Cittadinanza, un referendum sull’Italia di domani. Intervista ad Alba Lala (Conngi)

29 Maggio 2025 – L’8 e 9 giugno si vota per 5 referendum tra i quali quello che mira ad abrogare alcune parti dell’articolo 9 della legge 91 del 1992, l’attuale legge italiana sulla cittadinanza. L’esito atteso è che tutti gli stranieri maggiorenni con cittadinanza di uno Stato non appartenente all’Unione europea possano presentare richiesta di concessione della cittadinanza italiana dopo cinque anni di residenza legale in Italia e non più 10. Oltre ai 4 anni di attese burocratiche. Ne abbiamo parlato con Alba Lala, segretaria generale del Coordinamento nazionale delle nuove generazioni italiane (Conngi), una delle anime del comitato promotore del referendum che ha raccolto molte più delle 500 mila firme necessarie.

Alba Lala
Alba Lala

Credo che raccontare in breve la sua biografia faccia immediatamente comprendere un aspetto-chiave del referendum…
Sono nata a Fier, nel sud dell’Albania, e sono arrivata in Italia quando avevo tre anni. Ora ne ho 28. Lavoro a Genova come mediatrice culturale, in ospedali, ATS e altri servizi del Comune. Mi considero una genovese e un’italiana, nonostante questo Paese ancora non mi riconosca come sua cittadina.

Ed è anche impegnata nel Conngi.
Ce ne parla?

Il Conngi è un coordinamento di oltre 50 associazioni dal nord al sud dell’Italia, nato nel 2016. Abbiamo scelto di non identificarci più come rappresentanti delle “seconde generazioni”, ma delle “nuove generazioni italiane”. Ci occupiamo di scuola, lavoro, cultura, sport e condivisione, dalla nostra prospettiva. E ovviamente di cittadinanza, che poi vuol dire anche partecipazione e rappresentanza politica.

Ecco, arriviamo al referendum. Dopo un lungo tira e molla è stata scelta la data dell’8 e 9 giugno. Come avete accolto questa decisione?
Sicuramente separare i referendum dal primo turno delle elezioni amministrative, che si tengono in tante regioni e in tante città d’Italia, è apparsa subito come una decisione volta a disincentivare il voto, in un Paese in cui di astensionismo ce n’è fin troppo.

Immaginiamo due scenari. Nel primo, il referendum non va bene. Come pensate di muovervi dal 10 giugno in poi?
Ci auguriamo che ci sia comunque una bella risposta. Se anche solo arrivassimo vicini al quorum, sarebbe comunque un grosso segnale, ossia che in realtà l’Italia è pronta al cambiamento. In un Paese in cui l’astensionismo è diffuso, i giovani non si ritrovano più nella politica, ed emerge davvero tanto disinteresse per il voto e la rappresentanza. A quel punto starà a noi rimboccarsi le maniche per cercare di modificare questa legge in modo diverso. Ci sono già delle mozioni in Parlamento. Perché, ovviamente, quello che noi abbiamo proposto con il referendum non è esaustivo per una riforma adeguata della legge sulla cittadinanza, che abbiamo a lungo sperato fosse
portata avanti in Parlamento.

E se, invece, il referendum passasse?
Vorrebbe dire innanzitutto che la legge che abbiamo non va così tanto bene come dicono. In ogni caso, concretamente, se il referendum passasse, ben 2,5 milioni di persone ne beneficerebbero direttamente. E stiamo parlando in prevalenza di giovani come me, nati o cresciuti in questo Paese, e altrettanti che, anche se non sono arrivati in tenera età, hanno deciso di costruire la loro vita in Italia e non scappano, nonostante le tante difficoltà che incontrano. Perché è bene sapere che tra i famosi “cervelli in fuga” ci sono anche quelli delle nuove generazioni italiane. Io stessa avevo un sogno, che a un certo punto della mia vita ho dovuto ridefinire: per realizzarlo, avrei dovuto fare un concorso pubblico e non avendo la cittadinanza non ho potuto, io che ero cresciuta con l’idea di essere uguale ai miei compagni e alle mie compagne di classe.

Arrivare al referendum immagino sia stato vissuto comunque come un successo. Ma com’è andata la costruzione del quesito? Erano diverse le sensibilità dei tanti soggetti che hanno proposto il referendum.
Prima di arrivare a proporre questo quesito, ovvero a puntare sulla sola modifica degli anni di residenza necessari per fare richiesta della cittadinanza, ci abbiamo lavorato per un bel po’. Il criterio è stato quello di percorrere la strada più sicura perché venisse approvato. Le ipotesi inizialmente erano tante, poi ci siamo focalizzati su 5 temi. Alla fine abbiamo puntato su una sola richiesta, perché avremmo dovuto raccogliere 500 mila firme per ciascun articolo da modificare. Che poi in realtà non chiediamo niente di straordinario: vogliamo riportare la legislazione italiana a prima del 1992.

Al di là della cerchia ristretta di chi ha lavorato con voi, ha avuto la percezione che nel corso della campagna referendaria la gente, nel quotidiano, nonostante le lacune informative e il clima generale del Paese, si sia avvicinata a questo tema?
Sì, tantissime persone si sono avvicinate al tema, ma anche partiti, associazioni… In questo momento ci sono comitati referendari in tutta Italia, e questa è una bella risposta. Ci stanno chiedendo come fare per unirci, per portare avanti comunque la nostra campagna, e come poterci aiutare a sensibilizzare sempre più persone. (Simone Sereni, da Migranti Press 4-5 2025)

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