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Don La Magra: la morte del piccolo Joseph “non è come le altre”

13 Novembre 2020 - Lampedusa - “Per me, la morte di questo piccolo non è come le altre”. Don Carmelo La Magra, parroco di Lampedusa racconta così, con la voce rotta dalla commozione, il dramma della morte del piccolo Joseph, il bimbo di appena sei mesi che veniva dalla Guinea. Tra i morti del naufragio dell’11 novembre nel Mediterraneo centrale, insieme a centinaia di corpi in mare, c’è anche lui che viaggiava con la sua mamma, sopravvissuta. “La sua morte di questo piccolo e il grido disperato della sua giovane mamma rappresentano un macigno sulla nostra cultura occidentale – dice – ma se tutto si fermerà alla commozione di questi giorni avremo fallito un’altra volta”. Don Carmelo, come sta, come vanno le cose sull’isola? Bene, compatibilmente con quanto successo e quanto sta succedendo, sto bene! Stiamo un po’ come sempre. Non è una novità per l’isola affrontare eventi di questo tipo e di questa portata. Detto questo viviamo una tristezza immensa per i tanti morti, per le tante persone che muoiono nel tentativo di raggiungere le nostre coste. E comunque, a parte questo, l’accoglienza continua come sempre. Parliamo del piccolo Joseph, sei mesi, deceduto in mare. Anzitutto come sta la mamma? La mamma fisicamente sta bene, ma psicologicamente è devastata, distrutta perché sa che perso il suo piccolo, sa che ha perso tutto. Per ora è ospite dell’Hot Spot in attesa di essere trasferita come gli altri. Volutamente non l’abbiamo ancora incontrata. Abbiamo preferito lasciarla il più possibile tranquilla e in pace seguita da medici e psicologi. Sicuramente sarà con noi quando ci riuniremo per la sepoltura del piccolo. Quando avverrà e dove sarà sepolto? Aspettiamo che l’iter burocratico sia completato. Poi procederemo alla sepoltura che avverrà qui, nel nostro cimitero, che di migranti, spesso senza nome, ne ospita già tanti. Cosa c’è di nuovo, se c’è qualcosa di nuovo, nella morte di questo bimbo Non faccio assolutamente nessuna disparità, ma la morte di questo piccolo per me non è come le altre. Questo bambino era nato in Libia e come tanti suoi coetanei in diverse parti del mondo, non ha conosciuto la libertà, la pace. In altre parole non ha mai fatto il bambino, cioè non ha mai avuto la possibilità di vivere in un Paese dove i diritti dei più piccoli sono garantiti e sacri. E forse, in un certo senso, questi diritti non siamo riuscirti garantirli neanche noi, vittime come siamo, della nostra incapacità di capire che i flussi migratori, quando nascono dalla fame e dalla povertà sono inarrestabili. Chi scappa da guerra e persecuzioni non si fermerà di fronte all’ignoto e alle difficoltà. Ecco, credo che garantire vie sicure di arrivo come i corridoi umanitari, avrebbe salvato questo bambino. La sua morte è un macigno sulla nostra cultura occidentale, democratica e cristiana. Il grido della mamma ha fatto il giro del mondo. Quel grido è un peso grande. Ricordo che papa Francesco, quando venne a Lampedusa, volle leggere il Vangelo della strage degli innocenti dove si ricorda che: “Rachele piange i suoi figli che non ci sono più”. Ecco questa donna incarna Rachele. Il suo grido è il grido di ogni mamma che perde il figlio e con lui qualsiasi speranza nel futuro. Questa mamma è giovanissima ma è come se fosse morta anche lei col suo piccolo che rappresentava la sua speranza, il suo futuro che iniziava a crescere. Il grido di questa giovane donna pesa sulle nostre coscienze, ma se tutto si fermerà alla commozione di questi giorni avremo fallito un’altra volta. Quel grido deve tradursi in scelte concrete nel fare il bene dei poveri e degli emarginati, come ci ricorda continuamente il Papa. Dalla sua visita a Lampedusa papa Francesco è sempre vicino a voi tutti, alla vostra comunità. Sappiamo che il Papa ci è sempre vicino e sappiamo per certo che possiamo contare sulla sua preghiera e sulla sua vicinanza. La sua è una delle poche voci che in questo momento ci danno il coraggio e la speranza per andare avanti. (Amerigo Vecchiarelli - Sir)

