15 Ottobre 2021 – Roma – Pandemia sociale sugli stranieri regolari in Italia. I lavoratori stranieri si sono impoveriti in media più degli italiani, sono stati più sfruttati e più esposti al virus sul luogo di lavoro e meno aiutati dallo Stato. Lo denuncia l’edizione trentennale del Rapporto Immigrazione di Caritas italiana e Fondazione Migrantes presentata a Roma ieri che analizza la condizione dei lavoratori migranti e delle loro famiglie nell’ Italia della pandemia. Che in un quadro globale di mobilità regolare ridotta continuano a diminuire. Nel 2021 la popolazione di origine straniera è infatti calata del 5%, passando dai 5.306.548 del 2020 agli attuali 5.035.643, l’8,5% sulla popolazione nazionale.
Sono 3.696.697 i permessi di soggiorno nel Belpaese, in netta crescita i ricongiungimenti famigliari ( il 49%, +9,1% rispetto al 2019), seguiti da quelli per lavoro (43,4% e +12,1%). Tutti segnali di integrazione. Quindi i rifugiati e richiedenti asilo (5%). Anche i permessi di soggiorno a minori non accompagnati e a neomaggiorenni sono in picchiata per il calo degli arrivi, dai quasi 18 mila del 2019 ai 3.774 del 2020.
La geografia dell’Italia dei migranti resta immutata. Vivono sempre nelle aree più ricche, al Nord (58,5%) – in particolare nel Nord Ovest (34%) mentre Nord Est e Centro assorbono circa il 24,5 -, mentre nel Sud e nelle Isole risiedono appena il 12,1% e il 4,8%. Le prime 5 regioni nelle quali si attesta la maggior presenza di stranieri sono Lombardia (nella quale risiede il 23% della popolazione straniera in Italia) seguita da Lazio, Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte. Roma resta la prima città. La presenza femminile è sempre maggioritaria (51,9% del totale) e sfiora l’80% fra i soggiornanti provenienti da Ucraina, Georgia e da diversi Paesi dell’Est Europa impegnati soprattutto nel lavoro domestico.
Pesanti secondo lo studio le conseguenze della pandemia. La condizione occupazionale dei lavoratori stranieri presenti in Italia ha subito un ‘forte contraccolpo’ sia per la chiusura di molte attività sia per la prosecuzione di quelle essenziali da svolgere in presenza esponendoli a sfruttamento lavorativo o a contagio da Covid-19. Le forme contrattuali mediamente più precarie hanno determinato un tasso di disoccupazione del 13,1%, superiore a quello degli italiani (8,7%), mentre il tasso di occupazione (60,6%) si è ridotto in maniera consistente ed è oggi inferiore a quello degli autoctoni (62,8%). Più colpite dalla crisi le donne – impegnate in servizi alla persona, turismo e ristorazione con un tasso di disoccupazione due volte maggiore rispetto ai maschi.
La pandemia sociale si tocca nell’aumento della povertà assoluta nelle famiglie di soli stranieri. Nel corso di un anno il numero di nuclei poveri è salito a 568 mila, più della metà con figli minori. Fino al 2019 quasi un nucleo su quattro, secondo i parametri Istat, non raggiungeva un livello di vita dignitoso, mentre oggi risulta povera in termini assoluti più di una famiglia su quattro (il 26,7%), a fronte di un’incidenza del 6% registrata tra le famiglie di soli italiani. Tra le persone aiutate dai due enti della Cei gli stranieri rappresentano il 52%. L’età media degli assistiti è 40 anni per gli uomini e 42 per le donne contro i 52 degli italiani. Se la povertà degli immigrati nel 42% dei casi è causata dalla disoccupazione, molto elevata è l’incidenza degli occupati (30,9% contro il 19,2% dei cittadini italiani), conseguenza di una occupazione precaria, sotto-retribuita e irregolare.
Poco visibili anche violenza e sfruttamento sulle donne migranti. ‘Le straniere – sostiene l’indagine rappresentano all’incirca la metà delle donne assistite nei centri antiviolenza ed un 55%-60% delle ospiti delle case rifugio. Le forme di violenza subìte dalle donne straniere sono principalmente fisiche, di grave entità, e si registrano sia nelle relazioni iniziate nel Paese d’origine (68,5%) sia nel contesto di relazioni avviate in Italia (19,4%). Il principale tipo di sfruttamento subito è quello sessuale (77%). Nel 16% dei casi le donne sono state vittime di sfruttamento sia di tipo sessuale che lavorativo. L’1% è stata vittima di matrimonio forzato’.
Il rapporto Caritas-Migrantes denuncia anche l’inefficacia delle misure straordinarie ‘frammentarie e complesse’ per fronteggiare l’emergenza, utilizzate solo dal 9-10% degli extracomunitari. Anche il ‘Reddito di cittadinanza’ presenta limiti enormi legati alla copertura degli stranieri, dal momento che uno dei requisiti di accesso prevede la residenza in Italia di 10 anni, di cui gli ultimi due in via continuativa. Scrivono quindi gli autori: «Gli interventi messi in atto per fronteggiare la pandemia si sono caratterizzati per elevato livello di frammentazione, complessità
amministrativa, deboli azioni di supporto all’accesso, che non hanno fatto altro che compromettere la capacità di raggiungimento della popolazione straniera, diventando un’ulteriore fonte di divaricazione con quella italiana».
Per quanto riguarda la tutela della salute, il 13,9% delle denunce all’Inail di contagi sul luogo di lavoro riguarda stranieri, concentrati soprattutto tra i lavoratori rumeni (pari al 21,0% dei contagiati stranieri), peruviani (13,0%), albanesi (8,1%), moldavi (4,5%) ed ecuadoriani (4,2%). La mancanza di tessera sanitaria ha escluso interi gruppi dalla possibilità di prenotarsi nei portali regionali anche quando per età sarebbe stato possibile. In assenza di indicazioni puntuali, Regioni e Province autonome si sono attivate in modo non omogeneo e coordinato producendo un ritardo ‘strutturale’ a scapito della popolazione immigrata.
Infine a proposito delle fake news messe in giro sugli stranieri untori, il rapporto sottolinea come l’Italia ha fatto affidamento anche su 22 mila medici, 38 mila infermieri, 1.000 psicologi di origine straniera in prima linea contro la pandemia. Fra gli oltre 350 medici morti in Italia durante la pandemia, almeno 18 erano stranieri. Molti di più i contagiati e i ricoverati in terapia intensiva. Non dimentichiamolo. (Paolo Lambruschi – Avvenire)