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Rom: il consiglio d’Europa ricorda Olocausto

1 Agosto 2019 - Strasburgo - Settantacinque anni fa, gli ultimi rom del cosiddetto Zigeunerlager (campo degli zingari) – 2.897 persone tra uomini, donne e bambini – furono sterminati nelle camere a gas di Auschwitz-Birkenau. La liquidazione del campo del 2 agosto 1944 fu un capitolo particolarmente oscuro dell’Olocausto dei rom: un tentativo del regime nazista e di tutti coloro che lo sostenevano di sterminare i rom di tutta Europa”. Lo si legge in una nota diffusa oggi dalla sede di Strasburgo del Consiglio d’Europa. “Gli orrori dell’Olocausto dei Rom sono una parte innegabile della nostra storia, ma per molto tempo l’Europa ha chiuso un occhio su quanto avvenuto”, ha dichiarato il segretario generale del Consiglio d’Europa, Thorbjørn Jagland, in un messaggio in occasione della cerimonia commemorativa che si svolgerà il 2 agosto ad Auschwitz. I sopravvissuti all’Olocausto, i rom di tutta l’Europa, funzionari polacchi e diplomatici stranieri parteciperanno alla commemorazione nell’ex campo di concentramento. “Sebbene non esistano cifre esatte, gli storici stimano che durante la seconda guerra mondiale furono uccisi circa 500mila rom”, spiega il CdE. “Abbiamo il dovere di porre fine al silenzio che è durato per decenni e dobbiamo mantenere viva la memoria”, ha sottolineato il segretario generale. “È nostro dovere garantire che ciò non si ripeta”, ha aggiunto, richiamando l’attenzione sul fatto che al giorno d’oggi si sono affermati vari movimenti e partiti estremisti in Europa, e sul fatto che i rom e i sinti continuino a essere vittima di intolleranza, razzismo sistemico e discriminazione. “Il Consiglio d’Europa, il principale custode e difensore dei diritti umani in Europa, ha fatto della lotta per l’inclusione sociale dei rom una priorità politica”. Oltre alla commemorazione ad Auschwitz, il Consiglio d’Europa organizza una cerimonia commemorativa di fronte al Palais de l’Europe, a Strasburgo, per rendere omaggio alle vittime dell’Olocausto dei rom.

Lamezia: Mons. Schillaci in visita al campo rom di Scordovillo

31 Luglio 2019 - Lamezia Terme - “Solo con la prossimità si vede meglio, come ci dice Papa Francesco. Essere qui oggi come Chiesa significa essere vicini, farsi prossimo. Di questo abbiamo bisogno. Avvicinandoci all’altro respingiamo la marginalizzazione, la discriminazione, la violenza. Vediamo meglio solo con la compassione e la misericordia. E misericordia è il nome di Dio”. Così il vescovo di Lamezia Terme, Mons. Giuseppe Schillaci, dopo la visita di ieri al campo di contrada Scordovillo, dove abitano circa cento nuclei familiari di etnia rom, uno dei campi più grandi del Mezzogiorno. Accompagnato dai volontari e da alcuni operatori pastorali e dalle associazioni che svolgono servizio nel campo di Scordovillo, Mons. Schillaci si è soffermato a parlare con le persone e ha visitato alcune abitazioni, ribadendo che “non possiamo essere insensibili o chiudere gli occhi di fronte a tutto questo”.  L’incontro si è concluso con un momento di preghiera e la benedizione.

Narrazioni rom sull’Olocausto: una conferenza a Cracovia

22 Luglio 2019 - Cracovia -“Narrazioni rom sull’Olocausto. Rappresentazione, rimembranza e memoria collettiva”. E’ questo il tema di una conferenza internazionale che si svolgerà nei giorni 1-2 agosto prossimi presso l’Università pedagogica di Cracovi. L’iniziativa è promossa dalla Divisione antidiscriminazione del Consiglio d’Europa per commemorare rendere omaggio ai 500mila sinti e rom uccisi da regime nazista. Nel corso di una cerimonia presso il campo di concentramento e di sterminio di Auschwitz, Jeroen Schokkenbroek, direttore della Divisione, parlerà dell’azione del Consiglio d’Europa per prevenire e combattere il dilagare del razzismo, dell’antisemitismo e dell’antiziganismo in Europa. In concomitanza, il 2 agosto, giornata europea di commemorazione delle vittime dell’olocausto dei Rom, una cerimonia si terrà sul piazzale antistante il Palais de l’Europe, sede del Consiglio a Strasburgo alle ore 12, per segnare il 75° anniversario del 2 agosto 1944, giorno in cui furono sterminati circa 3mila rom nelle camere a gas del cosiddetto “Zigeunerlager” (campo degli Zingari) di Auschwitz-Birkenau. (R.I.)  

Ritorno al campo rom di Giugliano

19 Luglio 2019 -

Giugliano in Campania - « È vero che ci sgomberano di nuovo?». C’è preoccupazione, paura e anche un po’ rabbia, nella voce dei rom di Giugliano, sgomberati il 10 maggio dal campo dove vivevano da tre anni e finiti in una azienda abbandonata. Hanno sentito del nuovo censimento dei rom che vivono nei campi, ordinato dal ministro Salvini in vista di nuovi sgomberi. Per loro, sono 450 di origine bosniaca, il 60% minori, sarebbe l’ottavo in meno di venti anni.