Giornata Vittime Immigrazione: ieri la celebrazione a Lampedusa

4 Ottobre 2020 -

Lampedusa - "Mai più!". Sette anni dopo l’isola ricorda i 368 morti in uno dei più disastrosi naufragi del Mediterraneo e promuove in Europa la Giornata della memoria e dell’accoglienza.  Sette anni fa avvenne il naufragio dopo il quale l’Europa decise: «Mai più!». Invece di stragi e naufragi ce ne sono stati ancora tanti, troppi.

Il 3 ottobre 2013, a poche centinaia di metri da Lampedusa, naufragava un barcone con a bordo 500 migranti, 368 dei quali perdevano la vita. In loro memoria (e degli altri 18.000 che sono morti tentando di attraversare il Mediterraneo negli ultimi 7 anni) ieri, dopo un momento di preghiera interreligiosa davanti alla Porta d’Europa cui ha assistito una piccola folla, il sindaco dell’isola Totò Martello ha lanciato una corona di fiori in mare nel punto esatto della sciagura. Il Comune di Lampedusa e Linosa è anche capofila del progetto europeo 'Snapshots fromthe Borders', che coinvolge 35 partner di 13 Paesi Ue (comprese 19 città e isole di confine) e punta a far dichiarare il 3 ottobre Giornata europea della memoria e dell’accoglienza. "Il 3 ottobre non è un giorno come tutti gli altri" recita infatti il titolo di un video diffuso per ricordare ciò che avvenne in quell’alba tragica. 

Parroco Lampedusa: ripristinare vie legali per raggiungere l’Europa

10 Settembre 2020 - Lampedusa – “A Lampedusa arrivano turisti e migranti come sempre. Le loro vite scorrono indipendenti, non ci sono problemi d’ordine pubblico, o di sicurezza, né tantomeno emergenze sanitarie per i villeggianti. Tra i lampedusani non ci sono casi di Covid. L’emergenza vera la vivono coloro che, dopo viaggi allucinanti, vengono portati nell’hotspot: è disumano tenere 1.200-1.400 migranti concentrati in uno spazio ristrettissimo senza i servizi minimi. Non basta parlare di chiusure all’arrivo o blocchi delle partenze: ciò che sfugge sempre nel dibattito è che si sta parlando della vita delle persone, della loro dignità”. A parlare è il parroco di Lampedusa, don Carmelo La Magra in una intervista al settimanale “Famiglia Cristiana” da oggi in edicola. La parrocchia di San Gerlando di Lampedusa – dice il parroco – mette a disposizione alcuni locali della parrocchia, come la Casa della Fraternità, per i migranti più vulnerabili e i gruppi familiari. Ma – spiega – “anche questa è una soluzione provvisoria. Non è possibile realizzare un’ospitalità dignitosa per lunghi periodi. L’altra sera la gran parte dei quasi 400 stranieri arri- vati dalla Libia li abbiamo ospitati in parrocchia. Il nostro contributo non è certo risolutivo, ma cerchiamo di essere un piccolo esempio positivo. Facciamo il nostro. L’intervento risolutore, tuttavia, non può che venire dall’alto”. Per il sacerdote “il vero problema è l’assenza di vie legali sicure per raggiungere l’Europa. Oggi è tornato prepotentemente di moda l’uso del termine ‘clandestino’. Ma a creare il clandestino siamo noi, con le nostre leggi di chiusura. Negando il diritto di protezione e d’asilo, si costringono coloro che ne sono depositari ad affidarsi ai trafficanti e a rischio di morte in mare. Basterebbe ripristinare l’ingresso legale nel nostro Paese per stroncare i viaggi dei disperati e la clandestinità”.  

