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Scalabriniani: cinque anni della Casa Scalabrini 634

18 Giugno 2020 - Roma - Era il 20 giugno 2015 quando il primo ospite varcava la soglia di Casa Scalabrini 634. “Quel giorno diveniva realtà la risposta concreta e puntuale della Regione Europa-Africa di noi Missionari Scalabriniani all’appello all’accoglienza che papa Francesco aveva rivolto anche a noi durante l’estate del 2013”, ricorda Fratel Gioacchino Campese, direttore generale di Casa Scalabrini 634. “Quella che era stata la casa di formazione dei religiosi studenti scalabriniani si è trasformata in una casa radicata nel territorio dove la cultura dell’incontro diventa realtà, diventa carne, generando relazioni umane tra le persone che siano rifugiati, migranti o italiani. Così si costruisce gradualmente, e con i talenti di tutti, la comunità, seguendo l’itinerario dei quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere, integrare”, aggiunge Fr. Campese. Per questo il prossimo 22 giugno alle 11,30 è previsto un incontro in streaming con p. Fabio Baggio, sottosegretario della Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero sullo Sviluppo Umano ed Integrale della Santa Sede, p. Camillo Ripamonti del Centro Astalli e Andrea Zampetti. A loro si uniranno alcune testimonianze di operatori e ospiti della Casa. Altro punto chiave della buona riuscita di Casa Scalabrini 634 – si legge in una - è stato il giovane team che da 5 anni porta avanti con “passione” e “dedizione l’idea iniziale”. “Siamo un gruppo eterogeneo, ma proprio per questo funzioniamo bene”, afferma Emanuele Selleri, direttore esecutivo del programma. “Nel quartiere siamo dei vicini di casa aperti e trasparenti, offrendo a chiunque bussasse alla porta molteplici occasioni di venire e vedere la quotidianità che viviamo dentro le nostre mura. Oggi possiamo dire di essere una parte attiva del quartiere, riconosciuti e stimati per il segno, magari piccolo, che diamo assieme ai nostri ragazzi. Fin dall’inizio siamo stati sorretti dal network solido creato prima di aprire fisicamente le porte della struttura. Abbiamo da subito condiviso l’originalità del programma, perché quello che stavamo iniziando ci sembrava, e ne siamo ancora convinti, la giusta sintesi per colmare la “zona grigia” del sistema di accoglienza in Italia. Da noi nessuno è straniero, o meglio ciascuno di noi è un po’ straniero per qualcun altro e per questo motivo qualsiasi evento o iniziativa si svolga in casa è sempre aperto a tutti”. Nei primi cinque anni Casa Scalabrini 634 ha accolto 160 persone, tra le quali, qualche famiglia con minori, per un tempo variabile dai 6 mesi ad un anno, tempo congruo per consentire alla persona di recuperare la propria autonomia e “riprendere le forze” ed i mezzi necessari per affrontare una nuova vita in Italia. A parte un'occupazione, iniziale o stabile che sia, le giornate di chi vive in Casa Scalabrini 634 sono riempite anche dalla attiva collaborazione nella gestione della casa, come pure dalla presenza di tanti volontari che, con la loro disponibilità, offrono occasioni di formazione o di relazione personale. Tutto questo rende sempre più autentico il senso di “casa” che la struttura porta nel nome. A questi numeri, nel primo quinquennio, si aggiungono le 11.500 persone che hanno partecipato ad eventi di sensibilizzazione e 1.500 per la formazione specifica.    

Scalabriniani: ancora morti “di periferia”

12 Giugno 2020 -
Roma - Non è ancora nota la sua identità, è forse non lo sarà mai, ma tra le fiamme divampate questa mattina alle 6 nel 'ghetto di Borgo Mezzanone' (Foggia) giace ancora il corpo carbonizzato di una persona che dormiva in una baracca.
Quelli che si apprende minuto dopo minuto è che di sicuro sia una persona proveniente dall'Africa, evidenzia una nota dei padri Scalabriniani.
Borgo Mezzanone non ha cessato di ospitare, poco fuori del centro abitato, un insediamento abusivo, un pezzo di terra detto 'ex pista', anche durante il tempo della pandemia.  “Le 1500 persone che lo occupano sono le stesse che si è cercato di regolarizzare a ridosso della stagione dei raccolti ormai alle porte”, ricorda padre Mauro Lazzarato, superiore dei missionari Scalabriniani di Europa e Africa: "non c'era bisogno dell'ennesima tragedia per denunciare che il riconoscimento giuridico e l'impiego nel lavoro nei campi su cui tanto si discute vengono dopo l'accoglienza e la protezione necessaria e decisiva perché sia fatta salva innanzitutto la vita di ogni essere umano presente sul nostro territorio e si riconosca quella dignità che nessuna regola restrittiva o economica deve ignorare”, aggiunge padre Lazzarato .
 A questa tragedia fa il paio quanto riferito dalla cronaca qualche giorno fa: i soprannomi ingiuriosi e dispregiativo attribuiti agli sfruttati nei campi in Calabria. "Crediamo - spiega la nota - che le difficoltà ad uscire da una crisi che tutti stiamo attraversando, non possono giustificare nessuna barbarie".

