fatta. Era il 16 febbraio, dopo 6 ore di navigazione la barca con 110 persone è stata soccorsa dalla Life Support di Emergency. Porto di sbarco assegnato Civitavecchia, altri 3 giorni di navigazione, dove sono arrivati il 19 febbraio scorso. Lo abbiamo incontrato della sede della Comunità “Il Ponte” di Civitavecchia, fondata 45 anni fa da don Egidio Smacchia, uno dei sacerdoti che per primi capirono il dramma della droga e si rimboccarono le maniche con fatti concreti, operando sulla strada. Dal 2017 don Egidio non c’è più, ma continua la sua opera accanto ai più fragili, dai tossicodipendenti ai giocatori d’azzardo patologici, dalle mamme con minori ai malati di Aids. Non solo per risolvere i problemi ma per prevenirli, soprattutto per i più giovani. Tre strutture residenziali, una di accoglienza per minori con 24 ragazzi, una comunità sempre per minori che ne ospita altri 40, una per donne con minori con 10 mamme con altrettanti figli. E poi l’ultimo sogno di don Egidio, la casa “Formica” inaugurata nel 2018, che segue famiglie e adolescenti, inviati dai servizi sociali e dal tribunale, circa 80 utenti, compreso uno sportello di informazione e cura per l’azzardo, oltre a un ostello gestito da donne che hanno completato il percorso. Davvero una bella realtà. Da febbraio ospita anche i minori non accompagnati, rispondendo alla richiesta dell’amministrazione comunale dopo gli sbarchi delle navi Ong costrette a raggiungere il porto laziale. «Abbiamo risposto di sì ma abbiamo capito che potevamo fare più della sola accoglienza, cioè costruire con loro per integrarsi». Così agli 8 ragazzi attualmente ospitati (in questi mesi sono stati 17) hanno fatto alfabetizzazione, sport, sia in palestra che in piscina («Alcuni non sanno nuotare»). Con la collaborazione di alcune associazioni sportive. Tante occasioni per fare nuove amicizie, anche come animatori dei campi estivi che “Il Ponte” organizza. «Non c’è nessuna discriminazione». E appena avranno imparato l’italiano si partirà con iniziative di introduzione al lavoro. Alieu l’italiano lo ha già imparato bene, conosce 7 lingue, inglese, francese e vari idiomi africani. «È molto intelligente, lo chiamiamo “capo famiglia” perché non sgarra mai, è il più preciso», ci raccontano Gabriella e Veronica, la prima responsabile di “Formica”, la seconda dell’accoglienza dei minori immigrati. A seguire i ragazzi è Riccardo che da ospite del “Ponte”come dipendente da sostanze, ora è diventato operatore dell’associazione. «Con loro è stato amore a prima vista. Ormai sono parte di loro, sono il fratello maggiore. Alieu come tutti i ragazzi gambiani è molto educato, rispettano le regole». Ma torniamo a Alieu che con un ottimo italiano ci racconta la sua lunga storia, lunga malgrado la giovane età. Comincia a lavorare a 11 anni come piastrellista. «Tanti bambini lavorano in Gambia, lavorano tutto il giorno ma vengono pagati poco». Così Alieu a 13 anni parte in autostop. Prima tappa il Senegal, dove resta 2 mesi, sempre facendo il piastrellista. Poi riparte. «Ho fatto un lungo viaggio nel deserto, in auto e a piedi. Anche 10 ore di notte per evitare le ore più calde». Arriva così in Libia, dove rimane 3 anni. Prova a partire ma viene bloccato. Si fa 6 mesi di carcere a Zawiya, altri 3 mesi a Tripoli, e un mese e mezzo nuovamente a Zawiya. Violenze, cibo scarso e pessimo, nessuna possibilità di contattare la famiglia. Poi grazie a “un poliziotto arabo”, sale sulla barca giusta, in tutto 110 persone. «I trafficanti sono libici, gli scafisti somali», ci rivela. Per fortuna dopo poche ore viene soccorso da Emergency. «Quando ho visto la nave sono stato molto contento», sorride ricordando quel momento di 10 mesi fa. Poi dopo 3 giorni l’arrivo a Civitavecchia. «Ho chiamato casa da qui, non sentivo la mia famiglia da più di un anno. Ormai