Tag: Vangelo Migrante

Vangelo Migrante: XXI Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 13, 22-30)

18 Agosto 2022 - Gesù si rifiuta di rispondere ad un tale che chiede: “Signore, sono pochi quelli che si salvano?” Domanda quanto meno sospetta che sembra cercare più nelle statistiche la sicurezza della propria salvezza che non nella misericordia di Dio. Il pensiero sotteso è che se la maggior parte o addirittura tutti si salvano, facilmente ci si può confondere nella massa, evitando di assumersi le proprie responsabilità. Per Gesù la questione della salvezza non si pone in termini generali o per gli altri, ma si pone “per me”. Argomento tutt’altro che datato. L’opinione diffusa che Dio è buono e quindi tutti, in un modo o nell’altro, si salveranno indipendentemente dalla qualità buona o cattiva della loro vita, non trova conferma nelle Sue parole. Gesù non dice se siano pochi, tanti o tutti quelli che si salvano. Sia chiaro, l’universale predestinazione alla salvezza è il nucleo essenziale della Sua predicazione: tutti sono chiamati, senza alcuna eccezione e senza alcun privilegio, a far parte del regno dei cieli; ma la possibilità di salvarsi, offerta a tutti indistintamente, richiede un’impegnativa risposta personale. E allora formula un invito molto chiaro: “sforzatevi di entrare per la porta stretta”. Non è un immagine ‘lacrime e sangue’ o un’impresa fuori della nostra portata. Il Vangelo porta solo belle notizie e, quindi, la porta è stretta, è un’entrata piccola, come lo sono i piccoli, i bambini e i poveri, veri prìncipi del regno di Dio; è stretta ma a misura d’uomo, di un uomo nudo ed essenziale che ha lasciato giù tutto ciò che lo gonfiava: ruoli, portafogli, l’elenco dei meriti, i bagagli inutili, il superfluo; la porta è stretta, ma è aperta. L’insegnamento è chiaro: fatti piccolo e la porta si farà grande! E va oltre. Attenzione: non è la stessa cosa stare dentro o fuori! Il rischio di rimanere esclusi dal regno esiste ed ha delle conseguenze: “là ci sarà pianto e stridore di denti”. Nè servirà bussare e dire: “Signore aprici!” o vantarsi di cose di poco conto: “abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Quanti non sono passati per la porta stretta a motivo della propria ignavia e falsa coscienza, si sentiranno rispondere: “non so di dove siete”. Dio non riconosce per formule, riti, simboli religiosi o perché si fanno delle cose per Lui, ma perché con Lui e come Lui si fanno delle cose per i piccoli e i poveri. Il resto o sono alibi o false credenziali che normalmente poggiano su un Dio a misura d’uomo. Non mancheranno sorprese. Oltre quella porta Gesù immagina una festa multicolore: verranno da oriente e occidente, dal nord e dal sud del mondo e siederanno a mensa. La porta stretta non è porta per pochi, o per i più bravi. Tutti possono passarvi, per la misericordia di Dio. Il suo sogno è far sorgere figli da ogni dove, per una offerta di felicità, per una vita in pienezza. Lui li raccoglie da tutti gli angoli del mondo; il Suo regno ammette quelli che il mondo reputa clandestini; e se arrivati ultimi, Lui li considera primi. Attrezzarsi a passare quella porta, non è ‘fare di meno’ … ma darsi da fare con un Vangelo che travalica tutti i confini, non solo quelli geografici! (p. Gaetano Saracino)  

Vangelo Migrante:XX Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 12, 49-53)