Lampedusa: centro di accoglienza per migranti è stato svuotato

9 Settembre 2020 -
Agrigento - Il Centro di accoglienza di Lampedusa è stato svuotato: tutti i migranti che lo occupavano fino a ieri sono stati trasferiti a bordo della nave inviata dal governo nazionale, su richiesta del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. Nel frattempo, sempre nella giornata di ieri  è arrivata una seconda nave per l’accoglienza, ed è previsto l’arrivo di una terza unità navale. I migranti che sbarcheranno da adesso in poi sull’isola saranno accompagnati al Centro di accoglienza per le sole visite mediche e per l’identificazione, quindi saranno trasferiti a bordo di una delle navi che stazionerà nel mare di Lampedusa.
All’interno del Centro di accoglienza saranno effettuati interventi per adeguare la struttura alle norme sanitarie legate all’emergenza Covid-19, sarà inoltre installata una nuova recinzione estera. Questi temi sono stati al centro della riunione che si è tenuta  a Lampedusa, con il sindaco Totò Martello e i rappresentanti di carabinieri, polizia, guardia di finanza, vigili del fuoco, Capitaneria di porto, Usmaf, agenzia Dogane, Asp, Protezione civile, Croce rossa e Invitalia. La riunione è stata coordinata dal prefetto Michele Di Bari, capo dipartimento Libertà civili e immigrazione del ministero dell’Interno. “Tutto sta procedendo secondo le direttive concordate nel corso della riunione della scorsa settimana a Palazzo Chigi con il presidente Conte, il ministro Lamorgese, il presidente della Regione Musumeci e altri esponenti del governo nazionale”, ha detto Martello. “Finalmente a Lampedusa la situazione sta tornando alla normalità”, ha aggiunto. (Dire)

Lampedusa: prosegue il piano del governo per liberare l’hotspot

28 Agosto 2020 -

Lampedusa - La nave quarantena "Azzurra" ha attraccato ieri al porto di Cala Pisana, a Lampedusa. Si tratta della seconda imbarcazione presa a noleggio dal governo per ospitare i migranti ed effettuare la necessaria sorveglianza sanitaria prima dell’accoglienza a terra. Mercoledì era stata la volta della nave "Aurelia'", che ha imbarcato 273 migranti ospiti dell’hotspot locale, 60 dei quali positivi al Coronavirus. Secondo quanto è stato reso noto dal Viminale, tra il primo e il secondo viaggio, sono 850 i migranti trasferiti dall’isola.