pensavano che fossi morto». Ora, assicura, «sono molto contento di essere qui. Voglio restare in Italia » sorride, raccontandoci che fa il tifo per la Roma. Gli chiediamo se ha saputo della strage di Cutro. «L’ho saputo e ho pensato che siamo stati fortunati». Ma non cambierebbe le sue scelte. «Ho provato a partire quattro volte perché la Libia è molto più pericolosa. Sapevo che il viaggio in mare era pericoloso ma in Libia la morte era sicura». Ora invece è tranquillo, e anche la sua famiglia. «Abbiamo sentito la mamma al telefono, ci dice sempre “grazie”, non sono più preoccupati. E noi le diciamo che sono bravi ragazzi», ci raccontano gli operatori. Un clima sereno dopo tante sofferenze, un clima di amicizia. «Tutti i venerdì vanno a pregare ma partecipano anche alle nostre celebrazioni. E alla fine del Ramadan hanno pranzato coi ragazzi italiani, cucinando loro. E alla fine si sono alzati e hanno ringraziato di aver condiviso la festa». E gli italiani li chiamano già con soprannomi: Cous cous, Bax, Sixnine, Giallo e Al, ovviamente Alieu. (A.Maria Mira - Avvenire)
Il Presepio
Click day: picco di domande per le badanti
Londra: giro di vite sull’arrivo di stranieri
Cei: più di 11 milioni di euro per sostenere donne, bambini e poveri
La Chiesa italiana sceglie la strada dell’incontro con l’umanità
Roma - Viviamo un momento storico inedito. Le tante incertezze stanno svelando il volto molteplice delle povertà in Italia e nel mondo. La sfida è sempre quella: ascoltare le grida d’aiuto o voltarsi dall’altra parte? La Chiesa italiana – e questo è innegabile – continua a scegliere la strada che porta all’incontro con l’umanità. E lo fa in una misura che non ha eguali nel Paese, con esperienza e con intelligenza. Metterlo in discussione è disonestà allo stato puro. Così come rappresentare le Chiese in Italia allo sbando o in mani di chi non si sa, proprio come sta avvenendo in questi giorni su alcuni organi d’informazione e blog. È un’immagine talmente fuori dalla realtà da suscitare una serie di interrogativi sui veri obiettivi: se ci sono, quali sono? (SIR)

Migrantes Aosta: il 6 dicembre la presentazione dei Rapèporto Immigrazione e Italiani nel Mondo
Migrantes: il 13 dicembre la presentazione del Report 2023 “Il Diritto d’Asilo”
Vigilare, pronti ad accogliere Gesù
Città del Vaticano - È dalla cappella della residenza di Santa Marta che Papa Francesco, anche questa domenica, ha espresso la sua preoccupazione per la “grave situazione” del conflitto tra Israele e la Palestina. Nel discorso preparato per l’Angelus, letto da monsignor Paolo Baida, il Papa si dice addolorato per la rottura della tregua: “ciò significa morte, distruzione e miseria”. Si sofferma sulla situazione degli ostaggi, “molti sono stati liberati ma tanti sono ancora a Gaza”; 110 quelli rilasciati da Hamas, ma nella striscia ci sono ancora 137 persone: “pensiamo a loro, alle loro famiglie che avevano visto la luce, una speranza di abbracciare i loro cari”. Nelle parole lette dal suo collaboratore, Francesco esprime ancora sofferenza perché a Gaza mancano i beni di prima necessità; di qui l’appello affinché si trovi un accordo per un nuovo cessate i fuoco, trovando “soluzioni diverse rispetto alle armi, provando a percorrere vie coraggiose di pace”. In questa domenica la prima del tempo di Avvento, il Vangelo ripropone il verbo vegliare, come già nelle ultime domeniche del tempo ordinario. È, questo tempo, un cammino che ci chiama ad avere attenzione ai segni perché ogni relazione, ogni avvenimento nella nostra quotidiana esistenza sia l’attesa di un incontro di un volto. Certo poche settimane e avremo anche la gioia della festa, ma attenzione, sembra dirci questo tempo, a non dimenticare, tra luci e doni, chi è il festeggiato. Un cammino l’Avvento che ci fa riscoprire il senso del tempo perché, come