Lampedusa, mons. Lorefice: “Qui una comunità messianica, non un club religioso”

9 Febbraio 2025 – Nel saloncino parrocchiale adiacente la Chiesa di San Gerlando si spengono le luci e nel buio riaffiorano i ricordi, le lacrime, la commozione di quei giorni lontani, eppure ancora pienamente vivi nella memoria della comunità lampedusana. Su una delle pareti vengono proiettate le immagini del video, realizzato nel 2011, con cui la Fondazione Migrantes ha raccontato i giorni della grande emergenza. Ed ecco apparire i volti di migliaia di donne, uomini, bambini, alcuni ancora in fasce, che hanno attraversato il molo Favaloro di Lampedusa, ma che, ancor di più, hanno toccato in modo indelebile il cuore degli isolani.

Testimonianze e ricordi

Una comunità che nella serata di giovedì 6 febbraio, al termine della funzione religiosa, alla presenza del parroco don Carmelo Rizzo, si è raccolta per condividere con i componenti della Commissione Regionale per le Migrazioni, ma soprattutto con monsignor Corrado Lorefice, il ricordo di quelle giornate dove «tutti noi abbiamo potuto toccare con mano la sofferenza di Gesù, perché è come se avessimo vissuto il Vangelo», sottolinea la signora Pilla, tra le parrocchiane più “attive” nei giorni dell’emergenza.

«Questo luogo (la parrocchia ndr) – era un cantiere aperto 24 ore su 24. La sala in cui ci troviamo adesso, ad esempio – ricorda Pilla – era quella in cui venivano raccolti i vestiti che poi venivano divisi e distribuiti; ogni zona aveva una sua funzione specifica. Eravamo tutti uniti nel condividere il dolore di quei fratelli, ma al tempo stesso eravamo felici di poter ridare loro dignità».

Dignità nella vita, ma dignità anche nella morte, quella che, invece, per Maria Martello, non è stato possibile concedere attraverso il rito della sepoltura «ai corpi di coloro che venivano sistemati all’interno di grandi sacchi neri di plastica, immagini che ho ancora bene impresse nella mente e continuano a essere motivo di grande dolore. Tutto quello che siamo riusciti a fare lo abbiamo fatto con amore e per amore, perché era come se Gesù si stesse presentando a noi».

Altrettanto commosse e commoventi le testimonianze di Enzo Riso e Mario Capitano, entrambi in prima linea nelle difficili settimane del febbraio 2011. «Ricordo tutto come fosse ieri – racconta Mario –, pioveva a dirotto e andammo da don Stefano (il parroco di allora, ndr), per capire come poter aiutare le persone che dormivano al porto e cercavano di ripararsi sotto i camion. È bastato un messaggio e in un attimo tutti i lampedusani hanno aperto le porte di casa per dare il loro contributo».

Ricordi indelebili, anche quelli condivisi dal pescatore Enzo: «Inizialmente ci sentivamo impotenti, poi però tutto si è trasformato in coraggio e voglia di fare. Non c’era nulla che ci spaventasse o preoccupasse, sentivamo solo il bisogno di esserci e poter dare aiuto. La cosa che non dimenticherò mai saranno gli abbracci che ho scambiato con quei fratelli, perché è come se avessi provato la sensazione di abbracciare Dio».

Suor Angela Cimino è a Lampedusa da più di un anno: «La missione che sto vivendo qui mi si è attaccata sulla pelle. Se mentre mi trovo a pregare ricevo un messaggio in cui viene comunicato che da lì a breve si verificherà uno sbarco, e quindi sono chiamata a svolgere la mia attività di volontaria, mi dico “lascio Dio per andare da Dio” e prima di recarmi al molo l’ultima preghiera la faccio per le persone che incontrerò e per i corpi di coloro che non ce l’hanno fatta».

Lampedusa capace di “abbracciare” le sofferenze altrui

Ed è proprio dalle testimonianze, ancora vivide, dei parrocchiani e dei volontari, che monsignor Lorefice ha colto spunto per lanciare un messaggio di profondo valore cristiano: «Ascoltare le vostre parole – ha affermato il vescovo – è come aver riletto dei tratti del Vangelo. Abbiamo scelto di essere qui a Lampedusa – ha spiegato – perché è solo attraverso i vostri racconti e le vostre testimonianze che possiamo far capire alle nostre comunità locali cosa significhi realmente essere comunità messianica, cristiana. Il Messia è colui che salva facendo proprie le sofferenze altrui ed è esattamente ciò che avete fatto e continuate a fare. Fin quando non capiremo questo, saremo solo un “club religioso”, ma non saremo una comunità messianica». (Elena De Pasquale – Ufficio Migrantes Diocesi Messina Lipari S. Lucia del Mela)

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