Perù: la testimonianza del coordinatore nazionale dei peruviani in Italia

16 Giugno 2020 – Lima – La Festa del Corpo di Cristo è una forte chiamata a essere come “Lui per salvare questo mondo”.  Il Perù ha celebrato la festa del Corpus Domini nel pieno della pandemia soprattutto nelle zone più povere dove  mancano medicinali e anche l’ ossigeno: chiunque affetto da coronavirus deve  acquistarlo in proprio a costi molto elevati. Lo racconta a www.migrantesonline.it il coordinatore nazionale dei peruviani in Italia, p. Emerson Campos Aguilar, che si trova proprio in Perù dove è rimasto a causa della pandemia e quindi del blocco dei viaggi internazionali.

“Non ci sono medicine, mancano i viveri”: “quel corpo di Cristo che muore nel silenzio” di tante persone alcuni anche sulle strade dove nessuno li vede. “Alcuni dicono che preferiscono morire  a casa perchè  sanno che qualcuno li assiste aiutandoli anche a lenire il proprio dolore”, dice il sacerdote. Il sacramento del pane oggi si traduce “in questa pandemia nella  teologia della pentola”: “la gente muore di fame e attorno alla pentola comune la gente racconta i propri dolori, le proprie speranze,  le proprie morti e tutto quello che ogni persona porta nella sua storia silenziosa della presenza di Dio”, dice il sacerdote. Santa Teresa d’ Avila diceva “anche tra le pentole c’è il Signore”.

“Gesù è veramente presente nel Santissimo Sacramento, rimane con noi fino alla fine del mondo, è un amico intimo, che ci conosce, che conosce le nostre gioie e dolori in mezzo alla pandemia”, aggiunge don Emerson: è “presente nella solidarietà di ogni cattolico con la sua preghiera e la sua donazione”.

Dopo il Brasile il Perù è il secondo paese con il maggior numero di morti per la pandemia in America del Sud e la pandemia “si aggiunge all’estrema povertà soprattutto di alcune zone, alla mancanza di lavoro  e di beni necessari”.

Nella zona dove vivono i suoi genitori, al confine con Brasile, Ecuador e Colombia, p. Emerson racconta che la parrocchia di Santo Toribio de Mogrovejo dà da  mangiare a 1500 persone ogni giorno, “persone senza lavoro,  anziani  soli, persone che arrivano dopo aver camminato due o tre ore a piedi sotto il sole o la pioggia  per ricevere del cibo che serve loro per l’intera giornata. A loro diamo anche delle mascherine”.  Qui non c’è un ospedale ma un piccolo pronto soccorso, non ci sono medicine e per i malati l’ossigeno necessario. Il primo ospedale Covid è a tre ore di macchina. “Abbiamo aiutato alcuni donando noi le bombole d’ossigeno” grazie anche ad un aiuto ricevuto dalla  Fondazione Migrantes.  “Oggi dobbiamo riporre la testa vicino al  cuore di Cristo per ascoltare e scegliere ciò che vuole Gesù, per chiedere che i nostri occhi siano aperti e i nostri cuori siano brucianti come quelli dei discepoli di Emmaus, affinché ogni giorno l’amore per il Sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo che è il corpo e la vita di ogni essere umano cresca in noi per riumanizzare  la vita, la salute, la medicina, la politica ed entrare in quell’umanesimo  che indica il Vangelo”.

Raffaele Iaria

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