26 Aprile 2019 – Milano – «Noi vogliamo che tutte le religioni costruiscano pace. Vogliamo che i fedeli di tutte le religioni siano operatori di pace per essere riconosciuti come figli di Dio». E «di fronte all’attacco alle chiese, all’aggressione che ha seminato morte di persone innocenti radunate per pregare», come è avvenuto il giorno di Pasqua nello Sri Lanka, «il nostro grido chiede che questo terrorismo venga rifiutato da tutti». E chiede «che il terrorismo islamico sia rifiutato dagli islamici, e che coloro che credono in una religione così antica, e ricca di tanti valori, siano loro stessi a dichiarare che non possono accettare di essere confusi con i terroristi che seminano morte». Così l’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, dà voce al «dolore», alla «fede», al «grido di giustizia» che si eleva dal popolo dello Sri Lanka. Lo fa nella Messa di suffragio per le vittime degli attentati nell’isola asiatica, che lo stesso presule ha presieduto ieri sera nella Basilica di Santo Stefano, la parrocchia generale dei migranti.
È letteralmente gremita la grande, antica basilica nel cuore di Milano. Gremita di nuovi ambrosiani. Un migliaio i fedeli, immigrati dallo Sri Lanka con i loro figli, volto eloquente dell’ambrosiana Chiesa dalle genti.
Una trentina i concelebranti, fra cui i tre cappellani della comunità cattolica srilankese di Milano «Our Lady of Lanka», col loro stendardo alla balaustra del presbiterio. In prima fila il console dello Sri Lanka, Denzil Fonseka, e un gruppo di monaci buddisti (che l’arcivescovo saluterà dopo la Messa). Nella celebrazione italiano e srilankese si intrecciano. Struggenti alcuni canti. Come la processione dei bambini e degli adulti che porta all’altare e consegna nelle mani di Delpini le buste con le offerte raccolte per le vittime e i loro familiari. Si prega per loro. E si prega per i terroristi, perché «Dio tocchi i loro cuori».
«Hanno incendiato nel paese tutte le dimore di Dio… Volgi lo sguardo alla tua alleanza; gli angoli della terra sono covi di violenza ». In omelia l’arcivescovo riprende il salmo 74 e dice: «Ecco il nostro grido» di fronte al massacro «degli innocenti radunati per pregare». Un grido che chiede ai«fedeli di tutte le religioni» di diventare operatori di pace. «Noi siamo qui radunati – scandisce Delpini – anche per dire il nostro grido, la nostra
impotenza, perché mentre il terrorismo si organizza a livello internazionale, le forze della giustizia e le istituzioni preposte al bene comune non sono capaci di organizzarsi a livello internazionale per proteggere i loro cittadini, per difendere gli inermi, le persone che vivono la loro vita, tranquilli, costruendo il bene per sé e per le loro famiglie. Noi dobbiamo fare appello alle istituzioni perché siano forti, intelligenti, alleate per il bene».
«Noi oggi, però, siamo qui a celebrare l’Eucaristia – riprende l’arcivescovo – e riconoscere che Gesù il Risorto è presente in mezzo a noi». Come riconoscerlo? Raccogliendo l’invito del Signore a guardare le sue mani, i suoi piedi, le sue ferite. Di crocifisso. Per amore. Il suo soffrire «ha rivelato la gloria di Dio – dice l’arcivescovo –. L’amore che non si stanca mai di amare, l’amore che ama anche quando è perseguitato, l’amore che offre tutto. E quando non ha più niente da offrire, offre se stesso». «In questo tragico momento – conclude Delpini – ciascuno di noi è invitato a guardare le mani di Gesù, trafitte per la crudeltà degli uomini, eppure offerte da Cristo stesso come Agnello immolato condotto al macello. E ciascuno è chiamato a guardare le proprie mani, per domandarsi cosa posso fare io per imitare Gesù, cosa posso fare io per offrire conforto a chi soffre, per stringere amicizia con chi è solo, per incoraggiare il cammino di chi è ferito da una troppo ingiusta ferita, da una cattiveria incomprensibile. Guardate le vostre mani: quanto bene resta da compiere». (Lorenzo Rosoli)


