Sfollati climatici: presentati gli Orientamenti pastorali

30 Marzo 2021 – Città del Vaticano – I cambiamenti climatici non costituiscono «una ipotetica minaccia» ma sono già una realtà che «esige un’azione immediata anche nella creazione di condizioni per accogliere gli sfollati delle sempre più numerose catastrofi». È il grido d’allarme lanciato dal dehoniano Claudio Dalla Zuanna, arcivescovo di Beira, in Mozambico, collegato in diretta streaming, sul canale Youtube di Vatican News, con la Sala stampa della Santa Sede, dove si è svolta la conferenza di presentazione del volume Orientamenti Pastorali sugli Sfollati Climatici, curati dalla Sezione migranti e rifugiati (Smr) del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale (Dssui). Al saluto introduttivo del cardinale gesuita Michael Czerny, sotto-segretario proprio della Smr del Dssui, sono seguite le relazioni dello scalabriniano sotto-segretario della Smr del Dssui; del salesiano Joshtrom Isaac Kureethadam, officiale del Dicastero e coordinatore della Task force Ecología della Commissione vaticana per il Covid-19; della direttrice associata dei programmi europei del Movimento cattolico mondiale per il clima, Cecilia Dall’Oglio; e in collegamento dal Mozambico, oltre al presule, ha offerto la sua testimonianza anche Maria Madalena Issau, trentaduenne residente in un campo di sfollati a 60 chilometri da Beira. Nel suo intervento il salesiano Kureethadam ha sottolineato che è un imperativo etico per l’umanità ridurre le «emissioni sproporzionatamente enormi che causano la crisi climatica». In questo contesto, ha detto il religioso, occorre «dimezzare le emissioni entro il 2030» e raggiungere le emissioni netto zero prima del 2050, «per rimanere entro 1,5 °c: superarlo sarebbe catastrofico». Le nazioni, ha aggiunto, devono «impegnarsi per obiettivi molto più ambiziosi al summit sul clima Cop26», che sembra essere una sorta di «ultima chiamata» per il pianeta, in quanto «solo il 30 per cento delle emissioni globali è coperto dagli impegni attuali». Bisogna intraprendere strategie «rapide e di vasta portata» a basse emissioni di carbonio in termini di transizione energetica, stili di vita più sobri, economia circolare, agricoltura e industria sostenibili. Questa, ha rimarcato, «non è solo filantropia»: è ripagare il «debito ecologico», nell’ottica della Laudato si’, che «dobbiamo ai più vulnerabili tra di noi»; ed è anche un’eredità che «lasceremo ai nostri figli e alle generazioni future». È necessario, inoltre, offrire «protezione agli sfollati climatici attraverso la legislazione e le politiche». Infatti, la «protezione internazionale per gli spostamenti indotti dal clima è limitata, frammentaria e non sempre legalmente vincolante». In definitiva, ha fatto notare il salesiano, si tratta di una sfida «pastorale» che coinvolge tutti. Successivamente Cecilia Dall’Oglio, ha parlato del Movimento cattolico mondiale per il clima: un’alleanza, ha spiegato, che coinvolge più di 700 organizzazioni e migliaia di individui dei diversi continenti. Dal 2015 è iniziata questa esperienza di cammino insieme per vivere la Laudato si’ e «rispondere all’urgenza della crisi climatica, al grido dei poveri e della terra tenendo connessa la dimensione spirituale con quella degli stili di vita personali e comunitari e con quella dell’impegno nella sfera pubblica». Dall’Oglio ha offerto, in particolare, una riflessione sul punto 8 degli Orientamenti: «Cooperare nella pianificazione e nell’azione strategiche»; e ha presentato alcuni esempi di risposte concrete per combattere la crisi climatica. La prima delle quali, ha sottolineato, è quella di «trovare spazi di collaborazione e azione strategica nella gioia del camminare insieme», che è lo spirito del Cantico di san Francesco. Nella sua testimonianza la mozambicana Maria Madalena Issau ha ricordato il disastroso passaggio del ciclone Idai, che nel marzo 2019 provocò devastazioni a Beira. Centodiciotto famiglie che avevano perso tutto vennero ricollocate a 60 chilometri dalla città, a 5 chilometri dall’abitato più vicino. Il governo consegnò un lotto di terreno di 20 metri per 30, una tenda e una fontana per l’acqua. Qualche mese fa, ha detto, una ong ha iniziato a costruire 200 case di 25 metri quadrati per persone vulnerabili, vedove e orfani. Le altre famiglie vivono ancora in tende o capanne. Non è presente neanche un ambulatorio sanitario e il più vicino si trova a 8 chilometri di distanza. La donna ha denunciato che c’è una scuola solo fino al 4° grado: gli altri bambini devono andare a Mutua, una località lontana 5 chilometri. Nel reinsediamento «non c’è elettricità, non c’è lavoro», non ci sono «progetti per istruire i giovani o occupare le persone». E «per un lavoro ingrato le persone devono percorrere molti chilometri». (OR)

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