«Se ci sgomberano di nuovo per noi è finita» denuncia Giuliano. Il ministro ha scritto nella circolare che i primi ad essere sgomberati sono i campi abusivi e questo di Giugliano lo è. Dopo l’ultimo sgombero, il 10 maggio, non è stata offerta nessuna vera soluzione alternativa e finalmente definitiva. Oltre che rispettosa delle persone. Nulla, assolutamente nulla. «Ora sono qui, in una azienda abbandonata, vicino allo svincolo di un importante asse stradale, tra macerie, fango, senza acqua nè luce», scrivevamo due mesi fa. E così è ancora oggi. E, come al solito, il provvisorio diventa definitivo o quasi. Dimenticate e abbandonate, la famiglie hanno costruito baracche con materiale rimediato. Ormai quasi non ci sono più spazi. «Viviamo ingabbiati. I bambini giocano per strada ma è pericoloso con le macchine che corrono». Siamo accanto a uno svincolo. E i bambini ci corrono incontro, quando arriviamo insieme a don Francesco Riccio, parroco di San Pio X e responsabile dell’ufficio comunicazioni sociali della diocesi di Aversa, uno dei pochi a non averli dimenticati, assieme ai volontari della Caritas diocesana e a fratel Rafael, laico lasalliano che viene da Secondigliano. Riconosco il bimbo che due mesi fa era corso verso di me sorridendo e tenendo stretti in pugno due pacchetti di biscotti che mi voleva offrire. È sempre scalzo, come tutti i bimbi, e ancora più sporco, come tutti i bimbi. Ma sorride sempre, come tutti i bimbi. «Alcuni di loro saranno ospitati nel grest parrocchiale che sta per iniziare. E quattro adolescenti verranno con noi al campo di Ac sul monte Faito. Vogliamo che si incontrino con gli altri ragazzi, che si conoscano. È il primo passo per un percorso di vera inclusione. Partire dai bambini per coinvolgere le famiglie rom e della parrocchia».

Mentre racconta questo, il parroco prende appunti con le richieste che gli fanno. «Don Francesco, aiutaci tu». E si preoccupa soprattutto per la loro salute. La bimba più piccola, poco più di due mesi, dopo aver vissuto per settimane in un’auto, ora sta in una piccola baracca. Respira male, ha catarro, piange. Il parroco organizza la visita di un pediatra. Una donna racconta di aver avuto vari svenimenti. È andata al pronto soccorso e le hanno detto che deve fare una tac. Ma come? Dove? Ne ha diritto? Anche di questo si occuperà don Francesco, che ha coinvolto come volontari alcuni medici dell’ospedale di Giugliano. Continuiamo il giro accompagnati da una frotta di bambini. Scherzano, giocano, ci prendono per mano. Arriviamo in fondo al campo. Sotto a un capannone di metallo, Fabrizio ha costruito la sua baracca e ne è molto orgoglioso. È di legno e soprelevata, per evitare l’umidità, l’unica del campo. «L’ho quasi finita ma se ci sgomberano di nuovo è lavoro sprecato» dice anche lui preoccupato. E giustamente. Ha 26 anni e cinque figli, il più grande 8 anni. «Sono nato e cresciuto in Italia. Mio padre è arrivato qui più di trenta anni fa. Ed è sepolto nel cimitero di Giugliano. Io ho avuto sette sgomberi. Avrò anche l’ottavo?».

È il nuovo incubo per questa comunità passata da un campo nell’area industriale, a quello vicino a un centro commerciale, a un altro vicino a un’enorme discarica, fino al penultimo in un fossato. Ma almeno lì c’era l’acqua che vanno a prendere ancora adesso facendo un paio di chilometri. Niente luce e solo alcuni bagni chimici, arrivati da alcuni giorni. Ma sono pochi e così ci si arrangia con latrine autocostruite. Sono così da due mesi. E da due mesi l’unica soluzione proposta sono dei fondi europei che il Comune ha a disposizione, 5mila euro a famiglia, ora saliti a 8mila, per trovare sistemazioni autonome. Ma chi affitta una casa ai rom? E molti non si vogliono separare. Così ora si cercano casolari da acquistare per 2 o 3 famiglie, coi soldi del comune e di qualche benefattore. Ma non è meno difficile. E mentre la soluzione non arriva, mentre la precarietà ancora una volta si organizza, torna lo spettro dello sgombero. Per fortuna i piccoli non lo percepiscono. Una bimba, 5 anni, guarda con interesse i miei braccialetti, ricordo di altre emergenze. Mi chiede quello colorato che mi ha regalato un immigrato africano. «Tieni, è tuo». E corre via felice. Mi sento tirare la maglietta. È la sorella maggiore, 7 anni. Ha in mano un suo braccialetto di plastica. Me lo porge sorridendo. «Hai regalato il tuo a mia sorella e io ti regalo il mio» dice con gentilezza. Ecco le persone che dovrebbero essere sgomberate. Eppure la compatrona di Giugliano, la Madonna della Pace, è chiamata 'zingarella' per il colore scuro del viso. Zingarella, proprio come le due sorelline.(Antonio Maria Mira – Avvenire)