La situazione oggi a Lampedusa raccontata dal parroco don La Magra

14 Luglio 2020 - Lampedusa - In questi giorni si è ricordato il settimo anniversario della visita di Papa Francesco a Lampedusa. Era l’8 luglio del 2013 e il Pontefice scelse questa isola per il suo primo viaggio dopo la sua elezione sul Soglio di Pietro . Nell’isola chiamata “La porta d’Europa nel Mediterraneo”, accompagnato da mons. Francesco Montenegro – allora presidente della Fondazione Migrantes - volle incontrare quelle persone dai volti segnati dalla disperazione ma anche dalle torture subite durante il viaggio. Don Carmelo La Magra, parroco da quattro anni di San Gerlando, unica parrocchia dell’Isola, fotografa con www.migrantesonline.it  la situazione attuale. “Purtroppo non è cambiato molto da allora”, afferma: “dopo la visita del Papa, il 3 ottobre di quello stesso anno ci fu il grande naufragio in cui morirono centinaia di migranti e sembrava che qualcosa si stava muovendo cin i primi salvataggi ma dopo poco più di un anno i soccorsi sono diventati sempre più difficil”. Lampedusa è uno dei tanti approdi scelti dai migranti ma sono anche tantissimi i turisti attratti da questa terra e dal suo mare. “Non so negli altri posti, malgrado tutto quello che oggi si sta vivendo in Italia per la stagione turistica compromessa – dice - qui si è ripresa, non dico al 100% ma quasi; siamo in una estate quasi normale, non so da quello sanitario che cosa ci accadrà, ma da quello economico credo che qualcosa si stia salvando”. In questi giorni si è sentito molto parlare degli sbarchi che hanno ripreso, ma per don Carmelo “è come ogni altra estate, come ogni altro periodo dell’anno, quotidianamente ci sono diversi sbarchi”. I migranti e i turisti, due realtà distinte a cui la comunità di Lampedusa è da sempre abituata. “Specialmente in questo periodo di quarantena in cui i migranti sono ancora più distanti dal centro abitato - commenta il sacerdote - ma in generale, il turista non ha alcuno modo di aver contatto con il mondo della migrazione, può capitare ad un turista di stare per giorni e di non vedere nessun migrante”. I migranti dice il parroco “arrivano al molo militare e anche se è immerso nel centro è un molo chiuso, i trasferimenti avvengono verso l’hot spot, in cui nessuno accede. Di solito i migranti sono liberi di uscire, ma in questo periodo con la quarantena un po’ meno, però anche quando escono in mezzo a decina di migliaia di turisti qui pochi migranti non fanno media, non incidono, diciamo che sono invisibili anche in mezzo agli altri”.   Nicoletta Di Benedetto

Auxilium: “parole del Papa su ‘inimmaginabile inferno’ in Libia sollecitano Europa a non essere complice”

9 Luglio 2020 - Roma - “Bisogna essere grati a Papa Francesco per aver voluto, ancora una volta, richiamare l’Italia, l’Europa e il mondo su quell’’inimmaginabile inferno’ che vivono centinaia di migliaia di migranti nei ‘lager di detenzione’ in Libia. Una tragedia epocale che molti vogliono ignorare, come se non riguardasse la nostra umanità e la nostra responsabilità verso il futuro dell’Italia e dell’Europa”. Lo afferma Angelo Chiorazzo, fondatore della Cooperativa Auxilium, intervenendo sulle parole che Papa Francesco ha pronunciato ieri nell’omelia della Messa dedicata ai migranti, nel settimo anniversario della sua visita a Lampedusa. “Quando sette anni fa Papa Francesco andò a Lampedusa e denunciò la ‘globalizzazione dell’indifferenza’, anche per noi che lavoravamo da alcuni anni nell’accoglienza dei migranti fu un cambio completo di orizzonte, l’inizio di un nuovo modo di affrontare la situazione per ‘accogliere, proteggere, promuovere, integrare’ tanti nostri fratelli, che sembrano avere il solo torto di essere nati dalla parte sbagliata del Mediterraneo”, evidenzia Chiorazzo. Aggiunge il fondatore di Auxilium: “Oggi, mentre in Libia e nel Mediterraneo uomini, donne e bambini in fuga da guerre e miseria continuano a morire, la globalizzazione dell’indifferenza si sta radicalizzando. Papa Francesco ci chiede di far sbarcare chi è in mare, ma soprattutto ci chiede di cambiare. Questo è il tempo di cambiare politica, di affrontare con coraggio il fenomeno migratorio, senza calcoli elettorali e guardando alle persone. I corridoi umanitari devono riprendere al più presto per mettere in salvo le persone più fragili, ma deve cambiare la politica migratoria e quella dell’accoglienza. L’Europa unita può governare con umanità e giustizia il fenomeno migratorio, non può, invece, continuare ad essere complice di questi crimini contro l’umanità”. La Cooperativa Auxilium gestisce e sviluppa servizi sanitari, socio assistenziali, sociali ed educativi in tutta Italia, perseguendo la promozione umana e l’integrazione sociale. La Cooperativa opera in molti settori del welfare al servizio di anziani, malati, disabili e minori. Dal 2007 Auxilium opera anche nel sistema nazionale di accoglienza dei migranti.

