Primo Piano

Sos dal mare: 40 dispersi nel fine settimana

16 Gennaio 2024 - Milano - Dispersi in mare. Non c'è nessuna traccia, finora, dell'imbarcazione, con a bordo 40 migranti scappati dalla Libia, segnalata nei giorni scorsi da Alarm Phone nel centro del Mediterraneo. Venerdì scorso la Ong aveva perso i contatti con il gruppo che era in viaggio verso Lampedusa e da allora ogni ricerca intrapresa non ha avuto esito. Diciassette ore di volo per tre missioni di altrettanti velivoli di Frontex e le perlustrazioni delle motovedette della guardia costiera non hanno portato, fino a ieri sera, alla individuazione dei naufraghi, nè a informazioni utili per il loro ritrovamento. E nell'isola non risultano approdati. «I parenti, preoccupati, ci chiamano e hanno urgente bisogno di risposte» afferma una nota dell'organizzazione impegnata nel salvataggio in mare dei rifugiati. Intanto ieri mattina è sbarcata a Napoli la Geo Barents di "Medici senza frontiere" con 37 migranti, tutti uomini (c'è anche un minore non accompagnato) di nazionalità siriana, bengalese e tunisina. Dopo l'identificazione e lo screening sanitario, i profughi sono stati trasferiti al residence dell'Ospedale del Mare messo a disposizione dalla "Asl Napoli 1 Centro". In seguito saranno assegnati nei Centri di accoglienza straordinaria della regione. La situazione è "in movimento" anche sulla rotta balcanica. «Nel 2023, grazie alla rete delle prefetture si sono fatti sforzi incredibili tanto da spostare dal Friuli Venezia-Giulia 2.500 persone » afferma il prefetto di Trieste, Pietro Signorello. «In meno di un mese - ha precisato - da metà dicembre, solo dal capoluogo sono state trasferite 350 persone». E in Friuli, durante tutto l'anno scorso, le presenze di migranti sono state 20mila, con una media settimanale di 25 richieste di protezione internazionale. E continuano senza sosta anche gli sbarchi di migranti nell'arcipelago delle Canarie, nelle quali solo ieri sono state soccorse almeno 200 persone, provenienti da diversi Paesi dell'Africa subsahariana, a bordo di quattro caicchi, le barche dei pescatori che salpano dalle coste africane. I fragili natanti, intercettati dal Sistema Integrato di vigilanza estera (Sive), sono state accompagnate nei porti di Arguineguin, La Restinga e La Estaca da motovedette della Guardia Civil spagnola e del salvataggio Marittimo. I 200 migranti si aggiungono alle almeno 449 persone, fra le quali 30 minorenni, sbarcate fra sabato 13 e domenica 14 sull'isola di El Hierro da altre quattro imbarcazioni. In Italia, dal 1° gennaio di quest'anno fino a ieri (dati ministero degl Interni) sono approdati 749 migranti. E, tra loro, sono 74 i minori stranieri non accompagnati. E per fare memoria delle vittime delle "traversate della speranza", ieri mattina su un lungomare di Pozzallo, in provincia di Ragusa, è stato inaugurato un monumento dedicato ai migranti. « Rappresenta "fraterna accoglienza", la diversità, la forza dell'umanità e le sfide affrontate da queste persone nel cercare una vita migliore - ha detto il sindaco Roberto Ammatuna -. L'elica e il timone, elementi centrali e significativi del nuovo monumento, sono gli organi propulsori di un'imbarcazione che nel lontano 2014 segnò una tragedia consumata proprio nelle acque antistanti Pozzallo. Aver posizionato, al centro del nuovo tratto del lungomare Raganzino, un monumento dedicato ai migranti è un importante simbolo di solidarietà e memoria». (Fulvio Fulvi - Avvenire)  

Migrantes Messina: sabato il terzo incontro su diaconia e mobilità

15 Gennaio 2024 -

Messina - Un pomeriggio ricco di spunti di riflessione per comprendere il fenomeno della mobilità umana nella vita della Chiesa. Si è svolto sabato 13 gennaio 2024, presso l’Istituto “Cristo Re” dei Padri Rogazionisti, la terza tappa del percorso formativo per i diaconi permanenti sulla pastorale della mobilità umana. Un percorso preparato dall’équipe dell’Ufficio diocesano Migrantes di Messina-Lipari-Santa Lucia del Mela e dalla Commissione della comunità diaconale presieduta da mons. Tindaro Cocivera, delegato vescovile per la cura pastorale dei diaconi permanenti.

L’incontro si è aperto con il momento di preghiera preparato dal diacono Salvatore Bellinghiere: l’intronizzazione e l’ascolto della Parola, la lettura di un brano ripreso dal Messaggio di Papa Francesco per la Giornata Mondiale del Migrante e Rifugiato del 2018, dove il Papa indicava i quattro verbi-azione a favore della pastorale delle migrazioni. Accogliere, proteggere, promuovere e integrare, i verbi che si devono tradurre in azioni concrete a favore dei migranti, nei Paesi di partenza, di transito e di destinazione.Subito dopo il diacono Santino Tornesi, direttore dell’Ufficio diocesano Migrantes, ha fatto una breve presentazione dei  relatori, passando poi la parola al diacono Giovanni Maimone per un saluto a nome del delegato vescovile, assente per motivi di salute, e di tutta la Comunità diaconale.

A seguire, i saluti di Domenico Pellegrino, volontario Migrantes, che ha presentato l’Ufficio diocesano rivolgendo ai due relatori un sentito ringraziamento: a mons. Pierpaolo Felicolo, direttore generale della Fondazione Migrantes, per la competenza, l’impegno pastorale e il desiderio di incontrare quanti nelle Chiese locali sono impegnati a favore dei migranti; a p. Gabriele Bentoglio, missionario scalabriniano e direttore Migrantes per l’Arcidiocesi di Reggio Calabria-Bova, che più volte ha messo a disposizione la sua competenza umana e pastorale, il suo alto profilo di studioso del fenomeno migratorio.

Prima di iniziare i lavori il diacono Carmelo Brigandì, ha tracciato, la storia della Comunità diaconale che oggi conta 82 confratelli. Uniti, nella grazia dell’Ordine sacro, da un legame fraterno di collaborazione e condivisione.

Sono poi iniziati i lavori con la relazione di p. Gabriele Bentoglio,“Le migrazioni e la Chiesa: percorso storico e magisteriale”. P. Bentoglio ha tracciato le tappe più significative di un percorso lungo che, in genere, viene affrontato nell’arco di un semestre accademico.

A seguire l’intervento di mons. Felicolo, “La Chiesa italiana e le migrazioni: la Fondazione Migrantes”. Ha evidenziato l’attenzione della Chiesa verso la mobilità umana e gli organismi che si occupano di questo fenomeno e della pastorale che ne consegue. Ha parlato della Fondazione Migrantes, organismo pastorale della CEI, di cui è attualmente direttore generale. Ai diaconi ha espresso tutta la sua gratitudine per l’invito spiegando quanto sia importante il loro ministero nel servizio alla pastorale delle migrazioni.

