Film: Peripheric love, il mistero di nascere

10 Gennaio 2024 – Roma – Che il cinema, di questi tempi, racconti la storia di una gravidanza accettata in mezzo a mille difficoltà è già una notizia. Ancor più lo è se la protagonista è una giovane donna d’origine messicana immigrata in Italia, di nome (non a caso) Maria, che rimane «miracolosamente» incinta nonostante il marito, l’italiano Giorgio, sia sterile. È dunque un atto di coraggio quello compiuto dal regista svizzero Luc Walpoth con la vicenda narrata nel suo primo lungometraggio, Peripheric love, che domani arriva nelle sale italiane dopo l’anteprima di questa sera alle 21 al cinema Ambrosio di Torino, la città dove il film è ambientato in quanto capace di offrire un contesto della classe operaia e dell’immigrazione che meglio di altri definisce paure e desideri inespressi di un mondo in cui chi sta nel basso della scala sociale è forzatamente precario, instabile, cittadino a metà. Al cuore di Peripheric love c’è comunque la storia di un amore che una gravidanza inaspettata mette in crisi, ma che poi, come per «miracolo», si ricompone. È l’amore tra i rammentati Giorgio (Fabio Troiano) e Maria (Iazua Larios), persone semplici e genuine, che entra in crisi perché l’uno e l’altra si sentono sopraffatti dai desideri, dai bisogni e dalle paure dell’altro, in un contesto marcato da un ordine sociale che genera confusione, paura, marginalità, difficoltà di sentirsi a pieno titolo parte della comunità. Giorgio, tra l’altro, fa il guardiano notturno in una fabbrica in crisi, mentre Maria fa la cameriera proprio nella casa dei padroni dell’azienda dove lavora il marito.
In questa situazione ciascuno dei due è spinto a cercare altrove la tenerezza e l’ascolto che non trova più nel coniuge, e si dischiude quindi a relazioni con nuovi confidenti: Maria dapprima nel rapporto amichevole, tenero, confidenziale e complice con il bambino della litigiosa famiglia in cui lavora, ma poi soprattutto nel conforto di padre Salvatore (Alessio Lapice), giovane sacerdote affascinato dal suo candore e dalla «miracolosa» gravidanza. Mentre Giorgio, dopo un’iniziale ostilità, si rifugia nell’affetto della transessuale Arlette (Christina Rosamilia). Ed è proprio questo gioco di caste relazioni uno degli aspetti più interessanti del film.
L’importante, per chi cerca conforto, è trovare la persona giusta, disponibile, che ti sappia ascoltare. È dunque merito anche del sacerdote e della transessuale, o forse soprattutto di loro, se la futura nascita (voluta a tutti i costi da Maria, ma inizialmente osteggiata da Giorgio) diventa occasione di cambiamento e di rinnovamento.
«Il film – dice il regista – aspira a portare il mistero della nascita nella sua misura umana e terrena, quella che finisce per attribuire alla natività un valore simbolico “rivoluzionario”». (Andrea Fagioli – Avvenire)