11 Novembre 2021 – ROMA – “Le nostre comunità di fede sono chiamate a (ri)pensarsi sempre più come comunità itineranti. Lo sono per costituzione (dal nome Missioni), ma – dobbiamo essere onesti – il pericolo di passare dal nomadismo allo “stanzialismo” è sempre imminente”. Lo ha detto oggi p. Antonio Grasso, responsabile della Missione Cattolica Italiana di Berna intervenendo al convegno delle Mci in Europa in corso a Roma su iniziativa della Fondazione Migrantes. Per p. Grasso la missione evangelizzatrice delle Missioni cattoliche di Lingua Italiana si collocano in un contesto europeo in continua evoluzione economica, socio-culturale e spirituale. La crisi pandemica che “abbiamo vissuto (e stiamo ancora vivendo) ha avuto l’effetto positivo che ha ridato all’Europa la coscienza che servono soluzioni comuni, e non battitori liberi, perché siamo ‘tutti sulla stessa barca: o ci si salva tutti o si affonda insieme. La crisi pandemica ha rotto quell’ondata di populismo e di nazionalismo che si stava rinforzando sempre più fino a qualche anno fa’, che ha avuto nella Brexit un chiaro esempio e concretizzazione di una crisi identitaria della ‘casa comune’ europea”. P. Grasso ha detto che dobbiamo prendere atto che c’è un cambiamento in corso, un cambio tra la prima generazione (quei migranti del dopoguerra, con una specifica pratica religiosa che ha definito per tanti anni il modello pastorale delle Missioni e che è ancora “lo zoccolo duro” delle nostre celebrazioni) e la concezione di fede – teorica e pratica – delle nuove migrazioni. Molti di coloro che hanno risposto ad un questionario predisposto in vista di questo convegno hanno affermato – giustamente – che “non c’è una relazione automatica tra emigrazione e fede: né si emigra per fede, né chi emigra è automaticamente un credente”. Come ha detto un Missionario nelle risposte al questionario, si ha di fronte una fede che può essere definita “moderna”, tipica di questo periodo culturale, che abbraccia i “cristiani di fatto” (i credenti-praticanti), i “cristiani di nome” (i credenti-non praticanti), i “cristiani delle grandi occasioni”, i “cristiani del gettone” (bisognosi di un servizio) e i “cristiani da album dei ricordi”, legati alle feste di paese o ad altri eventi a carattere folkloristico. Il sogno è quello di “ripensarsi come unica comunità di fede, in un progetto di pastorale d’insieme. La missione di evangelizzare è della Chiesa, di ogni battezzato, e tutti siamo destinatari e portatori dell’annuncio di salvezza. Dunque, il sogno comune è sentire che la missione della Chiesa in cui siamo inseriti (questo piccolo lievito) è la nostra missione. Tutto ciò si concretizza in gesti e azioni concreti, come l’inserimento nelle Unità Pastorali zonali non sopportato ma desiderato, il prendere parte alle attività diocesane, assumendo incarichi e dando il proprio contributo specifico, la – a volte sofferta – convivenza e cogestione degli spazi, l’apprendere la lingua del posto dove si vive e si opera come segno di positiva integrazione e compartecipazione al cammino comunitario locale. Sono tutti elementi – insieme ad altri – che emergono dalle risposte al questionario come un “da farsi” e non ancora come una realtà assunta come stile per tutti (ci sono sempre, naturalmente, le buone pratiche)”.
“A noi, operatori pastorali della mobilità umana, insieme ai vescovi delle chiese di partenza e di arrivo, e insieme a tutti i laici che camminano con noi, è richiesto più che di impiantare dei progetti pastorali, di avviare dei processi di conversione pastorale, che ci portino a ‘ri-formare’ (dare una nuova forma) la Chiesa e, nello specifico, le comunità”, ha sottolineato p. Grasso evidenziando che “ogni Chiesa locale è la specifica manifestazione della multiforme grazia di Dio e dello Spirito. Pertanto ognuno dev’essere cosciente della sua identità, della ricchezza dei doni dello Spirito e della ‘poliedricità’ che in sé rappresenta. La storia della Chiesa locale e la ricchezza rigenerante delle comunità migranti fanno sì che Dio parli ancora alla Chiesa e parli con linguaggi nuovi”.