Dopo le relazioni, in rappresentanza di tutto l’Ufficio diocesano Migrantes, Tania Galletta ha consegnato un “dolce pensiero ai relatori. La foto di rito e la benedizione hanno concluso l’incontro.

Migrates Torino: la festa dei Popoli con mons. Repole

15 Gennaio 2024 -
Torino - La Buona Notizie è per tutti, oltre ogni lingua e nazionalità! E’ tornata puntuale come ogni anno la celebrazione della Festa dei Popoli in occasione dell’Epifania, con l’Eucarestia al Santo Volto presieduta dall’Arcivescovo di Torino Roberto Repole e un pomeriggio di sapori e culture dal mondo. Alla celebrazione eucaristica hanno partecipato le comunità etniche cattoliche della diocesi con i propri cappellani: un piccolo spaccato di Chiesa universale con le letture e alcune preghiere in diverse lingue e l’animazione dei canti fatta da un coro multietnico. Dopo la Messa, nel foyer dell’auditorium Santo Volto i sapori si sono intrecciati tra di loro nelle varie proposte culinarie condivise dai vari gruppi nazionali: dal cinese al sudamericano passando per India, molta Africa, Romania e mezzo mondo. Durante il pomeriggio sul palco dell’auditorium si sono esibiti gruppi musicali e di danze tipiche dalle varie comunità e associazioni: un arcobaleno di colori e sonorità diverse. Per i bambini era previsto uno spazio di animazione e gioco grazie al servizio di alcuni scout e animatori parrocchiali e in conclusione un gioioso momento di ballo per tutti. «Come sarebbe bello», ha sottolineato mons. Repole, «se oggi riscoprissimo degli occhi semplici, contemplativi, capaci di guardare la realtà di questo mondo, anche la varietà dei nostri popoli, con uno sguardo che, invece che di dividerci, ci mette in cammino, verso la grotta di Betlemme!». Uniti e in cammino come i Magi, compiendo quelli che l’arcivescovo ha indicato come i tre passi: «guardare le stelle», «ascoltare la Parola per recuperare quella sapienza che ci permette di indirizzarci al bambino della grotta di Betlemme», e inchinarsi di fronte alla manifestazione di Dio. «Soltanto chi si prostra davanti a quel Bambino è capace di non piegarsi di fronte a niente e di essere libero (…) di non adorare neppure se stesso, le sue passioni, i suoi vizi». Un messaggio, quello della libertà offerta dalla fede cristiana, che ha toccato il cuore dei tanti migranti presenti perché spesso si sentono prigionieri del pregiudizio e delle condizioni di sofferenza e di odio che lacerano i paesi da cui provengono. (Federica Bello - “La voce e il tempo”)

Raccontare il diritto d’asilo oggi: un incontro a Brescia

15 Gennaio 2024 - Brescia - Martedì 23 gennaio l'Uffficio per le comunicazioni sociali della Diocesi di Brescia  ha organizzato, in preparazione alla festa di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, un corso di formazione gratuito, in collaborazione con l’Ucsi, su “Raccontare oggi il diritto d’asilo”. L'appuntamento è dalle 10.30 alle 12.30 al Centro pastorale Paolo VI in via Gezio Calini a Brescia. Interviene Mariacristina Molfetta della Fondazione Migrantes. Sono previste le testimonianze del Centro Migrantes e della Cooperativa Kemay sui volti e sulle storie di accoglienza nel Bresciano. Seguirà il confronto con il vescovo di Brescia, mons. Pierantonio Tremolada.

Papa Francesco: non chiudete le porte ai migranti

15 Gennaio 2024 - Roma – C'è la guerra che lo preoccupa e il dramma dei migranti tra i temi dell’intervista di quasi un'ora rilasciata ieri da papa Francesco Fabio Fazio a “Che Tempo Che Fa” su Nove. Per papa Francesco ha citato la tragedia di Cutro, avvenuta nella notte tra il 25 e il 26 febbraio scorso 2023. “Ognuno - ha detto - ha il diritto di rimanere a casa, ma anche quello di emigrare” ed ha aggiunto che “in Europa ci sono cinque Paesi che ricevono più migranti degli altri: Cipro, Grecia, Malta, Italia e Spagna”. “Non chiudete – ha sottolineato - le porte per favore”. Il Papa è tornato poi a parlare del dramma delle guerre legato al commercio delle armi: “si fanno le guerre – ha detto -  per vendere le armi e per provare armi nuove” perché è il commercio che rende di più. Il pontefice ricorda l’incontro avuto con una delegazione di bambini ucraini e dei suoi colloqui quotidiani con la parrocchia di Gaza: “israeliani e palestinesi, chiamati ad essere popoli fratelli, si distruggono”, ha sottolineato il Pontefice che questa mattina, ricevendo in udienza i membri dello Studium Biblicum Franciscanum ha sottolineato che “l’attuale situazione della Terra Santa e dei popoli che la abitano ci coinvolge e ci addolora. È gravissima sotto ogni punto di vista”. “Io ho ascoltato padre Faltas, le cose che mi ha fatto conoscere. E ogni giorno comunico con la parrocchia di Gaza: soffrono tanto per questa situazione. Questa situazione è gravissima”, ha ribadito sottolineando che “dobbiamo pregare e agire senza stancarci perché cessi questa tragedia”.  E all’Angelus ieri mattina aveva evidenziato come la guerra è “in sé stessa un crimine contro l’umanità” esortando ancora una volta a non dimenticare “quanti soffrono la crudeltà della guerra in tante parti del mondo, specialmente in Ucraina, in Palestina e in Israele”. “All’inizio dell’anno ci siamo scambiati auguri di pace, ma le armi hanno continuato ad uccidere e distruggere”, ha aggiunto il Pontefice: “preghiamo affinché quanti hanno potere su questi conflitti riflettano sul fatto che la guerra non è la via per risolverli, perché semina morte tra i civili e distrugge città e infrastrutture”. “I popoli hanno bisogno di pace! Il mondo ha bisogno di pace!”, ha quindi concluso. (Raffaele Iaria)

Essere discepoli

15 Gennaio 2024 -

Città del Vaticano - “Siamo ancora discepoli innamorati del Signore, cerchiamo il Signore, oppure ci siamo accomodati in una fede fatta di abitudini? Dimoriamo con lui nella preghiera, sappiamo stare in silenzio con lui?”. Il Vangelo di Giovanni ci porta ancora sulle rive del Giordano: è il giorno dopo il battesimo di Gesù e sono le quattro del pomeriggio. Questa indicazione temporale è, tutto sommato, ininfluente rispetto ai contenuti della pagina evangelica. È trascorso solo un giorno dalla discesa dello Spirito Santo su Gesù e lui passa di nuovo, Giovanni Battista lo vede tra la folla “fissando lo sguardo” sull’”agnello di Dio”. Con queste tre parole Giovanni, nel quarto Vangelo, si lega alla tradizione veterotestamentaria riguardante, da un lato, la vittima offerta a Dio per il riscatto dal peccato, dall’altro la figura del servo sofferente, temi cari alla tradizione profetica. Annota l’evangelista: è l’ora decima, circa le quattro del pomeriggio.