Lampedusa: incontro di preghiera al santuario nel VII anniversario visita del Papa

8 Luglio 2020 -   Lampedusa – Un incontro di preghiera per ricordare l’anniversario del viaggio del Papa a Lampedusa di un anno fa. Lo promuove questa sera la parrocchia di Lampedusa all’aperto al santuario della Madonna di Porto Salvo. “La maggior parte dei lampedusani ricorda questo momento con orgoglio e ne tiene viva la memoria – dice al Sir don Carmelo La Magra, parroco di San Gerlando a Lampedusa – perché è stato un momento significativo per la vita dell’isola. Ma nemmeno qui mancano gli attacchi al Papa: c’è chi gli attribuisce la colpa di aver dato il via ad una migrazione più libera, come se avesse detto ‘venite tutti, vi aspettiamo’”. Per il sacerdote “sembra essere passato tanto tempo dal viaggio del Papa ma i nostri comportamenti non sono cambiati anzi sono peggiorati. Sono ancora in vigore i decreti sicurezza, c’è ancora tante gente che muore in mare e persone lasciate giorni e giorni in attesa sulle navi senza capire perché, visto che prima o poi dovranno sbarcare”. “Il Papa quel giorno chiese se qualcuno avesse pianto per le sofferenze dei migranti – ricorda don La Magra -. Invece siamo ancora concentrati sui nostri problemi. Nemmeno la pandemia ci è servita per imparare a sentirci tutti sulla stessa barca”.

Papa Francesco: cercare Dio “nel volto dei poveri, degli ammalati, degli abbandonati e degli stranieri”

8 Luglio 2020 - Città del Vaticano – “La Vergine Maria, Solacium migrantium, ci aiuti a scoprire il volto del suo Figlio in tutti i fratelli e le sorelle costretti a fuggire dalla loro terra per tante ingiustizie da cui è ancora afflitto il nostro mondo”. Così ha pregato papa Francesco questa mattina al termine della liturgia, celebrata nella cappella di Casa Santa Marta nel settimo anniversario del suo viaggio apostolico a Lampedusa, l’8 luglio 2013, il primo del pontificato di papa Bergoglio. Alla celebrazione  il personale della sezione rifugiati del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale. “Oggi – ha detto - ricorre il settimo anniversario della mia visita a Lampedusa. Alla luce della Parola di Dio, vorrei ribadire quanto dicevo ai partecipanti al meeting ‘Liberi dalla paura’ (promosso dalla Fondazione Migrantes, dalla Caritas Italiana e dal Centro Astalli, ndr) nel febbraio dello scorso anno: ‘L’incontro con l’altro è anche incontro con Cristo. Ce l’ha detto Lui stesso. È Lui che bussa alla nostra porta affamato, assetato, forestiero, nudo, malato, carcerato, chiedendo di essere incontrato e assistito’”. Per il papa l’incontro personale con Gesù Cristo è “possibile anche per noi, discepoli del terzo millennio. Protesi alla ricerca del volto del Signore, lo possiamo riconoscere nel volto dei poveri, degli ammalati, degli abbandonati e degli stranieri che Dio pone sul nostro cammino. E questo incontro diventa anche per noi tempo di grazia e di salvezza, investendoci della stessa missione affidata agli Apostoli”. Nella sua omelia il pontefice ha sottolineato come la “cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza”, ripetendo le stesse parole pronunciate nell’isola siciliana in quel primo viaggio del suo ministero petrino. “La ricerca del volto di Dio è garanzia del buon esito del nostro viaggio in questo mondo, che è un esodo verso la vera Terra Promessa, la Patria celeste”, ha detto il papa aggiungendo che “il volto di Dio è la nostra meta ed è anche la nostra stella polare, che ci permette di non perdere la via”. Il papa ha anche ricordato i campi di detenzione in Libia e gli abusi e violenze di cui sono “vittime i migranti, ai viaggi della speranza, ai salvataggi e ai respingimenti. Tutto quello che avete fatto... l’avete fatto a me”. E a braccio ha detto che quel giorno alcuni migranti gli hanno raccontato quello che vivevano, “quanto avevano sofferto per arrivare lì. C'erano degli interpreti e uno raccontava cose terribili e l'interprete sembrava tradurre bene, ma questo prima parlava lungo e invece la traduzione era troppo breve. Quando sono tornato a casa, nella reception c'era una signora, figlia di etiopi. Mi ha detto che quello che ha detto il traduttore non era che la quarta parte delle sofferenze che hanno vissuto loro. Mi hanno dato la versione distillata. Questo succede con la Libia, voi non immaginate l'inferno che si vive là, in quei lager di detenzione. Questa gente soltanto vive con la speranza di incrociare il mare”.

