Rapporto Italiani nel Mondo: italiani in mobilità precaria, recente, non ufficiale

9 Novembre 2021 – Roma – A metà settembre 2020, secondo i dati del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI), la Farnesina aveva ricondotto in patria quasi 111 mila connazionali attraverso oltre mille operazioni terrestri, aeree e navali che avevano interessato ben 180 paesi del mondo. Un’operatività che ha richiesto un impegno senza precedenti da parte delle sedi diplomatiche in coordinamento col MAECI, sorprese dal virus come tutti e interessate esse stesse da possibili contagi. E’ quanto emerge dal Rapporto Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes presentato questa mattina.

Il quadro dei rientri è molto complesso ed è possibile individuare diversi profili. Il blocco totale degli spostamenti ha fatto collassare il settore turistico soprattutto per quei luoghi che vivono, quasi esclusivamente, della presenza di viaggiatori e turisti come il Marocco, la Spagna e diversi altri. Gli italiani residenti più ufficiosamente che ufficialmente all’estero e occupati nei settori connessi al turismo – agenzie di viaggi, tour operator, ma anche il mondo alberghiero e della ristorazione – sono stati travolti dall’emergenza sanitaria che per loro è diventata anche emergenza di sopravvivenza. Moltissimi italiani proprietari di ristoranti nel mondo sono riusciti a resistere, alcuni si sono dovuti reinventare l’attività oltre la riconversione verso l’asporto come tutti, ma chi lavorava come dipendente in questo settore specie se da poco tempo perché di recente arrivo all’estero o inserito con contratto a tempo determinato, o non regolare, o a nero, non ha avuto scampo ed è stato falcidiato dall’epidemia. In tantissimi hanno perso il lavoro e l’unica strada percorribile era fare ritorno a casa. In generale, comunque, il progetto migratorio acerbo unito a un inserimento occupazionale non certo, instabile o irregolare sono state due delle caratteristiche che hanno spinto fortemente al rientro sia dall’estero sia per chi si trovava in un’altra regione d’Italia rispetto a quella di origine. Al ritorno dei lavoratori precari che si trovavano nella condizione di mobilità interna, si è unito quello dei lavoratori pendolari e la grande questione dei frontalieri.

Il caso del Canton Ticino è in questo senso emblematico, con i lavoratori costretti a dover scegliere tra salute e lavoro, tra affetti e responsabilità professionale in un momento in cui la Lombardia era piegata e sconvolta dal virus e la Svizzera sembrava essere immune. Alcuni datori di lavoro ticinesi hanno messo gratuitamente a disposizione dei loro dipendenti stanze d’albergo, lasciando loro la libertà di scegliere tra il rientro a casa e la permanenza nel Cantone, ma altri non hanno dato alcuna scelta, anzi li hanno invitati a non rientrare. Tra ricatti morali e opportunità ricevute con l’ospitalità di familiari o conoscenti quello che è emerso con forza è quanto il Ticino sia legato indissolubilmente al lavoro frontaliero, in quanto nelle mani di questi lavoratori si trovano alcuni dei settori nevralgici – e resi ancora più decisivi dalla pandemia – quali la sanità e la grande distribuzione. Il Ticino è solo un esempio, forse il più vicino geograficamente parlando, ma la questione frontalieri italiani ed europei è uno dei grandi temi della mobilità di oggi.

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