Diversi anni sono passati da questo fatto quando l’evangelista ha scritto il Vangelo – secondo gli studiosi il testo è stato redatto molto probabilmente a Efeso, tra il 60 e il 100 dopo Cristo – quanti incontri, episodi, parole; e poi dopo la risurrezione quante riflessioni, ricordi. Eppure, Giovanni ricorda l’ora esatta di quell’incontro. Proprio da qui si sviluppa il pensiero di Papa Francesco, in questa seconda domenica del tempo ordinario, che domanda: “quando ho incontrato Gesù per la prima volta?” Così chiede di fare memoria del nostro primo incontro con il Signore, di quando ha toccato il nostro cuore: “siamo ancora discepoli innamorati del Signore, cerchiamo il Signore, oppure ci siamo accomodati in una fede fatta di abitudini? Dimoriamo con lui nella preghiera, sappiamo stare in silenzio con lui?” Essere discepoli non significa semplicemente fare memoria del primo incontro con il Signore. Allora Francesco, nello spirito della riflessione ignaziana, propone tre verbi alla nostra riflessione: cercare, dimorare, annunciare Gesù. Cercare. Giovanni Battista è colui che vede e capisce, è il vero testimone che, però, torna subito nel nascondimento e sapremo dai Vangeli la sua morte. Sulla riva del Giordano è con due persone, i primi due discepoli che si mettono a seguire Gesù: uno è Andrea – santo venerato anche dalla Chiesa ortodossa che lo chiama Protocleto, o il Primo chiamato – dell’altro non sappiamo nulla; ovvero, ognuno di noi può essere quel discepolo. Ai due Gesù si rivolge con la domanda: “che cosa cercate?” Sono le prime parole che pronuncia nel quarto Vangelo, parole che interrogano e mettono a nudo motivazioni e desideri dei discepoli. Gesù, spiega Francesco, “anzitutto li invita a guardarsi dentro, a interrogarsi sui desideri che portano nel cuore”. E questo perché “il Signore non vuole fare proseliti, non vuole ‘followers’ superficiali, il Signore vuole persone che si interrogano e si lasciano interpellare dalla sua Parola”; bisogna avere “un cuore aperto, in ricerca, non un cuore sazio o appagato”. Dimorare. Alla domanda “che cosa cercate” i due discepoli rispondono: “dove dimori?” Dice il vescovo di Roma: “essi non cercavano notizie o informazioni su Dio, oppure segni o miracoli, ma desideravano incontrare il Messia, parlare con Lui, stare con Lui, ascoltarlo”. Nessun indirizzo o biglietto da visita con la via e il numero di telefono, come potrebbe accadere oggi incontrando una persona; Cristo invece li invita a venire e vedere. “Rimanere con lui – dice il Papa – è la cosa più importante per il discepolo del Signore. La fede, insomma, non è una teoria, è un incontro, è andare a vedere dove abita il Signore e dimorare con lui. Incontrare il Signore e dimorare con lui”. Infine, annunciare. Quell’incontro è stata una esperienza forte e i due discepoli “sentirono subito il bisogno di comunicare il dono ricevuto”. Nel dopo Angelus, Papa Francesco torna a parlare di pace, di persone che “soffrono la crudeltà della guerra in tante parti del mondo, specialmente in Ucraina, in Palestina e in Israele”; e chiede, a chi ha potere su questi conflitti, di riflettere “sul fatto che la guerra non è la via per risolverli, perché semina morte tra i civili e distrugge città e infrastrutture”. La guerra dice ancora “è in se stessa un crimine contro l’umanità”. Il mondo, i popoli hanno bisogno di pace, per questo dobbiamo “educare alla pace” per “fermare ogni guerra”. (Fabio Zavattaro - Sir)

Migrantes Messina-Lipari-S.Maria del mela: Diaconato e mobilità umana, domani il terzo incontro di formazione con mons. Felicolo

12 Gennaio 2024 - Messina - Domani, 13 gennaio, si svolgerà il terzo incontro del percorso formativo sulla pastorale della mobilità umana, preparato dall’Ufficio Migrantes della diocesi di Messina-Lipari-Santa Lucia del Mela per i diaconi permanenti della diocesi siciliana. L’incontro si terrà, a partire dalle ore 16.00, nella Sala multimediale dell’Istituto “Cristo Re” dei Padri Rogazionisti a Messina. Saranno due i formatori che aiuteranno a riflettere sull'argomento in programma: mons. Pierpaolo Felicolo, direttore generale della Fondazione Migrantes, e p. Gabriele Bentoglio, direttore Migrantes della diocesi di Reggio Calabria-Bova e già sottosegretario dell'allora Pontificio Consiglio per i migranti e gli itineranti. L'incontro si aprirà con la preghiera e una breve presentazione della Comunità diaconale a cura del diacono e direttore Migrantes di Messina-Lipari-Santa Lucia del Mela, Santino Tornesi. All’incontro sarà presente anche il vescovo ausiliare, mons. Cesare Di Pietro che porterà il suo saluto e i saluti dell’arcivescovo, mons. Giovanni Accolla, che raggiungerà subito dopo, in quanto entrambi impegnati nella Visita pastorale iniziata lo scorso mese di ottobre. Si tratta del  secondo incontro del percorso formativo per i diaconi permanenti della diocesi siciliana. Un percorso strutturato su sei appuntamenti per comprendere la mobilità umana e l’attenzione pastorale che ne deriva. Il messaggio però – spiega il direttore Migrantes Santino Tornesi –  resta coerente: quelli che arrivano da altre parti del mondo sono “le nostre sorelle e i nostri fratelli. Siamo chiamati a vedere Cristo in loro, perché tutte le persone sono create a Sua immagine. E siamo chiamati a riconoscerci in essi, poiché tutti condividiamo la comune umanità”.  

Migrantes Reggio Calabria-Bova: convegno e festa dei popoli sabato e domenica

12 Gennaio 2024 -

Reggio Calabria - Due giorni di incontri per la Migrantes della diocesi di Reggio Calabria-Bova, occasione per  parlare di immigrazione e immigrazione, due facce della stessa medaglia. Domani, dalle ore 9, presso l’Aula Magna del Seminario arcivescovile Pio XI di Reggio Calabria il convegno sul tema "Partire, restare, tornare: quale prospettiva?". All’iniziativa, promossa dalla diocesi  di Reggio Calabria e dall'Ufficio Migrantes,  insieme alla Fondazione Migrantes,  interverranno diverse personalità che da anni si occupano di queste tematiche. I saluti saranno affidati all’arcivescovo metropolita di Reggio Calabria - Bova e presidente dei vescovo della Calabria, mons.  Fortunato Morrone, al sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà e a mons. Pierpaolo Felicolo, direttore generale della Fondazione Migrantes. Subito dopo, sono previsti interventi di Domenico Cersosimo, economista, e Sabina Licursi, associata di Sociologia generale presso l’Università della Calabria approfondire il tema che approfondiranno il tema«Partire e tornare: le aree interne». Cristina Ciccone e Nadia Denisi, presidenti rispettivamente delle Cooperative “Demetra” e “Res Omnia” illustreranno, infine, i progetti di accoglienza e inclusione avviati a Reggio Calabria. A coordinare i lavori sarà padre Gabriele Bentoglio, direttore del Centro diocesano “Migrantes” . L’appuntamento di sabato sarà seguito da un altro importante momento. Il giorno dopo, domenica 14, alle 11.30 presso la parrocchia di Sant’Agostino, l’arcivescovo mons. Morrone presiederà la Messa dei Popoli. Occasione per condividere, insieme alle comunità etniche che risiedono in città e agli altri fratelli, un momento di preghiera e rinnovare il comune impegno per la pace e a sostegno di chi cerca altrove un futuro migliore.