Sant’Egidio: 1000 giovani europei ad Auschwitz

18 Luglio 2019 - Roma - A 80 anni dallo scoppio della seconda guerra mondiale, 1000 giovani provenienti da 16 Paesi europei saranno a Cracovia, dal 19 al 21 luglio, per partecipare all’incontro “A Global Friendship to live Together in Peace”. In un tempo caratterizzato dalla reviviscenza di pregiudizi antisemiti e razzisti, dalla diffusione di slogan e atteggiamenti intolleranti e dalla crescita, specie tra i giovani, di movimenti nazionalisti, sovranisti e xenofobi in tutta Europa, il movimento dei Giovani per la Pace - legato alla Comunità di Sant’Egidio e impegnato, ogni giorno, nelle periferie con i bambini in difficoltà, i senza dimora, gli anziani soli - promuove un grande incontro internazionale per lanciare un messaggio di unità e pace. I giovani, studenti universitari e delle scuole superiori, faranno memoria dell’orrore della seconda guerra mondiale, dell’abisso della Shoah e del Porrajmos (lo sterminio di Rom e Sinti), convinti che continui a essere un riferimento decisivo per il futuro dell’Europa, per costruire una civiltà del convivere e società inclusive. Ascolteranno la testimonianza di Lidia Maksymowicz, sopravvissuta da bambina al campo di sterminio di Auschwitz Birkenau e vittima di esperimenti medici nazisti. Sabato 20 luglio, la visita al museo del campo di Auschwitz e una marcia silenziosa nel campo di sterminio di Birkenau, con la deposizione di corone di fiori al monumento memoriale delle vittime del lager, saranno l’espressione dell’impegno a contrastare ogni forma di violenza e razzismo.

Le pietre, lo sgombero e il censimento

18 Luglio 2019 - Assisi - San Francesco aiutaci a comprendere. Pietre ai braccianti foggiani impegnati a lavorare per un futuro di speranza, censimento per le minoranze etniche, rom in primo luogo, che spesso vivono in condizioni abitative a dir poco precarie, sgombero per i non graditi. La foto del bimbo coi libri in mano, il suo sguardo arrabbiato e avvilito mi fa soffrire. San Francesco ci sei necessario, non voglio giudicare ma aiutaci a comprendere che cosa sta accadendo alla nostra fragile umanità... (P. Enzo Fortunato)

Rom: una richiesta di perdono nel solco della tradizione

3 Giugno 2019 - Città del Vaticano - Le parole pronunciate da Francesco nell’ultimo appuntamento del suo viaggio in Romania formulando la richiesta di perdono alle comunità rom per le discriminazioni subite nel corso della storia, s’inserisce in una tradizione ormai consolidata da mezzo secolo nella Chiesa cattolica. “La storia ci dice che anche i cristiani, anche i cattolici non sono estranei a tanto male” ha affermato il Pontefice per spiegare la richiesta di perdono. L’attenzione per queste comunità venne manifestata il 26 settembre 1965 da Paolo VI, che celebrò la Messa al Campo internazionale degli zingari nei pressi di Pomezia, e disse: “Voi nella Chiesa non siete ai margini, ma, sotto certi aspetti, voi siete al centro, voi siete nel cuore: Voi siete nel cuore della Chiesa perché siete soli”. Papa Montini, che in quella occasione ricordò soprusi, discriminazioni e persecuzioni patite da queste persone, non pronunciò mea culpa, ma è stato il Pontefice che ha inaugurato la stagione delle richieste di perdono nei confronti delle altre confessioni cristiane per alcune pagine buie del passato. Sarà Giovanni Paolo II a dedicarne una specifica nei confronti degli zingari durante la celebrazione penitenziale del Giubileo del 2000: “I cristiani sappiano pentirsi delle parole e dei comportamenti che a volte sono stati loro suggeriti dall’orgoglio, dall’odio, dalla volontà di dominio sugli altri, dall’inimicizia verso i gruppi sociali più deboli, come quelli degli immigrati e degli zingari”. Attenzione e comprensione verso queste comunità è stata manifestata anche da Benedetto XVI che l’11 giugno 2011, accogliendo i rappresentanti di diverse etnie di zingari e rom, aveva riconosciuto: “Purtroppo lungo i secoli avete conosciuto il sapore amaro della non accoglienza e, talvolta, della persecuzione… La coscienza europea non può dimenticare tanto dolore! Mai più il vostro popolo sia oggetto di vessazioni, di rifiuto e di disprezzo!”. Ora il suo successore Francesco proseguendo nella via già tracciata, ha chiesto esplicitamente e nuovamente perdono, come già aveva fatto, ad esempio, nei confronti degli indios in Chiapas nel 2016 o come aveva fatto, nell’agosto 2018, di fronte allo scandalo degli abusi sui minori, scrivendo nella Lettera al popolo di Dio: “Con vergogna e pentimento come comunità ecclesiale, ammettiamo che non abbiamo saputo stare dove dovevamo stare, che non abbiamo agito in tempo riconoscendo la dimensione e la gravità del danno che si stava causando in tante vite”. Non è sempre facile né indolore il cammino di chi chiede perdono. Papa Wojtyla, nel percorrerlo sistematicamente sulle orme del Concilio e di Paolo VI, si era attirato diverse critiche all’interno della Chiesa. Il Pontefice polacco, nel corso del suo pontificato aveva pronunciato decine di richieste di perdono e aveva rivisitato diversi fatti del passato. Aveva parlato delle crociate, di una certa acquiescenza dei cattolici di fronte alle dittature del Novecento, delle divisioni tra le Chiese, del maltrattamento delle donne, del processo a Galileo e dell’Inquisizione, della persecuzione degli ebrei, delle guerre di religione, del comportamento dei cristiani con gli indios e i nativi africani. Per i cristiani è normale (o dovrebbe esserlo) chiedere perdono, riconoscersi peccatori, continuamente bisognosi di purificazione. E anche se le colpe sono sempre state e rimangono personali, in ogni epoca la Chiesa cerca di comprendere e vivere sempre più fedelmente il messaggio evangelico prendendo coscienza dei passi falsi e degli sbagli compiuti. L’obiezione che più spesso viene mossa contro le richieste di perdono rispetto a fatti accaduti nel passato ha delle ragioni: non si può giudicare chi ci ha preceduto alla luce della sensibilità odierna. Ma anche nei secoli passati era possibile comprendere, come alcuni profeti spesso inascoltati hanno fatto, che Gesù è sempre stato dalla parte delle vittime e mai dei carnefici, dei perseguitati e mai dei persecutori. E all’apostolo Pietro che per difenderlo aveva mozzato l’orecchio del servo del sommo sacerdote, aveva ordinato di rimettere la spada nel fodero. (Andrea Tornielli – Vatican News)

