Roma multietnica: raccontarla si può

8 Ottobre 2019 – Roma – «A Torpigna ci sono tre squadre che si sfidano: gli stranieri, gli hipster e i vecchi». Solo un ragazzo sveglio come Phaim Bhuiyan, che in uno dei quartieri più multietnici di Roma ci è nato e vissuto, poteva sintetizzare la vita reale dei giovani italiani di seconda generazione, scegliendo la strada del sorriso per raccontare la convivenza tra immigrati, giovani artisti modaioli e squattrinati, e sospettosi residenti storici.

Lo hanno soprannominato il Nanni Moretti di Torpignattara, Phaim, 22 anni, che ha l’aria svagata e l’ironia surreale del regista romano e la pelle ambrata dei suoi genitori provenienti dal Bangladesh. Sarà lui stasera il protagonista di una serata evento, film più dibattito, a favore dell’integrazione attraverso il dialogo e la simpatia, una delle novità più significative presentate al 71° Prix Italia della Rai, dove abbiamo incontrato il giovanissimo regista. Alle 21.20, Rai 2 presenterà in prima visione Bangla, film prodotto da Fandango e Tim Vision che è stato un piccolo caso la primavera scorsa. Scritto, interpretato e diretto dal 22enne Phaim Bhuiyan, il film è stato premiato come “Commedia dell’anno” ai Nastri d’argento e racconta la storia, in parte autobiografica, dello stesso autore che si definisce «50 per cento bangla, 50 per cento italiano, 100 per 100 Torpigna».

La borgata romana di Torpignattara, in cui è ambientata la pellicola, vede muoversi le vicende tragicomiche del giovane che si divide fra una famiglia musulmana perbene e tradizionalista, il lavoro da steward in un museo e la passione per la musica, e l’amore per Asia. Una ragazza italiana libera ed emancipata proveniente da una famiglia “bene”, libertaria, confusa e radical chic capitanata da Pietro Sermonti, padre divorziato. Un bacio fra i due crea un conflitto di coscienza nel giovane, che è musulmano praticante, e da una parte non vuole offendere i suoi principi morali e quelli della sua famiglia che lo vorrebbe vedere sposato a una ragazza del Bangladesh, dall’altra sente il desiderio di vivere un amore “integrato”, senza paura del futuro, come un ragazzo italiano qualsiasi.

E uno spaccato del quartiere di Torpignattara, sarà protagonista della serata Bangla – Diario di un film che seguirà la proiezione, condotta da Andrea Delogu e dallo stesso Phaim Bhuiyan. Dal cinema Nuovo Aquila di Roma, si alterneranno, quindi, tante testimonianze della gente del quartiere: vecchi romani, maestre elementari che insegnano nelle classi multietniche, stranieri di prima e seconda generazione, l’imam di Centocelle Haj Ben Mohamed, la Piccola Orchestra di Torpignattara formata da ragazzi di diverse etnie e la mamma del regista protagonista anch’essa nel film.

«Non mi aspettavo tutto questo» ci spiega sorridente Phaim, qui al suo primo film. «Ho iniziato come youtuber per gioco, poi ho un fatto percorso come videomaker autodidatta, girando videoclip per i rapper e le band punk rock. Di lì ho avuto la possibilità di vincere una borsa di studio allo Ied e di studiare videodesign e film making, dalla storia del cinema alla costruzione di una pellicola ». La passione per il cinema si sviluppa quindi all’università ma è la tv che lo scopre, grazie a un servizio girato per mostrare la realtá del suo quartiere, trasmesso dal programma Nemo di Rai 2. «Dopo quel servizio mi è stato proposto di fare il film» ci spiega con l’aria ancora incredula Phaim, che per soggetto ha deciso di raccontare se stesso, i sogni dei nuovi italiani divisi fra due mondi e la sua famiglia. «Papà e mamma arrivano dal Bangladesh, lui è venditore ambulante e lei domestica negli alberghi, e ho una sorella che vive a Londra – ci racconta il regista – Il problema della cittadinanza italiana solo a 18 anni? Spesso sembra quasi più un dibattito fra gli italiani che di noi figli di immigrati. Certo, può creare dei problemi burocratici, ma io credo che se tu nasci e cresci in una certa maniera, ti senti italiano a tutti gli effetti. Il problema ce l’ha chi è arrivato in Italia da

adulto, poiché deve avere tre anni di lavoro con un contratto regolare. Sono difficoltà che ha vissuto la mia famiglia, ma i miei hanno lavorato tanto e ora hanno la cittadinanza».

Già, ma il rapporto con la società italiana di questi nuovi italiani, non rischia di venire minato dalla campagna di odio dei populisti contro i migranti? «Nella grande metropoli è più facile integrarsi e crearsi un gruppo con cui stare bene. Nella scuola e più semplice perché non ci sono quelle distinzioni che si fanno da adulti, dove si va a stereotipare o categorizzare le persone. Nelle province è un po’ diverso, c’è una mentalità più chiusa – spiega Phaim –. In generale in Italia che c è molto analfabetismo funzionale, c’è molta ignoranza rispetto allo straniero e certi personaggi molto influenti riescono a condizionare tantissimo. L’unico modo per contrastare l’odio è far conoscere delle realtà. Per noi il fine del film era porre delle domande attraverso dei mondi che non erano mai stati rappresentati. Per questo stiamo pensando a una serie tv sempre su questi temi».

Uno dei capitoli più delicati è quello dedicato alla religione e ai suoi precetti soprattutto sulla morale dei giovani. «Si parla di una famiglia molto osservante e di un ragazzo credente che vive in una società che è lontana dai suoi valori: questa è stata una delle parti più complicate in scrittura. Infatti ho parlato con l’imam per vedere se certe scene potessero dare fastidio – conclude il regista –. Abbiamo cercato di essere più sinceri possibili, di raccontare la verità». (Angela Calvini – Avvenire)

 

 

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