28 Marzo 2022 – Roma – Un bambino è l’esatto opposto della guerra. Vitalità piena contro la morte. E la guerra dovrebbe restare quanto di più lontano rispetto ai bambini, non dovrebbe toccarli mai. E invece succede sempre. Ogni volta che scoppia, ovunque, la guerra si accanisce contro i civili e, tra loro, sono i bambini a soffrire di più. Quando non viene recisa la loro stessa vita, la devastazione del loro Paese – materiale, morale, sociale, economica – ruberà loro le opportunità e i mezzi per coglierle, a partire dal diritto allo studio, e spezzerà il loro futuro. Le privazioni del tempo di guerra potrebbero pregiudicare la loro crescita irrimediabilmente. Nel migliore dei casi, avranno davanti un’esistenza intera per fare i conti con gli spettri della perdita e del distacco.
Lo sperimentano oggi i piccoli ucraini. Le Nazioni Unite contano oltre cento bambini rimasti feriti dall’inizio dei combattimenti. E 78 piccole vittime, solo tra quelle che l’ONU ha potuto confermare. Le fonti ucraine rendono un conto che cresce inarrestabile, di già oltre 130 bambini uccisi. Sconvolge ma non sorprende, in una guerra che ha rivelato una ferocia particolare contro le istituzioni civili e i luoghi della vita quotidiana. Chi uccide le persone in fila per procurarsi l’acqua o in fuga attraverso i corridoi umanitari, chi distrugge i teatri – anche quando, nel frattempo, sono diventati un rifugio per chi ha perso la casa sotto le bombe – non si ferma neanche davanti a scuole e reparti di maternità. I bambini sono stati dall’inizio nell’occhio di questa guerra. E anche per questo, voci insistenti si levano oggi ad accusare chi la conduce di crimini di guerra. Mentre la diplomazia stenta, i cessate il fuoco, quand’anche concessi, restano largamente ineffettivi e la difesa, pur coraggiosa, non può garantire protezione, l’unica strada per la sicurezza, al momento, è quella che porta fuori dalle città sotto attacco. Dei sette milioni e mezzo di bambini ucraini, la metà (4,3 milioni) già si trova costretta lontana dalla propria casa. Quasi due milioni hanno lasciato il Paese, nell’esodo infantile più imponente dalla Seconda guerra mondiale. Si può immaginare una categoria più vulnerabile? Quando non sono completamente soli – orfani di ieri e di oggi o spinti in salvo, almeno loro, dalle famiglie disperate – questi bambini viaggiano spesso con la sola mamma. Indifesi e traumatizzati, nei Paesi in cui giungono si ritrovano esposti ad ogni genere di insidia. Associazioni e organizzazioni, comprese UNICEF e UNHCR, chiamano gli Stati di accoglienza ad un’azione coordinata per proteggerli: il primo passo è tracciarli, contandoli e identificandoli quando fanno ingresso nel territorio nazionale. Poi occorre elaborare una strategia di gestione, come l’affidamento ad un tutore. Non dimenticando che la delicatezza della materia richiede un bilanciamento attentissimo tra i mille profili in gioco, comprese la temporaneità – in cui vogliamo continuare a sperare – della permanenza dei bambini lontano da casa e l’opportunità, anche nel frattempo, di organizzare il ricongiungimento con le loro famiglie. Dei piccoli profughi ucraini giunti in Italia – già oltre 25.000 bambini, di cui 277 minori non accompagnati coinvolti nel circuito di accoglienza dedicato – ha parlato la ministra dell’interno Luciana Lamorgese alla Camera dei deputati. Ora il Governo si impegna a non tradire l’aspettativa di pace che li ha spinti fin qui. Sono ospitati in famiglie e strutture dove nulla mancherà loro, in 5.000 si stanno già inserendo nel sistema scolastico. Nella speranza che sia per poco e che, nell’attesa di ricucire la loro normalità, di tornare nel mondo abbandonato dei loro affetti, dei loro giochi, dei loro studi, questi bambini trovino in Italia la salvezza e almeno un po’ di serenità. (Livia Cefaloni)


