Decreto Rilancio ed emersione dei rapporti di lavoro

3 Giugno 2020 – Roma -Il c.d. Decreto-Legge Rilancio (n. 34 del 19 maggio 2020) contiene una norma volta alla regolarizzazione dei migranti presenti sul territorio dello Stato denominata “Emersione dei rapporti di lavoro” (art. 103). Si tratta di un testo piuttosto complesso che prevede la regolarizzazione per alcune precise categorie di persone, che lavorano o intendono lavorare nei settori dell’agricoltura e dell’allevamento, dell’assistenza agli anziani e della cura della casa.

La ratio dichiarata dell’art. 103 è quella di “garantire livelli adeguati di tutela della salute individuale e collettiva in conseguenza della contingente ed eccezionale emergenza sanitaria connessa alla calamità derivante dalla diffusione del contagio da Covid-19 e favorire l’emersione di rapporti di lavoro irregolari …”. La norma in esame si presenta come un testo molto corposo, composto di 26 commi, che delinea anzitutto due canali per attuare la regolarizzazione: il primo prevede che i datori di lavoro possano regolarizzare i lavoratori attualmente irregolari. Nel caso di migranti irregolari, questi riceveranno automaticamente un permesso di soggiorno; il secondo canale dispone – per i migranti irregolari che già avevano lavorato nei settori interessati ma hanno perso il lavoro – un permesso temporaneo di sei mesi per cercare un nuovo impiego nei settori concordati.

La normativa si rivolge sia ai datori di lavoro sia ai lavoratori irregolari. In forza del comma primo dell’art. 103, i datori di lavoro italiani o cittadini di uno Stato membro dell’Unione Europea, ovvero i datori di lavoro stranieri in possesso di un titolo di soggiorno ex art. 9 del Decreto Legislativo n 286 del 1998, possono presentare istanza per concludere un contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti nel territorio italiano o per dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro irregolare ancora in corso con cittadini italiani o cittadini stranieri.

Allo stesso modo, invece, il comma secondo prevede che i cittadini stranieri, con permesso di soggiorno, possono richiedere un permesso di soggiorno temporaneo, valido solo nel territorio italiano della durata di 6 mesi. Tale termine inizia a decorrere dalla presentazione dell’istanza.

Le istanze suddette possono essere presentate previo pagamento di un contributo forfettario di euro 500 da parte del datore di lavoro per ciascun lavoratore che si intende far emergere, mentre di euro 130 per le ipotesi di cui al comma secondo.

Per quanto riguarda i datori di lavoro si prevede che l’istanza debba contenere anche l’indicazione della durata del contratto di lavoro e la retribuzione convenuta (comma 4).

Le istanze devono possono essere presentate all’INPS nel caso di lavoratori italiani o cittadini di uno Stato membro dell’Unione europea; allo Sportello Unico per l’immigrazione, nel caso di lavoratori stranieri; alla Questura se riguardano il rilascio di permessi di soggiorno temporaneo. Dopo le verifiche preliminari, lo Sportello unico dell’immigrazione convoca i soggetti interessati per la stipula del contratto di soggiorno, per la comunicazione obbligatoria di assunzione e la compilazione del permesso di soggiorno per lavoro subordinato.

Nella diversa ipotesi di istanza per il rilascio di permesso di soggiorno temporaneo avanzata dal cittadino straniero presentata direttamente al Questore tra il 1 giugno e il 15 luglio del 2020, questa deve contenere anche tutta la documentazione comprovante l’attività lavorativa svolta nei settori indicati in precedenza. Al momento della presentazione della domanda, viene consegnata una attestazione all’interessato che consente a questi di soggiornare legittimamente nel territorio italiano fino alle ulteriori determinazioni dell’Autorità. Tale attestazione consente anche lo svolgimento di lavoro subordinato, sempre nei settori indicati, nonché la possibilità di convertire la domanda di permesso di soggiorno temporaneo in permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

Naturalmente, nelle more della definizione dell’iter procedimentale appena richiamato, lo straniero non può essere espulso dal territorio italiano.

