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Il Vangelo quotidiano dei diseredati d’Europa

26 Novembre 2021 - Milano - «Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere». Questa sorta di invito a comporre un quinto Vangelo contenuto nell’ultimo versetto di quello di Giovanni è in filigrana il senso più puntuale di un libro davvero pregevole e originale, come si desume anche dal titolo Bi@mail. Messaggi dalle periferie del mondo di George Sporschill e Ruth Zenkert. Il volume raccoglie le lettere che gli autori hanno inviato nel corso degli anni ai loro amici e sostenitori per raccontare i piccoli e grandi eventi della loro vita quotidiana rileggendoli alla luce di episodi della Bibbia. Bimail in tedesco sta infatti per biblische mail. Ma di cosa si occupano di preciso Sporschill e Zenkert? Di accoglienza degli emarginati. Lo fanno dal 1980, quando rivolsero la propria attenzione ai senzatetto, ai tossicodipendenti e agli ex carcerati di Vienna: il primo, gesuita, ordinato nel 1979 e incardinato in una parrocchia della capitale austriaca, decide di impegnarsi con la Caritas a favore dei diseredati e fonda una Scuola biblica che attira Ruth, allora insoddisfatta del proprio lavoro in banca. Da allora, la loro vita è contrassegnata dall’avvio di opere per gli ultimi. Fino al 1991 a Vienna, subito dopo e sino al 2012 a Bucarest con i bambini di strada, infine da quella data a oggi in Transilvania per aiutare i rom, poverissimi e rifiutati da tutti. L’accenno al quinto Vangelo appare in una delle mail di Ruth, che racconta la storia della piccola Paula che salva dal suicidio un amico della madre. «Quanti miracoli vediamo ogni giorno? Quante volte non ci accorgiamo di essere stati fortunati e diamo invece tutto per scontato? Ognuno di noi potrebbe continuare a scrivere il Vangelo». E ancora, nella stessa pagina: «Se avessi potuto o dovuto decidere tutto nella mia vita, dove e chi sarei oggi? Attraverso giri tortuosi, passando per esperienze dolorose e gioiose alla fine sono arrivata qui, a Hosman, in un piccolo villaggio della Transilvania a vivere in mezzo alle famiglie rom. Qui non abbiamo bisogno di televisioni perché viviamo ogni giorno avventure incredibili, storie d’amore appassionanti, tragiche disgrazie, veri e propri romanzi polizieschi'» Come si intuisce, i messaggi di padre George e di Ruth, oltre a raccontare i fatti significativi che accadono, sono pieni di intuizioni sapienziali e domande spesso urticanti rivolte a tutti noi. Scrive a sua volta Sporschill, divenuto famoso qualche anno fa per aver pubblicato il libro Conversazioni notturne a Gerusalemme col cardinal Martini: «L’educazione degli sbandati e dei vagabondi è il giardino che mi è stato affidato. Devo occuparmene e prendermene cura. La cura è il compito che l’uomo ha ricevuto riguardo al Giardino del’Eden. Nel compito educativo viviamo le delizie del paradiso, ma anche una costante fatica, la sensazione di essere sopraffatti, logorati, sfiniti…». È una storia di successi e di insuccessi quella che emerge; molti dei bambini che sopravvivevano nelle fogne di Bucarest dopo il crollo del comunismo in Romania, rubando e sniffando colla, sono stati salvati e sono divenuti collaboratori di padre Georg e di Ruth, spesso assumendo ruoli di primo piano. Nella loro opera a Hosman, non lontano da Sibiu, hanno creato una scuola di musica, una casa d’accoglienza dove i bambini possono mangiare, lavarsi e studiare, e tante altre iniziative come un laboratorio di tessitura artigianale e un’officina. In un villaggio vivono, ai margini vicino a un torrente, in baracche e casupole senza acqua ed elettricità, i rom. Non è facile farli uscire dalla propria miseria e in queste newsletter non c’è nessuna idealizzazione. Un giorno accade che un intraprendente studente universitario tedesco porti un kit di celle solari per portare gratis la luce nelle capanne: un regalo importante che dopo pochi giorni fa una brutta fine perché la maggior parte vengono vendute per comprare sigarette o liquori… Ma non c’è rassegnazione, semmai consapevolezza della difficoltà della situazione. «Vivo da tempo nel mondo dei rom – si legge in un altro passaggio scritto da Ruth –, riuscirò mai a capirli? Quante volte mi inganno sul loro conto: bisogni e gioie qui hanno confini molto labili. Comprendersi reciprocamente richiede uno sforzo incredibile da parte di tutti». Ci sono pure giorni pieni di luce, come quando i giovani musicisti rom danno spettacolo al centro del villaggio e incontrano il favore anche dei romeni di solito indifferenti se non ostili. O come quando l’orchestra della scuola di musica partecipa a un concorso nazionale vincendo un premio. La musica viene considerata un mezzo ideale per incontrare i rom in nome di un progetto educativo partito da lontano. Da quando il maestro elementare di padre Georg aveva dato il compito ai bimbi più meritevoli di prendersi cura dei compagni più deboli. Come ha fatto l’educatore ebreo e polacco Janusz Korczak che ha accompagnato sino alla fine, anche quando avrebbe potuto salvarsi, i suoi bambini alla stazione che avrebbe portato tutti a morire nei lager nazisti. Osservando Stana, madre di dieci figli abbandonata dal marito ubriaco, e la sua dedizione ai bambini pur nella povertà più estrema, Ruth crede di intuire cos’è la vita eterna realizzata da Gesù raccogliendo attorno a sé alcuni discepoli e mostrando un nuovo stile di vita basato sull’amore incondizionato degli uni verso gli altri. «Lei combatte per i suoi figli – commenta –, non ha quasi nulla eppure dà tutto di sé per gli altri. In ogni persona, per quanto diversa, c’è sempre del bene». (Roberto Righetto – Avvenire)        

