23 Settembre 2025 – Il 19 settembre scorso “L’Osservatore Romano” ha inaugurato una nuova rubrica, “Un faro sull’altrove”, un viaggio alla scoperta degli altrove che ci camminano accanto. Mondi, luoghi e persone che non sembrano vivere secondo le regole del nostro presente, ma osservando un tempo altro. Flaminia Chizzola ha “scoperto” il mondo dei viaggianti e ha raccontato la storia di Monica e Flaviano Ravelli. Ringraziamo il quotidiano della Santa sede per averci permesso di ripubblicare l’articolo.
«Era un tempo di nonni e di oratorii, un tempo senza calendari, in cui sapevi che si avvicinava Natale perché in cucina la nonna stendeva la sfoglia per la pasta, un tempo fatto di piccoli doveri: devi portare il fiorellino alla maestra, confessarti alla domenica, tornare a casa subito dopo l’oratorio, ma anche un tempo senza genitori: non li vedevi mai, sempre in giro con la loro giostra».
Siamo a Bergantino, nell’alto Polesine, un paese di tremila abitanti che costituisce il cuore pulsante del distretto della Giostra, un polo industriale che oggi conta 470 aziende, circa mille lavoratori e un fatturato annuo di un milione di euro, ma in questa storia i numeri li lasciamo ai margini.
«Se mi chiedi dov’ero quando mio padre è morto, non te lo so dire, ma ricordo esattamente dove mi trovavo quando è morta la nonna, era lei la mia famiglia», dice Flaviano Ravelli, un «dritto», che nel gergo dello spettacolo viaggiante significa giostraio, circense. Ha i capelli bianchi, la fronte aggrottata dal tempo e quella parlata romagnola che, per quanto sia, non riesce a nascondere una disillusione di fondo.
«A sedici anni ho iniziato a girare coi miei genitori: mio padre aveva un’autopista 43 metri per 16, una roba pesantissima, che ci volevano sette persone e due giornate per montarla, e ti dirò che a me studiare non dispiaceva mica, anzi, se avessi continuato». «Perché non l’hai fatto?». «Non lo so, trovavo mille scuse, ma la verità è che non mi andava bene niente… La cosa ti fa ridere?». «No, Flaviano», gli diciamo pensando a questa insoddisfazione che c’abbiamo dentro, che ci divora e manda all’aria tutto e poi è troppo tardi. «E poi un inverno — riprende Flaviano — tornai a Bergantino e lì, conobbi la Monica».
«Prima di lui io mica ci pensavo alle giostre» dice la donna dai capelli ricci che sorride sempre e ci ricorda I fratelli Karamazov, «la bellezza salverà il mondo». Sì, ma chi salverà la bellezza? Monica ci racconta lo strano incontro tra «un dritto come Flaviano, per cui la vita è movimento, passare di fiera in fiera, di giostra in giostra, e una ferma, come me».
E come il 99 per cento delle persone — pensiamo noi — che certi giorni l’unico movimento che si fa è dal salone alla cucina, mentre certi altri ci si spinge fino in ufficio, in palestra, a volte addirittura a cena fuori, e quando la sera si rientra a casa: ah, finalmente ci fermiamo!
«Il giorno del matrimonio — continua Monica — dopo che c’eravamo sposati, io mi sono attaccata al tavolo di casa dei miei: non me ne volevo più andare. E due ore dopo ero seduta alla cassa della ruota panoramica che distribuivo i biglietti vestita da sposa!». E lei ride così di gusto che pensiamo: questa è la vita che voleva. Poi la donna ci indica una foto ingiallita in cui due giovani capelloni siedono… sul Colosseo. «Il nostro viaggio di nozze! In un giorno abbiamo girato tutta l’Italia!».