ricordava Benedetto XVI, “Dio ci dona il suo tempo, ha tempo per noi…perché è entrato nella storia con la sua parola e le sue opere di salvezza, per aprirla all’esterno, per farla diventare storia di alleanza”. Torniamo al verbo vigilare, e Francesco spiega che la vigilanza “non è fatta di paura” di un castigo imminente, ma “di desiderio” dei servi di andare incontro al padrone. La parabola è chiara: il servo nella Bibbia è persona di fiducia cui il padrone ha affidato i suoi beni. Servo di Dio è Mosè; serva del Signore è Maria. Vigilare allora significa per il vescovo di Roma tenersi pronti ad accogliere il Signore “nel Natale che celebreremo tra poche settimane; alla fine dei tempi, quando tornerà nella gloria; ogni giorno mentre egli ci viene incontro nell’eucaristia, nella sua parola, nei fratelli e sorelle, specialmente nei più bisognosi”. Forse è necessario, in questo tempo segnato dall’attesa, inserire anche la preoccupazione per il futuro del Pianeta. A Dubai proseguono i lavori della Cop28 ai quali avrebbe voluto essere presente Francesco, bloccato in Vaticano a causa di una bronchite acuta. Comunemente diciamo che abbiamo ricevuto in dono dai nostri padri e per questo dobbiamo proteggere il creato; le popolazioni native dell’America invece dicono che l’ambiente, il mondo lo abbiamo ricevuto in prestito dai nostri figli: un’affermazione che cambia profondamente la prospettiva, il modo di vedere le cose. Nelle parole dopo la preghiera mariana il Papa rinnova il suo appello affinché “ai cambiamenti climatici si risponda con cambiamenti politici concreti”. Usciamo, scrive, “dalle strettoie dei particolarismi e dei nazionalismi, schemi del passato, e abbracciamo una visione comune”. Nel messaggio inviato alla Cop28, che a Dubai è stato letto dal cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, Francesco sottolinea l’urgenza di un impegno che riguarda “tutti e ora, senza rimandare”, per favorire e sostenere “una necessaria conversione ecologica globale”. Un pensiero infine all’attentato compiuto nel Sud delle Filippine dove sono morte quattro persone e una quarantina sono rimaste ferite a seguito di una esplosione: “desidero assicurare la mia preghiera”, è il messaggio di Papa Francesco che esprime vicinanza “alle famiglie, al popolo di Mindanao, che già tanto ha sofferto”. (Fabio Zavattaro - Sir)
Papa Francesco: Angelus I° domenica di Avvento
Migrantes Cesena-Sersina: domenica il ritiro di Avvento delle comunità migranti
Cesena - L’ufficio diocesano Migrantes della diocesi di Cesena-Sersina propone per domenica 3 dicembre il ritiro di Avvento per i migranti. L’appuntamento è per le 15,30 nella chiesa di San Domenico, in centro a Cesena. Il parroco don Firmin Adamon approfondirà il tema della bellezza della vita cristiana alla luce della Grazia della fede. Al termine ci sarà lo scambio degli auguri all’interno di un momento di fraternità.
Vangelo Migrante: Domenica 3 dicembre – I di Avvento (Vangelo Marco 13,33-34)
Dl migranti: ieri l’ok definitivo dal Senato
Decreto flussi al via con boom di richieste
Milano - La prima tornata di pratiche del maxi decreto flussi, varato nei mesi scorsi dal governo, è al nastro di partenza. Fra domani, sabato 2, lunedì 4 e martedì 12 dicembre avranno luogo i primi tre click day previsti dal ministero dell’Interno, relativi alla tranche iniziale di ingressi regolari per lavoratori stranieri – 136mila, su un totale di 452mila in un triennio – autorizzati a entrare in Italia per svolgere le mansioni previste dai contratti di chi li assumerà. E le proiezioni di queste ore fatte dal Viminale, confermano ciò che il mondo datoriale e le associazioni del terzo settore dicono da tempo: le richieste di imprenditori e datori di lavoro privati, nel caso di colf e badanti, è assolutamente superiore alle quote stabilite dal governo.