10 Agosto 2022 - Gesù non usa giri di parole: “sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! (...) Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione”. Ma cosa sono questo fuoco e questa divisione di cui parla? Il Vangelo non è ottundimento e illusione ma “morso del più”: visione, coraggio, creatività, appunto, fuoco! Altro che oppio dei popoli! Dio non è neutrale: vittime o carnefici non sono la stessa cosa davanti a lui, tra ricchi e poveri, Dio ha delle preferenze e si schiera. Il Dio di Gesù Cristo non porta la falsa pace della neutralità o dell’inerzia, ma “ascolta il gemito” di chi lo invoca e prende posizione contro i faraoni di sempre. La divisione che porta evoca il coraggio di esporsi e lottare contro il male. Perché si può uccidere anche stando alla finestra, muti davanti al grido dei poveri e di madre terra, mentre soffiano il vento dell’odio, si chiudono approdi, si alzano muri, avanza la corruzione. Non si può restarsene inerti a contemplare lo spettacolo della vita che ci scorre a fianco, senza alzarsi a lottare contro la morte e ogni forma di morte. Altrimenti il male si fa sempre più arrogante e legittimato. Quel fuoco è l’alta temperatura morale che rende possibili le trasformazioni positive del cuore e della storia. Come quella fiammella che a Pentecoste si è posata sul capo di ogni discepolo e ha sposato una originalità propria, ha illuminato una genialità diversa per ciascuno. Abbiamo bisogno estremo di discepoli geniali, con fuoco. È questo che intende papa Francesco quando nella Evangelii Gaudium invita i credenti a essere creativi, nella missione, nella pastorale, nel linguaggio. Propone instancabilmente non l’omologazione, ma la creatività; invoca non l’obbedienza ma l’originalità dei cristiani. Fino a suggerire di non temere eventuali conflitti che ne possono seguire perché senza conflitto non c’è passione (EG 226). Un invito pieno di energia a non seguire il pensiero dominante, a non accodarci alla maggioranza o ai sondaggi d’opinione. Essere discepoli significa essere profeti: invito forte, anche se molte volte disatteso! Essere profeti anche scomodi, per Gesù significa far divampare quella goccia di fuoco che lo Spirito ha seminato in ogni vivente. (p. Gaetano Saracino)

Vangelo Migrante: XIX Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 12, 32-48)

4 Agosto 2022 - Il messaggio centrale del Vangelo di questa domenica è la costante vigilanza, necessaria per ogni discepolo. Rispetto a cosa? Per chi? Rispetto al primato di Dio e al suo Regno. “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno”, dice Gesù. A Dio è piaciuto consegnare il Suo Regno, l’unico vero tesoro, ai discepoli. Per quel tesoro, Gesù raccomanda di disfarsi in fretta dei beni esposti alla minaccia dei ladri e del tempo che passa e consuma. È necessario, invece, conseguire un tesoro che non si consuma, guidati dalla fiducia incrollabile che il Padre non lascerà mai mancare al suo piccolo gregge il necessario per vivere. Strettamente collegata all’impegno di disfarsi dei beni materiali, Gesù pone l’esigenza della vigilanza per attendere, svegli e pazienti, un tempo oltre quello presente: la vita eterna. Come fanno quei servi che attendono il padrone che torna dalle nozze, non per dovere o paura, ma perché desiderato. E quel ‘desiderato’, Dio, quando viene, si pone a servizio della felicità dei suoi e della loro pienezza di vita! Immagine clamorosa, che solo Gesù ha osato: Dio servo degli uomini! Una fortuna ed una beatitudine che non deriva dalla fedeltà o dalla bravura dei servi, ma da un Dio così! Intanto Pietro, sempre lui, spera che Gesù abbia detto queste cose per tutti, visto che lui e i suoi sodali hanno molte ragioni per pensare che sono tra i più convinti e generosi discepoli del Maestro; e, quindi, se la parabola è per tutti, loro possono stare tranquilli. Sono già tra i migliori. Sono gli altri che eventualmente devono imparare ad essere più vigilanti e generosi nel compiere i loro doveri. Gesù delude le attese di Pietro. E parla di un amministratore fedele e saggio che è pronto a consegnare al padrone una casa in ordine in qualunque momento il padrone lo chiami a rapporto. Ribadisce la costante vigilanza e mette in evidenza cosa scatena anche il solo pensare che “il padrone tarda a venire”. Esso provoca l’atteggiamento dove il bene divino diventa occasione di tristezza e non di gioia e da cui scaturiscono noia, tristezza, mancanza di concentrazione, ozio, indolenza e continua ricerca di distrazioni. L’amministratore della parabola, investito da questo vizio, continua Gesù, comincia a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi. questo fa l’accidia. Alle nostre latitudini, la spia di questo atteggiamento sono le domande: “chi me lo fa fare? A cosa serve? Ne vale la pena?”. Proprio per non lasciarsi vincere da questo vizio che paralizza lo spirito e intristisce la vita, Gesù esorta ripetutamente alla vigilanza. La fortuna di ogni discepolo, conclude il Vangelo sta proprio nell’avere un padrone così, pieno di fiducia verso i suoi, che non nutre sospetti, che affida la casa, le chiavi, le persone. È la Sua fiducia che conquista, commuove, e chiede una risposta. A ciascuno secondo le sue responsabilità: “a chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più”. Esse non sono per tutti uguali. Non bisogna regolarsi sugli altri per verificare la propria vita cristiana. L’unico criterio valido è rappresentato da Gesù e dal suo vangelo. Vigilanza e generosità sono richieste a tutti, sarà il Signore, poi, a valutare come ciascuno avrà messo a frutto i tanti o i pochi doni ricevuti. Il molto ricevuto non deve essere considerato come un peso o una sfortuna, ma come una grande grazia. Il vangelo è lieta novella che rende la vita bella e piena, e non annuncio triste, deludente e noioso. E, come ogni cosa bella, esige impegno e serietà per poter essere raggiunta ed apprezzata. (p. Gaetano Saracino)  