Scalabriniani: visori e video tridimensionali per mettersi nei panni dei migranti

15 Gennaio 2020 - Roma - È racchiuso nello spazio di un gioco di ruolo che utilizza visori speciali, app e la tecnologia dei video tridimensionali a 360 gradi l’esperienza proposta, soprattutto ai giovani delle scuole, dal progetto “Ponte di dialoghi – Bridges beyond borders” promosso dalla Fondazione Cser (Centro studi emigrazione Roma) degli Scalabriniani, con il sostegno economico della Fondazione Migrantes e a cura di Ceiba Factory. Il progetto, presentato a Roma nella sede del Cser, vuole promuovere una cultura della conoscenza e dell’accoglienza contro ogni forma di discriminazione e xenofobia. Prenderà il via a marzo in una decina di scuole medie inferiori e superiori. Coinvolgerà almeno 1000 studenti e durerà per tutto il 2020. Per ora sono disponibili quattro storie diverse, sintetizzate in 7 minuti, raccontate in immagini tridimensionali riprese da una telecamera GoPro posta sulla testa del protagonista principale. Chi indossa il visore Oculus Go ha la sensazione di trovarsi veramente al posto di Carolina del Rwanda, di Namin della Guinea o degli altri migranti dal Congo e dall’Est Europa. È costretto ad ascoltare voci e urla delle carceri libiche, a rischiare di annegare in mare o a vedersi camminare a piedi attraverso deserti senza acqua da bere, nelle townships di Cape Town in Sudafrica o su un marciapiede di Roma a chiedere l’elemosina. Alla fine di ogni video si scopre il vero volto del/della protagonista, con una breve testimonianza. Nelle storie si affrontano temi come la violenza e la tratta delle donne, lo sfruttamento lavorativo, le condizioni dei richiedenti asilo, la vita delle badanti dell’Est Europa, costrette a lasciare i figli a casa. Il progetto prevede una giornata formativa con la visione del filmato, l’approfondimento con la presenza di testimoni ed esperti, il feedback dei ragazzi. Sarà inoltre realizzata una collana di volumi didattici sulla storia delle migrazioni in alcune città italiane e laboratori di formazione artistica e pedagogico-teatrale. “Vogliamo unire la dimensione cognitiva con quella emozionale – ha spiegato padre Lorenzo Prencipe, responsabile del Cser -, per arginare quella che è stata definita la ‘fine della compassione’. Oggi ci si abitua a tutto e niente più ci indigna o commuove, nemmeno i naufragi “.  L’idea è partita da una intuizione di padre Gabriele Beltrami, responsabile dell’ufficio comunicazione degli Scalabriniani.

Scalabriniani: un gruppo di giovani italiani sulla rotta balcanica per “solidarietà e denuncia”

17 Settembre 2019 -

Roma - Padre Jonas e un gruppo di giovani (Paola, Davide, Martina, Milena, Simone, Barbara, Valentina e Miriam) stanno facendo un viaggio attraverso i confini di terra della rotta balcanica, dalla frontiera tra Siria e Turchia fino all’Italia. Sono partiti il 6 settembre da Gaziantep in Turchia e concluderanno il loro itinerario il 25 settembre a Trieste. L’iniziativa, intitolata “Umanità InInterRotta” vuole essere “un grido di solidarietà nei confronti di quelle vite migranti sospese ai confini e spesso dimenticate dall’Unione europea”, “un racconto di piccole scintille di speranza portate da coloro che, quotidianamente, si impegnano al loro fianco” e “una denuncia di diritti calpestati, di attese infinite e di tacite violenze, da diffondere presso le organizzazioni internazionali, gli enti, le associazioni, le scuole e la società civile europea.

Scalabriniani: ancora morti nel Mediterraneo, “l’Europa, però, pensa ad altro

4 Maggio 2019 -
Roma - "Il Mare Egeo si tinge sempre più di sangue: una strage di donne e bambini nell'ennesimo viaggio della speranza divenuta una tragedia purtroppo nota". Lo scrive in una nota l'Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo.
Le acque davanti al distretto di Ayvalik, nella provincia di Balikesir, nel nord-ovest della Turchia sono ancora principali "testimoni del percorso principale scelto dai migranti intenzionati a raggiungere l'isola di Lesbo. La Turchia è di fatto e in molti casi un paese di transito verso l'Ue", si legge nella nota.
“L’attualità ci offre occasioni costanti di dimostrarci esseri umani capaci di sentimenti profondi di partecipazione emotiva verso i drammi di altre persone, quanto più nel caso di bambini, ma anche di compiere gesti conseguenti di prossimità, sicuramente controcorrente visto il clima sociale sempre più discriminante che respiriamo in Italia e in Europa”, afferma p. Claudio Gnesotto, presidente della Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo (ASCS Onlus). “Buona parte della classe politica non sta dando un buon esempio anche in questa occasione, come già in passato, purtroppo. La tattica securitaria, se ha ridotto gli arrivi in Italia, non ha però diminuito il tasso delle morti che pesano sulla coscienza di chi ci ha condotto in questo stallo contrassegnato da mille promesse fatte, e pochissime mantenute”, continua p. Gnesotto. “È necessario, in questo tempo di confusione e timori indotti a piene mani, che tutti coloro che nella società civile si stanno impegnando, spesso con fatica, per il bene di altri fratelli e sorelle in cammino, non perdano l’entusiasmo di farlo, anche se questo potrebbe sembrare fuori moda. Essere umani infatti vuol dire essere capaci di rischiare l’incontro, senza se e senza ma”, conclude p. Claudio. Gli scalabriniani  ribadiscono "l’urgenza di mettere in atto la buona pratica sostenuta in primis da forze ecclesiali, indicata di nuovo anche da Papa Francesco, della creazione ordinaria di canali umanitari, perché quelli messi in atto sono ancora insufficienti se si pensa alle migliaia di persone 'bloccate' in luoghi concreti e segnati da violenze e guerra civile appena dall’altra parte del mediterraneo, dove i diritti umani sono violati in maniera grave e continuativa".