Romania: fioriscono piccoli missionari nella comunità greco-cattolica dei bambini rom

15 Novembre 2021 - Bucarest - Sono da poco entrati a far parte dell’Infanzia Missionaria diversi bambini rom della parrocchia greco-cattolica di Barbu Lautaru, dedicata a "Sant'Andrea Apostolo" e al "Beato Vescovo Ioan Suciu", visitata da Papa Francesco nel suo viaggio apostolico in Romania. “E' una visita ancora molto viva nei ricordi di questi piccoli - racconta il vice parroco, padre Ciprian Ioan Sucio -. I bambini ne parlano soprattutto alle persone che vengono a trovarci, mostrando con orgoglio la sede dove il Papa si è seduto”. A Barbu Lăutaru, il quartiere rom più antico della città di Blaj, la Chiesa Unita Romena ha svolto, nel tempo, una costante attività spirituale e sociale a sostegno di questa comunità. In particolare - scrive l’agenzia Fides - il beato Vescovo martire Ioan Suciu, a cui è intitolata la chiesa, consacrata nel 2019, ha avuto un ruolo centrale nell’accompagnamento spirituale dei rom. Nato a Blaj, Ioan Suciu, noto per la sua apertura verso la comunità, è cresciuto con molti rom e, dopo aver terminato gli studi, ha dedicato parte della sua attività al sostegno di questa comunità. Conosciuto come il “Vescovo della gioventù”, ha svolto azioni catechetiche con i giovani rom, azioni che ha unito alle sue grandi passioni. In molti ricordano ancora oggi le sue gite con i giovani rom, le partite di calcio che giocò con loro. “La nostra presenza di accompagnamento spirituale, oltre ad offrire attività di preghiera e di formazione per tutti, è rivolta specialmente ai bambini – racconta padre Ciprian Ioan Sucio -. Durante gli incontri cogliamo l’occasione per capire se hanno problemi a scuola o casa perché spesso proprio a scuola vengono discriminati; noi cerchiamo di incoraggiarli, formarli nello spirito dell’amore e del perdono e trascorriamo con loro giornate di svago e gioco”. A quei bambini Papa Francesco aveva detto durante la visita nella loro comunità: “I vostri volti coloreranno i miei ricordi e popoleranno la mia preghiera”. Quelle parole sono rimaste scolpite nelle loro menti, tanto che sono state usate per un biglietto fatto pervenire al Papa per ringraziarlo delle benedizioni apostoliche donate loro in occasione della prima Comunione ricevuta lo scorso giugno. “I bambini ora vogliono fare visita al Papa come lui ha fatto con loro!" conclude padre Suciu.  