Raffaele Iaria

Dov’è tuo fratello?

8 Luglio 2020 - Città del Vaticano - «Dov’è tuo fratello?, la voce del suo sangue grida fino a me, dice Dio. Questa non è una domanda rivolta ad altri, è una domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di noi». Sono passati sette anni dalla visita di Papa Francesco a Lampedusa e da quella domanda rivolta all’umanità nella Messa celebrata al campo sportivo dell’isola nel cuore del Mediterraneo. Un viaggio durato poche ore e che però è stato in qualche modo “programmatico” per il Pontificato. Lì, nella punta Sud dell’Europa, Francesco ha mostrato cosa intenda quando parla di “Chiesa in uscita”. Ha reso visibile l’affermazione che la realtà si vede meglio dalle periferie che dal centro. In mezzo ai migranti fuggiti dalla guerra e dalla miseria, ha fatto toccare con mano il suo sogno di una “Chiesa povera e per i poveri”. A Lampedusa, d’altro canto, parlando di Caino e Abele, ha anche posto in primo piano l’interrogativo sulla fratellanza. Domanda fondamentale per il nostro tempo. O forse, di ogni tempo. Sull’asse della fratellanza ruota tutto il Pontificato di Francesco. “Fratelli” è proprio la prima parola che ha rivolto al mondo da Papa, la sera del 13 marzo del 2013. La dimensione della fratellanza è, se così si può dire, nel Dna di questo Pontefice che ha scelto il nome del Poverello d’Assisi, un uomo che per sé ha voluto come unico titolo quello di “frate”, frater, fratello appunto. Fraterno è anche il modo in cui definisce il suo rapporto con il Papa emerito Benedetto XVI. Dopo la firma del Documento sulla Fratellanza umana, tale cifra del Pontificato appare certamente più marcata ed evidente a tutti. Eppure, ripercorrendo all’indietro i primi sette anni di Pontificato di Francesco, si ritrovano diverse pietre miliari sul cammino che ha condotto alla firma, assieme al Grande Imam di Al Azhar, dello storico documento ad Abu Dhabi, il 4 febbraio del 2019. Un percorso che ora prosegue, perché quell’avvenimento in terra araba è stato un punto di arrivo, certo, ma anche di un nuovo inizio. Ritornando alla “domanda di Lampedusa”, è particolarmente significativo che il Papa riprenda le stesse parole in un’altra visita fortemente simbolica, quella che compie al Sacrario militare di Redipuglia nel centenario dell’inizio della Prima guerra mondiale. Anche qui, nel settembre del 2014, torna a risuonare con tutta la sua drammaticità il dialogo tra Dio e Caino, dopo l’uccisione del fratello Abele. «A me che importa? Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4, 9). Per Francesco, in quel rifiuto di sentirsi custode del fratello, di ogni fratello, sta la radice di tutti i mali che scuotono l’umanità. Questo atteggiamento, sottolinea il Papa, «è esattamente l’opposto di quello che ci chiede Gesù nel Vangelo», «Chi si prende cura del fratello, entra nella gioia del Signore; chi invece non lo fa, chi con le sue omissioni dice: “A me che importa?”, rimane fuori». Con lo scorrere del Pontificato, vediamo che la comune appartenenza alla fratellanza umana viene declinata in tutta la sua multiforme dinamicità, spaziando dal terreno ecumenico a quello interreligioso, dalla dimensione sociale a quella politica. Ancora una volta è il poliedro la figura che meglio rappresenta il pensiero e l’azione di Francesco. La fratellanza, infatti, ha tante sfaccettature. Tante