Mons. Perego: curiamo il cuore e le relazioni

4 Agosto 2022 – Roma – Nel centro di Civitanova Marche, in questa calda estate, Alika, nigeriano di 39 anni, padre di un bambino di 8 anni e sposato con Charity, è stato ucciso di botte da un coetaneo italiano, Fabrizio, di 32 anni, nell’indifferenza di tutti. Ancora una volta, in una piccola città marchigiana, si è ripetuta la storia biblica di Caino che ha ucciso il fratello Abele. Un fratello ha ucciso un fratello, nell’indifferenza di altri fratelli. ‘Fratelli tutti’. Alika, invalido per un incidente subito più di un anno fa, quando un automobilista ubriaco lo aveva investito, costringendolo a usare ormai una stampella per camminare, offriva ai passanti delle vie vicino alla stazione fazzoletti di carta, accendini e altre piccole cose in cambio di un’offerta, per arrotondare la sua pensione di invalidità
di 300 euro. Questo gesto, questa presenza, ha scatenato odio e generato in pochi minuti la morte di un innocente.

Alika era arrivato in Italia dalla Nigeria, il più popoloso Paese africano, con 200 milioni di persone, e tante risorse, ma dove miseria e terrorismo, tratta degli esseri umani e instabilità politica costringono i giovani a mettersi in cammino, oltre 100.000 dei quali hanno raggiunto in questi decenni l’Italia, 4000 le Marche, 50 Civitanova.
Alla preghiera e al silenzio chiesti dall’arcidiocesi di Fermo di fronte a questo tragica morte, non possiamo non unire alcune domande: cosa ha scatenato questa violenza brutale? Perché questa
indifferenza? Siamo consapevoli della fatica del cammino di tanti nostri fratelli migranti? Le risposte a queste domande chiamano in causa la responsabilità di tutti. Una responsabilità anzitutto
nella cura delle relazioni, dei gesti e delle parole, troppe volte cariche di violenza, di disprezzo nei confronti di chi arriva da un altro Paese tra noi. Le parole che accompagnano gli sbarchi che si
stanno ripetendo in questa estate costruiscono l’idea di una falsa invasione di 40.000 persone sbarcate sulle nostre coste provenienti da Paesi vicini e lontani, Tunisia e Bangladesh, da Paesi da
anni in guerra, come la Siria, l’Eritrea, la Somalia, l’Afghanistan. I gesti di disprezzo che si moltiplicano sui social, sulle strade, in tante piazze delle nostre città alimentano gli episodi di razzismo, che da 400 sono diventati nell’ultimo anno più di 2000 in Italia, solo quelli segnalati. La mancanza di relazioni crea pregiudizi e non costruisce esperienze di conoscenza e di amicizia, la cultura dell’incontro che genera comunità e partecipazione, cittadinanza attiva. Senza relazioni manca la cura, soprattutto dei più piccoli, delle persone fragili, e non ci accorgiamo di una madre, che vive tra noi, e che sta lasciando morire di fame e di sete la figlia, la piccola Diana. Senza responsabilità, senza rispetto, senza cittadinanza cresce la paura, il pregiudizio, l’odio, la
speculazione politica, con il rischio che le nostre città da luoghi di fraternità si trasformino in luoghi di conflittualità, di violenza. Città morte. (Mons. Gian Carlo Perego, Presidente Cemi e Fondazione Migrantes – Famiglia Cristiana)

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