 

Viminale: da inizio anno sbarcate 654 persone migranti sulle nostre coste.

11 Gennaio 2024 - Roma - Sono finora 654 le persone migranti sbarcate sulle coste da inizio anno secondo il dato del ministero degli Interni, considerati gli sbarchi rilevati entro le 8 di questa mattina. Di questi 182 sono di nazionalità bengalese (27,8%), sulla base di quanto dichiarato al momento dello sbarco; gli altri provengono da Siria (117, 18%), Tunisia (45, 7%), Gambia (43, 6,6%), Pakistan (32, 5%), Sudan (32, 5%), Egitto (15, 2%), Guinea (14, 2%), Mali (3, 0,4%), Senegal (2, 0,3%) a cui si aggiungono 169 persone (25,8%) provenienti da altri Stati o per le quali è ancora in corso la procedura di identificazione.

Messico: vescovi della frontiera col Texas, “rispettare diritti umani dei migranti, corridoi umanitari e ampliare possibilità di visto”

11 Gennaio 2024 - Roma - Corridoi umanitari sicuri per i sempre più numerosi migranti (8 mila richiedenti asilo giungono ogni giorno alla frontiera), e il rispetto dei diritti umani. Sono le principali richieste dei vescovi della zona frontaliera tra Messico e Texas (Stati Uniti), che al termine del loro incontro hanno diffuso un articolato documento, intitolato “Costruire il futuro con i migranti”, diffuso dal Sir. “Riconosciamo il diritto degli Stati sovrani di controllare i propri confini per salvaguardare il bene comune dei cittadini e dell’intera comunità umana, nonché il diritto fondamentale di tutte le persone di migrare e non migrare – la premessa dei vescovi -. Sosteniamo inoltre che le Nazioni più prospere hanno il dovere di accogliere, per quanto possibile, lo straniero che cerca la sicurezza e il sostentamento che non può trovare nel suo Paese d’origine, nonché di garantire i diritti del migrante. A sua volta, il migrante deve rispettare con gratitudine il patrimonio materiale e spirituale del Paese ospitante, obbedire alle sue leggi e contribuire al suo sviluppo”. Scrivono, ancora, i vescovi: “Condividiamo i sogni e le sofferenze dei migranti. Conosciamo le situazioni che li costringono a migrare e il dolore che ciò comporta. Conosciamo le molteplici violazioni dei loro diritti fondamentali, la povertà, le ingiustizie, la violenza, i pericoli e gli abusi che subiscono, sia nei luoghi di origine che in quelli di transito e di destinazione”. La Chiesa “non chiede l’apertura delle frontiere, ma leggi che rispettino i diritti umani fondamentali. I governi devono creare leggi che includano sia un confine sicuro che una politica di immigrazione umana. Non incoraggiamo la migrazione illegale o senza documenti, ma sosteniamo le vie legali per la migrazione”. Ciò, secondo i vescovi, non sta avvenendo: “Le politiche migratorie attuate dal Governo statunitense e la politica di detenzione e contenimento in Messico hanno posto i migranti in situazioni di maggiore vulnerabilità, causando incertezza, rifiuto, persecuzione e violazione dei loro diritti umani, esponendoli a cadere nelle mani di organizzazioni criminali per raggiungere la loro destinazione. La militarizzazione del confine meridionale degli Stati Uniti e di quelli settentrionali e meridionali del Messico ha comportato abusi di autorità, detenzioni arbitrarie e separazione di famiglie”. Purtroppo, “questi abusi o la mancanza di cure hanno portato alla morte di decine di persone sotto la custodia del governo statunitense”. Nel documento si esprime “riconoscimento, solidarietà, benedizione e incoraggiamento” agli operatori pastorali impegnati nell’accoglienza e si ricorda alla comunità cattolica che l’assistenza ai migranti è responsabilità di tutti i battezzati e che essa deve anzitutto avvenire nelle comunità parrocchiali Non mancano alcune esplicite richieste rivolte a entrambi i Governi: aumentare e semplificare la concessione dei visti e di adottare programmi di patrocinio privato e comunitario, un alloggio adeguato e decente, servizi di base, sicurezza personale, assistenza consolare adeguata, pari accesso alla giustizia e libertà religiosa, la possibilità per i migranti di avere sempre con sé i documenti d’identità personali, libertà di movimento e possibilità di lavoro.

Vangelo Migrante: Domenica 14 gennaio – Seconda del Tempo Ordinario – Vangelo Gv 1,35-42