Le sorridiamo: un’Italia in miniatura, un Paese che esiste solo a San Marino, e anche lì, avrete girato senza mai fermarvi: Roma, Pisa, Venezia, Palermo, e poi via, verso la prossima fiera, e quella dopo ancora e poi ancora un’altra. «Ma non eravate mai stanchi di quella vita?». «E a te, non ti stanca stare ferma?». Guardiamo Flaviano in quegli occhi neri come la pece: «Allora perché l’avete lasciata?». Per un istante l’uomo abbassa lo sguardo, la donna ammaina il suo sorriso. «È stata una scelta triste e difficile — dice Flaviano —.
Una sera ci sediamo a tavola e io faccio alla Monica: “E la Valeria?” Perché nel frattempo avevamo avuto una figlia. Monica mi guarda: “la Valeria è dai nonni.” Allora, mi è passata davanti tutta l’infanzia: mia nonna che mi prepara la cena, che mi porta a scuola, a messa, all’oratorio, mia nonna che muore in un giorno d’estate. E i miei genitori? Non pervenuti. Così ho preso e ho messo in vendita la giostra».
Flaviano ci descrive quell’ultimo viaggio con moglie, figlia e… «La nostra ruota panoramica. Siamo andati fino a Porto Cesareo, in provincia di Lecce, e l’abbiamo lasciata alla famiglia Marsico, gente per bene». «Ricordo — continua Monica perché Flaviano non riesce ad andare avanti —, ricordo noi tre che ci teniamo per mano mentre le luci della ruota si accendono e si spengono». «Era la nostra vita. — mormora l’uomo — L’abbiamo lasciata lì, in provincia di Lecce». «Te ne sei pentito?». Lui ci guarda: gli occhi neri come la pece adesso brillano come le luci del luna park: «Ho scelto di adattare la mia vita al mio amore per mia figlia».
«E dopo come sono andate le cose?». La donna, che ha ripreso a sorridere, ci racconta del bar in cui avevano investito tutti i soldi fatti con la ruota. «Forse non era un buon investimento. O forse noi non eravamo buoni per certe cose che agli altri vengono tanto semplici». Come stare fermi, pensiamo noi, e far di conti, i numeri, sempre e solo i numeri, guardando gli altri che entrano ed escono dalla tua vita mentre tu sei immobile. «Poi, un giorno — riprende Flaviano — siamo andati da Madre Speranza. In quella stanza dove il bidè è un catino e il televisore un crocifisso c’era l’essenziale, allora, prendo la Monica: “E noi due, ci mettiamo in gioco sì o no?”.
In quell’occasione conosciamo anche la Migrantes e ci diventa chiaro che non ci sono solo i migranti che sbarcano sulle nostre coste, ci sono anche i migranti stagionali — i giostrai, i circensi — persone che non hanno radici nel cemento e sono straniere in ogni terra». Sono migranti, pensiamo noi, eppure nessuno si batte per i loro diritti; sono italiani, ma nessuno dice: loro prima di tutti.
«E quindi, cosa avete fatto?». «Abbiamo ripreso a girare, di fiera in fiera, per fare le catechesi ai ragazzi». «E — interviene Monica — abbiamo scoperto non solo che i figli dei giostrai raramente vanno a messa, ma che c’era un tasso di dispersione scolastica altissimo, un po’ per via di una diffidenza dei dritti verso l’istruzione, un po’ perché nei confronti di questi ragazzi molte scuole non si mostrano particolarmente… inclusive, ma questo te lo può dire meglio la Valeria».
La donna che sorride sempre ci presenta la figlia che da vent’anni, assieme ai genitori, assiste gli alunni itineranti nel loro frastagliato percorso scolastico. «Ma perché i dritti si rivolgono a voi se hanno problemi con le scuole?», le domandiamo. Lei sorride come sua madre: «Anche se, ormai, siamo fermi noi veniamo da quel mondo, li conosciamo tutti e loro si fidano di noi. Devi capire che per le scuole gli alunni itineranti sono un peso, stanno lì solo poche settimane e poi se ne vanno verso la prossima fiera, il prossimo paese, il prossimo istituto, e così tante scuole si rifiutano di prenderli».
