Primo Piano
Tavolo Asilo e Immigrazione: invertire la rotta. Il 18 aprile mobilitazione nazionale contro la conversione in legge del Decreto Cutro
Italiani nel mondo: un docufilm sull’emigrazione italiana in Lussemburgo
Naufragio in Calabria: un pezzo di legno del barcone al Museo delle Migrazioni di Cariati
Sinodo: al via i lavori per l’Instrumentum Laboris dell’assemblea sinodale di ottobre2023
Mons. Perego: lo stato di emergenza può essere utile, ma serve anche altro
Centro Astalli: giovedì la presentazione del Rapporto 2023
Albania: da oggi il pellegrinaggio della diocesi di Roma
Arrivi e un altro naufragio
Milano - Due naufragi in due giorni con almeno 53 morti e oltre 3mila persone salvate e in parte arrivate in modo autonomo sull’isola di Lampedusa. È il bilancio di quello che accade nel Mediterraneo, anche quando è festa, quando è Pasqua o Ramadan, anche quando il mare è in burrasca. A nulla servono gli inasprimenti delle pene, a nulla serve la paura di morire: l’istinto alla sopravvivenza è più forte per chi fugge dagli orrori della guerra e dalle torture libiche. La Procura di Agrigento ha aperto un’inchiesta sull’ultimo naufragio che si è registrato nella notte fra sabato e domenica di Pasqua nel Mediterraneo centrale, in acque Sar maltesi. Ventidue, fra cui 9 donne, i superstiti salvati dalla nave Nadir della Ong tedesca Resqship che ha recuperato anche i cadaveri di due uomini.
Secondo le testimonianze dei sopravvissuti vi sarebbero 18 dispersi. Gli investigatori della Squadra mobile di Agrigento stanno cercando di ascoltare i 22 sopravvissuti, ma fra i 13 uomini e le 9 donne, originari di Costa d’Avorio, Guinea, Camerun e Senegal, c’è molta ritrosia a parlare. Tutti sono sotto choc e fortemente impauriti. Al momento, l’unica cosa che hanno detto è d’aver pagato 3 mila dinari tunisini per la traversata da Sfax. La barca in ferro, di 7 metri, sulla quale viaggiavano è colata a picco e i 22 sarebbero rimasti in acqua per almeno un paio d’ore.
Il giorno prima invece un altro barcone, sempre partito dalla Tunisia, si era ribaltato a ridosso della costa provocando la morte di almeno 35 persone.
Non si ferma anche lo sforzo della Guardia costiera che nel week-end pasquale ha salvato in tutto oltre duemila persone. Solo ieri 1.200 con due diverse maxi-operazioni di soccorso. Un peschereccio, con circa 800 migranti a bordo, intercettato a oltre 120 miglia a Sud-Est di Siracusa, in acque Sar italiane. E circa 400 altre a bordo di un secondo peschereccio, segnalato anche questo da Alarm Phone e intercettato dalla nave Diciotti della Guardia Costiera, sempre in area Sar italiana a circa 170 miglia a Sud-Est di Capo Passero. A supporto delle operazioni di ricerca e soccorso in mare di questi giorni sono operativi anche mezzi aerei, sempre della Guardia Costiera e di Frontex.
Intanto continuano anche gli arrivi sull’isola di Lampedusa. Nella notte sono giunte 36 persone, tra cui 8 donne e un minore. Il gruppo é stato soccorso da una motovedetta della Guardia costiera che ha agganciato il barchino di sette metri lasciandolo alla deriva. Ai soccorritori hanno riferito di essere originari di Burkina Faso, Costa d’Avorio,
Gambia e Guinea. Nel ore precedenti ci sono stati 26 sbarchi per un totale di 974 persone. Il giorno prima erano stati 17 gli approdi con 679 migranti. All’hotspot di contrada Imbriacola, all’alba, c’erano 1.883 ospiti, a fronte dei poco meno 400 posti disponibili. La prefettura ha disposto il trasferimento di 244 persone imbarcate sul traghetto di linea Galaxy verso Porto Empedocle. Ma anche sull’isola si è festeggiata la Pasqua pensando ai più piccoli migranti. Il sindaco, Filippo Mannino, domenica, ha portato oltre 100 uova ai bambini presenti nell’hotspot. A donarli è stato un supermercato dell’isola. A conferma della solidarietà e della vicinanza degli isolani a chi arriva dal mare in fin di vita. Intanto però non c’è solo un problema di arrivi continui, sovraffollamento ed emergenza umanitaria: i pulmini utilizzati per trasferire i migranti dal molo Favarolo, dove avvengono gli sbarchi, fino a contrada Imbriacola dove sorge l’hotspot e da qui al porto commerciale da dove partono i trasferimenti con i traghetti di linea sono inidonei. Uno è totalmente inefficiente per il trasporto di persone, l’altro è necessario metterlo in moto 20 minuti prima dell’avvio in marcia. Ed è per questo motivo che, quotidianamente, quando il numero degli sbarchi è elevato, si registrano rallentamenti e difficoltà nei trasferimenti. La questura di Agrigento ha deciso di avviare delle verifiche mirate su questi mezzi e sugli organi competenti alla loro gestione, ossia la coop che si occupa dell’hotspot di Lampedusa. Si tratta – spiegano fonti della Questura – di una situazione che va avanti da mesi. Nonostante le numerose sollecitazioni fatte dalla Prefettura, la situazione però non è cambiata. (Daniela Fassini - Avvenire)
Pasqua è un affrettarsi incontro al Signore
Card. Zuppi: la Resurrezione e tutti i crocifissi
La Pasqua porta con sé il grido del Venerdì Santo. Incorpora i crocifissi del mondo. Il Risorto appare ai discepoli con i segni della croce. Nel Credo professiamo che Gesù è sceso negli inferi.