Vangelo Migrante: XVIII Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 12,13-21)

28 Luglio 2022 - La pagina del Vangelo di questa domenica, piuttosto diretta, non ha bisogno di interpretazioni: “fate attenzione e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede” (…). È necessario arricchirsi davanti a Dio! Nel Vangelo le regole che riguardano la ricchezza si possono ridurre essenzialmente a due soltanto: non accumulare; quello che hai ce l’hai per condividerlo. Ma, visto che conquistare dei beni è un’aspirazione umana fondamentalmente e che i beni sono comunque necessari per una giusta esistenza, Gesù, con la parabola del ricco stolto,  mette in guardia da un atteggiamento che allontana da Dio e dal prossimo e non assicura affatto dalla miseria, dalla vecchiaia e dalla morte. Tutt’altro. L’accumulo delle ricchezze è il contrario del Padre Nostro. In quella preghiera non si dice mai ‘io’, ‘mio’, ma sempre ‘tu e tuo; noi e nostro’: la radice del mondo nuovo, inaugurato da Gesù. L’uomo ricco della parabola, invece, è tutto un ‘io-mio’ ed è solo al centro del suo deserto di relazioni: “i miei beni, i miei raccolti, i miei magazzini, me stesso, anima mia; demolirò, costruirò, raccoglierò...”. Non ha un nome proprio, perché il denaro ha mangiato la sua anima, si è impossessato di lui, è diventato la sua stessa identità: è ‘un ricco’ senza identità visto che nessuno entra nel suo orizzonte e non c’è alcun ‘tu’ a cui rivolgersi. Uomo senza aperture, senza brecce e senza abbracci.  Questa non è vita. E, non a caso, Gesù la mette in correlazione con la sorte di tutti: la morte. “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta indietro la tua vita”; ma quell'uomo ha già allevato e nutrito la morte dentro di sé con le sue scelte. È già morto agli altri, e gli altri per lui. La morte ha già fatto il nido nella sua casa. Perché, sottolinea la parabola, la sua vita non dipende dai suoi beni, non dipende da ciò che uno ha, ma da ciò che uno dà. La vera ricchezza e la vera vita sono solo di ciò che si dà via. Alla fine dei giorni, sulla colonna dell’avere resta soltanto ciò che avremo avuto il coraggio di mettere nella colonna del dare. Chi accumula ‘per sé’, invece, lentamente muore. Arricchire davanti a Dio significa ricevere vita in cambio dell’amore donato. Prendersi cura della felicità di qualcuno, aiuta Dio a prendersi cura della propria. (p. Gaetano Saracino)    

