Torino – “E’ in corso un processo di disumanizzazione”: così il direttore Migrantes della diocesi di Torino nel suo intervento di apertura del Seminario per i giornalisti tenutosi a Torino nei giorni scorsi presso la sede dell’Ufficio Pastorale Migrantes. Durando ha voluto portare all’attenzione il tema della mobilità umana per offrire ai partecipanti il contesto in cui le donne immigrate, focus del seminario, si trovano.
Su 258 milioni di migranti nel mondo nel 2017, metà sono donne. Dal 2000 al 2017 il numero delle persone che hanno lasciato il proprio Paese di origine è aumentato del 49%. Nel 2017 i migranti rappresentano il 3,4% dell’intera popolazione mondiale, rispetto al 2,9% del 1990. Nello stesso anno si contano 38,6 milioni di cittadini stranieri residenti nell’Unione Europea (30,2% del totale dei migranti a livello globale). Il Paese europeo che nel 2017 ospita il maggior numero di migranti è la Germania (oltre 12 milioni), seguita da Regno Unito, Francia e Spagna.
“L’Europa si sente sotto assedio, invasa, reagisce con paura e ostilità, erge muri, srotola filo spinato, chiude i porti, respinge i migranti”, afferma Durando. “L’Europa rimane a guardare l’enorme problema degli immigrati – continua – e non è in grado di mettere in campo una politica comune di solidarietà”. Oggi l’Europa non abbatte più i muri, ma li costruisce. “Pioniera è stata la Spagna con le blindatissime barriere di Ceuta e Melilla in Marocco. Poi Austria e Ungheria (muro di filo spinato di 175km costato 21 milioni di euro) e la grande muraglia di Calais, costata alla Gran Bretagna 2,7 milioni di euro”, ricorda Durando.
“Oggi la gente è arrabbiata, impoverita dalla crisi economica, spaventata dai flussi migratori e, citando la frase di Papa Francesco “Questa economia uccide”, prosegue: “L’aver messo al centro la ricchezza, il benessere, il denaro ha portato alla difesa di questi privilegi ad ogni costo: anche a costo di disumanizzarci, non soccorrere chi sta affogando, respingere una donna malata e incinta alla frontiera, sparare sui poveri”.
Ecco dove si colloca la donna migrante. Prima che migrante, innanzitutto è donna. Il quinto obiettivo posto dall’Agenda 2030 la chiama in causa: per raggiungere uno sviluppo sostenibile, il benessere della donna è al centro. L’Agenda 2030 pone infatti l’attenzione sul grande lavoro che ancora vi è da fare a livello globale per raggiungere la parità di genere e promuovere l’empowerment femminile. “Il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, richiamando l’obiettivo n. 5 dell’Agenda 2030, ha fotografato con precisione la situazione di rischio in cui si trovano le donne migranti nel mondo”, afferma Marcella Rodino, giornalista e collaboratrice della Migrantes. Le donne e le ragazze migrano sempre più da sole e come capofamiglia. Sono esposte a rischi, tra cui lo sfruttamento sessuale, la tratta e le violenze. Non smettono dunque di rimanere incinte anche se in movimento e hanno maggiori possibilità di avere problemi di salute. “Il punto che caratterizza maggiormente la donna migrante è di subire una doppia discriminazione – sottolinea Rodino – come migrante e come donna”. Se poi è costretta a fuggire dalla propria terra perché in pericolo, la violenza diventa una costante e una variabile. “In Italia negli ultimi anni si è rilevata una presenza maggiore di donne sbarcate sulle nostre coste – racconta Rodino – la maggioranza di cittadinanza nigeriana”. Secondo l’OIM, infatti, l’80% delle donne nigeriana in Italia nel 2016 sono state vittime di traffiking. “Queste donne scappano dalle violenze nel loro paese, continuano a subirne durante il viaggio verso la Libia, dove una volta arrivate hanno buone possibilità di essere torturate e violentate. Se riescono a raggiungere l’Italia o l’Europa, continuano a essere a forte rischio di tratta”. La violenza è costante, variabile ne è la forma.
In Italia nel 2017 il 52% dei migranti è femmina: oltre 2 milioni e 600 mila donne di origine straniera risiede in Italia, vale a dire l’8,6% della popolazione femminile totale. Il 58% di loro proviene da un paese europeo, un terzo ha la cittadinanza un paese UE. Tra le extra-europee cresce il numero delle nubili, che rappresenta il 65%. “C’è un dato preoccupante che vede protagoniste le giovani donne straniere della fascia di età 15-29 anni: il 44,3% è neet, vale a dire che non lavora e non studia, percentuale che sale a 52,3% se si guarda a Sud”, racconta Rodino che prosegue affermando: “L’esclusione dal mondo del lavoro e della formazione viaggia in accordo con il modello patriarcale dei ruoli di genere che spesso costre la donna alle sole mansioni di cura domestica”.
Ma il mondo del lavoro, sempre più in crisi, non lascia possibilità di scelta. Laddove in una famiglia l’uomo perde il lavoro, spesso è la donna a provvedere al sostentamento della famiglia, provocando dei cambiamenti significativi negli equilibri di coppia, dove i ruoli tradizionali vengono messi in discussione. “Se la donna è l’unico componente del nucleo familiare a lavorare, la cura dei figli e della casa dovrà essere condivisa tra i partner”. D’altra parte alcuni settori economici che più necessitavano di manodopera maschile stentano a riprendersi, come per esempio quello edile, e spingono gli uomini stranieri ad andare incontro al mercato. “Sono sempre di più gli uomini a formarsi in ambiti lavorativi tipici del mondo femminile, come quello della cura e assistenza alla persona”, conclude Rodino.
A essere a rischio è anche il processo di integrazione della donna migrante. Le donne lavoratrici hanno meno tempo e possibilità di tessere reti amicali sul territorio in cui vivono e forte diventa l’isolamento sociale e il malessere psico-fisico. “Questo è uno dei motivi per cui le donne migranti sono maggiormente soggette ad avere problemi di salute”.