Accade anche in questa Pasqua. Gesù è sceso negli inferni di oggi. Gli inferni delle guerre, dei popoli che vedono i loro figli morire di fame, dei luoghi di morte, dei fondali del Mediterraneo e dei valichi freddi divenuti cimiteri di esseri umani. E in quanti altri inferni Gesù è disceso! Non lo sappiamo. Ma sappiamo che Lui è andato. Papa Francesco dal Vangelo della Passione ha fatto suo il grido dei crocifissi di oggi, quello della croce: « Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Il grido non va dimenticato se vogliamo che la Pasqua non rimanga la festa del sepolcro vuoto.
Gesù risorto ci scuote dalla rassegnazione al male e alla morte. Anzi dall’assuefazione pigra. A Pasqua, infatti, non festeggiamo Colui che si è messo in salvo da solo, abbandonandoci al nostro destino. Gesù non ha salvato sé stesso, ultima tentazione, urlata da tanti complici del male. Ha rifiutato di farlo. È morto – com’è vissuto – spendendo la vita per gli altri: non per salvarsi, ma per salvare, perdendo sé stesso per non restare solo.
La Pasqua realizza la vita di Gesù in mezzo agli uomini: non ha mai chiuso il cuore al grido di poveri, deboli, malati, ciechi, storpi, peccatori. Li ascoltava e li amava. E li guariva, certo nel cuore, ma anche nel corpo.
La Pasqua è la resurrezione del Crocifisso.
Non di un qualsiasi Gesù, si potrebbe dire, ma di Gesù carico del peccato del mondo che ci ha riscattati. Ci ha liberati dal potere del male. La resurrezione – in un certo senso – deve continuare ancora. La Pasqua è perciò una sfida totale alla rassegnazione al male e alla morte. La Pasqua è il nostro “programma” nel senso, che apre una via (parola cara agli Atti degli Apostoli) e ci dà un orientamento decisivo. La Pasqua è il nostro contenuto e continua a farci ardere il cuore. Le Pasque non sono tutte uguali: ciascuna parla in un momento della storia e della vita. Ci orienta oggi. Nel nostro Paese – ma non solo – sono rari i sogni e le visioni di un mondo nuovo. Allora è preziosa la visione della Pasqua del 2023.
I sapienti (di qualunque genere, che non mancano mai, hanno sempre ragione e pensano di spiegare tutto) consolano dicendo che bisogna farsi una ragione del male o riempiono di modi per garantirsi un benessere individuale. No, non dobbiamo accettarlo. L’acquiescenza al male non si deve trasformare in ideologia, come avviene purtroppo, tanto da divenire scuola per i più giovani. La Pasqua è liberazione dal male e ci chiede di continuare a riscattare la vita dei prigionieri. Adesso. La nostra Chiesa com’è giusto – deve prendere la forma del suo popolo. Ma è urgente una intelligenza pasquale delle Scritture.