Vangelo Migrante: XVII Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 11,1-13)

21 Luglio 2022 - Gesù dedicava tempi prolungati alla preghiera. I discepoli lo ammiravano ma allo stesso tempo constatavano la loro incapacità di pregare. Di qui il desiderio di imparare a pregare: “Signore, insegnaci a pregare”. Gesù accoglie la richiesta e insegna loro il Padre nostro. Non tanto la ripetizione di una formula (i discepoli ne conoscevano già molte) ma innanzitutto l’atteggiamento indispensabile ad ogni preghiera, il modo autentico per stare dinanzi a Dio; quello da cui scaturiscono tutte le forme di preghiera: l’ascolto, la richiesta di perdono, il ringraziamento e la lode, la domanda. Padre: immette nel clima del rapporto tra padre e figlio. Padre è la parola che ci fa riconoscere Suoi figli e fratelli tra noi; libera dalla paura, dalla solitudine, dal rimorso, dal peccato, dal fallimento; è la certezza di essere amati anche quando crolla tutto il mondo attorno a noi, anche quando siamo noi a crollare. Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno sono le cose più importanti da cercare e praticare. L’opera di santificazione del suo nome e la costruzione del suo regno, producono un atteggiamento interiore di grande serenità e, al contempo, la disponibilità a fare la propria parte, ad offrire una piccola ma importante collaborazione. Il Padre non abbandonerà mai questo suo compito: è all’altezza ed è sempre all’opera. Sappiamo già che il suo regno è destinato a compiersi in pienezza. Ma vuole farlo con chi prega! Il pane, il perdono, le prove: Le tre domande che seguono danno concretezza alla fiducia nel Padre e all’impegno di collaborazione da parte dell’orante. Il pane indica tutte le realtà indispensabili per vivere: il cibo, il vestito, la casa, ma anche il rispetto, l’amicizia, la stima… Chiederlo a Dio vuol dire riconoscere che il creato, la vita, la nostra esistenza dipendono da lui. Chiedere a Dio il pane vuol dire anche assumere le nostre responsabilità per guadagnarci, attraverso le nostre capacità e il nostro lavoro, il cibo e quanto serve per vivere in modo dignitoso. Per se stessi e per i fratelli. I torti, le liti, le offese inevitabilmente avvelenano le relazioni tra gli uomini. Inutile sognare su questa terra un regno perfetto, dove tutto questo possa essere definitivamente superato. Esiste solo la strada del perdono per ristabilire la fraternità. La domanda di non abbandonarci alla tentazione, di renderci forti nel tempo della prova indica soprattutto il pericolo di non fidarsi di Gesù nelle vicende della vita per lasciarsi guidare dai desideri superficiali e in apparenza capaci di promettere un grande piacere. L’interesse personale e il benessere immediato rischiano di diventare i criteri fondamentali che guidano l’esistenza: il ‘pane’ solo per sé e l’incapacità di perdonare sono in concreto le forme più comuni della tentazione. Dopo le parole e gli atteggiamenti della preghiera, Gesù segnala con fermezza, attraverso due brevi parabole, la necessità di essere insistenti nella preghiera. La fiducia ostinata con la quale Gesù ci chiede di rivolgerci a Dio, ci ricorda che la preghiera non serve tanto per cambiare la realtà, ma per cambiare noi stessi. Bussare, chiedere, cercare, insistere non serve per spiegare meglio a Dio quello di cui abbiamo bisogno, ma per imparare a guardare la realtà con gli occhi di Dio. Ecco spiegata la preghiera e la sua necessità: l’esercizio continuo della nostra conversione alla volontà di Dio. Una pratica laboriosa e faticosa. Ma non impossibile. Dinanzi a un Dio che non sta certo a guardare e basta! (p. Gaetano Saracino)      