Rom: lo sgombero dolce e il modello Moncalieri

24 Maggio 2019 - Torino - Niente ruspe, niente sgomberi forzati, niente rivolte di quartiere. Benvenuti a Moncalieri, 60 mila abitanti, quinta città del Piemonte. Dove - incredibile ma vero - l’impegno dell’amministrazione comunale, un progetto ragionato, una tabella di marcia rigorosa hanno permesso un piccolo grande miracolo: la chiusura dei campi dove vivevano 80 rom, traslocando le famiglie in abitazioni vere, primo passo per un’integrazione reale. Senza imposizioni ai residenti, che hanno conosciuto e accettato le famiglie rom, disinnescando pregiudizi, paure, luoghi comuni. Insomma, le direttive europee per il superamento dei campi e l’integrazione dei rom - fatte proprie dall’Italia già nel 2011 - non sono un libro dei sogni. Tutto sta a volerlo. “Sì, si può fare”, annuisce Silvia Di Crescenzo, assessora alle Politiche sociali della giunta del sindaco Paolo Montagna. “Abbiano avuto in comodato d’uso un’area privata per piazzare dei container per un anno, da giugno 2017 a giugno 2018. Ci hanno dato fiducia, hanno creduto al nostro progetto. Zero euro di affitto per 12 mesi, ma con una penale di 10 mila euro per ogni giorno di più”. Nell’area vengono collocati alcuni moduli abitativi, per accogliere, per un periodo limitato di tempo, le famiglie fino ad allora sparse in vari insediamenti informali. Vengono regolarizzati serbi e bosniaci, si avviano colloqui e percorsi personalizzati. A tutti viene chiesto, come conditio sine qua non, di sottoscrivere un patto: vaccinazioni e scuola per i figli, rispetto della legge per gli adulti. Accettano in 48, gli altri preferiscono abbandonare il territorio. “Essenziale – spiega l’assessora Di Crescenzo – è stato il lavoro di squadra con la Commissione di valutazione sanitaria, gli assistenti sociali, le organizzazioni di volontariato come la Croce Rossa e Carità senza frontiere”. Tra i residenti che vivono nelle case adiacenti non mancano le reazioni allarmate. Qualcuno protesta, viene issato uno striscione ostile: “Allora abbiamo organizzato incontri tra italiani e rom – racconta – e le famiglie si sono presentate, si sono conosciute e hanno superato molti luoghi comuni. Fondamentale è stato il monitoraggio quotidiano del campo da parte di carabinieri, vigili, volontari”. Le famiglie rom iniziano ad abbandonare il campo. “Quando sono uscite le prime, le altre hanno capito che facevamo sul serio”. Qualcuno riceve un sostegno temporaneo per l’affitto, altri una borsa lavoro. Qualche appartamento lo trova il Terzo settore, altri ancora vanno nelle case popolari. In un anno anche il campo transitorio si svuota. E i rom a Moncalieri ora sono cittadini, come gli altri e tra gli altri. (Luca Liverani – Avvenire)  

Maestre di bimbe rom a istituzioni: lo Stato dov’è?

13 Maggio 2019 - Roma - Hanno organizzato una staffetta tra mamme e maestre per difendere una donna rom e i suoi figli, assegnatari di una casa popolare a Torrenova a Roma dalle ostilità degli inquilini. Così un nuovo caso di proteste anti nomadi a Roma sfocia in un’azione di solidarietà. Ora le insegnanti dell’Istituto comprensivo Simonetta Salacone, scuola che frequentano le bambine, hanno scritto una lettera al Presidente della Repubblica Mattarella, al Ministro Salvini, alla Sindaca Raggi e al Presidente della Regione Lazio Zingaretti, per chiedere se sia normale «che delle persone debbano organizzare dei turni per salvaguardare l’incolumità di una di loro. Lo Stato dov’è?».

Lamezia Terme: anche una delegazione di rom lametini giovedì scorso dal Papa

13 Maggio 2019 - Lamezia Terme – “Esperienza unica”, quella vissuta da una delegazione di cinquanta rom residenti nel campo di Scordovillo e nella “Ciampa” di Lamezia Terme che hanno avuto modo di incontrare, giovedì scorso, papa Francesco a Roma durante l’udienza che il Pontefice ha avuto con cinquecento rom e sinti in vaticano su iniziativa della Fondazione Migrantes. La delegazione, guidata da don Giuseppe d’Apa, direttore dell’Ufficio Migrantes della diocesi di Lamezia Terme,  ha così vissuto “una bella ed inaspettata esperienza carica di emozione – ha detto don Giuseppe - . L’incontro con il Papa, infatti, è stato un momento di crescita e di confronto, non solo per i rom presenti”. Subito dopo l’udienza con Papa Francesco, nel pomeriggio, la delegazione lametina ha anche presenziato alla festa-incontro nell’auditorium del Divino Amore a Roma, e conclusosi con danze e balli tipici. La visita a Roma è parte del percorso che l’Ufficio Migrantes diocesano lametino sta portando avanti da anni ponendosi come obiettivo quello dell’integrazione e del dialogo in quanto sempre più convinti che “solo l’incontro fa superare ogni paura ed abbattere ogni muro”.