11 Gennaio 2024 -
In questa domenica siamo invitati a  riflettere sul tema  della vocazione. Dio continua a chiamare sempre i suoi figli alla pienezza della vita e lo fa già a partire dalla nostra giovinezza. Samuele sente pronunciare più volte il suo nome, perché quando Dio ama un figlio, lo chiama al bene della sua vita e gli prepara una missione specifica. Per compiere la missione e per saper rispondere occorre ascoltare la voce. Chi ascolta la Sua voce comprende chi è realmente e come Pietro abbraccia una vita nuova e accoglie il nome nuovo donato da Dio: “tu Simone sarai detto Cefa”. Samuele ascolta, come servo, la voce del Signore. Dobbiamo imparare ad ascoltare i segnali che Dio ci dona in questo rumore assordante di cose e di situazioni. In questo marasma Dio ci chiama e ci guida verso di lui. Nella disponibilità dei servi fedeli c’è tutto l’impegno della sequela: Eccomi, io vengo per fare la tua volontà. Che bello poter essere presenti e consapevoli di questo annuncio divino. Non è vero che non ci sono vocazioni, il problema è che non sempre si riesce a trovare il tempo per dare una risposta. Molti arrivano in ritardo oppure chiedono proroghe inutili come chi, all’invito di Gesù risponde: “lascia che vada a seppellire mio padre e poi ti seguirò”. Ma la chiamata di Gesù è radicale, esigente, e non può che rispondere: “lascia che i morti seppelliscano i propri morti ma tu vieni e seguimi”. Noi tutti vogliamo seguirlo, anche Andrea e Pietro nel Vangelo, entusiasti, si innamorano del maestro ma chiedono sicurezze: dove abiti? Potrebbe risuonare come “dove vai” o “chi sei”? Un po’ come capire che tipo è costui e valutare a priori se conviene seguirlo. La vocazione non è un protocollo di sicurezze e di garanzie, ma un uscire in mare aperto, nel profondo di noi stessi. Seguire Gesù vuol dire prendere il largo e investire sull’Amore. Dio è amore e chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio in lui. Impariamo a fidarci come Andrea, che desidera condividere la sua scoperta con il fratello e lo chiama affinché insieme possano seguire il maestro. Che bello essere fratelli, non solo per il Dna ma perché si ama uno stesso Padre e si segue lo stesso maestro. Gesù disattende le attese e le speranze politiche dei suoi e li porta in un luogo in cui lui stesso non ha una pietra dove posare il capo. La dimora di Dio è in realtà il nostro cuore e il corpo. Per questo nella seconda lettura Paolo ci invita a rispettare il nostro corpo quale dimora dello Spirito Santo. In esso troviamo Dio e incontriamo gli altri… “un corpo mi hai preparato e allora ho detto io vengo”! Siamo in cammino con Gesù in questa domenica vocazionale. Seguiamo i suoi passi, ascoltiamo la sua voce e lasciamoci condurre dallo Spirito per imparare, da discepoli, ad essere fedeli ai suoi insegnamenti e diventare apostoli. Senza un vero discepolato non può esistere una Chiesa  apostolica che annuncia, testimonia e ama i fratelli. Impariamo dall’agnello di Dio a togliere i peccati  del mondo. Togliere in latino si dice “tollere”, che vuol dire portare. Solo portando il peso degli altri lo riusciremo a toglierlo dalle loro spalle. In questa missione di Gesù si realizza anche il senso del nostro apostolato e della nostra missione. Non possiamo togliere i peccati degli altri ma possiamo accompagnare le fatiche degli altri. La missione del cristiano è conformarsi a Cristo in ogni momento attraverso l’opzione fondamentale per i poveri e gli ultimi, rimettendo al centro il regno dell’Amore e della solidarietà. Ecco il luogo dove abita Dio, ecco dove è possibile accoglierlo e dove è possibile sperimentare la fede, fino all’effusione del sangue. In questo Maestro di Nazareth c’è tutto il programma di Andrea e di Pietro così come quello di ciascuno di noi. Non importa capire ora dove andremo a finire, occorre solo rimanere e stare con Lui. Fino alla fine. (Andrea Fulco)

“Testimoni di pace»: le voci di circensi e giostrai all’udienza di ieri con papa Francesco

11 Gennaio 2024 - Città del Vaticano - 85 giostrai e circensi, venuti dalla Francia, hanno testimoniato, incontrando papa Francesco ieri all'udienza generale, la dignità dei lavori considerati umili che, proprio per lo stile solidale di comunità che li caratterizza, contribuiscono al bene dell'intera società. Lo riporta Vatican News. Ad accompagnare giostrai e circensi francesi in Aula Paolo VI il cappellano nazionale, padre Bernard Bellanza, e suor Geneviéve Jeanningros, delle Piccole Sorelle di Gesù, che da oltre 50 anni svolge il suo apostolato tra giostre e fiere e vive al Luna Park di Ostia. «I circensi sono testimoni di pace perché sono il simbolo di ciò che il mondo ha bisogno, in particolare in questo momento buio», ha detto padre Bellanza. Lo stile gioioso della festa, ha aggiunto suor Geneviéve, «è già un'immagine del Regno di Dio, e questi artisti, questi lavoratori, ce l'hanno nel cuore». Molto intenso anche l'incontro con i portuali, alcuni dei quali giunti da Buenos Aires.

Rotta Balcanica: dopo il Game c’è il Silos di Trieste

11 Gennaio 2024 - Trieste - Sushil Sharma è indiano, ha 28 anni, gli occhi neri intensi e la barba lunga. Parla un perfetto inglese, i suoi movimenti sono pieni di grazia. Indossa un maglione blu di lana morbida. Anche lui, come gli altri ragazzi – circa un centinaio all’addiaccio – vive accampato da mesi nell’ex Silos di Trieste, tra topi e folate di vento. Tuttavia ha vinto il suo game: ha attraversato, cioè, la selva di ostacoli della Rotta Balcanica e ne è uscito vivo. Ha superato respingimenti, controlli. Il gelo. Il buio. I cani. I fucili. Il fil di ferro. I boschi. Le trappole. La fame. Fino ad entrare in Italia stremato e quasi senza più i piedi, dalla Slovenia, passando la frontiera dal paesino di Draga, nella zona di Basovizza. L’altro varco è Bagnoli, zona di Dolina. “Mi sono ritrovato di notte nel bosco e non sapevo più dove andare. Ero solo, non vedevo niente e non potevo fermarmi”, ricorda. “Ho pregato Dio e sono andato avanti senza sapere dove mettevo i piedi”, aggiunge. “Vengo da una piccola città dell’India. Siamo cinque tra fratelli e sorelle, quello più piccolo ha un anno”, racconta ancora Sushil, richiedente asilo come gli altri. Ha studiato farmacia, è arrivato in Albania cinque anni fa, in aereo e con un permesso di soggiorno. Cosa è successo poi? Perché è finito in strada a Trieste? Tentare il game non è un gioco. “Mio padre ha pensato che emigrare in Europa fosse per noi un turning point; avrei mantenuto l’intera famiglia, soprattutto i più piccoli che devono ancora studiare. Così mi ha mandato in Albania. Lì ho capito che l’Albania non è l’Europa. Morivo di fame. Allora ho tentato la Route per arrivare in Italia”. Sushil si è mosso da solo, entrando clandestinamente in Montenegro, da lì in Bosnia e in Croazia. Infine in Slovenia. E da lì in Friuli. “È stata dura Sushil?”. Sorride. I ragazzi della Rotta Balcanica sono come gli eroi delle favole: il loro è un percorso ad ostacoli con mille insidie. Partono ragazzi e arrivano uomini. Il punto è che una volta giunti a Trieste non hanno terminato affatto la loro via crucis: il Silos dove finiscono per almeno tre mesi è una immensa struttura fatiscente e abbandonata, costruita assieme alla stazione di Trieste a metà dell’800 per contenere le granaglie destinate al commercio. Cucinare in terra. Ali, 23 anni e Safir 30, sono del Kashmir, Stato conteso da India e Pakistan, dove una guerra “a bassa intensità” mina l’esistenza di tutti. Oltre 7mila persone in un anno sono finite in carcere. “Vuoi assaggiare la nostra pita come la fa la mamma?”, mi chiede Ali tutto allegro. Su una tavoletta di legno, in terra, impasta acqua farina e olio di semi. “Certo che voglio assaggiare la vostra pita”. E anche il the con il burro fuso. Safir si toglie uno sgabellino di ferro da sotto il sedere e me lo cede. Il calcestruzzo del vecchio magazzino cade a pezzi. Sono accampati in una canadese malconcia e cucinano su un fuoco acceso con quattro legni. La bora ci aggredisce a folate rapide. Nadim, 38 anni, pachistano, è arrivato prima in Turchia e poi da lì in Grecia, Macedonia, Serbia e Croazia. “Sono rimasto tre giorni in foresta senza mangiare”, ricorda. Adesso, grazie alla mensa della Caritas triestina ha un pasto al giorno assicurato. La Rotta Balcanica ferisce. Spesso lascia addosso danni psichici. Mohammed si solleva la maglietta e mostra i segni di una ferita ricucita. Ha subito un’aggressione ma non vuole dire di più. Un’emergenza artificiale per creare caos. Oggi, grazie all’accoglienza tempestiva e a una fitta rete di solidarietà, forse, non si muore più a poche centinaia di metri dall’arrivo. Ma si continua a patire. Linea d’Ombra con Lorena Fornasir si prende cura di queste persone non appena mettono piede in città. Ma i responsabili dell’accoglienza triestina, ossia Ics, Consorzio italiano di solidarietà – Ufficio rifugiati onlus, Caritas, Diaconia valdese e Linea d’Ombra, ritengono senza alcun dubbio che questa sia “un’emergenza voluta”. Per creare un “caso migranti” e scoraggiarne l’arrivo. Ma anche per manipolare l’opinione pubblica e gonfiare la percezione di insicurezza e paura. Tuttavia prima di Natale ci sono stati due trasferimenti di richiedenti asilo nei centri di accoglienza in Nord Italia. Mondi che non comunicano. “La vicenda Silos resta un’emergenza artificiale – risponde Gianfranco Schiavone, presidente dell’Ics –. Beninteso, è reale per le persone che sono lì e che soffrono al freddo! Ma è artificiale nella misura in cui viene creata appositamente da uno spaventoso disservizio pubblico”. Il sistema di accoglienza diffusa in realtà sarebbe ben strutturato a Trieste: mille sono i posti a disposizione per i richiedenti asilo e 100 per i titolari di protezione internazionale. Ma ora è saturo. Non perché ci sia una “invasione” di migranti, ma perché non c’è turnazione. I trasferimenti sono troppo lenti e poco cadenzati. “Accanto a quella diffusa – spiega Schiavone – esiste una prima accoglienza, temporanea, finalizzata al trasferimento delle persone in altre città, da farsi il più rapidamente possibile. È questo meccanismo che ora si è inceppato”. Nella spettacolare piazza Unità d’Italia, sede della Prefettura, con i suoi palazzi asburgici che guardano il Golfo, non c’è alcun sentore di quanto appena intravisto al Silos. Due mondi che non comunicano. Il Centro diurno, oasi di umanità. Sostiamo per alcune ore nel Centro diurno di via Udine 19, gestito dall’intera rete di solidarietà triestina. Gli operatori e i volontari di People Saving People, con la loro maglietta rossa, preparano e distribuiscono del thè. Nella grande sala ci sono almeno duecento ragazzi. Seduti, in piedi, in ginocchio, in gruppo. Ridono, si scaldano, giocano a dama. Sono gli stessi che la mattina avevo incontrato nel Silos, al freddo. Molti di loro ricaricano il cellulare e si riposano. Alcuni pregano senza scarpe, inginocchiati su tappetini che poi arrotolano e mettono via. Pregano nel caos, tra le chiacchiere in molte lingue e le strette di mano.
Il “Centro diurno è un gran casino: arrivano tutti lì in massa perché non sanno dove andare”, mi avevano avvertito dall’Ics. Eppure ci si siede assieme e ci si ascolta. C’è chi dà indicazioni pratiche e chi semplicemente presta l’orecchio a una storia. Qui l’umanità ferita raccoglie i cocci e va avanti. I ragazzi e le ragazze, i volontari, le volontarie, le operatrici, gli assistenti sociali e i medici che accolgono hanno sorrisi grandi e donano coraggio. Perché il viaggio proseguirà. E questa non è che una sosta: bisogna rimettersi in forze, conservare il calore e andare avanti. (Ilaria De Bonis - Popoli e Missione)