Italiane e rom creano moda

7 Giugno 2021 -

Pordenone - Una passarella di abiti di moda realizzati da sarte in erba italiani e rom. E così il chiostro della Madonna Pellegrina a Pordenone è diventato, per una serata, una passerella di moda e emozioni oltre che di colori. “Il futuro della nostra società è a colori”, ha detto il Direttore generale della Fondazione Migrantes don Giovanni De Robertis, presente all’iniziativa che rientra nel progetto Penelope sostenuto da Migrantes, Caritas, Ambito del Sile, parrocchia di Pravisdomini e la collaborazione dell'Isis Zanussi.

Si tratta di abiti realizzati da 13 donne italiane e di origine rom, dai 16 ai 58 anni che hanno imparato grazie all’aiuto della stilista Sara Citty e di una sarta esperta. Durante la serata - alla presenza anche del Direttore Migrantes di Pordenone-Concordia Paolo Zanet – il parroco di Pravisdomini, p. Steven, che ha ospitato il corso negli spazi della canonica, ha sottolineato  - come riferisce oggi il quotidiano “Messaggero Veneto” - come l'accoglienza da parte della comunità sia stata positiva: “Il progetto che il Signore ha per noi ha bisogno solo di un posto, che è il nostro cuore”. Queste ragazze “non solo hanno cucito con abilità e creatività ma hanno tessuto un pezzo della nostra Italia a colori. Sogniamo un'Italia dove nessuno deve nascondere la sua identità. Non stanchiamoci di costruire un futuro a colori”, ha poi aggiunto don De Robertis. 

 

Rom: a Bari una sede dove far studiare i piccoli di Santa Teresa

27 Maggio 2021 - Bari – Domani, venerdì̀ 28 maggio, presso il campo rom di Santa Teresa, su iniziativa del Rotary Bari Castello, si terrà la conclusione del progetto “Casetta Digitale” alla presenza di don Giovanni De Robertis, Direttore generale della Fondazione Migrantes”. La casetta servirà̀ per dare la possibilità̀ di studiare ai bambini del campo rom di Santa Teresa a Japigia.  

Pejcinovic Buric: per la Giornata internazionale dei rom “ricordare il passato per costruire il futuro”

6 Aprile 2021 - Bruxelles - “Una comunità che conosce bene la propria storia e cultura può guardare meglio al presente e al futuro con fiducia”. Lo afferma Marija Pejčinović Burić, Segretario generale del Consiglio d’Europa, in vista della Giornata internazionale dei rom che si celebra l’8 aprile. “Dalla mia esperienza fino ad ora come Segretario generale, posso dire di essere impressionata dalla determinazione dei giovani rom a creare organizzazioni e reti nazionali e internazionali, a creare legami nei nostri Stati membri e a incoraggiarci, questo è molto lodevole, a riconoscere e non dimenticare i rom vittime dell’Olocausto e la resistenza dei rom”. Specifica: “Negli anni ’30 e ’40, rom e nomadi furono condannati allo sterminio. Dal Baltico ai Balcani, le forze fasciste li hanno giustiziati a centinaia di migliaia. In Germania, solo poche migliaia di sinti e rom sono sopravvissuti all’Olocausto e ai campi di concentramento. Eppure la questione del massacro dei rom non è stata nemmeno sollevata durante i processi di Norimberga”. Alla memoria collettiva europea intende dunque contribuire la conferenza online organizzata dal Consiglio d’Europa dal 7 al 9 aprile sul tema “Giovani rom: lavorare insieme per l’emancipazione e empowerment: il ruolo della storia nella partecipazione e inclusione dei giovani rom”.  

