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Proviamo a pensarla come Dio e riusciremo per davvero a far pace

3 Marzo 2022 - Milano - Questa guerra alle porte di casa, come tutti i conflitti, come ogni gesto che coinvolge totalmente l’uomo, parte dal cuore e dalla testa e poi arriva alle mani. Mani che caricano un fucile, che demoliscono pareti, che alzano un indice accusatorio. E, dall’altra parte, che erigono trincee, che costruiscono bombe a loro volta, che cercano una via di fuga tra boschi e palazzi. Facile dire che non sono fatte per tutto questo, che un un buon libretto di istruzioni spiega come montare un oggetto e non la via per distruggerlo. Se ci si avvia sulla strada della violenza, quando l’unico linguaggio possibile sembra essere quello della rabbia, tornare indietro diventa a ogni passo più difficile. Si tratta invece di fermarsi un attimo, di resettare la testa infarcita di propaganda, di dare al cuore il tempo di vedere quale tragedia si prepara dietro l’angolo. Andava in questo senso l’invito di papa Francesco per il Mercoledì delle Ceneri. Una formula semplice: preghiera e digiuno per far tacere le armi, per invocare il dono della pace. Non la rinuncia alle proprie responsabilità, tanto meno una ricetta magica, piuttosto l’impegno a provare a ragionare in un altro modo, a tentare di capire la logica di Dio, che è Padre di tutti, e tutti vuole fratelli. Non nemici. Certo, le obiezioni sono facili: ma, come, siamo sull’orlo di un conflitto mondiale e l’unica cosa che proponete è mettervi in ginocchio? E poi, andiamo, certe formule sono vecchie, superate. Può darsi sia così. Però non vanno fuori moda le domande di senso, il perché siamo in questo mondo e cosa fare per migliorarlo. La preghiera ci riporta proprio lì, dove si formano i dubbi, nell’abisso più profondo di noi stessi, in cui cadono le maschere e si resta nudi nelle proprie paure e fragilità. La Quaresima, per i cristiani, è l’itinerario privilegiato per arrivarci. Come uno zoom fotografico allarga le immagini dell’orrore: i morti bambini, i missili sui civili, la lunga interminabile fila dei tank invasori. E allora che fare? Non possiamo nulla, verrebbe voglia di dire ma è la risposta sbagliata. Assieme agli aiuti materiali e all’accoglienza dei rifugiati, si tratta di lavorare su noi stessi. «La pace nel mondo inizia sempre con la nostra conversione personale», ha sottolineato ieri il Papa. Vuol dire, per esempio, disarmare i gesti e il vocabolario, informarsi con cura e non per schieramenti, ascoltare la sofferenza. E qui torna in campo la preghiera, più assidua e profonda durante il tempo che prepara la Pasqua, come un collirio per liberare gli occhi dai pregiudizi. Non una tessera di appartenenza, ma una scuola di umanità cui tutti possono iscriversi. Perché la preghiera è lì, esiste, anche se non si rivolge a Dio. Ti esplode dentro quando il dolore è troppo forte e allora urla, grida, piange. È naturale come l’aria, appartiene a tutti, in più nel credente ha un indirizzo chiaro e la certezza di essere ascoltato. Che non vuol dire ottenere ciò che desideriamo. La logica di Dio, infatti, è diversa dalla nostra. Invocarlo significa dirsi disponibili a provare a pensarla come Lui, passando il più possibile attraverso lo svuotamento di noi stessi, rinunciando all’esagerata autoreferenzialità, mettendo a tacere il narcisismo. Il digiuno, dicono i saggi di ogni tempo e le Scritture, in questo senso aiuta. Fortifica la volontà, educa al sacrificio, qualche volta somiglia al bambino che rinuncia a qualcosa che gli piace molto per dimostrare che la prossima volta saprà fermarsi in tempo, non commetterà più l’errore appena commesso. Una richiesta d’amore e, dal-l’altra parte, una lezione di perdono. Tra le tante testimonianze di questi giorni, una colpisce in particolare. È del nunzio apostolico a Kiev, l’arcivescovo Visvaldas Kulbokas, che ha provato a mettersi nei panni di Dio. «Se vedessi una grandissima solidarietà tra gli esseri umani – che si aiutano a vicenda, si sostengono, aprono il cuore – direi: che bello, sono diventati fratelli! E la conclusione sarebbe: basta, si è superata la prova, non c’è più bisogno di guerra. Eccovi come dono la pace». La preghiera ci insegna proprio questo. Ad andare a lezione di umanità dal Signore. Per imparare la logica che riempie il cuore di progetti di bene, che impegna la testa nella ricerca del modo per realizzarli. E così disarma le mani. (Riccardo Maccioni- Avvenire)

Card. Comastri: una preghiera su “Maria con Te” in occasione della drammatica ricorrenza di Nagasaki

5 Agosto 2020 -

Milano - "O Maria, Mamma nostra cara,/nell’ora del dolore da chi possiamo andare?/Dalla mamma e soltanto dalla mamma". Si apre con queste parole l’accorata preghiera che il card.  Angelo Comastri, vicario generale del Papa per la Città del Vaticano,  ha composto per la Beata Vergine in occasione della drammatica ricorrenza del 9 agosto 1945, quando una bomba atomica fu sganciata sulla città giapponese di Nagasaki e la annichilì. Tra le macerie venne ritrovato il volto di una statua della Madonna, annerito e senza occhi. Ispirandosi a quell’effigie, simbolo degli effetti della violenza umana, il porporato ha dato vita a versi di amore filiale per la Madre del Cielo, la sola che può aiutarci "a combattere l’unica guerra lecita:/la guerra per la pace: dentro di noi, tra di noi,/tra le famiglie e tra i popoli". A 75 anni dall’esplosione che, tre giorni dopo quella di Hiroshima, pose fine alla Seconda guerra mondiale ma diede impulso alla corsa all’armamento nucleare delle superpotenze politiche, il card. Comastri affida l’umanità alla "Regina della Pace,/deturpata dalla nostra guerra" affinché porti "a Gesù una nostra lacrima di pentimento" e ci renda "costruttori di pace".

R.I.