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San Giovanni Battista Scalabrini e San Luigi Orione

10 Ottobre 2022 - Roma - Un pastore santo con il programma di vita: potessi santificarmi e santificare tutte le anime affidatemi, fu davvero un vescovo al cui cuore non bastò una diocesi, come il suo amico Geremia Bonomelli vescovo di Cremona. Quando due anime virtuose s’incontrano è come se si riconoscessero: quasi per istinto si avvicinano e si legano con vincoli che il tempo non vale a spegnere, anche se le circostanze della vita impediscono poi che gli incontri siano frequenti, o addirittura li riducono ad un numero ben limitato come fu tra il vescovo Scalabrini e don Orione. Il primo incontro risale al 1894. C’era grande differenza di anni e di condizioni fra i due: Scalabrini aveva 55 anni, era vescovo da diciotto e circondato da un alone di venerazione e di celebrità per le alte virtù che aveva mostrato verso i malati di colera a Como nel 1867, la pubblicazione nel 1874, di un prezioso opuscolo per la difesa di Pio IX (Le glorie del Papa nel Concilio Vaticano), lo spogliarsi dei beni per i poveri del Piacentino, specialmente nell’inverno del 1879, l’intelligente azione per l’insegnamento del catechismo, la fondazione, nel 1887, della Congregazione dei Missionari di San Carlo Borromeo per l’assistenza e la protezione dei migranti; Orione, chierico ventiduenne aveva ricevuto gli ordini minori l’anno precedente, era però già noto per l’apertura di un oratorio festivo e di un piccolo collegio per giovani poveri, come pure per quella sua oratoria trascinante e convincente, al punto che il vescovo Igino Bandi l’aveva già autorizzato a predicare in tutte le chiese della diocesi e segnalato alla Santa Sede in occasione della sua visita ad limina di quello stesso anno. Nel 1894, tra il 18 e il 20 di agosto, celebrando la festa del santuario Santa Maria delle Grazie di Fontanasanta   a Ripaldina di Arena Po, mons. Scalabrini e il chierico Orione furono tra i pellegrini. Dopo la celebrazione fu offerto un pranzo agli ecclesiastici e alle personalità convenute e venendo ai discorsi, Orione, invitato a gran voce,  pronunciò un focoso brindisi, tutto d’amore per la Chiesa e per il Papa. Mons. Scalabrini notò il giovane chierico e volle conoscerlo, gli pose la mano sulla spalla, parlandogli con una dolcezza e affabilità che non dimenticò mai più. Lo invitò a visitarlo, se avesse avuto occasione di passare da Piacenza e chiuse l’incontro dicendogli: «Mi raccomando… non perdere la voce…».  Il secondo avvenne l’anno seguente nel 1895. Don Orione il 13 aprile, sabato santo,  era stato ordinato sacerdote  e con i suoi giovani volle recarsi in pellegrinaggio a Bobbio per venerare san Colombano. Aveva fatto i suoi conti e gli pareva che nonostante avesse pochi soldi, se la sarebbe cavata, ma non aveva previsto che il viaggio, la camminata e l’aria sottile avrebbero stimolato l’appetito dei suoi giovani amici al punto che bastarono solo per la cena. Don Orione, senza perdersi d’animo, si ricordò che vicino c’era il vescovo Scalabrini e nella notte raggiunse Piacenza, lo incontrò e ottenne quanto necessario. Il terzo fu nel 1896 quando il vescovo scrisse al giovane prete offrendogli la chiesa di S. Bartolomeo a Piacenza nella quale desiderava si facesse qualcosa a vantaggio dei figli del popolo, lo volle a pranzo e lo trattò con grande cordialità, però non se ne fece nulla perché il giovane fondatore aveva già altre opere e scarso personale. (cf Bianchi Amerigo, Mons. Scalabrini e don Orione, in L’emigrato italiano ottobre 1955, pp. 117-119). Il vescovo Scalabrini morì nel 1905 e l’ammirazione e la devozione di don Orione verso di lui si prolungarono nel rapporto fraterno, cordiale e fattivo con alcuni missionari della sua Congregazione: il servo di Dio Massimo Rinaldi (Rieti 1869 – Roma 1941, vescovo di Rieti) considerato il secondo fondatore morale, spirituale e operativo dei missionari e delle missionarie scalabriniani/e, aveva compreso ed amato tanto in profondità il carisma e le finalità volute dal genio di Scalabrini da costituirne il più convinto continuatore; Faustino Consoni (Palazzolo sull’Oglio 1857 - S. Paulo 1933) inviato missionario in Brasile nel 1895, lasciò l’Italia senza farvi più ritorno, operò tra i migranti italiani che nelle fazendas del caffè avevano sostituito gli schiavi e soprattutto nell’orfanotrofio Cristoforo Colombo di S. Paulo. Aiutò don Orione a