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Sinergia virtuosa

4 Maggio 2021 - Amare la famiglia significa saperne stimare i valori e le possibilità, promuovendoli sempre. Amare la famiglia significa individuare i pericoli ed i mali che la minacciano, per poterli superare. Amare la famiglia significa adoperarsi per crearle un ambiente che favorisca il suo sviluppo. E, ancora, è forma eminente di amore ridare alla famiglia cristiana di oggi, spesso tentata dallo sconforto e angosciata per le accresciute difficoltà, ragioni di fiducia in se stessa, nelle proprie ricchezze di natura e di grazia, nella missione che Dio le ha affidato. «Bisogna che le famiglie del nostro tempo riprendano quota! Bisogna che seguano Cristo!» (Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, n.86, 22 novembre 1981) La conclusione del documento pontificio che siamo andati sfogliando rivela pienamente la sua natura, ovvero quella di “esortazione”. Prima ancora di essere un pronunciamento dottrinale, quale essa è, Familiaris Consortio vuole essere un invito alla Chiesa e al mondo perché guardino alla famiglia con occhi nuovi, soprattutto con occhi di benevolenza e di misericordia. Giovanni Paolo II, che per alcuni anni ancora, dopo la pubblicazione di questo documento, proseguirà le sue catechesi del mercoledì sull’amore umano, ha la convinzione profonda che sulla comprensione e la valorizzazione del sacramento del matrimonio (per la Chiesa) e della famiglia in quanto tale (per tutta la società) si giochi una sfida decisiva. Quello che per certi versi si può dire anche per l’oggi, a maggior ragione si può rilevare per gli anni in cui scrive Papa Wojtyla: è un tempo in cui – sulla scorta del magistero conciliare – la comunità ecclesiale è chiamata a riconoscersi come popolo di Dio, nella sua complessità e non secondo la più semplicistica distinzione fra pastori e fedeli. Questo comporta un’assunzione di responsabilità nuova per i laici, che non devono più sentirsi soltanto i destinatari di un magistero dall’alto a cui sottomettersi, quanto piuttosto partecipanti ad un cammino di fede, di crescita, anche di conversione che li vede, però, come protagonisti attivi, membra vive del corpo che è la Chiesa. Amare le possibilità della famiglia significa coltivarne tutta la ricchezza umana e spirituale. È come se, nell’afflato di questo suo congedo, il Papa auspicasse una sinergia virtuosa fra la Chiesa e tutte le istanze che naturalmente cooperano al bene dell’uomo e della donna. Ai cristiani è chiesto di annunciare la “buona notizia” del Vangelo sulla famiglia, ma a tutti è dato di vivere in essa con spirito di accoglienza e desiderio di bene. La famiglia diviene un’icona esemplare, una finestra attraverso cui guardare l’esistente. Se il nucleo famigliare si sviluppa armonicamente e cresce in tutte le sue potenzialità il beneficio è universale. La mentalità da assumere, dunque, non è quella di accondiscendere, più o meno stancamente, a quanto esiste da sempre, ma di promuoverne lo sviluppo come di una realtà viva, dinamica e sempre nuova. In ambito ecclesiale la strada è quella di una capacità di inclusione sempre maggiore. Bello è immaginare che ogni famiglia cristiana si trovi a suo agio nella propria parrocchia, in particolare attorno alla celebrazione eucaristica. Pare un’eccessiva semplificazione, ma non è così. Talvolta, per esempio, un’interpretazione eccessivamente rigorosa della sacralità liturgica, rischia di allontanare le famiglie con figli piccoli dalla piena partecipazione ai riti. I neonati possono essere vissuti dai sacerdoti o dagli altri fedeli solo come un elemento di disturbo e, di fatto, si corre il rischio di creare degli allontanamenti. Una comunità matura, in tal senso, potrà provvedere ad un servizio di cura e di assistenza dei bambini fin da quelli piccolissimi, per permettere ai