Beati rom: Zeferino e Emilia

9 Maggio 2019 - Roma - Il primo beato e patrono della popolazione rom è Zefferino Giménez Malla (1861-1936), detto “El Pelé”, beatificato da Giovanni Paolo II il 4 maggio 1997. In quella occasione il Papa polacco ha indicato in Zefirino un “modello da seguire”: la sua vita – ha detto - dimostra che Cristo è presente nei diversi popoli e razze e che tutti sono chiamati alla santità”.

Nato da una famiglia gitana cattolica, Zeferino visse da nomade per quarant’anni, poi si fermò a Barbastro (Spagna). Si sposò, ma non ebbe figli. Benché analfabeta, insegnò ai ragazzi gitani e non gitani i primi elementi del cristianesimo, servendosi soprattutto della Bibbia, e li educò alla preghiera quotidiana. Metteva pace tra i Kalòs (nomadi spagnoli) e risolveva le loro questioni con gli altri.

Nel suo lavoro di commerciante di animali si comportò onestamente. Nel 1926 diventò Terziario Francescano. Apparteneva alla “Conferenza di S. Vincenzo de’ Paoli”. Nel 1931 cominciò a frequentare l’Adorazione Notturna. Durante la persecuzione religiosa, difese un prete che veniva portato in carcere. Venne arrestato anche lui e poi ucciso a Barbastro insieme a tanti sacerdoti, frati e laici. Morì, gridando: “Viva Cristo Re” e tenendo in mano la corona del rosario. Il suo corpo fu gettato nella fossa comune e non più ritrovato.

Altra beata gitana è Emilia Fernandez Rodriguez  dichiarata beata il 25 marzo 2017, unica donna di etnia rom elevata all’onore degli altari. Emilia doi origine gitana, è nativa di Tijola, un villaggio della diocesi di Almeria nel sud della Spagna, è parte della vasta schiera dei martiri della fede trucidati in molti modi dai combattenti repubblicani durante la Guerra civile spagnola del 1936-39. Nata il 3 aprile 1914 Emilia viene arrestata e detenuta  con altre donne durante la guerra civile spagnola. Emilia si sposa secondo il rito gitano con Juan Cortes Cortes nel 1938,  vive la sua vita lavorando come cestaia, attività economica che permette alla giovane coppia di vivere in modo dignitoso vendendo i cesti nei mercati o nella modalità porta a porta. Anche il marito viene arrestato e messo in prigione dove si trovano politici, sacerdoti e numerosi cristiani. La giovane cestaia viene arrestata il 21 giugno 1938 e rinchiusa nel carcere “Cachas Coloras”: ogni giorno venivano imprigionate numerose donne e in breve tempo si raggiunse il numero di 300 persone. Durante il processo, svoltosi l’8 luglio, nonostante fosse incinta, viene condannata a sei anni di carcere; la sua fede si rafforza sempre di più, chiede ad alcune giovani detenute di imparare a pregare. Costretta a stare isolata in una cella di punizione, con il freddo dell’inverno Emilia si ammalò gravemente, senza alcuna  speranza di guarigione. Giunse  con difficoltà al termine della sua gravidanza e il 12 luglio 1939 nacque Angela. Emilia, molto malata viene  ricoverata in ospedale. Per lei fu chiesta la grazia al governatore civile, ma senza alcuna risposta. Riportata in carcere muore abbandonata e sola il 25 gennaio1939.   (Raffaele Iaria)    

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Mons. Ruzza: “episodi gravissimi contro la famiglia Rom, ma Roma non è così”

9 Maggio 2019 - Roma -  “Costruire una società in cui c’è spazio per tutti. In cui tutti siano accolti e amati”. È questo il sogno dell’Europa che oggi non deve morire. Lo ha detto Mons. Gianrico Rizza, Segretario generale del vicariato di Roma, intervenendo iri sera nella Basilica dei Santi XII Apostoli alla veglia ecumenica promossa dalla Rete ecumenica “Insieme per l’Europa”, alla vigilia della festa dell’Europa che si celebra oggi. Il Vescovo ha ricordato l’episodio gravissimo di Casal Bruciato. “Proprio oggi Roma ha vissuto episodi gravi di respingimento di una famiglia solo perché era Rom”, ha detto: “E questo è un motivo di tristezza per tutti. Ma Roma non è così”. Il Vescovo ha ricordato che la città di Roma è stato il luogo dove sono stati firmati i Trattati che hanno dato vita al processo di integrazione europea. Ed ha aggiunto: “Dobbiamo lavorare perché il sogno della libertà e dell’unità della accoglienza e della fraternità non si spenga. Può essere diventato un sogno appesantito. Per alcuni addirittura un incubo. Dobbiamo pregare perché questo sogno torni a vivere. Diventi realtà”.

Papa Francesco: i veri cittadini di seconda classe sono quelli che scartano

9 Maggio 2019 - Città del Vaticano – “Sono rimasto molto colpito dalle testimonianze che ho ascoltato”. Così Papa Francesco ha iniziato, a braccio, il suo discorso ai partecipanti all’incontro di preghiera del popolo rom e sinto con Papa Francesco nella Sala Regia in Vaticano, promosso dalla Fondazione Migrantes. Per il Papa “è vero: ci sono cittadini di seconda classe ma i veri cittadini di seconda classe sono quelli che scartano la gente, quelli che vivono con la scopa in mano buttando gli altri”. Il Papa ha detto, poi, di pregare per “voi: vi sono vicino, e quando leggo sul giornale una cosa brutta, vi dico la verità , soffro”. “Oggi ho letto una cosa brutta sul giornale: questa non è civiltà , l’amore è la civiltà”. “Andate avanti con l’amore", ha aggiunto Francesco a conclusione del suo discorso sottolineando che “la vera strada è quella della fratellanza con la porta aperta. E tutti dobbiamo collaborare”. Da qui l’invito anche a “non far crescere il  rancore”, perché esso fa ammalare il cuore e “porta alla  vendetta. Ma la vendetta - ha continuato - non l’avete  inventata voi. In Italia ci sono organizzazioni che sono  maestre di vendetta”.   E nella preghiera finale, prima di salutare tutti ha pregato Dio Padre: “susciti in noi comprensione ed accoglienza evangelica verso  tutti per sentirci solidali sula terra del nostro pellegrinaggio, seguendo l’esempio del Gitano Martire Zeffirino, pieno di amore per te e per il prossimo”. (Raffaele Iaria)