«Ma non possono — le diciamo — c’è il diritto allo studio». Lei scuote la testa: «Gli istituti adducono mille scuse: la privacy, la sicurezza, il terremoto…». «E voi allora cosa fate?». Proprio per facilitare il difficile incontro tra alunni itineranti e una scuola solo per fermi Valeria Ravelli ha ideato Il libro dei saperi dello spettacolo viaggiante, un quaderno ad anelli, diviso per materie e organizzato in modo tale che l’istituto che il ragazzo frequenta di volta in volta potrà dire: ripartiamo da dove sei arrivato.
Da anni la famiglia Ravelli gira di fiera in fiera, di scuola in scuola, è arrivata fino a Roma. «Al ministero — precisa Monica — ma lì la prima cosa che ti dicono: ci dia i numeri, e a me allora saltano i nervi: il diritto allo studio non vale per tutti?». «Forse qualcosa, però, sta cambiando — interviene Valeria —. Il 30 maggio scorso è stato presentato alla Camera dei Deputati il progetto di legge che riconosce ufficialmente il Libro dei Saperi dello spettacolo viaggiante per garantire anche agli alunni itineranti quel diritto allo studio che la Costituzione italiana riconosce a tutti».
«E il 23 settembre la proposta verrà presentata anche alla stampa — ci dice Flaviano — e vada come vada, la Monica è ottimista, io un po’ meno, noi non ci fermeremo, continueremo ad assistere questi ragazzi e le loro famiglie». «Ma chi ve lo fa fare, alla vostra età sbattervi da una fiera a un’altra, da un paese a un altro e quando non andate voi sono i ragazzi, le famiglie, le scuole che vi chiamano? Ma si può sapere quali sono i vantaggi?».
Flaviano sorride e gli occhi neri come la pece gli brillano come le luci del luna park, un luna park oggi invecchiato e un po’ cadente, come Coney Island che ha quel fascino che solo il tempo sa dare. «I vantaggi — ci dice — sono la Monica». «E gli svantaggi?» «Io. Io che tutti i giorni sento la Monica al telefono con le scuole che ti dicono che non vogliono i ragazzi; e i ragazzi che ti dicono che gli è morta di nuovo la nonna, e la madre dei ragazzi che dice: “Mio marito è morto”. E tu le domandi: “Ma è morto morto o è in vacanza?”».
Il sole sta tramontando sulle case in cemento e sulle carovane dei dritti e nel riprendere la via di casa ripensiamo a quest’altrove che ci cammina a fianco mentre noi siamo fermi; ripensiamo a questa giornata particolare in cui Flaviano e Monica ci hanno fatto salire sulla giostra della loro vita; poi, pensiamo alle fiere che un tempo si svolgevano nel paese e adesso sono messe ai margini, un po’ come si fa con i poveri, gli scarti, con quelli che non vuoi vedere e allora gli canti: fatti più in là.
Arrivati a casa, chiudiamo la porta, ah, finalmente ci fermiamo! Rivediamo la fiera di San Giorgio dove Flaviano e Monica ci accompagnano prima di salutarci; rivediamo i giovani, e i meno giovani, che invitano la gente a salire sulle loro attrazioni, «Venghino, signori, venghino!», anche se di gente quest’anno alla fiera ce n’è poca, ma loro non si arrendono e in una società di musoni in cui il buonumore è solo sui social, loro continuano a sorridere sul serio, anche se le cose non girano più come una volta, i dritti non si fermano. «Perché non potete?». «Perché non vogliamo. Io non voglio sedermi a una scrivania, davanti a un computer per tutto il giorno e guardare la vita che mi scorre accanto, io la vita la voglio vivere, e tu?». (Flaminia Chizzola, “L’Osservatore Romano”, 19 settembre 2025)



