Città europee con l’Ucraina: il grido di centomila non può essere ignorato

14 Marzo 2022 – Firenze – Sabato scorso, vista dall’alto, Piazza Santa Croce a Firenze appariva come un’onda, disordinata e colorata, schiacciata contro la facciata della Basilica e straripante su tutte le vie laterali. Il vento soffiava apposta per spiegare le bandiere gialle e blu. Sul sagrato, 20.000 persone erano venute a raccogliere l’invito del Sindaco Dario Nardella. Lo facevano, nello stesso momento, altre cento piazze in altrettante città. 100.000 europei, con i loro corpi e i loro canti, per chiedere tutti insieme di fermare la guerra. Gli ucraini si riconoscevano dal luccichio nello sguardo: famiglie, donne, adolescenti, bambini della numerosissima comunità ucraina che si mescola agli altri popoli e dà un volto all’ideale di un popolo d’Europa unico. In piazza a Firenze, l’unità delle città europee contro la guerra si respirava nell’aria. Strette tra loro e soprattutto con le città ucraine assediate e bombardate. Con Charkiv, la cui gigantesca piazza della Libertà è oggi ricoperta di macerie. Con Mariupol, dove i civili tentano di partire attraverso insicuri canali di evacuazione. Con Kiev, la capitale gemellata con Firenze, in cui una coraggiosa resistenza all’accerchiamento nemico impedisce all’intero Paese di capitolare. E strette anche alle loro sorelle di confine: a Leopoli e alle altre città polacche, romene, ungheresi, moldave che stanno ricevendo l’esodo dei profughi della guerra. Come ha detto l’Alto Commissario ONU per i rifugiati Filippo Grandi, questi nuovi arrivati – già due milioni e mezzo, oltre ai due milioni di sfollati interni e agli altri, almeno quattro milioni, che fuggiranno nei prossimi giorni – hanno bisogno di tutto. Le città alle porte dell’Ucraina, spesso già poverissime, non possono far fronte da sole alla più grande crisi dei rifugiati dal Secondo dopoguerra. Anche in loro favore deve dirigersi lo slancio solidale dell’Europa.

A parare i colpi rivolti contro la popolazione ci sono i Sindaci, donne e uomini soli che rischiano in prima persona sicurezza e libertà e, a volte, le perdono. È successo almeno in due casi, al Sindaco di Gostomel, Yuri Illich Prylypko, ucciso mentre distribuiva cibo ai suoi cittadini, e a quello di Melitopol, Ivan Fedorov, arrestato dai militari russi. Molti di questi Sindaci di prima linea hanno voluto mandare una testimonianza a Firenze. E con messaggi di vicinanza hanno risposto i Sindaci di Danzica, Madrid, Atene, Edimburgo, Marsiglia e dei comuni italiani, da Roma a Bologna, da Assisi a Bergamo. Alcuni erano presenti al vertice sul Mediterraneo ospitato in città due settimane fa: la grande partecipazione a questa manifestazione è forse già figlia dei ponti gettati e dei legami rinsaldati con quell’incontro.

Un’idea era ben presente alla folla di Firenze. Gli ucraini non stanno resistendo per sé, ma per l’Europa e l’Occidente che conosciamo. Per il mondo nato all’indomani della Seconda guerra mondiale, il mondo della democrazia, dei diritti umani, del diritto internazionale votato alla concordia tra Nazioni. In cui abbiamo potuto sinora costruire le nostre vite e i nostri progetti. Se l’Ucraina crolla, crolla il nostro mondo. Lo dicono l’ambasciatore ucraino Yaroslav Melnyk e la Presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola. Lo dice il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky, con la postura ferma e gli occhi lucidi, rivolgendosi direttamente a Firenze. Quando le bombe cadono su chiese, scuole e ospedali pediatrici, quando 79 bambini rimangono uccisi, non si tratta più dell’attacco ad un Paese: questo è un attacco ai valori che uniscono tutti noi. E Zelensky chiede a tutti di agire. Chiede sanzioni contro la Russia, più forti e più ferme, e la reazione del mondo economico. Chiede un’azione concreta, che l’Europa faccia di tutto per fermare la guerra, come sta facendo ogni ucraino.

Manifestare il proprio rifiuto della guerra è parte di quest’azione. Lo è, anche se può sembrare poco davanti a carrarmati che avanzano e palazzi che crollano. L’Europa che vogliamo non possiede altre armi che la propria voce. Combatte con le idee, gridando i suoi valori ogni volta che qualcuno li mette in discussione. “Noi siamo le 79 vite, non le 79 morti” ha detto Zelensky. Sarà solo una voce, ma è già la voce di centomila persone e se non può fermare la guerra, non può neppure essere ignorata. (Livia Cefaloni)

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