genitori di partecipare alla Messa con maggiore distensione. Si tratta solo di un esempio ad indicare che tanti sono i percorsi per dimostrare coi fatti la volontà di sostenere la famiglia e non soltanto inneggiarne alla bellezza. Un altro esempio, in ambito civile, potrebbe essere quello della valorizzazione delle famiglie numerose. Se non fosse per l’impegno di qualche strenua associazione di categoria, chi oggi ha quattro o più figli è considerato un incosciente che deve cavarsela da solo piuttosto che un cittadino a cui tributare un sentimento di gratitudine. Oggi in Italia, con il sempre più rigido inverno demografico, cosa si sta davvero facendo per incrementare le nascite e incoraggiare le coppie a fare più figli? Gli interventi sono spesso più enunciati che realizzati e, in ogni caso, non possono ridursi alla sola dimensione, per altro importantissima, degli incentivi economici, ma devono più integralmente diventare una rete che crei un ambiente favorevole, di piena simpatia nei confronti di chi “osa” mettere al mondo tanti figli. Queste e molte altre chiose potrebbero farsi attorno ad un testo, Familiaris Consortio, che ha segnato un’epoca e a cui poi il magistero petrino ha riconosciuto il grande merito di porre al centro questioni cruciali e mai esaurite una volta per tutte. Nelle sue ultime parole Giovanni Paolo II affida la famiglia alla Sacra Famiglia di Nazaret, non lontano modello sovrumano di virtù, ma compagna di strada di tutte le famiglie nella fatica, nelle difficoltà, anche nelle prove più dure. Un affidamento quello a Maria, a Giuseppe e certamente a Gesù che – come vedremo – resterà una costante non solo di questo Papa ma anche dei suoi successori a cavallo del millennio. (Giovanni M. Capetta – Sir)    

Chiesa, grande famiglia

27 Aprile 2021 - A coloro che non hanno una famiglia naturale bisogna aprire ancor più le porte della grande famiglia che è la Chiesa, la quale si concretizza a sua volta nella famiglia diocesana e parrocchiale, nelle comunità ecclesiali di base o nei movimenti apostolici. Nessuno è privo della famiglia in questo mondo: la Chiesa è casa e famiglia per tutti, specialmente per quanti sono «affaticati e oppressi» (cfr. Mt 11,28). (Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, n.85, 22 novembre 1981) Quasi al termine del suo corposo documento, nel penultimo paragrafo di Familiaris Consortio, Giovanni Paolo II denota una sensibilità tutta particolare nel volersi rivolgere a quelli che chiama “i senza famiglia”. Il suo sguardo, come sempre, spazia sull’umanità intera e comprende tutti coloro che, spesso non per loro deliberata volontà, si trovano di fatto a vivere senza il sostegno e il calore di una vera famiglia. Possono essere motivi di grande povertà, di promiscuità, di mancanza di cultura ma è certo che nel mondo sono davvero tantissime le persone sole, che non hanno legami diretti con i loro familiari, perché li hanno persi o non sanno come riallacciarli. A loro il Papa volge il suo pensiero considerandole persone “particolarmente vicine al Cuore di Cristo” e per questo degne dell’affetto e della sollecitudine della Chiesa. Si apre quindi un discorso che cambia la prospettiva rispetto a quelli fatti in precedenza. Non esiste solo la famiglia quale chiesa domestica, focolare animato dallo Spirito, a cui la comunità ecclesiale guarda come cellula primordiale e vitale dell’esistenza; c’è anche una Chiesa, come popolo di Dio, che è chiamata a fare proprio sempre più uno spirito di famiglia per poter accogliere tutti, ma proprio tutti nel suo grande abbraccio, che – come il colonnato del Bernini in Piazza San Pietro – vuole davvero comprendere il mondo nella sua vastità e diversità. C’è allora un grande esercizio di conversione che tutte le realtà ecclesiali possono voler fare, dalla Curia, alle realtà diocesane, fino ovviamente a quelle