Per agevolare le operazioni durante le giornate del click, l’Interno ha infatti dato possibilità a chi volesse – fra il 30 ottobre e il 26 novembre – di compilare in anticipo i moduli di domanda, tramite il “Portale Servizi ALI”. Ebbene, al termine della fase di precompilazione, sono state inserite 607.904 istanze, un numero oltre 4 volte superiore a quello dei 136mila ingressi 2023 e perfino più grande dei 452mila stabiliti in tre anni. Fra queste, 253.473 richieste sono relative al “lavoro subordinato non stagionale” (a fronte di 52.770 posti), 260.953 relative al “lavoro stagionale” (82.550) e ben 86.074 al “settore dell’assistenza familiare e socio-sanitaria”, a fronte di soli 9.500 posti per colf, badanti e baby sitter disponibili. Insomma, benché ampie, le quote fissate dall’esecutivo risultano nei fatti lontane dalle esigenze reali del sistema produttivo del Paese e del welfare privato sociale, per così dire, con cui i cittadini cercano di dare risposte alle necessità di familiari anziani o dei propri bambini. Un affare per l’erario. E una sanatoria “mascherata”. A ben guardare, e al netto della retorica politica e dei diversi punti di vista, il meccanismo messo in moto dai click day può essere visto come un prisma dalle molte facce: per le casse dello Stato è obiettivamente un buon affare; per le famiglie diventa una buona occasione per accendere o regolarizzare rapporti di lavoro; e in fondo, anche se il governo di centrodestra non lo ammetterebbe mai, diventa di fatto uno strumento per introdurre una limitata sanatoria di immigrati irregolari (già presenti sul territorio nazionale da tempo come lavoratori in nero ma privi finora della possibilità di emergere) senza esplicitarlo politicamente. Le stime dei datori di lavoro. Proviamo a fare qualche conto. Secondo i calcoli elaborati dall’Osservatorio sul lavoro domestico di Domina, una delle maggiori associazioni datoriali, la sola assunzione di 9.500 tra colf, badanti e baby sitter stabilita dal decreto flussi per il 2023 (altrettante ne sono previste per il 2024 e il 2025, ma abbiamo visto che le sole domande per quest’anno sono quasi dieci volte i posti consentiti) determinerà maggiori entrate nette per 16,2 milioni di euro. Il calcolo è stato effettuato tenendo conto che la retribuzione del nuovo lavoratore non potrà essere inferiore al minimo previsto per l’assegno sociale (503,27 euro mensili) e ipotizzando che i guadagni dei lavoratori si distribuiscano solo nelle prime tre classi di reddito possibili (6-10 mila; 10-15 mila; 15-25 mila). Su questa base, vengono stimate imposte Irpef per 4,2 milioni di euro e contributi previdenziali per 15,9 milioni che le famiglie e i lavoratori pagheranno a favore dei nuovi rapporti di lavoro, per un totale di 20,1 milioni. Cifra alla quale vanno però sottratti gli effetti indiretti legati alla componente deducibile Irpef del datore di lavoro e al trattamento integrativo per il lavoratore domestico, per cui lo Stato dovrebbe “restituire” circa 3,9 milioni, riducendo così il saldo delle entrate totali appunto a 16,2 milioni di euro. Secondo lo studio di Domina, l’impatto fiscale del primo anno andrebbe poi a incrementarsi con le nuove assunzioni previste di 28.500 addetti all’assistenza familiare nel triennio, con un introito complessivo netto di 48,6 milioni di euro. Calcolatrice alla mano, dunque, si tratta di un’operazione conveniente, che conferma come «Il lavoro regolare in ambito domestico rappresenti un beneficio anche per le casse dello Stato e andrebbe quindi meglio sostenuto e incentivato sempre con sgravi per le famiglie datrici di lavoro», commenta Lorenzo Gasparrini, segretario generale di Domina. Il bacino d’intervento e le potenzialità della convenienza per i conti pubblici in effetti sono decisamente ampi, se solo si considera che Inps e Istat stimano l’esistenza oggi di oltre un milione di rapporti “in nero”.