I rom di Rubattino dieci anni

19 Novembre 2019 -   Milano - Il 19 novembre 2009 Florina vedeva la cartella di sua figlia distrutta dalle ruspe. Quella del fratello maggiore, invece, l’aveva salvata una maestra. Alla sera la famiglia era disperata sotto i piloni della tangenziale est di Milano: qualche coperta veniva distribuita dalla Comunità di Sant’Egidio insieme ad alcuni genitori delle scuole. All’alba era arrivato l’esercito e aveva sgomberato i 400 rom della baraccopoli di via Rubattino. Erano gli anni della 'caccia al rom', in cui la giunta Moratti rivendicava il traguardo dei 500 sgomberi. In realtà erano operazioni inutili e costose, colpivano sempre le stesse persone: il nipote di Florina arrivò a subirne venti in un anno. Questa mattina, esattamente dieci anni dopo, Florina si è svegliata in una casa (dove paga regolarmente l’affitto) della periferia sud di Milano, è andata all’albergo a due passi dal Duomo dove lavora come cameriera, mentre suo marito fa il saldatore. In metropolitana ha fatto i quiz: sta preparando l’esame della patente. I due figli, invece, quelli delle cartelle di dieci anni fa, sono in classe (terza superiore) e al quarto mese di lavoro in un ristorante, terminata la scuola professionale. L’altro ieri, come tutte le domeniche, sono stati come volontari in un istituto di anziani del quartiere Corvetto, insieme ai Giovani per la Pace di Sant’Egidio. Quella di Florina è solo una delle 73 famiglie rom (350 persone) passate dalle baracche di Rubattino alla casa. «È finito il tempo dei topi e delle ruspe» dice. In tutti questi nuclei almeno un adulto lavora, la scolarizzazione dei minori è del 100%, dall’infanzia alle superiori. Le ferite del passato rimangono – due ragazzi hanno diagnosi neuropsichiatriche che rilevano i traumi dovuti agli sgomberi – ma la vicenda di Rubattino rappresenta uno dei più significativi percorsi di integrazione di rom in Italia degli ultimi decenni. È stato realizzato interamente da persone che hanno operato a titolo gratuito: la Comunità di Sant’Egidio e i tanti cittadini che si sono uniti in questa catena di solidarietà. Lo sgombero del 2009 fu una svolta per Milano, perché provocò una reazione inaspettata: insegnanti, cittadini e genitori dei compagni di classe ('Mamme e Maestre di Rubattino') aprirono le porte di casa per dare ospitalità alle famiglie sgomberate, centinaia di cittadini si mobilitarono per raccogliere coperte e pasti caldi. Infatti, grazie al lavoro culturale che Sant’Egidio aveva svolto nel quartiere, per tanti residenti i rom non erano più 'gli zingari', una categoria infida e minacciosa, ma erano diventati 'il mio alunno', 'il compagno di classe di mia figlia'. I rom erano Florina, Adrian, Cristina. «La risposta della città – disse il cardinale Dionigi Tettamanzi – non può essere l’azione di forza, senza alternative e prospettive, senza finalità costruttive». Fece scalpore la reazione, non contro i rom, ma a favore del diritto allo studio dei bambini, ma la vera notizia è quanto successo nei dieci anni successivi. Quei legami, costruiti all’uscita di scuola ma anche distribuendo una coperta sotto il pilone della tangenziale, non sono terminati. La prova sta nel cellulare di Florina: ci sono i numeri degli amici di Sant’Egidio, quello della maestra che salvò la cartella e della mamma di un compagno di scuola della figlia. Spiega la Comunità, che in questi anni ha coordinato le azioni solidali: «In questi dieci anni ci siamo legati in amicizia attorno a persone rom e abbiamo legato altri, mostrando come la solidarietà possa essere contagiosa. La vicenda di via Rubattino sconfigge la rassegnazione e ci insegna che è più bello per tutti – rom e non rom – vivere gli uni insieme agli altri e non gli uni contro gli altri». (Stefano Pasta – Avvenire)  

Papa Francesco incontra famiglia rom

9 Maggio 2019 - Roma - “Il Santo Padre ha salutato stasera, nella Basilica di San Giovanni in Laterano, la famiglia rom del quartiere romano di Casal Bruciato, vittima – nei giorni scorsi – di minacce e insulti razzisti". Lo ha comunicato, pochi minuti fa, il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Alessandro Gisotti aggiungendo che con tale gesto, il Papa ha voluto esprimere "vicinanza e solidarietà a questa famiglia e la più netta condanna di ogni forma di odio e violenza”. (R.I.)