Tragedia nel mare Egeo: è di almeno tre morti e nove dispersi il bilancio del naufragio che si è consumato la scorsa notte

11 Gennaio 2024 - Roma - Il gommone sul quale viaggiavano si è ribaltato vicino alla costa intorno alle 3, di ieri mattina. Secondo l’aggiornamento della Guardia costiera, sono al momento 32 i superstiti. I primi 18 che si sono salvati erano stati rintracciati sull’isola ieri mattina, dopo che il loro gommone si era arenato sulle coste rocciose della località di Agios Georgios; nel pomeriggio, come riportato dalle autorità greche, altri 14 migranti sono stati identificati dopo che erano riusciti a sbarcare sull’isola. Secondo le dichiarazioni dei superstiti, a bordo dell’imbarcazione si trovavano complessivamente 36 persone. Proseguono intanto le ricerche dei dispersi, ma solo sulla terraferma a causa del divieto di navigazione per i forti venti che soffiano nella zona. Secondo informazioni locali, i sopravvissuti provengono dal Sudan e dall’Etiopia, mentre due vittime, un uomo e una donna, avevano meno di 30 anni ed erano di origine africana. Un’altra persona morta é stata identificata e si sta tentando di recuperarla. I restanti passeggeri sono fuggiti, secondo le autorità portuali, sulle montagne circostanti, ma non é escluso che alcuni di loro possano essere caduti in mare ed essere annegati. «Sull’imbarcazione c’erano 36 persone, 24 sono sopravvissute, 3 sono annegate e 9 persone risultano disperse – scrive Alarm Phone su “X” – Siamo scioccati e arrabbiati nell’apprendere di altre vite perse a causa dei confini mortali dell’Europa».

Migrantes Brescia: a Rezzato “Io Capitano”

11 Gennaio 2024 - Brescia - Giovedì prossimo, 18 gennaio, alle ore 20.30, presso il Cinema Teatro Lolek di Rezzato, l’Ufficio Migrantes della Diocesi di Brescia, nel cammino che la Diocesi ha intrapreso "Verso una Pastorale Migratoria Interculturale", ha organizzato, insieme ai Giovedì della Missione, la Cooperativa Kemay e Acec Brescia, la proiezione del film “Io Capitano” del regista Matteo Garrone. La visione del film sarà introdotta dalla testimonianza di un richiedente asilo che racconterà l’esperienza dal suo arrivo sulle coste italiane fino all’accoglienza in Brescia. “Io Capitano” narra l’odissea contemporanea in cui due giovani senegalesi, Seydou e Moussa, lasciano Dakar per raggiungere l’Europa, attraverso le insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli del mare. Il film di Garrone è stato premiato al Festival di Venezia, ha ottenuto una candidatura al Golden Globes, ha ottenuto due candidature agli European Film Awards.