Vangelo Migrante: XVI Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 10,38-42)

15 Luglio 2022 - La storia del Vangelo di questa domenica la conosciamo bene: è quella di Marta e Maria. Gesù e i suoi discepoli sono in viaggio e Marta lo ospitò. Marta ha una sorella di nome Maria ma lei è la primogenita, la generosa ma anche la pratica, l’operativa e, se vogliamo, la servizievole. Lei ospita Gesù, e sua sorella non si mette a collaborare con lei. Dal dialogo che segue con Gesù, comprendiamo che Marta ha un problema: è arrabbiata e, per questo, rimprovera il Signore perché nelle cose che sta dicendo non si interessa di quella ingiustizia domestica. E interviene sulla Sua predica borbottando: “dille che mi aiuti!” Ha ospitato il Signore ma resta nel suo mondo: il Signore deve fare (e dire) quello che dice lei. Gesù le dà una risposta pungente e profonda allo stesso tempo: ci sono altre cose che contano; quelle a cui lei dà importanza, sono ‘a termine’ e, per questo, secondarie. Prima o poi le saranno tolte. Come Marta, anche per noi un Signore che non risponde ai nostri schemi, compreso il nostro senso di giustizia, … sta sbagliando. In chi non vede altro, questo fa rabbia. Tanta. Ma questo non è lo schema del Vangelo. Non è l’assoluto per la vita eterna. Con Gesù i conti non tornano mai. Gesù non è venuto a portare giustizia (un tanto ciascuno) ma è venuto a portare la parte migliore di ogni cosa, a tutti. Le aspettative di Marta sono deluse. Ma ciò che è più grave è che con il suo gesto non accoglie il Signore. Lo alloggia. Accogliere è anche ascoltare; e lei, invece, continua a parlare … È un rischio: si può dare spazio al Signore, essere operativi per Lui ma non lasciarlo parlare. Quando il Signore arriva può chiedere anche qualcosa di diverso da quello che noi pensiamo; qualcosa che potremmo non ritenere importante. Il Signore può visitarci anche come accade con alcune ‘prove’: quante volte ci accorgiamo che potevano essere un’opportunità per cambiare il nostro cuore e, invece, essendoci concentrati sulle soluzioni, non abbiamo permesso che ci parlassero e ci cambiassero. È un Vangelo che mette in crisi uno stile efficentista ed efficace, anche nell’accoglienza. Un’ospitalità solo organizzativa che non prevede l’ascolto … oltre a non esser accogliente rischia anche di essere dannosa. Il problema quel giorno non era preparare il pranzo o fare bella figura ma era accogliere e ascoltare Gesù.  Forse Marta se n’è accorta solo dopo che Gesù se n’è andato! Ma per fortuna Gesù tornerà. Perché torna sempre. (p. Gaetano Saracino)

Vangelo Migrante: XIV Domenica del Tempo Ordinario | Vangelo (Lc 10,1-12.17-20)