La normativa che si sta analizzando non si applica in maniera indiscriminata a tutti i lavoratori stranieri presenti sul territorio nazionale. Innanzitutto, la disciplina si applica solo per i settori richiamati in premessa (agricoltura, allevamento e zootecnia, pesca e acquacoltura, assistenza alla persona, lavoro domestico); inoltre, agli stranieri che siano stati sottoposti a rilievi foto dattiloscopici prima dell’8 marzo 2020 o che abbiano soggiornato in Italia precedentemente alla suddetta data attraverso la prova di aver fatto la dichiarazione di presenza. Si tratta di una previsione che rischia di creare alcuni problemi perché sono numerosi i cittadini stranieri che non sono mai stati sottoposti a rilievi foto dattiloscopici o che non hanno reso la dichiarazione di presenza. Soggetti che quindi rischiano di non poter dare prova della loro presenza sul territorio prima della data indicata nel decreto e che pertanto non potranno regolarizzare la loro posizioni.

Allo stesso modo, invece, la possibilità di richiedere un permesso di soggiorno temporaneo è limitata ai cittadini stranieri con permesso di soggiorno scaduto successivamente al 31 ottobre 2019. Non possono presentare istanza i datori di lavoro che siano stati condannati negli ultimi 5 anni, anche con sentenza non definitiva, per “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” o per reati diretti allo sfruttamento della prostituzione o di minori, per intermediazione illecita e sfruttamento lavorativo.

Sono esclusi i lavoratori stranieri nei confronti dei quali è stato emesso un provvedimento di espulsione, quelli segnalati ai fini della non ammissione del territorio dello Stato, i condannati anche in via non definitiva, compresa quella di cui all’art. 444 c.p.p per reati ad esempio che riguardano le sostanze stupefacenti, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, la prostituzione o il suo sfruttamento, l’impiego di minori in attività illecite e infine coloro che sono considerati una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato.

Alcune perplessità sulla validità del testo del decreto, in particolare della parte che prevede la regolarizzazione degli immigrati che lavorano come braccianti, e come colf o badanti, le hanno espresse diversi operatori del settore, sindacati ed esperti.

Mancherebbero gli incentivi che dovrebbero spingere il datore di lavoro a rinunciare a quel rapporto di potere con i lavoratori che oggi risultano senza diritti. Vi è poi la questione dell’esclusione dalla ‘sanatoria’ di tutti quei lavoratori impegnati in altri settori, come quello dell’artigianato, della logistica e dell’edilizia. Quanto al problema dello sfruttamento della manodopera nei campi, andrà verificato se effettivamente la misura contenuta nel decreto inciderà o meno sui diversi aspetti legati alle condizioni in cui si trovano a lavorare i braccianti.

Nello stimare la platea «ipotetica» dei beneficiari, la relazione tecnica che accompagna il decreto legge riporta che l’esperienza pluridecennale delle precedenti sanatorie (a partire dal 2000, previste con D.L. n. 195/2002, D.L. n. 78/2009 e Decreto legislativo n. 109/2012) «non consente di effettuare confronti omogenei poiché i requisiti, di volta in volta previsti, afferivano a differenti tipologie di cittadini stranieri e/o di rapporti di lavoro considerati per l’emersione». Viene inoltre segnalato che da quelle esperienze applicative «è possibile rilevare come il numero complessivo delle domande presentate per tali procedimenti è sempre risultato notevolmente inferiore a quello dei destinatari potenziali». Al numero di 220 mila domande si arriva facendo riferimento alla media delle richieste presentate nel 2009 (295.130 domande) e nel 2012 (134.772 domande).

Come per tutti gli interventi legislativi, comunque, per comprendere se e come avrà funzionato si dovrà attendere almeno qualche mese per iniziare a valutare i numeri delle regolarizzazioni e gli effetti concreti sul miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori c.d. “invisibili”. (Alessandro Pertici)

 

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