sviluppare le conoscenze e le attività tra gli immigrati italiani a San Paolo, fin dal suo primo viaggio nel 1921, restò affascinato dal suo impeto di carità e di fede e nacque fra loro reciproca e profonda amicizia e stima. “Un giorno un grande Vescovo italiano, Monsignor Scalabrini, Vescovo di Piacenza, del quale si è iniziata la Causa di beatificazione – un Vescovo che io ho conosciuto e ho visto più volte nella sua casa, ospite suo – andò in udienza da Pio X e mentre stava in udienza, o fosse mezzogiorno o altro, fatto sta che istintivamente il Papa trasse fuori l’orologio e Monsignor Scalabrini – io stesso lo seppi da Monsignor Scalabrini, che adesso è già Servo di Dio, mentre Pio X non lo è ancora – vide che il Papa aveva un orologio di nichel con uno spago per catena. Forse era quello che aveva quando era patriarca di Venezia, o Vescovo di Mantova. Sapete che Pio X è stato nove anni parroco, nove anni patriarca a Venezia, nove anni Vescovo a Mantova; tutto 9 per 9. Quando Monsignor Scalabrini vide che il Papa aveva l’orologio povero, offerse a Pio X il suo orologio d’oro – che gli avevano dato quando aveva celebrato non so che Giubileo – e a tutti i costi insisté che prendesse l’orologio, ma il Papa non volle, rifiutò dicendo: «Ringrazio, Monsignore». (Don Orione, buona notte del luglio 1939, Parola VIII, 110). Don Orione, di ritorno dall’America latina dopo tre anni (1934-37) profondamente cambiato, nella deposizione al processo diocesano di beatificazione, il 25 luglio 1939 a Piacenza, espresse con sincere e circostanziate attestazioni tutta la sua stima, venerazione e ammirazione e “fu una delle più importanti e commoventi: era un santo, che faceva gli elogi di un altro santo”. (Anonimo, Don Orione a Piacenza, in Il nuovo Giornale, Piacenza 17 marzo 1940).  “Domani devo andare, dunque, a Piacenza a deporre nel processo di beatificazione di Mons. Scalabrini. Un gran Vescovo quello! Se fosse vissuto nei primi tempi della Chiesa sarebbe stato un martire o un apologista o un Padre della Chiesa; adesso ce ne sono molti di Vescovi grandi che passano; egli era veramente molto grande!”. (Don Orione, buona notte del 24 luglio 1939, Parola XI, 34-35). “Quando sentii dire che s’introduceva la causa, se altri rimasero un po’ sorpresi, a me non fece alcuna meraviglia, e dichiaro volentieri che ne desidero la Beatificazione, perché continuerebbe a fare da morto quello che ha fatto da vivo, cioè ad edificare, a dimostrare la sua fiamma di apostolo, a ricordare che nel cuore del Sacerdote, anche nelle ore più grigie, è sempre ardente l’amore di patria, nonché ad esaltare l’episcopato cattolico”. (Congregatio pro Causis Sanctorum, Canoniziationis servi Dei Ioannis Baptistae Scalabrini, Relatio et vota super virtutibus, Congressus peculiaris habiti die 25 novembris an. 1986, depositio IX testis ex officio: Rev.mus D.nus Aloysius Orione, sacerdos, pp. 288-293, abbreviato Relatio p. 289 e Borzomati Pietro, G.B. Scalabrini, il vescovo degli emarginati, Ed. Rubbettino, Soveria Mannelli 1997, pp. 163-168). Attestò che la sua parola era affascinante e che “dimostrava la sua fiamma di apostolo”. La sua natura è un appello ad andare oltre, a trascendersi. Sta qui il fascino che emanava dalla sua persona, così bene avvertito da don Orione quando testimoniò che non era possibile “incontrare Scalabrini e ritornarsene quelli di prima”. (Fongaro Stelio C.S., Beato Giovanni Battista Scalabrini, Vescovo e Fondatore. Profilo, Piacenza 20053, p. 23 e 36). “Il fatto più bello, però, lo ha raccontato don Orione; un fatto che gli fu riferito in Brasile dal missionario scalabriniano padre Faustino Consoni. Lo zelo di Scalabrini era tanto grande che durante la sua visita in Brasile pensò anche di riannodare i contatti con i sacerdoti italiani ‘lapsi’ (spretati), che sapeva presenti in gran numero nella metropoli di San Paolo (parecchi dei quali già con famiglia). Il suo zelo giunse perfino al punto di organizzare una specie di corso di esercizi spirituali per loro.   