30 Giugno 2022 - Continua il viaggio alla sequela di Gesù, iniziato domenica scorsa. Il rapporto con Gesù è quello di un discepolo che si lascia guidare ad una vita che non ha e non può darsi da solo. Come arriva questa vita? è necessario qualcuno che la porti, qualcuno che la annunci e qualcuno che la accolga. A portarla è Gesù. Nel Vangelo di questa domenica Egli dà le istruzioni ad altri 72 discepoli inviati “davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi”. In esse sono contenute le condizioni dell’annuncio che, a loro volta, sono anche le caratteristiche di chi annuncia. Gli operai chiamati, sono mandati come agnelli in mezzo ai lupi, sono istruiti a non portare con sé né borsa, né sacca, né sandali e a non fermarsi a salutare nessuno lungo la strada. Il loro ingresso in ogni casa sia fatta solo con il saluto della ‘pace’… E i discepoli partono. Vivono questa esperienza e tornano entusiasti perché hanno visto l’efficacia di questa parola. Ma Gesù sembra smontare il loro ‘successo’ perché non è quello il punto. Come a dire: “anche se avete dovuto combattere contro il demonio e avete vinto, non è questa la cosa più importante che avete fatto. Il punto è che voi siete per il cielo: il vostro nome è scritto nei cieli”. È lì la fonte della missione ed è da lì che si riceve la grazia necessaria per compierla. Si è mandati. La trasparenza del discepolo è necessaria perché si possa riconoscere, attraverso di lui, ovunque, la persona di Gesù. Questo è quello che vede e che serve a chi riceve l’annuncio, la vita da Gesù: il discepolo non è un lupo ma un agnello; non è un vincente ma un fragile. Non è un comunicatore che si impone rispondendo all’impulso del fascino delle cose terrene. Quell’annuncio non lo prevede. I discepoli sono addirittura persone ‘rifiutabili’. La loro forza non sono le cose materiali: non hanno soldi (la borsa) non hanno pane (sacca) ed hanno una sola strada da compiere (non hanno sandali). Sono persone che rinunciano ai propri progetti e non portano progetti alternativi. Stupisce il fatto che Gesù non raccomanda gesti d’amore. Perché? Perché non serve essere uomini di Cristo per farlo. Aiutare è lo specifico di tutti gli uomini e non ‘solo’ dei discepoli. Ogni uomo sa a priori, comunque, di doversi occupare dei problemi materiali e dei bisogni degli altri. Il problema è che questo non basta. L’uomo ha bisogno di qualcosa che è oltre i soldi e il pane; qualcosa che è prioritario. La semplicità, l’essenzialità e l’unitarietà dell’annuncio sono il segno che chi porta il Vangelo non viene per le futilità. Una sola è la parola che Gesù mette sulla loro bocca, all’ingresso in una casa: “pace!” Il loro saluto non è un convenevole ma la ‘pace’. Parola usata e abusata: la si chiede a chi non ce l’ha o la si intende come un insieme di accordi e compromessi, una ‘non guerra; e, invece la pace è di Dio, viene dal cielo e solo Lui può darla. Ed è tutto quello di cui gli uomini hanno bisogno. Se il Vangelo ci semplifica su quello che conta veramente, il primo frutto è la pace. Per chi la offre e per chi la riceve! (P. Gaetano Saracino)  

Vangelo Migrante: Santissimo Corpo e Sangue di Cristo | Vangelo (Lc 9,11-17)

