Vlora: 30 anni fa l’arrivo a Bari di 20mila albanesi

8 Agosto 2021 – Città del Vaticano – «In dieci minuti eravamo in diecimila», disse così un ventenne albanese salito sulla Vlora, nel porto di Durazzo, il 7 agosto 1991. Quella nave, peraltro di fabbricazione italiana, uscita dai cantieri di Ancona negli anni Sessanta, doveva essere “la Nave dolce”, come definita dall’intenso documentario di Daniele Vicari: era una nave diretta in una terra che appariva, al di là dell’Adriatico, accogliente e fortunata. Son passati trent’anni dal quel famoso 8 agosto, ripercorso anche in una giornata di studio della Fondazione Feltrinelli di Milano dal titolo “Il lungo viaggio dei diritti a Bari. 30 anni dallo sbarco dei cittadini albanesi”. Il grande sbarco, come recita il libro dello storico Valerio De Cesaris per i tipi di Guerini, ha rappresentato la scoperta dell’immigrazione in Italia, una scoperta con aspetti contrastanti: già nel luglio 1990 il governo italiano aveva organizzato volontariamente l’espatrio per molti albanesi rifugiatisi nell’ambasciata di Tirana. Questi uomini e queste donne furono mandati in Puglia e lì accolti calorosamente, come si accoglie un amico lontano. L’anno dopo qualcosa cambiò repentinamente. L’arrivo della Vlora non fu proprio un’accoglienza festosa: viveri lanciati dagli elicotteri sulle teste delle persone, persone peraltro rinchiuse nell’afoso stadio di Bari, sotto i 40 gradi di umidità della Puglia agostana. Che cos’era accaduto in così poco tempo? De Cesaris ha scritto: «Nell’arco di pochi mesi, si era compiuto il passaggio degli albanesi da rifugiati bisognosi d’aiuto a pericolosi invasori. Il governo approntò una barriera di navi nell’Adriatico per bloccare i boat people e il dibattito pubblico assunse toni allarmistici. Alla scoperta dell’emigrazione, nel triennio 1989-1991, si accompagnò la nascita di un mito, quello dell’invasione dei migranti».

Dall’altra parte del mare, invece, che cosa era accaduto per giustificare un tale esodo di massa? La situazione albanese, quanto mai instabile già da qualche tempo, in quel 1991 era aggravata dal forte isolamento e dai contrasti interni, esacerbati dalla contrapposizione, quasi violenta, tra cittadelle del nord e cittadelle del sud del Paese, tra centri urbani e zone rurali. In questo contesto, l’Albania divenne una polveriera sociale di ragioni iniziate già con quel mondo sgretolato sotto il muro di Berlino, insieme ai regimi comunisti dell’Europa orientale. Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, iniziarono anni duri per l’Est, Albania compresa. Per queste ragioni molti cittadini decisero di migrare verso l’Italia, traghettati da affaristi senza scrupoli, che caricavano sulle navi persone come capi di bestiame. Quel 7 agosto la Vlora, appena tornata da Cuba e carica di zucchero di canna, durante le operazioni di scarico nel porto di Durazzo, venne bloccata. Il comandante Milaqi fu costretto a ripartire, lasciando a terra lo zucchero, con un carico di umanità ammassata, tra cui bambini e ragazzini sugli alberi della nave mercantile per vedere dove si stava andando. Osservando quelle scene dello stadio della Vittoria, dove furono ammassati molti dei profughi, Don Tonino Bello, allora vescovo di Molfetta, disse che quelle genti erano state “accolte” come bestie. Su «Avvenire» scrisse memorabilmente così: «Le persone non possono essere trattate come bestie, prive di assistenza, lasciate nel tanfo delle feci, mantenute a dieta con i panini lanciati a distanza, come allo zoo, senza il minimo di decenza in quel carnaio greve di vomiti e di sudore; forse come credenti avremmo dovuto levare più forte la nostra condanna ed esprimere con maggiore vigore la nostra indignazione». Lo scrittore Predrag Matvejevic, citando lo storico Fernand Braudel, disse che il mare bisogna immaginarselo andando anche oltre il mare stesso. Bisogna vederlo con gli occhi di un uomo antico, come un’immensità ossessiva e meravigliosa. L’orizzonte di quelle genti, provenienti dall’Albania, era questo: l’immaginazione di una seconda possibilità oltre la linea del mare. Su quella Vlora c’era l’Albania giovane, quella con tante speranze nel cuore, che la Puglia, in quell’estate vacanziera, non riuscì a cogliere, vedendo quella nave che solcava le acque e che avanzava con lentezza, avvicinando la sua sagoma alla costa. Alle dieci del mattino erano lì, al porto di Bari, guardati con timore. Un ispettore di polizia, vedendo il gesto della vittoria sulle mani di tanti ragazzi, disse cinicamente: «Ma che cosa hanno vinto? Forse un viaggio di ritorno gratis». (Osservatore Romano)

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