Card. Bassetti: rom e sinti non sono “diversi” ma “unici”

9 Maggio 2019 -

Città del Vaticano – “Questi fratelli non sono diversi ma unici”. Lo ha detto il Card. Gualtiero Bassetti, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana salutando il pontefice all’inizio dell’incontro di preghiera del popolo rom e sinto con Papa Francesco nella Sala Regia in Vaticano, promosso dalla Fondazione Migrantes. Il diverso “è altro, non lo prendi neppure in considerazione. Direi che questi nostri fratelli sono unici, e l’unicità  è dono ed è ricchezza”, ha detto il porporato  salutando il  Papa e  esprimendo il ringraziamento della Fondazione Migrantes e della Chiesa Italiana per “averci accolto come un Padre in questa casa che sentiamo anche nostra”. 

Il Card. Bassetti ha quindi ricordato le parole di un rom con cui “avevo fatto amicizia” 30 anni fa “quando ero a Firenze: ‘vede padre’, diceva ‘le vere distanze non sono quelle chilometriche, perché oggi a raggiungere tutti i paesi della terra si fa presto, ma le vere distanze oggi sono quelle fra la testa e il cuore’. Padre santo, ci aiuti stamani ad avvicinare queste distanze”.  ​

La testimonianza di Dzemila, Miriana e Negiba davanti a papa Francesco

9 Maggio 2019 -

Santità, 

siamo tre mamme rom in rappresentanza di un gruppo più ampio di donne, che vivono la periferia estrema della città di Roma, di diverse culture e religioni, che periodicamente si riunisce per condividere esperienze, sostenere le reciproche fatiche, raccontare i successi. Il nostro gruppo si chiama "Mondo di mamme". 

Alcune di noi vivono in appartamenti in affitto, in case popolari, altre ancora in quelli che vengono chiamati "campi nomadi" che altro non sono che delle baraccopoli, dei ghetti dove, su base etnica, le nostre famiglie sono segregate dalle istituzioni comunali. 

Come donne e come mamme avvertiamo sulla nostra pelle la distanza che spesso la società maggioritaria, costruisce tra noi e le istituzioni pubbliche. I servizi sanitari non sempre sono garanzia di assistenza e supporto adeguato. Spesso la burocrazia, ma recentemente anche politiche discriminatorie, non facilitano, quante di noi non hanno una posizione amministrativa regolare, l'accesso ai servizi di base che possano garantire la salute a noi e ai nostri figli. Anche le recenti norme, varate da chi è chiamato a governare, rendono più difficile la regolarizzazione di molte nostre famiglie, facendo cadere nell'invisibilità nuclei familiari che, anche se di origine straniera, vivono da decenni nel nostro Paese. 

Malgrado conosciamo straordinari insegnanti, non sempre l'istituzione scolastica si presenta in grado di assicurare pieno diritto all'istruzione dei nostri figli. Molti di loro, nelle aule scolastiche, vivono sulla loro pelle lo stigma della diversità e vedono dall'inizio la loro carriera scolastica come un percorso ad ostacoli davanti ai quali molti bambini e ragazzi finiscono per arrendersi. 

Non è facile, nell'Italia di oggi trovare un lavoro che assicuri dignità e sostentamento economico. Ed è ancora più difficile se sei donna, se hai poche risorse, se vivi nella periferia più estrema, se sei una donna rom. Discorsi d'odio, ma anche azioni violente contro le nostre comunità, sono in costante aumento e questa è per noi fonte di profonda preoccupazione. 

Alcune di noi vivono in alloggi non adeguati e sono vittime di sgomberi forzati organizzati dalle autorità in assenza di alternative adeguate. 

Guardiamo però al futuro con speranza. Siamo donne e siamo mamme, e questo ci dà la forza di andare avanti per migliorare le condizioni di vita nostre e dei nostri figli. Uscire dalle nostre comunità, incontrare altre donne italiane e straniere, confrontarci tra noi senza chiusure, ci dà forza nel credere che solo insieme, creando alleanze, potremmo superare le barriere della diffidenza e della marginalizzazione. 

Ci aiuta osservare tra noi quelle donne e quelle mamme che ce l'hanno fatta, che hanno vinto battaglie, superato ostacoli, sconfitto pregiudizi e che ora guardano al futuro con speranza. 

Vogliamo andare oltre ed essere anche noi protagoniste di quel cambiamento di cui tutti possano giovarsi. Sogniamo per l’Italia un risveglio di umanità. Un'Italia che abbracci le differenze, che si consideri fortunata per tutte le differenze e le culture che la compongono. Un'Italia che recuperi il valore della speranza. 

La stessa speranza che oggigiorno leggiamo negli occhi dei nostri figli e che le sue parole, Santità, ci hanno sempre consegnato in questi anni e che ci aiutano a credere in un Paese più umano, più giusto, più solidale. 