Lavoro domestico, il “nero” che emerge. In teoria, il decreto flussi prevede che il lavoratore extracomunitario autorizzato a soggiornare in Italia in virtù di un contratto di lavoro si trovi nella sua patria al momento della presentazione della domanda da parte del datore di lavoro. Ma l’esperienza degli ultimi decenni mostra come ciò avvenga solo in una parte di casi. Per colf e badanti spesso la domanda viene presentata per chi già è impiegato in nero presso quel datore di lavoro o che sono temporaneamente disoccupate ma già presenti nel nostro Paese. La natura stessa – altamente fiduciaria – del rapporto di lavoro domestico, infatti, rende molto improbabile l’assunzione di un lavoratore extracomunitario reclutandolo da un Paese estero senza conoscerlo personalmente. Chi affiderebbe infatti a uno sconosciuto che vive all’estero il proprio genitore anziano da custodire e curare? Di solito, in molti casi, quel lavoratore o quella lavoratrice già operano con un contratto non regolare presso una famiglia italiana oppure si trovano senza impiego per cause impreviste (è accaduto durante il Covid per molte badanti in seguito al decesso degli anziani di cui si prendevano cura). Così, quella persona può essere regolarizzata facendola tornare in patria (in genere i Paesi dell’Est Europa, raggiungibili con viaggi brevi, in aereo, treno o corriera) per qualche tempo – dopo aver visto accolta la domanda del click day – e poi da lì rientrare in Italia, rispettando le norme previste dal decreto flussi e con tutte le carte in regola. Accanto a questi, ci sono poi chiaramente gli ingressi ex novo dai Paesi esteri per i quali sono previsti i flussi: in genere si tratta di assunzioni di persone residenti in nazioni non vicine (ad esempio in America Latina, come il Perù, o in Asia, come Filippine o Sri Lanka) per cui parenti o amici in Italia si fanno garanti presso le famiglie datrici di lavoro.
L’incognita dei tempi. Sul buon esito dell’operazione, infine, aleggia il rischio che – al di là delle buone intenzioni – l’esame delle centinaia di migliaia di pratiche finisca per durare anni, per via della cronica scarsità di personale civile del ministero dell’Interno, addetto in questure e prefetture all’esame delle pratiche amministrative. Una situazione denunciata dai sindacati di settore e che Avvenire ha segnalato ad agosto in un’approfondita inchiesta, che ha dato luogo a interrogazioni parlamentari. «Il piano di assunzioni del Viminale è iniziato - osserva Dario Montalbetti, coordinatore della sigla sindacale Flp Interno - ma per noi è insufficiente, non garantisce il turn over dei pensionamenti che nei prossimi anni riguarderanno gran parte dei dipendenti civili: andranno via in 10mila su 16mila entro il 2029». Non si tratta di fare le cassandre, dunque, ma di essere realisti, visto lo sconfortante precedente della regolarizzazione del 2020 – avviata dal governo Conte II e proseguita da quelli di Draghi e Meloni –, per la quale l’esame delle oltre 200mila domande non è ancora incredibilmente terminato (a Roma, ad esempio, restano da vagliare circa la metà di quelle presentate). E siccome le domande preliminari registrate solo per questi primi click day sono oltre 600mila (il triplo di quelle del 2020), è opportuno che il governo attrezzi in breve tempo un’adeguata “macchina” di funzionari (e non qualche centinaio di lavoratori interinali), se non si vuole correre il rischio di far arenare un meccanismo di regolarizzazione cruciale per il mercato del lavoro del Paese. (Francesco Riccardi - Vincenzo R. Spagnolo - Avvenire)