quanti sono gli uomini e le relazioni tra loro. Francesco parla di fratelli nell’incontro di preghiera e di pace nei Giardini Vaticani con Shimon Peres e Abu Mazen. «La vostra presenza», sottolinea rivolgendosi al leader israeliano e a quello palestinese, «è un grande segno di fraternità, che compite quali figli di Abramo, ed espressione concreta di fiducia in Dio, Signore della storia, che oggi ci guarda come fratelli l’uno dell’altro e desidera condurci sulle sue vie». Nel nome della fratellanza, vivificata dalla comune fede in Cristo, si realizza anche l’incontro, impensabile fino a pochi anni prima, del Vescovo di Roma con il Patriarca di Mosca, evento benedetto dal Patriarca di Costantinopoli, il fratello Bartolomeo I. A Cuba, Francesco e Kirill firmano un documento comune che, nel suo incipit, sottolinea: «Con gioia ci siamo ritrovati come fratelli nella fede cristiana che si incontrano per “parlare a viva voce”». Fratellanza è pure la parola chiave che ci permette di decodificare uno degli atti più forti e sorprendenti del Pontificato: il gesto di inginocchiarsi a baciare i piedi dei leader del Sud Sudan convocati in Vaticano per un ritiro spirituale e di pace. «A voi tre, che avete firmato l’Accordo di pace — dice il Papa con parole accorate — vi chiedo come fratello, rimanete nella pace. Ve lo chiedo con il cuore. Andiamo avanti». Se dunque il Documento di Abu Dhabi è stato come la fioritura di semi piantati all’inizio e poi lungo il Pontificato, certamente il “cambiamento d’epoca” che stiamo vivendo, accelerato dalla pandemia, rende improrogabile l’assunzione di responsabilità rispetto alla questione della fratellanza umana. «Dov’è tuo fratello?». Quella domanda-appello, levata nella mattina assolata dell’8 luglio 2013 a Lampedusa, è oggi “la” domanda. Il mondo, convinto di poter fare da sé, di poter andare avanti nella logica egoista del “si è sempre fatto così”, si è invece ritrovato a terra, incredulo e impotente di fronte ad un nemico invisibile e inafferrabile. E ora fa fatica a rialzarsi perché non trova la base giusta per sorreggersi. Questa base, ci ripete Francesco, è la fratellanza. Lì sono le uniche fondamenta su cui costruire una casa solida per l’umanità. Il coronavirus ha mostrato drammaticamente che, per quanto siano differenti i livelli di sviluppo tra le nazioni e di reddito all’interno delle nazioni, siamo tutti vulnerabili. Siamo fratelli sulla stessa barca, agitata dalle onde di una tempesta che colpisce tutti e ciascuno indistintamente. «Con la tempesta — afferma il Papa sotto la pioggia il 27 marzo nella piazza San Pietro vuota — è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli». Ecco cosa può risvegliare le nostre coscienze un po’ anestetizzate dinnanzi alle tante “pandemie”, come la guerra e la fame, che hanno bussato alle nostre porte, ma di cui non ci siamo curati perché non sono riuscite ad entrare in casa. «Ci sono tante altre pandemie che fanno morire la gente — ha ricordato Francesco nella Messa a Santa Marta del 14 maggio — e noi non ce ne accorgiamo, guardiamo da un’altra parte». Oggi come sette anni fa a Lampedusa, il Papa ci dice che non dobbiamo guardare dall’altra parte, perché se veramente ci sentiamo fratelli, membra gli uni degli altri, l’altra parte non esiste. L’altra parte siamo noi. (Alessandro Gisotti - Osservatore Romano)