parrocchiali e ai movimenti. La Chiesa può acquisire i connotati di una famiglia se è capace di non scordarsi di nessuno, se come una madre accudisce tutti i suoi piccoli in egual misura e anzi dedicando le cure più premurose a chi è più bisognoso. Ci sono tante persone, anche in Italia, che sono “sole al mondo”, come si suol dire. A loro la comunità deve aprire le porte della Chiesa, per loro le panche dove si siede l’assemblea durante l’Eucarestia, o i saloni parrocchiali dove si svolgono le attività caritative e pastorali, per loro in modo particolare questi luoghi devono avere il profumo di casa. Spesso succede che molte di queste persone siano attivamente impegnate in parrocchia e a loro si debba una grande dedizione e spirito di servizio. A loro sarebbe bello andasse la gratitudine esplicita di molti, non solo dei sacerdoti, ma anche dei bambini e dei giovani. In tante altre occasioni si tratta di persone poco visibili, che tendono a stare ai margini, che non si fanno sentire e che pure, magari, nutrono una profonda vita di preghiera. Sarebbe bello che pastori e laici, insieme, senza delegarsi reciprocamente le responsabilità, sappiano “vedere” queste persone, renderle protagoniste, metterle al centro virtuoso della vita comunitaria. Penso a quelle persone anziane che con la loro stessa fedeltà al Rosario o all’Eucarestia quotidiana tengono accesa per tutti la lampada della fede. Magari spesso tante di loro tornano a casa e non c’è nessuno che le accoglie. Quanto è prezioso che si sentano accolte in parrocchia e valorizzate per quello che sono e per quello che sanno fare. Vi sono poi anche tanti single, come si chiamano oggi: persone che per scelta, ma molto spesso per necessità non voluta, non hanno trovato con chi fare famiglia. Alla parrocchia l’invito è a non giudicare le scelte e le responsabilità di queste persone prima di aver aperto loro la porta e averle accolte in quanto tali. Molte di loro potrebbero proprio essere “affaticate e oppresse” come dice il Vangelo ed è urgente per chi si dice cristiano andare loro incontro e farsi prossimo. Ancora una volta il sogno che tante volte già diventa realtà è quello di una comunità viva in ogni sua parte, in cui tutti si sentano a proprio agio, spronati ad essere loro stessi, a sapersi incoraggiare reciprocamente, a correggersi vicendevolmente. Bello è ricevere vita dal Corpo di Cristo spezzato per tutti e a saperla donare perché nessuno si senta solo mai, ma tutti amati nell’unico amore di Dio che non si scorda proprio di nessuno. (Giovanni M. Capetta – Sir)  

Illuminare il mondo

20 Aprile 2021 - Animata dallo spirito missionario già al proprio interno, la Chiesa domestica è chiamata ad essere un segno luminoso della presenza di Cristo e del suo amore anche per i «lontani», per le famiglie che non credono ancora e per le stesse famiglie cristiane che non vivono più in coerenza con la fede ricevuta: è chiamata «col suo esempio e con la sua testimonianza» a illuminare «quelli che cercano la verità» (Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, n.54, 22 novembre 1981) “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura”. L’invito perentorio di Gesù all’annuncio universale della Sua Parola è il punto di partenza di Papa Giovanni Paolo II per spronare la famiglia alla missionarietà. Un surplus di fiducia nei confronti della “Chiesa domestica” che di fatto è chiamata a rendersi partecipe dell’azione evangelizzatrice con una peculiarità sua propria. La Chiesa che si fonda sulla casa, ovvero sul sacramento del matrimonio è investita direttamente della vocazione a farsi prossima di tutti i fratelli che incontra nel mondo in cui essa vive ed è immersa. I coniugi sono missionari nel profondo, in virtù del loro battesimo, ribadito nella confermazione e suggellato in maniera speciale dal matrimonio. Non ci sono limiti a questo