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Il virus uccide la speranza dei migranti: “Uno su due non si è messo in viaggio”

3 Novembre 2020 - Milano - Può sembrare scontato, ma c’è un mondo che si va fermando sotto il peso del Covid-19. Un mondo in movimento, carico di speranze, prospettive e necessità condivise che è ora dimezzato. Ogni anno sono le persone che decidono di migrare per lavoro, forniti di visti e permessi regolarmente rilasciati, sono milioni. Per alcuni si tratta di una “prima volta”, per altri invece è di un’esperienza ripetuta: 5,2 milioni complessivamente quelli che nel 2020 hanno avuto accesso – in modo regolamentato o contingentato – nei 37 Paesi dell’area Ocse (Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica), vale a dire la maggior parte di quelli ad economia avanzata. Dall’inizio di quest’anno però, a livello globale, per quasi il 50 per cento dei migranti, le porte si sono chiuse, e le conseguenze diventano sempre più evidenti nella confusa casistica di situazioni nuove o che la pandemia sta ovunque maggiormente evidenziando. Un crollo, quello della migrazione regolamentata, che è il peggiore dal 1961, anno in cui a Parigi nasceva l’Ocse, con l’Italia tra i fondatori e l’impegno teso a propiziare lo sviluppo economico e il commercio mondiale. Il tema è stato affrontato nel rapporto presentato pochi giorni fa dall’Ocse che presenta un quadro problematico, sia per i migranti, sia per la nazioni – di partenza o riceventi – che in modo crescente anche su di essi avevano puntato per il proprio sviluppo in termini economici ma anche sociali. “Lo scorso decennio aveva visto progressi incoraggianti riguardo le politiche migratorie e l’integrazione, come pure nella cooperazione internazionale nella gestione delle migrazioni. Oggi vediamo il rischio che il progresso nei risultati di migrazione e in integrazione possano essere cancellati dalla pandemia e dalle sue conseguenze economiche”, ha segnalato il direttore generale dell’Organizzazione, Angel Gurria. Le regole imposte per contenere il dilagare della pandemia e il ridimensionamento produttivo e occupazionale hanno avuto un impatto sulle migrazioni i cui risultati sono ancora in divenire e si percepiranno pienamente il prossimo anno. Tuttavia i dati a disposizione evidenziano come la migrazione regolare si sia quasi dimezzata (-46 per cento) nella prima metà del 2020 rispetto al 2019. Non in modo uniforme, come non uniforme è stato l’impatto del nuovo coronavirus e la reazione alla sua diffusione, con un ruolo giocato da molti fattori: la preparazione ad affrontare situazioni di emergenza, l’atteggiamento culturale verso la malattia, la disponibilità di risorse umane locali (in parte liberate dalla crisi di interi settori produttivi o commerciali), la densità di presenze straniere in condizioni normali, la provenienza degli immigrati da aree con elevato numero di contagi o basso livello di prevenzione e contrasto. Questo può spiegare come ad avere limitato in modo più drastico l’immigrazione per lavoro siano stati Paesi, come la Corea del Sud o il Giappone, dove la mancata emissione di nuovi visti e la cancellazione di quelli già concessi ha toccato rispettivamente il meno 64 e meno 75 per cento. Va ricordato che le due realtà estremo orientali sono tra quelle che – tra le nazioni più sviluppate (e meno colpite dalla pandemia) – meno dipendono abitualmente dal contributo di stranieri per le loro esigenze produttive, commerciali, di servizio, socio-assistenziali. Non così altrove. Per fare un esempio, di origine straniera (soprattutto di nuova immigrazione) sono il 40 per cento degli addetti nell’industria dell’ospitalità in Austria, Finlandia, Germania, Irlanda, Lussemburgo, Norvegia, Svizzera e Svezia. Con un paradosso da registrare. L’area Ocse già impiegava prima della crisi il 24 per cento dei medici e il 16 per cento degli infermieri di provenienza straniera e lo stop a nuovi arrivi rischia di acutizzare la mancanza di personale specializzato nel settore medico-sanitario. (Stefano Vecchia – Avvenire)    

Ocse: “crisi Covid-19 mette a rischio flussi e progresso verso l’integrazione”

19 Ottobre 2020 - Parigi - “I flussi migratori sono aumentati negli ultimi dieci anni e sono stati compiuti alcuni progressi per migliorare l’integrazione degli immigrati nei paesi ospitanti. Ma alcuni di questi guadagni possono essere cancellati dalla pandemia Covid-19 e dalle sue ricadute economiche”. È quanto emerge da un nuovo rapporto diffuso oggi dall’Ocse, secondo cui “i governi devono garantire la salute e la sicurezza di tutti i lavoratori nelle attività essenziali e mantenere la spesa per l’integrazione per aiutare i migranti a continuare a contribuire alla società e all’economia”. Stando all’International Migration Outlook 2020 dell’Ocse, “la crisi Covid-19 ha avuto conseguenze senza precedenti sui flussi migratori”. Prima della pandemia, i flussi migratori permanenti verso i Paesi Ocse ammontavano a 5,3 milioni nel 2019, con cifre simili per il 2017 e il 2018. “Sebbene ci siano state meno ammissioni di rifugiati, la migrazione permanente per lavoro è aumentata di oltre il 13% nel 2019 e anche la migrazione temporanea per lavoro è aumentata, con più di 5 milioni di ingressi registrati” nei Paesi Ocse che, per via della pandemia, quasi tutti hanno limitato gli ingressi. “Di conseguenza – viene spiegato –, le emissioni di nuovi visti e permessi nei Paesi Ocse sono crollate del 46% nella prima metà del 2020, rispetto allo stesso periodo del 2019. Si tratta del più grande mai calo registrato. Nel secondo trimestre il calo è stato del 72%. Nel complesso, il 2020 dovrebbe far registrare un minimo storico per la migrazione internazionale nell’area Ocse” e “ci sono forti segnali che la mobilità non tornerà ai livelli precedenti per qualche tempo” per via di una “domanda di manodopera più debole” di “persistenti e severe restrizioni di viaggio”. “La migrazione continuerà a svolgere un ruolo importante per la crescita economica e l’innovazione, nonché per rispondere ai mercati del lavoro in rapida evoluzione”, ha affermato il segretario generale dell’Ocse, Angel Gurría, lanciando il rapporto con il commissario europeo per gli affari interni, Ylva Johansson. “Dobbiamo evitare di tornare indietro sull’integrazione e riaffermare che la migrazione è parte integrante delle nostre vite”. (SIR)