Così possiamo sentire anche noi – come l’apostolo Paolo recalcitrante di fronte alla complessa città di Corinto – la voce di Dio: « Non aver paura; continua a parlare e non tacere, perché io sono con te e nessuno cercherà di farti d el male: in questa città [in questo Paese, l’Italia!] io ho un popolo numeroso» (At 18, 9-10). C’è un popolo più ricettivo; più di quanto ci immaginiamo. Stiamo facendo il cammino di una Chiesa sinodale, ma non camminiamo per muoverci. C’è una meta: un popolo numeroso da far emergere dalla rassegnazione, dalla paura, dalla lontananza dal Vangelo. Possiamo far nostro il sogno di Paolo, che è quello di Dio. Il cuore di ogni cosa, ordinaria o straordinaria, dovrà essere il Vangelo di Pasqua. Lasciamoci guidare dall’angelo della Pasqua che disse alle due donne: « Non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto... Presto, andate a dire ai suoi discepoli: è risorto dai morti, ed ecco vi precede in Galilea; là lo vedrete» (Mt 28,5-7). Preoccupati e piangenti, come le donne al sepolcro, ci volgiamo facilmente al passato, magari per compiere il nostro dovere. Tendenzialmente ci volgiamo indietro, anche accettando
un senso del declino. Ma l’angelo ci rivela il futuro: Gesù ci precede in Galilea. La Chiesa non è una tomba vuota che custodisce il corpo di Gesù. Ma vive il futuro nell’incontro con Lui in Galilea. A questo dobbiamo orientarci e orientare tutto. Tanti lo aspettano. Ascoltiamo l’angelo di Pasqua! Nulla è impossibile a chi crede. (Card. Matteo Zuppi - Presidente Conferenza Episcopale Italiana)
Via Crucis: “tante persone che fuggono dalla guerra portano croci simili alla mia”
Via Crucis: “se ci fosse stata la pace, sarei rimasto a casa mia”
Rom e sinti: mons. Battaglia al campo Rom di Scampia per il rito della Lavanda dei piedi
Calabria: i seminaristi in ginocchio davanti alla «croce del naufragio»
Catanzaro - Il naufragio di Steccato di Cutro è stata una tragedia che ha scosso profondamente l’Italia e la morte di tanti migranti per i seminaristi del Pio X di Catanzaro ha rappresentato un motivo di preghiera e riflessione. Ma è stata tanta la gente che in questi ultimi tempi ha deciso di camminare e pregare in processione dietro un enorme crocifisso «sgraziato», realizzato con il legno e i chiodi del barcone frantumato dalle onde che ha portato alla morte. Quel crocifisso del dolore e dell’indifferenza ha suscitato nei quaranta giovani seminaristi calabresi la volontà di «creare una rete di preghiera » che coinvolga tutti e che risponda con la provocazione concreta dell’orazione alle domande che non trovano soluzioni né da quella politica claudicante sui temi dell’accoglienza né da quella parte di società che magari si commuove davanti a una tragedia ma poi ha paura dello straniero.
I seminaristi calabresi hanno fatto tesoro dell’appello, lanciato all’indomani della tragedia, dai loro vescovi «a non rimanere inerti, a immaginare nuove strade solidali che possano permettere al nostro Mediterraneo di non essere più uno scenario di morte. È il momento del dolore, ma anche del risveglio: tutti facciano la loro parte, tutti facciano di più, con rinnovata responsabilità: l’Europa deve fare di più, l’Italia deve fare di più, le nostre Comunità cristiane devono fare di più… sentendosi tutti sulla stessa barca, su quella stessa barca che non deve naufragare perché sarebbe il naufragio della civiltà». «Ciascuno di noi ha diritto di vivere», questa affermazione è la vera risposta che viene da un ragazzo sbarcato in Calabria nel 2013, allora minorenne, e che dopo un percorso all’Università della Calabria oggi è mediatore culturale e socio della stessa Cooperativa che lo aveva accolto.
I ragazzi calabresi che si preparano a diventare preti hanno pregato la settimana scorsa nella cappella del loro Seminario, con la croce realizzata dall’artista locale Maurizio Giglio, che successivamente sarà custodita nella parrocchia di Le Castella. Hanno preparato due sussidi per la preghiera: la Via Crucis, chiamata «Vita Crucis», che si propone di far meditare sul cammino di Gesù al Calvario e sul viaggio disperato in mare dei naufraghi e un momento di preghiera intitolato «Davanti al Legno» che permette di sostare davanti alla “Croce del Naufragio” e riflettere sulla morte e sulla resurrezione alla luce della fede. I testi sono stati pensati per aiutare la preghiera personale e comunitaria, e sono disponibili su seminariosanpiox.it . L’invito è per le parrocchie e per i singoli che vogliono prendere parte a questa «rete di preghiera».
«Ti accogliamo, figli di Calabria quali siamo – ha scritto Mattia de Marco –. Ti guardiamo, immaginando il mare in burrasca. Tocchiamo il tuo legno ruvido e le tue schegge pensando alle vite spezzate di tanti, troppi cercatori di speranza. Eppure, o albero glorioso, non riusciamo a guardarti con disprezzo. Non riusciamo a rifiutarti. Sei, nella tua crudezza, il segno della nostra salvezza. Trionfante, comunque. Sempre. Anche di fronte all’ampiezza dello strazio».
La Chiesa calabrese può contare su giovani di grande sensibilità, il cui contributo sarà prezioso per il futuro e che porterà indubbiamente frutti di speranza. La stessa speranza di questi giovani che si preparano al sacerdozio cercando le risposte nello «sguardo pasquale, anche di fronte alle tragedie della vita». (Umberto Tarsitano)