annuncio e di fatto Gesù si è espresso indicando la meta: “fino agli estremi confini della terra”. Così avviene che gli sposi cristiani iniziano ad essere testimoni e missionari fra le mura domestiche per poi esserlo in ogni contesto di vita, piccolo o grande che sia, in cui si trovano a vivere e fare la loro esperienza coniugale. Mai come in questo caso è valida la famosa espressione che definisce i cristiani “nel mondo ma non del mondo”. I coniugi e le famiglie che loro vanno formando sono all’avanguardia, perennemente in terra di missione. Non vivono nel tempio, non sono individuati dalle persone che incontrano come autorità ecclesiastiche, non hanno paramenti sacri, appannaggio di sacerdoti e religiosi, ma sono cristiani! Da questo punto di vista, nei confronti, soprattutto, delle persone non credenti, hanno l’opportunità di un incontro più alla pari, privo di pregiudizi, in cui la responsabilità e la libertà del confronto si giocano proprio sul piano di una testimonianza contraddistinta dalla trasparenza e dalla gratuità. Il Papa afferma che le famiglie cristiane, che siano partite per un Paese del Terzo Mondo per vivere in pienezza la vocazione della missione evangelica, o che al loro interno debbano cimentarsi con la mancanza di fede dei figli o di qualche altro membro del nucleo famigliare, sono perennemente “in servizio” e la loro specificità è la testimonianza concreta sul campo. Pare di sentire San Francesco quando diceva ai suoi frati di predicare in ultima istanza con le parole se ce ne fosse stato bisogno; sì perché è nel vivere, prima ancora che nel dire il Vangelo che le famiglie possono essere davvero protagoniste. C’è bisogno di essere lievito nella pasta del mondo, correndo il rischio di mescolarsi nell’impasto della storia. C’è bisogno, ai giorni nostri come duemila anni fa, di relazioni affidabili, sempre più rare; di legami con uomini e donne sposi, capaci di seminare fiducia, bellezza, speranza. É proprio la famiglia cristiana che può illuminare la vicenda umana dei fratelli nella fede, delle famiglie che non credono o di quelle che accusano delle difficoltà al proprio interno, offrendo il dono dell’affidabilità. Essere saldi nella presenza fisica, a contatto con i fratelli, senza distanze, senza giudizi o pietismi; essere affidabili nella gratuità dell’ascolto, nella prossimità per le piccole e le grandi richieste. Essere luce per gli altri non è compito facile, ma quanto è necessario! Del resto non sono poche le occasioni in cui questa presenza che dona conforto viene riconosciuta come vitale e preziosa. Quando una famiglia, soprattutto se coesa fra i suoi membri, accende il fuoco della sua speranza a fianco di chi gli è vicino, subito se ne colgono i bagliori, presto nascono germogli di vita nuova e non di rado questa presenza suscita una gratitudine magari silenziosa, magari non sempre esplicita, ma di certo duratura e sincera. (Giovanni M. Capetta)  

Sussidiarietà feconda

13 Aprile 2021 - Le famiglie, sia singole che associate, possono e devono pertanto dedicarsi a molteplici opere di servizio sociale, specialmente a vantaggio dei poveri, e comunque di tutte quelle persone e situazioni che l'organizzazione previdenziale ed assistenziale delle pubbliche autorità non riesce a raggiungere. Il contributo sociale della famiglia ha una sua originalità, che domanda di essere meglio conosciuta e più decisamente favorita, soprattutto man mano che i figli crescono, coinvolgendo di fatto il più possibile tutti i membri. (Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, n.44, 22 novembre 1981)   Nel testo, Familiaris Consortio dedica molti paragrafi al tema del servizio alla vita e alla sua promozione, un argomento delicato e fondamentale in cui, però, il richiamo è costantemente al magistero espresso in Humanae Vitae da Paolo VI e di cui Giovanni Paolo II, in