Vangelo migrante: il commento alla II domenica di Quaresima (Mt 17, 1-9).

5 Marzo 2020 – Roma – Se l’inganno della tentazione è il boccone attraverso il quale il maligno opera la distruzione e l’annientamento di Quelli che Dio ama, la Trasfigurazione è la gloria, il peso specifico che Dio dà ai Suoi amati, ad iniziare dal Figlio che finirà per farsi cibo nella Pasqua verso la quale siamo in cammino.

E questo è il cammino della Gloria: si sale, si vede, si discende.

L’ascesa al Tabor è condizione necessaria per vedere altro, per vedere diversamente quel reale che percepiamo con confusione, a causa dell’inganno e dell’idolatria.

La vista della Gloria non è tras-formazione di qualcosa in qualcos’altro ma è tras-figurazione, ossia la stessa cosa vista nel suo senso autentico e profondo: oltre la figura, oltre la forma. A cambiare sono gli occhi di un essere umano semplice e non acculturato come Pietro, al quale quella rivelazione risulta accessibile e bella fino a fargli esclamare: “… restiamo qui!”

E c’è anche la discesa, perché Dio non è mai autoreferenziale, anche se a volte fa comodo fissarlo in un quadro dottrinale. Il rientro al reale, non di rado esposto alle insidie di questo mondo, è il luogo dove Egli trasfigura e mette ordine ai nostri desideri, ai nostri progetti e ai nostri bisogni.

È dura, ma la discesa questa domenica è in mezzo alla fastidiosa polvere del campo di Moria o tra le forcate e gli spari della Guardia Costiera nei respingimenti di profughi dinanzi all’isola greca di Kos al largo di Bodrum.

Più che mai avvertiamo il bisogno di una trasfigurazione per collaborare al Suo progetto di salvezza. (p. Gaetano Saracino)

 

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