7 Aprile 2022 –
Rimini – La guerra? «Milioni di persone in fila, la tua vita in uno zaino e fuggi dal paese». La sintesi di Olga Kramha, rifugiata a Rimini dall’Ucraina insieme al figlio minore, è straziante. E il rischio di dover rifare quello zaino appena disfatto, è perlomeno paradossale. «Molti di noi hanno parenti, i bambini hanno iniziato ad andare a scuola, c’è una rete di amicizie, ci danno una mano, non vogliamo spostarci da Rimini». Decine di profughi ucraini, prevalentemente donne, hanno lanciato questo appello davanti alla Prefettura di Rimini. In modo composto, davanti al Palazzo del Governo una piccola folla ha intonato l’inno della loro patria e poi ha consegnato al Prefetto Giuseppe Forlenza una lettera. La missiva è chiarissima: chiedono di non essere trasferiti, con i loro bambini, in altre località. Appena possibile, spiegano, torneranno in Ucraina ma fino ad allora vorrebbero restare nella Rimini che hanno scelto. Molti di loro qui hanno parenti, una rete amicale, stanno cercando di integrarsi. La bandiera della Pace e quella gialloblù dell’Ucraina issate da numerosi bagnini della riviera, sembra uno sventolante benvenuto. Sono circa 4.000 i profughi che nell’ultimo mese hanno scelto Rimini come destinazione in Italia. Nonostante le piccole dimensioni (149.000 abitanti, 339.000 in tutta la provincia), è la città italiana che ne ospita di più in assoluto. Non si tratta di un caso: lungo la Riviera romagnola vive una delle più grandi comunità ucraine d’Italia, circa 5.000 persone, in gran parte donne, la maggior parte badanti che vivono in casa degli anziani di cui si prendono cura. «Molte di queste donne hanno visto arrivare una figlia, una sorella, i nipotini» fa notare don Viktor Dvykalyuk, il cappellano della comunità greco-catttolica di Rimini, San Marino-Marino e Ravenna. Sta svolgendo il ruolo di mediatore per conto della Prefettura e tutti i giorni tiene uno sportello Ucraina. Bogdan ha 17 anni, è ucraino di origine ma nato a Rimini. Traduce i suoi connazionali. Lavora all’Hotel Margherita dove hanno trovato ospitalità 167 profughi, ora diventati 110. C’è chi è stato trasferito in montagna a 100 km dalla Riviera, isolati, chi nelle colline della provincia, altri ancora in Piemonte, Molise, Sicilia. Dei 57 profughi trasferiti, 27 la prefettura li ha collocati a Misano Adriatico, «gli altri attraverso una rete solidale sono stati distribuiti in famiglie e conoscenti, a Jesolo e in Austria, dove hanno trovato lavoro – racconta il titolare dell’Hotel Margherita, Stefano Lanna – Ho accolto queste persone, senza ricevere alcun contributo dello Stato, e continuerò a farlo. Non faccio business con chi scappa dalla guerra. Se le istituzioni mi aiuteranno bene, altrimenti proseguiremo con la solidarietà della comunità riminese». I volontari della mensa francescana di Santo Spirito provvedono al cibo, l’hotel si è persino dotato di Pronto soccorso interno. Il piano trasferimenti da Rimini va avanti. La Prefettura valuterà alcuni casi particolari, ma la linea è: non più rifugiati negli hotel. Potrà restare solo chi vanta sistemazioni autonome, con un contributo di 300 euro al mese per tre mensilità. «Siamo venuti qui con bimbi di 6 anni – racconta una giovane mamma ucraina – Vorremmo tornare a casa ma ora non è possibile, e adesso dobbiamo andare via anche da qui. Ho la mamma a Rimini, abbiamo fatto i documenti e i bambini hanno iniziato a frequentare l’asilo: chiediamo solo un’accoglienza temporanea». Tre donne hanno pagato l’hotel dove erano accolte per restare a Rimini. Dopo quattro giorni, però, hanno fatto le valigie. Chi intende restare, lo fa a spese proprie, rinunciando dunque agli aiuti di Stato. «Lavoro a Rimini da 16 anni e pago i contributi – è la testimonianza accorata di una donna ucraina – Ho trovato lavoro per le figlie arrivate e asilo per i nipotini di 2 e 6 anni: perché li mandano altrove?». (Paolo Guiducci – Avvenire)