 

La testimonianza di don Cristian Di Silvio davanti a Papa Francesco

9 Maggio 2019 -

Buongiorno Santità,

 mi chiamo don Cristian Di Silvio ho trent' anni, vengo dalla diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo ed ho compiuto tre anni di sacerdozio lo scorso 21 Aprile, giorno di Pasqua, giorno in cui abbiamo celebrato la resurrezione di Cristo Signore. Sono cresciuto in parrocchia, nella chiesa Madre di Cassino tra il servizio all'altare come ministrante e l'Azione Cattolica. Ora svolgo il mio ministero come vice parroco nelle chiese di Roccasecca e Colle san Magno. 

La mia storia è una storia ordinaria, resa straordinaria dal fatto che Dio mi ha scelto da un popolo che vive una condizione culturale differente dagli stereotipi con cui siamo abituati a relazionarci... Si, sono un prete rom! Uno zingaro che diventa prete fa sempre notizia, un diverso, uno particolare. 

Ricordo che quando ne parlai con i miei compagni di seminario la prima cosa che mi chiesero fu se abitavo in una roulotte, se chiedevo l'elemosina e se la mia famiglia andava a rubare portafogli alla stazione Termini. Invece qualcun altro mi diceva mentre mi formavo alla scuola del Vangelo di Gesù che dovevo comprendere che io ero stato scelto da un popolo che era diverso da quello italiano. Non mi sono lasciato abbattere da queste parole, grazie anche al mio padre spirituale. Ciò che ha reso ancora più straordinaria la mia storia vocazionale è stato il comprendere, nonostante mi dicessero il contrario, che non sono un diverso ma, come ognuno di noi presente in questa sala e non solo, unico e irripetibile. Siamo chiamati a sottolineare questo, secondo me, la nostra unicità piuttosto che la diversità... ognuno di noi è dono, ognuno di noi è ricchezza, se abbiamo come modello Gesù Cristo... grazie Santità per l'ascolto: io prego per Lei. Lei, per favore, preghi per me... ​

Papa Francesco: iniziato il momento di preghiera con il mondo rom e sinto

9 Maggio 2019 -

Città del Vaticano – “O Dio, tu sei un Padre che non fa preferenze. Nella tua bontà hai onorato il popolo gitano, sparso nel mondo, con il dono del primo martire, il Beato Zeffirino, pieno di amore per te e per il prossimo. Concedi che, per sua intercessione, siano abbattuti i muri della divisione e dell’odio e diventiamo costruttori di una umanità rinnovata nella giustizia, nella fraternità e nella pace”.  Con questa preghiera è iniziato l’incontro di preghiera del popolo rom e sinto con Papa Francesco nella Sala Regia in Vaticano, promosso dalla Fondazione Migrantes.

Sono presenti all’incontro con il pontefice circa 500 persone. Prima dell’arrivo del pontefice diversi canti nelle diverse lingue del popolo gitano.  All’arrivo il Papa ha salutato alcuni bambini ed è stato salutato dal Card. Gualtieri Bassetti, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana. (R.I.)​

Mons. Palmieri: “la famiglia rom stasera incontrerà il Papa”

9 Maggio 2019 - Roma - La famiglia rom al centro degli scontri di questi giorni a Casal Bruciato sarà stasera all’incontro della diocesi di Roma con Papa Francesco, a San Giovanni in Laterano. Lo conferma al Sir Monsignor Gianpiero Palmieri, Vescovo ausiliare del settore est di Roma. “Verranno stasera solo i due genitori – precisa Mons. Palmieri -, accompagnati dall’assistente sociale. I bambini rimarranno dagli zii. Il Papa avrà sicuramente modo di parlare con loro personalmente”.  