continuità col suo predecessore chiede un intenso e fecondo approfondimento. Ci sia concesso, quindi di passare ad una parte successiva della Esortazione che il Papa introduce così: “Il compito sociale della famiglia non può certo fermarsi all'opera procreativa ed educativa, anche se trova in essa la sua prima ed insostituibile forma di espressione”. È l’invito che il Papa rivolge alla famiglia perché si assuma il suo proprio compito sociale e politico. Una dimensione fondamentale, che non può essere elusa: tutto quello che di buono, giusto e bello la famiglia sa costruire in se stessa non può e non deve rimanere un patrimonio privato, un tesoro da custodire gelosamente all’interno delle quattro mura domestiche. Esattamente come il rapporto con Dio presuppone la relazione orizzontale fra fratelli come necessario compimento dell’amore ricevuto, così la famiglia, cellula vitale della Chiesa e della società è chiamata ad aprire le porte e le finestre della propria casa per conoscere e prendersi cura della realtà che la circonda. Il Papa fa esplicito riferimento alle associazioni di famiglie, ovvero a quelle reti del tessuto sociale che permettono un’azione collettiva e quindi più efficace, ma prima di tutto il presupposto è la disponibilità all’accoglienza dei bisogni esterni da parte del nucleo famigliare; un’attitudine che si impara in famiglia e con la famiglia. Giovanni Paolo II è consapevole che, per esempio, il grande tema dell’ospitalità non può riguardare solo i genitori, ma coinvolge tutti i membri della famiglia in una dimensione corale, in cui ciascuno ricopre un ruolo particolare, può dare il suo specifico apporto, la sua attenzione personale. È bello riscoprire quello che era un tratto distintivo già dei primi cristiani: tenere la porta aperta, accogliere lo straniero, il pellegrino, magari anche la persona malata. Oggi, forse, le nostre case, secondo la concezione urbanistica dominante per lo più individualista, sono meno pronte alla ricezione fisica delle persone esterne, ma pure non mancano esempi edificanti e poi vi sono esperienze di comunità e case famiglia in cui è il nucleo famigliare che esce in uno spazio più grande per accogliere e accudire le persone che necessitano di un aiuto concreto. Già ai suoi tempi Giovanni Paolo II – che più avanti parlerà esplicitamente di principio di sussidiarietà – sprona le famiglie ad andare incontro a tutte quelle povertà che il sistema previdenziale e assistenziale della società non riescono a raggiungere. Vuol dire senz’altro agire nel concreto, soddisfacendo povertà materiali, che ancora riguardano un’ampia fetta della popolazione, ma significa anche rendersi conto delle povertà spirituali, delle preoccupazioni, delle solitudini profonde che molte persone vivono nelle nostre città, nei nostri condomini. Spesso più della spesa portata a domicilio, può avere valore un abbraccio, una telefonata, un pensiero spontaneo e gratuito, come può essere il biglietto o il disegno di un bambino. Sono queste le risorse collettive di una famiglia cristiana. Se da un lato si fa testimone di carità nell’azione, nella preghiera, nella stessa presenza sul territorio, dall’altra – coordinandosi con le altre famiglie (oggi questo movimento dal basso è molto cresciuto e ha ottenuto anche importanti risultati sul piano istituzionale) si fa portavoce di quelle istanze di promozione umana che fattivamente edificano la vita politica del nostro Paese inducendo a leggi che difendano e promuovano i diritti e i doveri della famiglia stessa. L’auspicio del Papa è che le famiglie cristiane non siano indifferenti alla politica per poi magari doverne subire imposizioni non in linea con la loro concezione della vita. Anche in questo ambito l’invito è sempre lo stesso: famiglia diventa ciò che sei, ovvero protagonista della società nella storia. (Giovanni M. Capetta - Sir)