Gli oggetti del naufragio di Lampedusa 10 anni dopo: una mostra nell’eremo di Santa Caterina del Sasso

10 Gennaio 2024 - Varese - Una mostra nell’eremo di Santa Caterina del Sasso, in provincia di Varese, per ricordare i dieci anni della tragedia di Lampedusa del 3 ottobre 2013, ossia il naufragio di un peschereccio con oltre 500 persone a bordo e il recupero di 368 corpi di nazionalità eritrea. La mostra “La memoria degli oggetti. Lampedusa, 3 ottobre 2013. Dieci anni dopo”, organizzata da Carta di Roma e Zona, tramanda la memoria della tragedia del mare con gli oggetti, le fotografie e le testimonianze di chi ha vissuto il naufragio del 3 ottobre 2013, con le fotografie di Karim El Maktafi e i video di Valerio Cataldi. Interverranno  Marco Magrini, presidente della Provincia di Varese; mons. Franco Agnesi, vicario generale diocesi di Milano; Paola Barretta, portavoce Associazione Carta di Roma; fra’ Roberto Fusco, Fraternità francescana di Betania; Elena Castiglioni, Archeologistics.  L’Eremo di Santa Caterina del Sasso, la cui storia prende avvio da un naufragio, ospita la mostra dopo il primo allestimento del Memoriale della Shoah di Milano, grazie alla collaborazione di Provincia di Varese, Archeologistics srl e Fraternità Francescana di Betania.  E’ un progetto sostenuto con i fondi Otto per Mille dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai.  

Vescovi Nordest: conclusa assemblea su migrazioni e migranti

10 Gennaio 2024 - Venezia - Migrazioni e migranti come fenomeno epocale e incontro di persone e popoli: è stato questo il tema, affrontato da più versanti, della “due giorni” di confronto e approfondimento che ha impegnato i Vescovi del Triveneto insieme a 3 rappresentanti di ciascuna diocesi della Regione - sacerdoti, diaconi e fedeli laici -, a Cavallino (Venezia) presso la Casa diocesana di spiritualità S. Maria Assunta. “L’altro è sempre colto insieme come una risorsa e come una minaccia - ha affermato mons. Enrico Trevisi, Vescovo di Trieste, nell’introdurre i lavori -. Siamo legati all’altro. Gli altri possono essere fratelli oppure amici oppure sconosciuti, siamo in una stretta interdipendenza eppure gli altri ben presto risultano un legame che riduce la nostra aspirazione di autonomia, indipendenza e libertà. L’incontro, il confronto, il conflitto, l’integrazione sono sempre stati un problema con esiti diversificati e contraddittori. Ma dalla paura si può passare ad un ripensamento della propria identità, da raccontare e testimoniare allo straniero che arriva. Allo straniero va raccontato e testimoniato il Paese in cui si trova con i suoi valori condivisi. Bisogna ripensare la propria identità e saperla raccontare ai nuovi arrivati come anche ai giovani che, per certi versi, sembrano stranieri alla nostra cultura di provenienza”.  Sulle dimensioni del fenomeno - che in Italia e nelle nostre regioni si intreccia con il progressivo calo demografico e l’invecchiamento della popolazione - e su come governare le migrazioni è intervenuto Stefano Allievi (sociologo dell’Università di Padova) che ha indicato alcune linee che dovrebbero essere opportunamente perseguite per affrontare seriamente la questione: “O sapremo ricreare canali di immigrazione regolare, che oggi non esistono più, o continueremo a nuotare nel mare dei problemi dell’immigrazione irregolare. E’ giusto controllare i confini, è compito dello Stato ed è importante sapere chi entra e chi esce, ma questo non significa costruire muri. Bisogna saper ascoltare le paure, parlare con gli altri, ascoltare gli altri e saper raccontare agli italiani quello che veramente succede. E si tratta anche di uscire dalla distinzione in categorie, tra richiedenti asilo e migranti economici (di cui c’è molto bisogno). L’accoglienza va governata e non ci si può limitare ad essa, ci vogliono politiche di integrazione - dall’imparare la lingua all’inserimento nel tessuto culturale di un Paese, dal fornire strumenti all’offrire riconoscimenti importanti anche sul piano simbolico (ad esempio la cittadinanza alle seconde generazioni) - e bisogna essere disposti a spendere risorse per questo; non si possono avere accoglienza ed integrazione a costo zero. Più integrazione significa più sicurezza”. Ed ha, infine, ribadito l’importanza che la Chiesa mantiene e può avere sempre più, per la sua autorevolezza, nell’incidere sul dibattito pubblico e nei rapporti con le realtà istituzionali e la politica. Don Antonio Bortuzzo (biblista della Diocesi di Trieste) ha, quindi, ripercorso parole e racconti della Sacra Scrittura da cui emergono il rapporto con il “forestiero”, le ragioni e le riletture in chiave teologica del migrare di popoli, famiglie (compresa la Sacra Famiglia) e persone nella storia, invitando a rivedere - alla luce delle pagine bibliche e con spirito di discernimento - l’epoca attuale, provando anche a comprendere come sia possibile trasformare cammini spesso segnati da morte, odio, conflitti e tragedie in percorsi e “porte” di speranza. Vi è stata poi la testimonianza di mons. Domenico Mogavero (Vescovo emerito di Mazara del Vallo) che, sulla base dell’esperienza diretta nella Diocesi siciliana che ha guidato per oltre 15 anni fino al 2022, ha raccontato come le comunità cristiane possono e sono sempre più provocate ad essere luogo e occasione di incontro per genti provenienti da più parti: “C’è da avviare nella Chiesa una riflessione più ampia a partire dal fenomeno migratorio per ripensare, alla luce della realtà, un nuovo modo di dialogare con il mondo a cui raccontare la freschezza e la bellezza del Vangelo. Il rapporto con i migranti, che sono volti concreti e non oggetti, esca finalmente dalla marginalità pastorale o dall’emergenza per farli entrare di diritto nella nostra agenda pastorale e nella vita delle nostre Chiese”. Mons. Mogavero ha indicato alcune possibili linee pastorali - creare occasioni di carità solidale e di “ecumenismo della carità”, favorire l’inserimento e la partecipazione di persone e famiglie migranti cattoliche nelle comunità, la purificazione del linguaggio e il coraggio di alcune scelte profetiche - ed ha, infine, aggiunto: “L’integrazione è sempre un punto d’arrivo, un processo non breve che deve rimuovere sospetti e diffidenze e richiede dialogo, condivisione e - come stato intermedio - dei percorsi di inclusione e convivenza pacifica”.  L’intervento conclusivo è stato svolto da mons. Michele Tomasi, Vescovo di Treviso e delegato per la Pastorale sociale del Triveneto, che ha sottolineato la necessità di saper inquadrare il fenomeno migratorio nel suo orizzonte più ampio - che tiene conto anche degli scenari demografici e di mobilità umana - e comprendere che tale ambito tocca in profondità la vita e l’identità delle comunità cristiane: “Vale la pena, allora, affrontare le paure e le sfide con il metodo e lo stile di chi accende delle luci per cominciare a togliere qualche paura, di chi sa perseguire l’inclusività e la compassione, la capacità di incontrare le persone e condividere le esperienze. Siamo, infatti, convinti che tale fenomeno abbia un forte potenziale ri-generativo per le nostre comunità ecclesiali e civili”. I Vescovi, durante i momenti di dibattito, hanno espresso la consapevolezza del passo in avanti che la vastità e il perdurare strutturale del fenomeno migratorio - non visto più solo come problema ma come risorsa -  richiedono alle Chiese del Nordest, a partire dal contributo delle Commissioni regionali, sia negli aspetti di vita pastorale e annuncio missionario del Vangelo sia nelle relazioni con credenti e non credenti, con persone e comunità, nel dibattito pubblico e con i vari soggetti della vita politica, economica, culturale e lavorativa dei nostri territori. Hanno, infine, espresso l’auspicio che da parte delle istituzioni ed autorità civili siano posti al più presto segni concreti che aiutino migranti e comunità locali a favorire - nel rispetto, nella concordia e per esigenze di bene comune - l’inclusione ed una pacifica convivenza, ad esempio cominciando a prevedere modalità semplificate e con meno “pesi” burocratici negli ingressi regolari, nella concessione e nel rinnovo dei permessi di soggiorno ed anche offrendo il riconoscimento della cittadinanza a quanti da tempo vivono, sono nati o studiano nel nostro Paese.  

