Ucraina: le vittime, i profughi, l’Europa e i bei gesti che non bastano

10 Marzo 2022 – Roma – Prosegue tra gli stenti il tentativo di mettere in sicurezza i civili intrappolati nelle città ucraine sotto assedio. Gli accordi di cessate il fuoco dovrebbero coprire l’attivazione dei corridoi umanitari, ma le forze russe non hanno fermato i bombardamenti e molti hanno dovuto rinunciare a partire, bloccati in un’Ucraina, meridionale e orientale, in cui cominciano a mancare cibo, elettricità, medicinali, acqua.

Il resto d’Europa aspetta queste persone e, nel frattempo, si prende cura dei due milioni di loro connazionali riusciti a varcare il confine. Mentre gli uomini rimangono a combattere, e anzi spesso rientrano in patria per contribuire alla resistenza, coloro che fuggono sono soprattutto donne e bambini: la metà dei profughi sono minori, per la maggior parte accompagnati dalla sola mamma. Per le madri in fuga da tutte le guerre e carestie del mondo, ha pregato Papa Francesco in occasione della Giornata internazionale della donna. In treno o in autobus, le ucraine e i loro figli raggiungono i Paesi confinanti, come la Polonia, in cui ha fatto ingresso oltre un milione di persone, o la Moldavia, che, con circa 100.000 profughi su una popolazione di tre milioni e mezzo di persone, è in proporzione il Paese che accoglie di più. La popolazione locale offre aiuto e intanto trema, nella consapevolezza che l’Ucraina potrebbe non essere l’ultimo Paese a solleticare il delirio imperialista del governo russo. Tra mille immaginabili difficoltà, si improvvisano ricoveri e centri d’accoglienza, si cercano fondi, si organizza la distribuzione di beni primari, si pensa ad una sistemazione più stabile per i profughi, destinandovi strutture pubbliche o case private e velocizzando i trasferimenti verso altri Paesi d’Europa.

Anche in Italia, dove il Ministero dell’interno annuncia che già oltre 17.000 ucraini si sono ricongiunti con i propri familiari. Ed è l’Italia a richiamare l’Europa all’unità: per voce del Presidente del Consiglio Mario Draghi, che a Bruxelles ha definito la coesione, nelle sanzioni come nell’accoglienza, la nostra più grande forza davanti alla crisi, e per voce del Sindaco di Firenze Dario Nardella, intervenuto al summit di Marsiglia della rete Eurocities, che presiede, per convocare una grande manifestazione delle città europee il prossimo 12 marzo. Dall’incontro sul Mediterraneo che ha appena ospitato e dalla Carta di valori e intenti cui ha dato il nome, Firenze ha ereditato una missione di costruttrice di dialogo e pace che intende onorare: il suo territorio ospita già alcune centinaia di profughi, mentre la Misericordia, coordinata dalla Diocesi locale e dalla Chiesa ucraina, raccoglie beni di prima necessità da consegnare agli sfollati di guerra, tra Leopoli e le zone di confine.

In questa cornice, il corteo di sabato dovrà incarnare la reazione alla guerra delle città e dei cittadini europei, simbolicamente uniti in un’unica piazza che grida pace. Ci si sente coinvolti e ci si sforza di contribuire, ognuno come può: comprando alimenti a lunga conservazione e regalando coperte, mettendo a disposizione una stanza a casa propria, organizzando passaggi in auto al di là del confine. Sventolando una bandiera arcobaleno e supplicando tutti insieme che finisca questa follia. La guerra è una pazzia, ha scandito Papa Francesco all’Angelus di domenica. Mentre sale il numero dei morti: l’Alto Commissariato ONU per i diritti umani stima oltre 400 civili uccisi in appena dieci giorni di guerra. 27 bambini tra loro. Oltre 800 feriti. Più difficile da accertare e oggetto di disputa tra fazioni nemiche, il conteggio delle morti tra i soldati dei due schieramenti certamente raggiunge diverse migliaia di unità. A che scopo questa sofferenza? “La guerra è una pazzia”. Prima dell’irreparabile, c’è ancora forse spazio per un appello, dei popoli della Chiesa e dell’Europa, il più forte che si può: “Fermatevi, per favore”. (Livia Cefaloni)

 

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