16 Giugno 2022 - Né a noi né a Dio è bastato darci solo la sua Parola. L’uomo ha così tanta fame che ha bisogno anche della Sua carne e del Suo sangue. E Dio non ha tenuto per sé né il Suo corpo “prendete e mangiate”; nè il Suo sangue “prendete e bevete”; e nemmeno il Suo futuro: “ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”. La festa del Corpo e Sangue del Signore, questa domenica è raccontata dal Vangelo attraverso il segno del pane che non finisce. I dodici sono appena tornati dalla missione, Gesù li accoglie e li porta in disparte. Ma la gente di Betsaida li vede, accorre da loro e li stringe in un assedio che Gesù non può e non vuole congedare, diversamente da come i discepoli gli chiedono di fare. Allora è Lui a riprendere la missione dei Dodici: “prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure”. In queste parole c’è tutto l’uomo: creatura che ha bisogno di Dio, di assoluto, di cure … e di pane; c’è tutta la missione di Gesù e della Sua Chiesa: insegnare, guarire, nutrire. E c’è il nome di Dio: Colui che si prende cura di tutti e di ciascuno. Anche di ciascuno di noi, una di quelle cinquemila persone in una sera sospesa, la sera della vita, il tempo in cui si finalizza tutta l’esistenza: “il giorno cominciava a declinare”.  Gli apostoli hanno a cuore la situazione, si preoccupano della gente e di Gesù, ma non hanno soluzioni da offrire: che ognuno si risolva i suoi problemi da solo. Il loro cuore, che pure è buono, non vede oltre l’ognuno per sé, oltre la solitudine. Ma Gesù non li ascolta, Lui non ha mai mandato via nessuno. Vuole fare di quei bisogni e di quel luogo deserto, e di ogni deserto, una casa, dove si condividono pane e sogni. Per questo risponde: “voi stessi date loro da mangiare”. Gli apostoli non possono, non sono in grado, hanno soltanto cinque pani e due pesciolini. Ma a Gesù non interessa la quantità, e passa subito a un’altra logica: sposta l’attenzione da che cosa mangiare a come mangiare: “fateli sedere a gruppi”; come a dire: fate tavolate, create mense comuni, comunità dove ognuno possa ascoltare la fame dell’altro e faccia circolare il pane che avrà fra le mani. Infatti non sarà lui a distribuire, ma i discepoli e, a sua volta, l’intera comunità. Il gioco divino, al quale in quella sera tutti partecipano, non è la moltiplicazione, ma la condivisione. In questo quel pane è una benedizione e non una guerra. Il mistero della Sua presenza reale nel pane Eucaristico, da accogliere ed adorare, non può fare a meno di una mensa dove spezzarlo, condividerlo e distribuirlo. Solo così ci sarà dato di vedere anche i miracoli che fa. Il primo: sazia tutti! Non finisce mai! Il secondo: avanza! Il popolo di Dio li vede e non smette di adorare e ringraziare! (p. Gaetano Saracino)

Vangelo Migrante: Santissima Trinità | Vangelo (Gv 16,12-15)

9 Giugno 2022 - La Pentecoste porta a termine la rivelazione di Dio Padre, Figlio e Spirito santo. Oggi il mistero della Trinità ci dice che quella ‘sequenza’ non è separata ma unita. Una questione, si sa, non di primissima comprensione, forse perché è necessaria un’operazione di astrazione per far coincidere l’uno e il tre … È il Vangelo che, come sempre, ci apre la strada al mistero di Dio. Innanzitutto dice che esiste una verità tutta intera sulla nostra vita e va imparata a partire dalla meta: “lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future”. Quali sono queste cose future? Nella vita, tutti aneliamo alla relazione, allo stare con gli altri ed essere uniti: mi sento veramente uomo quando amo e sono amato, quando accolgo e sono accolto. È la stessa verità della Vita del Padre e del Figlio, consegnata allo Spirito perché la annunci. Il sogno di Dio per l’uomo fatto a sua immagine e somiglianza e la Vita stessa di Dio-Trinità, coincidono. Se guardiamo bene, Adamo non è stato fatto a immagine del Dio che crea, né a immagine del Verbo che era da principio presso Dio; e non fu fatto nemmeno ad immagine dello Spirito che si librava sulle acque. Molto di più, Adamo ed Eva sono stati fatti a immagine della comunione, del legame d’amore e di condivisione del Padre, del Figlio e dello Spirito. C’è un cromosoma divino in noi ed è la nostra identità più profonda: la relazione, un legame oltre ogni solitudine. Se viene meno, la vita pesa e fa paura perché è contro la nostra vera natura. Se Dio è Dio solo in questa comunione, allora anche l’uomo sarà uomo solo in una analoga relazione d’amore. E questa è la verità tutta intera. È intera non perché ci dice solo come stanno le cose ma perché nelle cose ci mette qualcuno. La verità, infatti, non è solo un insieme di cose misurabili o fattuali. Perché sia compresa è necessario entrare in relazione con il reaale a cui essa si riferisce. Un conto è conoscere i dati biometrici di una persona, un conto è entrare in relazione con essa (stringerla, abbracciarla). Per questo lo Spirito non insegna un contenuto ma un modo di essere. Camminare verso un concetto è diverso dal camminare verso qualcuno. Perché? Perché comporta essere qualcuno. Questo scambio di relazioni necessarie per esistere e per comprendere il reale, sono il riflesso della Trinità: non un circuito chiuso, ma un flusso aperto che riversa continuamente amore, verità, intelligenza. Mi disse una volta un monaco: al termine di una giornata puoi anche non aver mai pensato a Dio, mai pronunciato il suo nome. Ma se hai creato legami, se hai procurato gioia a qualcuno, se hai portato il tuo mattone di comunione, tu hai fatto la più bella professione di fede nella Trinità. Se Dio è Trinità, noi ne siamo la copia più autentica. Ci ha fatti così! (p. Gaetano Saracino)