Film: Peripheric love, il mistero di nascere

10 Gennaio 2024 - Roma - Che il cinema, di questi tempi, racconti la storia di una gravidanza accettata in mezzo a mille difficoltà è già una notizia. Ancor più lo è se la protagonista è una giovane donna d'origine messicana immigrata in Italia, di nome (non a caso) Maria, che rimane «miracolosamente» incinta nonostante il marito, l'italiano Giorgio, sia sterile. È dunque un atto di coraggio quello compiuto dal regista svizzero Luc Walpoth con la vicenda narrata nel suo primo lungometraggio, Peripheric love, che domani arriva nelle sale italiane dopo l'anteprima di questa sera alle 21 al cinema Ambrosio di Torino, la città dove il film è ambientato in quanto capace di offrire un contesto della classe operaia e dell'immigrazione che meglio di altri definisce paure e desideri inespressi di un mondo in cui chi sta nel basso della scala sociale è forzatamente precario, instabile, cittadino a metà. Al cuore di Peripheric love c'è comunque la storia di un amore che una gravidanza inaspettata mette in crisi, ma che poi, come per «miracolo», si ricompone. È l'amore tra i rammentati Giorgio (Fabio Troiano) e Maria (Iazua Larios), persone semplici e genuine, che entra in crisi perché l'uno e l'altra si sentono sopraffatti dai desideri, dai bisogni e dalle paure dell'altro, in un contesto marcato da un ordine sociale che genera confusione, paura, marginalità, difficoltà di sentirsi a pieno titolo parte della comunità. Giorgio, tra l'altro, fa il guardiano notturno in una fabbrica in crisi, mentre Maria fa la cameriera proprio nella casa dei padroni dell'azienda dove lavora il marito. In questa situazione ciascuno dei due è spinto a cercare altrove la tenerezza e l'ascolto che non trova più nel coniuge, e si dischiude quindi a relazioni con nuovi confidenti: Maria dapprima nel rapporto amichevole, tenero, confidenziale e complice con il bambino della litigiosa famiglia in cui lavora, ma poi soprattutto nel conforto di padre Salvatore (Alessio Lapice), giovane sacerdote affascinato dal suo candore e dalla «miracolosa» gravidanza. Mentre Giorgio, dopo un'iniziale ostilità, si rifugia nell'affetto della transessuale Arlette (Christina Rosamilia). Ed è proprio questo gioco di caste relazioni uno degli aspetti più interessanti del film. L'importante, per chi cerca conforto, è trovare la persona giusta, disponibile, che ti sappia ascoltare. È dunque merito anche del sacerdote e della transessuale, o forse soprattutto di loro, se la futura nascita (voluta a tutti i costi da Maria, ma inizialmente osteggiata da Giorgio) diventa occasione di cambiamento e di rinnovamento. «Il film - dice il regista - aspira a portare il mistero della nascita nella sua misura umana e terrena, quella che finisce per attribuire alla natività un valore simbolico "rivoluzionario"». (Andrea Fagioli - Avvenire)  

Germania: domande di asilo raddoppiate nel 2023

9 Gennaio 2024 - Roma - Nel 2023 sono state circa 329mila le persone che hanno presentato domanda d'asilo iniziale in Germania. Si tratta di una crescita di oltre il 50% rispetto all'anno precedente. Lo dichiara l'Ufficio federale tedesco per le Migrazioni e i Rifugiati, come riporta Dpa. Includendo le domande successive, il valore sale a oltre 350mila domande. L'Ufficio ha elaborato lo scorso anno più di 260mila procedure di asilo. Circa la metà delle richieste hanno ottenuto lo status di protezione. Quasi 62mila domande sono state respinte e poco meno di 65mila procedure sono state interrotte ad esempio perché si tratta di domande che in seguito sono state ritirate. Quasi 23mila domande iniziali del 2023 hanno riguardato bambini di età inferiore a un anno nati in Germania. Con più di 104mila richieste di asilo dall'inizio dell'anno, la Siria è il Paese d'origine più rappresentato, davanti alla Turchia (62mila) e all'Afghanistan (53mila).  

Il Natale della tenerezza ha il volto dei ragazzi italiani e del loro abbraccio ai bambini rifugiati

9 Gennaio 2024 - Roma - Per il terzo anno consecutivo, i Giovani per la Pace sono tornati ad Atene nel periodo di Natale. Destinazione: il campo profughi di Schisto, alla periferia della capitale greca, dove la loro presenza sta diventando una tradizione attesa, durante l'estate e nel periodo natalizio. Nel campo ci sono un centinaio di bambini, che provengono da paesi in guerra come la Siria, l'Afghanistan e molti paesi africani. Anche per loro, come per Gesù, sembra non esserci posto. Da questa consapevolezza nasce la particolare cura e l'attenzione dei Giovani per la Pace per loro. Sono bambini poveri, deprivati di tanto. Non è facile infatti crescere in un campo profughi, senza spazi per giocare, o per studiare. Non ci sono colori: solo il grigio dei container, sopra il grigio della polvere del campo. L'arrivo dei Giovani per la Pace è un'irruzione di colori, musiche, proposte. Ma non si tratta solo di momenti di svago - che pure non sono secondari. La loro presenza fedele da anni è un riferimento umano e affettivo, un contributo alla convivenza tra i profughi, e rappresenta un motivo di speranza per tanti, come ha compreso - si legge sul sito della Comunità di Sant'Egidio - il Segretario Generale per la recezione dei richiedenti asilo, dr. Dimitris Iatrides (Secretary General for Reception of Asylum Seekers del Ministry of Migration & Asylum), che ha incontrato i responsabili dell'attività di Sant'Egidio ed ha espresso il desiderio di continuare e rafforzare la collaborazione con la Comunità in favore dei rifugiati, "ammirato di questi giovani che, non solo scelgono di trascorrere le loro vacanze estive ed invernali con i profughi, ma lo fanno in uno spirito di totale gratuità, cercando loro stessi i fondi per il viaggio e per le attività (pullman, pasti, regali di Natale)". Sono stati giorni di festa, e anche Babbo Natale è arrivato nel campo portando i regali a tutti. I Giovani per la Pace hanno ritrovato bambini che vivono lì da anni, incerti ancora sul loro futuro. "Non è la sorte di tutti, molti sono stati ricollocati e hanno trovato una destinazione definitiva, ma per chi rimane vedendo gli altri partire, la vita è ancora più dura", spiega la comunità.