9 Novembre 2021 – Glasgow – Amal e Storm sono due pupazzi. Il primo è alto 3 metri e mezzo e rappresenta una bambina rifugiata siriana. Partito da Gaziantep, in Turchia, lo scorso 27 luglio, ha battuto l’Europa in lungo e in largo per più di 8mila chilometri. Obiettivo: tenere viva l’attenzione dell’opinione pubblica sul dramma dei minori costretti da guerra e povertà a fuggire dal proprio Paese.
Il secondo è invece un gigante di 10 metri, con conchiglie al posto degli occhi e alghe come capelli, che ha attraversato diverse città costiere della Scozia per sollecitare l’impegno a proteggere mari e oceani dall’inquinamento. I due si incontreranno domani a Glasgow, non lontano dai padiglioni che ospitano la Conferenza Onu sul clima (Cop26), in un evento di musica e spettacolo pensato per sintetizzare in maniera simbolica il problema dei rifugiati climatici, persone costrette ad abbandonare le proprie case a causa dei disastri naturali causati dal riscaldamento globale. La Banca Mondiale ha stimato che entro il 2050 potrebbero esserci fino a 216 milioni di migranti climatici: 105 in Africa, 88,9 nell’Asia meridionale e orientale, 17,1 in America Latina. La situazione è critica già adesso. Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Acnur), il 90% delle persone in fuga dalle proprie abitazioni sotto protezione Onu provengono da Paesi, già provati da anni di conflitti e povertà, che non sono pronti ad adattarsi alle sfide imposte dal cambiamento climatico. In Afghanistan, per esempio, Paese in cui si registrano oltre 3,5 milioni di sfollati interni, l’innalzamento delle temperature e gli episodi sempre più frequenti di siccità hanno esacerbato gli effetti di 40 anni di conflitto aggravando la carenza di scorte alimentari. Il Mozambico, ancora, travolto dalla forza distruttrice dei cicloni, deve fare i conti con un’emergenza umanitaria da 730mila cittadini in fuga. Nel Sahel flagellato dai conflitti etnico-religiosi, per citarne un altro caso, le temperature aumentano 1,5 volte più rapidamente che nel resto del pianeta inasprendo la competizione tra chi cerca di accaparrarsi il necessario per vivere. Il cambiamento climatico, insomma, esaspera le piaghe causate dalla guerra a spese dei più fragili. Come l’incontro tra Amal e Storm vuole ricordare. «Non possiamo più permetterci altre conferenze sul clima e altri impegni disattesi – ha avvertito ieri da Glasgow Andrew Harper, consigliere dell’Acnur per il clima – perché le persone in fuga e le comunità che le accolgono hanno bisogno di aiuto ora». L’appello che arriva dai territori martoriati da conflitti e disastri naturali, quali alluvioni, siccità e desertificazione, «sembra viaggiare – sottolinea – su un piano parallelo a quello di Cop26». In pratica, non si incontrano. In quest’ottica, ribadisce, è essenziale che «la comunità internazionale agisca subito», senza trascurare l’importanza di «mettere al sicuro le situazioni di pace già esistenti».
Il problema delle migrazioni forzate dal cambiamento climatico non riguarda tuttavia solo le zone di conflitto. Ad aprile scorso, il vicepresidente degli Stati Uniti, Kamala Harris, ha riconosciuto che la siccità e i danni causati dalle tempeste sono in parte alla base dell’aumento della migrazione dall’America centrale. Il Regno Unito potrebbe presto dover fare i conti con i primi sfollati climatici locali. Fairbourne è un villaggio nel Galles del Nord che nei prossimi 26 anni rischia di scomparire nelle acque del mare d’Irlanda che per effetto dell’erosione delle coste. Il Comune di Gwynedd, l’autorità locale che lo amministra, ha messo a punto una taskforce per studiare soluzioni al ricollocamento dei suoi 850 abitanti. (Angela Napoletano – Avvenire)