Vangelo Migrante: Ascensione del Signore | Vangelo (Lc 24,46-53)

26 Maggio 2022 - Ascensione è la navigazione del cuore, che conduce dalla chiusura in te, all’amore che abbraccia l’universo. Così papa Benedetto definisce questo mistero a cui Gesù chiama gli apostoli, un gruppetto di uomini impauriti e confusi, un nucleo di donne coraggiose e ogni fedele. Li spinge a pensare in grande, a guardare lontano, ad essere il racconto di Dio “a tutti i popoli”. La liturgia della parola di questa domenica propone un duplice racconto dell’Ascensione attinto dall’unica opera dell’evangelista Luca divisa in due parti: il Vangelo e gli Atti degli Apostoli. “Mentre lo guardavano, fu elevato in alto”. E ancora: “Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo”. I racconti, pur con particolari diversi, non si contraddicono. Entrambi non considerano l’Ascensione come l’addio di Gesù ai suoi discepoli ma come sigillo del compimento del Suo ministero in mezzo a loro. Terminata la missione di Gesù, comincia quella degli apostoli e dei discepoli: “di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra”. L’Ascensione è il passaggio dalla missione di Gesù alla missione della Chiesa. Sono i discepoli in prima persona che devono farsi carico dell’evangelizzazione. Eloquente è quello che si legge nel racconto degli Atti: “uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”. Nell’Ascensione si stampa nella mente e nel cuore del discepolo la meta ultima della sua fede e della vita della Chiesa: l’avvento, il ritorno di Gesù, fonte di gioia e sostegno di speranza. Ma allo stesso tempo gli viene consegnato un monito: non lasciarsi incantare in una vana contemplazione del cielo. Vana è la contemplazione che non porta ad impegnarsi per vivere quotidiane relazioni di fraternità e di comunione. Vana è la contemplazione che non si occupa del bene comune. Vana è anche la contemplazione di chi pretende che questa terra sia già il cielo. La vicinanza di Dio, attraverso l’azione dello Spirito Santo, non si sostituisce all’azione dei discepoli, ma contribuisce in maniera essenziale a renderla efficace. Essa è presente nel profondo delle cose. Nel mondo non esiste solo la forza di gravità verso il basso, ma anche una forza di gravità verso l’alto: siamo eretti noi, lo sono gli alberi, i fiori, la fiamma, sale l’acqua delle maree e la lava dei vulcani. Una nostalgia di cielo. L’Ascensione annuncia un ‘oltre’: la realtà non è solo quello che si vede; in ogni cosa, anche nel patire, Dio ha immesso scintille di risurrezione, squarci di luce nel buio, crepe nei muri delle prigioni. Ed è con noi. Sempre e per sempre! (p. Gaetano Saracino)