Rom e sinti: gli incontri dei papi con il popolo gitano

9 Maggio 2019 - Roma - “Voi scoprite di non essere fuori, ma dentro un'altra società; una società visibile, ma spirituale; umana, ma religiosa; questa società, voi lo sapete, si chiama la Chiesa. Voi oggi, come forse non mai, scoprite la Chiesa. Voi nella Chiesa non siete ai margini, ma, sotto certi aspetti, voi siete al centro, voi siete nel cuore”. È il 26 settembre 1965. Siamo presso Pomezia, vicino a Roma. Qui rom, sinti e camminanti di ogni parte d’Europa ricevono la visita del Papa, Papa Paolo VI che si reca alla loro tendopoli per celebrarvi la santa Messa. Durante l'omelia traccia un programma di fede, di impegno e di rinascita per tutti i nomadi sottolineando che essi non sono fuori dalla Chiesa ma sono “nel cuore” di essa. “È qui, nella Chiesa, che voi vi accorgete d’essere non solo soci, colleghi, amici, ma fratelli”, dice il papa: “e non solo fra voi e con noi, che oggi come fratelli vi accogliamo, ma, per un certo verso, quello cristiano, fratelli con tutti gli uomini; ed è qui, nella Chiesa, che vi sentite chiamare famiglia di Dio, che conferisce ai suoi membri una dignità senza confronti, e che tutti li abilita ad essere uomini nel senso più alto e più pieno; ed essere saggi, virtuosi, onesti e buoni; cristiani in una parola”. Dopo 46 anni un altro papa riceve in udienza i rom: si tratta di Benedetto XVI che ha aperto loro le porte del Vaticano per una udienza particolare. E’ l’11 giugno 2011: la storia di questi popoli – ha detto Benedetto XVI -  è “complessa e, in alcuni periodi dolorosa”. “Purtroppo lungo i secoli – ha detto ancora - avete conosciuto il sapore amaro della non accoglienza e, talvolta, della persecuzione, come è avvenuto nella II Guerra Mondiale: migliaia di donne, uomini e bambini sono stati barbaramente uccisi nei campi di sterminio. È stato - come voi dite - il Porrájmos, il ‘Grande Divoramento’, un dramma ancora poco riconosciuto e di cui si misurano a fatica le proporzioni, ma che le vostre famiglie portano impresso nel cuore”. Il giorno successivo i rom si sono ritrovati al Santuario del Divino Amore dove si trova l'unica chiesa a cielo aperto intitolata al beato Zeffirino Giménez Malla, detto “El Pelé”, il primo martire gitano beatificato per volontà di Papa Giovanni Paolo II il 4 maggio del 1997. Qui è stata celebrata una solenne liturgia eucaristica.  La chiesetta, senza tetto, è posta sul rilievo di una collina fitta di alberi, a pochi passi dalla zona dove si trova la torre del primo miracolo. Ha l’abside diretta ad oriente verso Gerusalemme, così come vuole la tradizione cristiana ed è collocata in un luogo di pellegrinaggio tra i più frequentati d’Italia dai gitani di ogni gruppo, specie dai Rom abruzzesi, i Kangherì Romanì. Voluta dai rom e sinti la chiesetta è stata inaugurata il 26 settembre 2004. Si tratta del primo esempio di luogo di culto eucaristico al mondo dedicato ad un rappresentante del popolo rom. Zefferino Himènez Malla, infatti,  è il primo zingaro martire della fede cristiana elevato agli onori degli altari in quanto assassinato per la fede durante la guerra civile spagnola nel 1936. Nel giorno della beatificazione Giovanni Paolo II disse che “è necessario che si superino antichi pregiudizi, che vi hanno portato a soffrire forme di discriminazione e di rifiuto, che talvolta conducono ad una inaccettabile emarginazione” del popolo zingaro. Papa Francesco, che incontrerà oggi i rom e sinti in udienza in Vaticano – il 26 ottobre del 2015, incontrando i partecipanti al pellegrinaggio del popolo gitano, ha sottolineato che ogni persona ha diritto ad una vita dignitosa, ad “un lavoro dignitoso, all’istruzione e all’assistenza sanitaria”.  “Vorrei che anche per il vostro popolo - ha affermato il Papa - si desse inizio a una nuova storia, a una rinnovata storia. Che si volti pagina! È arrivato il tempo di sradicare pregiudizi secolari, preconcetti e reciproche diffidenze che spesso sono alla base della discriminazione, del razzismo e della xenofobia”.  “Nessuno si deve sentire isolato, nessuno è autorizzato a calpestare la dignità e i diritti degli altri.  È lo spirito della misericordia che ci chiama a batterci perché siano garantiti tutti questi valori”. E nel 2014 ha incoraggiato quanti si impegnano “in favore di chi maggiormente versa in condizioni di bisogno e di emarginazione, nelle periferie umane”. (Raffaele Iaria)  

Incontro che fa superare le paure: domani incontro al Divino Amore con rom e sinti

8 Maggio 2019 - Roma - Solo l’incontro fa superare ogni paura ed abbattere ogni muro. Ne è convinta la Fondazione Migrantes, organismo pastorale della CEI, che per domani, 9 maggio, dalle 15.30 alle 18.00 presso l’Auditorium del Divino Amore a Roma invita la cittadinanza ad un incontro per conoscere il popolo rom e sinto che vive in Italia condividendo con loro un momento di arricchimento culturale, di festa, di arte e di musica. “Molti non vi conoscono e hanno paura. Questa li fa sentire in diritto di giudicare e di poterlo fare con durezza e freddezza, credendo anche di vedere bene. Ma non è così. Si vede bene solo con la vicinanza che dà la misericordia… Da lontano possiamo dire e pensare qualsiasi cosa, come facilmente accade quando si scrivono frasi terribili e insulti via internet”, diceva papa Francesco alle comunità di migranti durante la sua visita a Bologna dell’ottobre 2017. Parole “certamente vere” per quello che riguarda i Rom e Sinti presenti nel nostro Paese, sottolinea il direttore della Fondazione Migrantes, don Giovanni De Robertis, in una lettera aperta ricordando anche le parole pronunciate da Papa Paolo VI a Pomezia, il 26 settembre 1965 incontrando questo popolo: “Voi nella Chiesa non siete ai margini, ma, sotto certi aspetti, voi siete al centro, voi siete nel cuore”. Oggi, quando si pronuncia la parola “rom”, la “mente – scrive ancora don De Robertis - rincorre il fantasma urbano del povero, dell'accattone, di colui che fruga nei cassonetti o che, con un figlio in braccio, chiede l'elemosina nei vagoni della metropolitana. La si pronuncia con sdegno, la si scrive sui quotidiani con indignazione, la si ritrova nei documenti istituzionali come problema da risolvere. È una parola che genera timore, che richiama paure ataviche, che rafforza pregiudizi e stereotipi. Dietro quelle tre lettere, invece, ci sono volti di donne, di uomini e di bambini e soprattutto ci sono persone che nella maggior parte dei casi vivono in abitazioni come le nostre, studiano, lavorano, pagano le tasse”. Nella mattinata di domani i circa 500 rom e sinti, insieme agli operatori pastorali, pregheranno con Papa Francesco in Vaticano. Saranno accompagnati dal card. Gualtiero Bassetti, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Saranno presenti anche il Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, il Card. Peter Kodwo Appiah Turkson, il Vicario del Papa per la Diocesi di Roma, il card. Angelo De Donatis, il Presidente della Commissione CEI per le Migrazioni e della Fondazione Migrantes, il Vescovo Mons. Guerino Di Tora, il neo Arcivescovo di Siena-Val d’Elsa-Montalcino e segretario della Commissione CEI per le Migrazioni, Mons. Paolo Lojudice e il vescovo di Avezzano, Mons. Pietro Santoro.