In apertura del corso, da lui stesso predicato, lo Scalabrini fu tuttavia colto da un senso profondo come di angoscia, perché non se ne aspettava tanti, né così tristamente ridotti, e non sapeva trovare le parole giuste per rompere il ghiaccio. Mentre in un’attesa incresciosa egli andava girandosi nel dito l’anello episcopale, quasi a chiedergli la buona ispirazione, questa finalmente venne, mandatagli dal cielo: «Vedete - alfine proruppe -: se questa perla del mio anello mi si stacca e va a cadere nel fango, la perla si imbratta, ma… resta sempre una perla preziosa. E se io mi chino e prendo la perla e la metto nell’acqua, il fango se ne va, e la perla riprende il suo splendore… Noi, cari fratelli, siamo perle». (Relatio, p. 291). La conclusione fu che tutto l’uditorio fu suo fin dall’inizio, e che molte perle si detersero dal fango e ritornarono a splendere”. (Fongaro Stelio C.S. (a cura), Beato Giovanni Battista Scalabrini, Vescovo e Fondatore. Aneddoti e detti: mansuetudine, Piacenza 19972, p. 10). “So che il Servo di Dio doveva conoscere molto D. Luigi Guanella, e che il Guanella rivelava di avere un altissimo concetto di Mons. Scalabrini, quantunque i grandi dispiaceri sofferti da D. Guanella per parte di qualche autorità politica avessero scossa in lui quella fiducia nel campo politico-religioso, che animava il Servo di Dio”. (Relatio, p. 289). Sostenne soprattutto che non vedeva ragione alcuna per dar corpo alle accuse di liberalismo che furono insinuate contro di lui: “Ho saputo dei rapporti tesi tra il Servo di Dio  e D. Davide Albertario; ma non ho fatti particolari da deporre. In ordine poi all’accusa di liberale mossa al Servo di Dio in quanto la parola può indicare opposizioni alle direttive della S. Sede in questioni politiche, per quanto so, non aveva fondamento”. E spiegò: “Mons. Scalabrini era uno di quegli uomini che cercano di entrare nel campo avversario, concedendo, salvo la sostanza, il più possibile, per guadagnare gli animi a compiere il maggior bene possibile. […] Era persona che non lasciava occasione per fare di se stesso un ponte, al santo scopo di conciliare e unire, il più possibile, i Figli del Padre comune dei fedeli”. (Relatio, p. 289). (Borzomati Pietro, G.B. Scalabrini, il vescovo degli emarginati, Ed. Rubbettino, Soveria Mannelli 1997, pp. 163-168). “Tutto ieri sono stato a Piacenza per deporre per la Causa di beatificazione di un grande Vescovo che, quando viveva, gli davano dell’eretico e ora lo fanno Beato. Egli era di tanto zelo; e fu il primo a raccogliere il Congresso Catechistico e aperse il solco al movimento per il catechismo in Italia. Anzi egli fondò una Congregazione di missionari apposta per assistere spiritualmente gli emigrati all’estero.  Io, in America, trovai le orme di questo grande apostolo. Sono stato in Brasile, in Argentina 15 o 16 anni dopo il suo passaggio e la sua memoria era ancora viva. Bene, si legge, nella vita di questo Vescovo, della grande cura che egli aveva nel preparare i chierici al sacerdozio”. (Don Orione, buona notte del 26 luglio 1939, Parola XI, 43). Il santo vescovo Giovanni Battista Scalabrini, per ventinove  anni (1876-1905) svolse un intenso apostolato nella diocesi piacentina con alcuni primati e idee vincenti: compì cinque visite pastorali, indisse e celebrò tre sinodi diocesani, realizzò il primo Congresso catechistico al mondo, la prima rivista catechistica italiana, il primo catechismo unico per gli italiani, anche emigrati, istituì la prima cattedra di catechetica,incrementò e rinnovò la formazione e gli studi nei tre seminari della diocesi, esercitò con gran frutto il ministero della parola, curò in modo particolare la liturgia e il canto liturgico, promosse il culto eucaristico e la devozione.  Rientrarono tra le sue preoccupazioni anche l’apostolato della buona stampa con la fondazione di un giornale diocesano, l’assistenza ai poveri e agli anziani, senza trascurare categorie socialmente svantaggiate, come le sordomute e le mondariso. Dopo aver visto emigrare in Argentina tre fratelli - il fratello Angelo fu direttore generale delle scuole italiane all’estero -, e impressionato delle drammatiche condizioni delle prime migrazioni di massa verso le Americhe - l’11% della popolazione della sua diocesi -, fondò la prima Congregazione missionaria per gli emigrati italiani con la prima proposta di una pastorale specifica per loro, s’impegnò a renderne consapevoli le autorità ecclesiastiche e statali, a sensibilizzare l’opinione pubblica, svolgendo un’intensa attività con conferenze e pubblicazioni; fu il primo a fondare un’Opera laica per l’assistenza dei migranti, nel 1901 vide accolte alcune sue proposte nella nuova legge sull’emigrazione approvata dallo Stato italiano e, negli ultimi anni della sua vita, visitò personalmente gli emigrati e i suoi missionari negli Stati Uniti e in Brasile. (don Patrizio Dander)